Ferdinando I
Ferdinando (o Ferrante), figlio naturale di Alfonso I (Alfonso V come re d’Aragona) e di Gueraldona Carlino, di origine napoletana, nacque probabilmente il 2 giugno 1424 a Valencia. Giunse in Italia la prima volta nel 1438: legittimato nel 1440, fu riconosciuto dal pontefice nel 1444. Nel 1445 sposò Isabella Chiaromonte, nipote del principe di Taranto Giovanni Antonio Orsini del Balzo, che gli diede sei figli (Alfonso, 1448; Eleonora, 1450; Federico, 1451; Giovanni, 1456; Beatrice, 1457; Francesco, 1461), cui ne vanno aggiunti almeno altri otto naturali. Rimasto vedovo nel 1477, sposò la cugina Giovanna, sorella di Ferdinando il Cattolico.
La morte di Alfonso (27 giugno 1458), dopo i primi mesi di cauto assestamento, obbligò F. a sperimentare quanto fosse vulnerabile la sua posizione. Tra il 1459 e il 1464-65, infatti, il duca Giovanni, figlio del re Renato d’Angiò, sferrò un’offensiva nel Regno, con l’appoggio di molta parte delle élites feudali napoletane. La guerra polarizzò la penisola: il re resse l’urto, e la morte (sospetta) del principe di Taranto (16 nov. 1463), la partenza di Giovanni d’Angiò nel 1464 e la punizione dei baroni superstiti segnarono di fatto la fine delle ostilità. La pace inaugurò circa un ventennio di relativa stabilità, consolidato dalle calibrate mosse di una politica dinastica a tutto tondo che vide i figli e i nipoti del re stringere legami matrimoniali incrociati che avrebbero modellato gli assi delle alleanze politiche nei decenni a venire.
Con la fine degli anni Settanta, però, il quadro internazionale prese a incrinarsi significativamente. La congiura dei Pazzi nel 1478 e l’assalto turco a Otranto nel 1480 prelusero alla guerra di Ferrara (1482-84), in cui F. si impegnò a fondo: conclusasi con la pace di Bagnolo e la sostanziale vittoria aragonese, la guerra lasciò però Napoli esausta finanziariamente e militarmente. Tra il 1485 e 1486 L’Aquila e alcuni grandi città del Regno si rivoltarono contro il re con l’appoggio del papa neoeletto, Innocenzo IV, e del cardinale Giuliano Della Rovere. Si riproponeva agli occhi del re lo scenario del 1459, anche se la presa del sovrano sul Regno era ben più salda. La brutale e inaspettata repressione degli ultimi congiurati, il 13 agosto 1486, concluse in modo eclatante il conflitto, anche se i rapporti con il papato rimasero difficili sino almeno al 1492. Un’altra questione cruciale intanto veniva maturando nei rapporti con Milano, apparentemente consolidati con un secondo matrimonio incrociato nel 1488 fra Isabella, figlia di Alfonso e di Ippolita Sforza, e il cugino Gian Galeazzo Maria Sforza, erede del ducato. La diffidenza reciproca, la fragilità del potere di Ludovico il Moro, le mai sopite ambizioni francesi su Napoli e su Milano condussero, nell’estate del 1493, a un punto di rottura. Sia in Francia sia nel Regno iniziarono imponenti mobilitazioni belliche, anche se F., certo della neutralità veneziana, dell’appoggio fiorentino e di una tregua con il papa si mostrava fiducioso. Ma il 25 gennaio 1494, alla vigilia della spedizione italiana di Carlo VIII di Francia, F. morì a Napoli: la sua scomparsa avrebbe assunto un carattere epocale nella visione dei contemporanei.
