Poggioli, Ferdinando Maria
Regista cinematografico, nato a Bologna il 15 dicembre 1897 e morto a Roma il 2 febbraio 1945. Appartenne (con Renato Castellani, Mario Soldati, Luigi Chiarini, Alberto Lattuada, Mario Camerini) alla corrente dei 'calligrafici' (v. Italia) che tra la fine degli anni Trenta e l'inizio degli anni Quaranta segnò il passaggio dalle atmosfere edulcorate dei telefoni bianchi ai toni accesi del Neorealismo. A lungo ingiustamente dimenticato, è stato rivalutato dalla critica a partire dagli anni Settanta.
Dopo aver conseguito la laurea in economia e commercio all'Università di Venezia, si accostò al cinema alla fine degli anni Venti, come collaboratore della rivista di Alessandro Blasetti "Cinematografo". Nel 1930 iniziò una lunga gavetta, prima come segretario di edizione, poi come aiuto regista e regista di documentari (Presepi, 1931; Paestum, 1932; Impressioni siciliane, 1933), e infine come montatore, attività che proseguì anche dopo l'esordio nella regia di lungometraggi a soggetto. Dopo due film di modesto valore, Arma bianca (1936) e Ricchezza senza domani (1940), con Addio giovinezza! (1940) mise in luce il suo talento e il suo stile di regia, connotato dall'ispirazione letteraria, da un certo gusto per la narrazione, da una particolare attenzione per l'ambientazione e per i personaggi. Tratto dalla commedia di S. Camasio e N. Oxilia, il film narra dell'amore impossibile tra una sartina e uno studente universitario, sullo sfondo di una Torino dalle atmosfere raffinate e crepuscolari d'inizio Novecento. Un tema poi ripreso ‒ in toni più incisivi ‒ in Sissignora (1942), tratto dal romanzo La servetta di Masone di F. Steno e sceneggiato da Emilio Cecchi e Lattuada: è la storia di una servetta che dalla campagna approda a Genova, e la cui ingenuità si scontra con il cinismo degli abitanti della grande città. Gelosia (1942) è considerato da molti il suo capolavoro: tratto dal romanzo Il marchese di Roccaverdina di L. Capuana e sceneggiato da Sergio Amidei, Vitaliano Brancati e Giacomo Debenedetti, narra della passione ferale e animalesca di un nobile siciliano e di una sua domestica.
Oltre che per opere come L'amore canta (1941), La bisbetica domata (1942), La morte civile (1942), L'amico delle donne (1943), P. merita di essere ricordato anche per Le sorelle Materassi (1944), adattamento del romanzo di A. Palazzeschi, e per Il cappello da prete (1944), tratto dal romanzo di E. De Marchi.
G.C. Castello, Retrospettive. Ferdinando Maria Poggioli, in "Cinema" n. s., 1950, 39, pp. 313-15.
M. Orsoni, Appunti su Poggioli, in "Filmcritica", 1953, 31, pp. 261-65.
Materiali sul cinema italiano 1929-1943. Alessandro Blasetti, Mario Camerini, Ferdinando Maria Poggioli, a cura di A. Aprà, Quaderno informativo dell'11a Mostra internazionale del nuovo cinema di Pesaro 1975, 63, pp. 85-102 e 268-80.
L. Quaglietti, A. Blasetti, M. Camerini e F.M. Poggioli nel cinema italiano degli anni Trenta, "Cinema 60", 1975, 106, pp. 29-36.
Cinema degli anni Quaranta: Barbaro, Chiarini, Poggioli, a cura di O. Caldiron, in "Quaderni della Cineteca nazionale", 1978, 2.