Le vicende dei due tronconi del Regno di Sicilia nel tardo Medioevo furono condizionate dalla complessa questione della legittimità dei sovrani e dalla loro collocazione su scenari sovranazionali in cui i rapporti dei rami meridionali delle dinastie europee degli Angiò e degli Aragona con le casate originarie e con i loro diversi assi politici andavano ridefiniti di volta in volta (Senatore 2012). F. si trovò nel cuore di queste dinamiche: in parte esse ne indebolirono la posizione, in parte gli permisero di difendere i propri interessi peninsulari su di uno scacchiere europeo. In questo contesto al tempo stesso fragile e dinamico, F. regnò per trentasei anni, trasformando il Regno e insieme costruendosi un ruolo personale e politico di primo piano nella penisola. La difficile legittimità dei sovrani napoletani aveva ricadute profonde anche sul rapporto fra il re e il Regno: la prolungata instabilità politica fra Tre e Quattrocento aveva infatti rafforzato i poteri locali, feudali o urbani, e imponeva a ogni sovrano di ridefinire i termini della propria azione. F. si trovò quindi a controllare la potenza di alcune delle maggiori famiglie del Regno, come gli Orsini o i Sanseverino, e dei baroni minori, a disciplinare i rapporti fra le diverse élites che ruotavano attorno alla corona, a interloquire con le città demaniali, sempre pronte a ridefinire e ampliare la sfera delle loro autonomie. La trasformazione dell’esercito, il consolidamento dell’economia grazie alle confische, alla pace e al potenziamento dei commerci, lo splendore culturale della corte partenopea, permisero a F. di consolidare la grande stagione di Alfonso I. Lo stesso re costruì attorno a sé l’immagine peculiare di uomo esperto e difficile da capire: le fonti documentarie – in particolare diplomatiche – e la storiografia coeva concorrono a confermarla.
I testi machiavelliani colgono e interpretano tanto l’immagine, un poco formulare, del re prudente ed esperto, quanto il suo concreto agire politico, anche se, rispetto al ruolo centrale che F. rivestì nelle diverse fasi della politica italiana del secondo Quattrocento, la sua presenza nell’opera di M. non ha un rilievo particolare. F. compare nei Discorsi e nelle Istorie.
In Discorsi II xi 3, M. ricorda l’offensiva del re contro Firenze in occasione della congiura dei Pazzi; in III vi 44, nel famoso capitolo sulle congiure, fra le altre M. cita la congiura dei Baroni e l’implacabile eliminazione di Coppola (chiamato per errore Iacopo anziché Francesco) e Antonello Petrucci. L’immagine diffusa di F. come re prudente e savio (Bernardino Corio, alla sua morte, scrive che era scomparso «colui che per prudentia, experientia delle cose et calliditate era il primo de tutti gli altri principi de Italia»: Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, 2° vol., 1978, p. 1536; Francesco Guicciardini lo presenta, all’inizio della Storia d’Italia, come «principe prudentissimo e di grandissima estimazione»: ed. a cura di S. Seidel Menchi, 1° vol., 1971, p. 7) torna anche in M., che ne riporta un detto pessimistico (I xl 45) e introduce l’ultima occasione in cui ne parla con la frase «Ciascuno sa come Ferrando re di Napoli fu ne’ suoi tempi tenuto uno savissimo principe»: F., conscio che il re di Francia si predisponeva ad attaccarlo, in punto di morte esortò il figlio Alfonso a difendere il Regno senza disperdere la propria forza in spedizioni esterne. Nel 1494 Alfonso fece il contrario e, «mandato un esercito in Romagna, senza combattere perdé quello e lo stato» (II xii 12).
Nelle Istorie fiorentine, il giovane F. esordisce in sordina. Nel 1452 venne inviato dal padre in Toscana a capo delle forze aragonesi contro Firenze, ma la sua avventura si concluse senza lode:
e fatto questo accordo [la lega italica], Ferrando suo figliuolo, il quale si trovava a Siena, se ne tornò nel regno, avendo fatto per la venuta sua in Toscana niuno acquisto di imperio, e assai perdita di sue genti (VI xxxii 12).
Più avanti, la complessa questione della successione ad Alfonso è analizzata in dettaglio perché è il contesto in cui si pongono le premesse di molti degli sviluppi successivi. Il sostegno di Francesco Sforza è cruciale: il duca di Milano appoggiò il re con «lettere e gente» (xxxvi 5) e, alla morte dell’ostile pontefice Callisto III, convinse Pio II a sostenere il giovane re. Ma nella primavera successiva l’intervento di F. negli affari di Genova spinse Giovanni d’Angiò a «fare l’impresa del regno» (xxxvii 7), iniziando la guerra di successione (autunno del 1459). Dopo la prima rotta a Sarno, grazie anche al suo impegno personale, F. «avendo cominciato a racquistare reputazione, racquistava delle terre perdute»: al contrario, la ribellione di Genova tolse «reputazione» all’angioino (xxxviii 3, 4). Giovanni, cui M. rimprovera di non avere mosso su Napoli dopo la vittoria a Sarno, continuò la lotta, sostenuto da «quelli baroni, i quali, per la rebellione loro non credevano apresso a Ferrando di trovare luogo alcuno» (xxxviii 7); ma, dopo la sconfitta presso Troia, la partita era perduta e Giovanni tornò in Francia nel 1464. La diffusa narrazione degli eventi del Regno induce M., all’inizio del libro successivo, a spiegare le ragioni per cui «uno scrittore di cose fiorentine si sia troppo disteso in narrare quelle seguite in Lombardia e nel Regno»: lo ha fatto, osserva M., perché
dalle azioni degli altri popoli e principi italiani nascono il più delle volte le guerre nelle quali i Fiorentini sono di intromettersi necessitati; come dalla guerra di Giovanni d’Angiò e del re Ferrando gli odii e le gravi inimicizie nacquono le quali poi intra Ferrando e i Fiorentini, e particularmente con la famiglia de’ Medici seguirono (VII i 1-2).
Per questo, M. si attarda anche a narrare come alla fine della guerra F., di concerto con Francesco Sforza, si liberasse in modo esemplare degli ultimi oppositori rimasti nel Regno, tra i quali Iacopo Piccinino. In questa occasione emerge il re prudente e dissimulatore dei Discorsi: F. «usò ogni arte in assicurarli» (vii 6).
F. compare ancora saltuariamente sullo sfondo della politica generale d’Italia (in Istorie fiorentine VII xx 4, 14; xxii 9; xxxi 8-9, 11, 13-14, 16; xxxiii 1), per occupare di nuovo un ruolo di primo piano in occasione della congiura dei Pazzi, della guerra contro Firenze che ne seguì e dell’andata di Lorenzo il Magnifico a Napoli nell’inverno del 1478 (VIII x 1). Firenze non poteva contare troppo sull’alleato milanese: scosso dall’assassinio di Galeazzo Maria Sforza nel 1476, il ducato doveva fare i conti con la ribellione di Genova. Con il sopraggiungere dell’inverno e una breve tregua, Lorenzo deliberò di recarsi a Napoli per dividere il fronte dei suoi nemici, ritenendo l’amicizia del re «più stabile e più secura» (xvii 6). Giunto a Napoli, il Magnifico riuscì a capovolgere la situazione, seducendo letteralmente Ferdinando. Il re, incantato,
gli raddoppiò gli onori, e cominciò a pensare come più tosto e’ lo avesse a lasciare amico che a tenerlo nimico [...] e con ogni generazione di beneficio e dimostrazione di amore se lo guadagnò; e infra loro nacque accordi perpetui a conservazione de’ comuni stati (xix 1-3).
Essendo poi i fiorentini e F. dalla stessa parte contro il papa nella successiva guerra di Ferrara, M. si diffonde nel narrarne le vicende, monopolizzate peraltro da Alfonso, duca di Calabria, comandante generale delle gente d’armi di parte estense (xxii-xxxi). L’ultimo grande evento in cui F. compare in modo significativo è la guerra dei Baroni, su cui M. si sofferma nella misura in cui interferì con l’impresa fiorentina di Sarzana. Il biennio 1485-86 e lo scontro violento fra F. e il papa a partire dalla ribellione dell’Aquila occupano infatti soltanto un capitolo del libro VIII: come epilogo (xxxii 16), poche righe sulla fine dei congiurati di cui M. aveva parlato già nei Discorsi.
F. incarna per M. una delle possibili varianti del sovrano prudente e calcolatore, cui l’esperienza ha insegnato come muoversi nel difficile mondo della politica: le vicende del Regno d’altronde entrano nella narrazione nella misura in cui influenzano le dinamiche fiorentine e derivano dalla storia degli intrecci politici fra i potentati dell’Italia centro-settentrionale e il papato. La loro ricostruzione è basata, per l’età di F., sostanzialmente sulla Storia di Milano di Corio, a sua volta debitrice per questo periodo di Giovanni Simonetta: un’analisi anche veloce testimonia la rispondenza relativamente costante dei riferimenti fra i tre testi, con l’eccezione importante, e comprensibile, della congiura dei Pazzi e del viaggio di Lorenzo a Napoli.
Bibliografia: Fonti ed edizioni critiche: G. Pontano, De bello Neapolitano, in J.G. Graevius, Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae..., 9° vol., t. 3, Lugduni Batavorum 1723; Codice aragonese, a cura di F. Trinchera, 3 voll., Napoli 1866-1874; Le Codice aragonese, éd. A. Messer, Paris 1912; Regis Ferdinandi Primi instructionum liber, a cura di L. Volpicella, Napoli 1916; G. Simonetta, Rerum gestarum Francisci Sfortiae Mediolanensium ducis commentarii, a cura di G. Soranzo, in RIS, 21.2, fasc. 1-2, 1932; Regesto della cancelleria aragonese, a cura di J. Mazzoleni, Napoli 1951; C. Porzio, La congiura dei baroni contra il re Ferrante, a cura di E. Pontieri, Napoli 1964; A. Beccadelli, Liber rerum gestarum Ferdinandi regis, a cura di G. Resta, Napoli 1968; F. Guicciardini, Storia d’Italia, a cura di S. Seidel Menchi, 3 voll., Torino 1971; L. de’ Medici, Lettere (1469-1494), coord. N. Rubinstein, 1-16 voll., Firenze 1977 e segg.; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, 2 voll., Torino 1978; Fonti per la storia di Napoli aragonese, coord. di M. Del Treppo: s. I, Dispacci sforzeschi da Napoli, a cura di F. Senatore, F. Storti, Napoli 1997-2009; s. II, Corrispondenza degli ambasciatori fiorentini, a cura di B. Figliuolo, Salerno 2004-2012; s. III, Fonti monografiche, 1° vol., Corrispondenza di Giovanni Pontano segretario dei dinasti aragonesi di Napoli, a cura di B. Figliuolo, Salerno 2012; Carteggio degli oratori mantovani alla corte sforzesca (1450-1500), coord. di F. Leverotti, Roma 1999 e segg.
Per gli studi critici si vedano: E. Nunziante, I primi anni di Ferrante d’Aragona e l’invasione di Giovanni d’Angiò, Napoli 1898; B. Croce, Storia del Regno di Napoli, Bari 1924; E. Pontieri, Per la storia del regno di Ferrante I d’Aragona re di Napoli. Studi e ricerche, Napoli 1969; A. Ryder, The Kingdom of Naples under Alfonso the Magnanimous: the making of a modern state, Oxford 1976; M. Del Treppo, Il regno aragonese, in Storia del Mezzogiorno, a cura di G. Galasso, R. Romeo, 4° vol., t. 1, Roma 1986, pp. 229-304; H.C. Butters, Florence, Milan and the barons’ war (1485-1486), in Lorenzo de’ Medici. Studi, a cura di G.C. Garfagnini, Firenze 1992, pp. 281-308; G. Galasso, Il Mezzogiorno angioino e aragonese (1266-1494), in Storia d’Italia, a cura di G. Galasso, 15° vol., t. 1, Il Regno di Napoli, Torino 1992; A. Ryder, Ferdinando I (Ferrante) d’Aragona re di Napoli, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 46° vol., Roma 1996, ad vocem; F. Senatore, F. Storti, Spazi e tempi della guerra nel Mezzogiorno aragonese. L’itinerario di re Ferrante (1458-1465), Salerno 2002; G. Vitale, Ritualità monarchica, cerimonie e pratiche devozionali nella Napoli aragonese, Napoli 2006; F. Storti, L’esercito napoletano nella seconda metà del Quattrocento, Salerno 2007; F. Montuori, L’auctoritas e la scrittura: studi sulle lettere di Ferrante I d’Aragona, Napoli 2008; Poteri, relazioni, guerra nel regno di Ferrante d’Aragona. Studi sulle corrispondenze diplomatiche, a cura di F. Senatore, F. Storti, Napoli 2011; F. Senatore, The Kingdom of Naples, in The Italian Renaissance state, a cura di A. Gamberini, I. Lazzarini, Cambridge 2012, pp. 30-49; S. Ferente, Gli ultimi guelfi. Linguaggi e identità politiche in Italia nella seconda metà del Quattrocento, Roma 2013.