festa
Celebrazione solenne
Dal latino festus dies ("giorno solenne"), la festa è un periodo di tempo dedicato a celebrazioni particolari, a riti e a liturgie ben distinti dalla vita e dal lavoro quotidiani. Le feste scandiscono sia il ciclo dell'anno sia la vita individuale, nel cui ambito rappresentano riti di passaggio da uno status a un altro (come avviene nei battesimi, compleanni, matrimoni e funerali). La funzione originaria della festa era di allontanare il male e di propiziare il bene per i singoli e per le comunità. Usanze e riti sono memoria e santificazione dello spazio e del tempo, della vita e della morte. Molte tradizioni ancora in uso oggi ripetono inconsapevolmente questo schema universale
La consacrazione della natura, dei cicli stagionali e della vita personale ha radici antichissime: la festa è un modo simbolico di sottolineare gli eventi significativi della vita con azioni rituali e cerimonie. Le feste scandiscono il tempo, ritagliano nella vita quotidiana uno spazio autonomo, consacrato e particolare: ci si veste in modo diverso, si mangia in modo diverso, si prega e si ricorda in modo diverso. Il rito e la festa sono essenziali alla vita umana tanto quanto lo è il lavoro. La memoria è altrettanto fondante e significativa in quanto ogni rito, ogni cerimonia è commemorazione, è ricordo collettivo di un evento esemplare. Nel calendario di Roma antica, per esempio, vi erano ogni me-se almeno tre giorni di festa dedicata agli dei, agli eroi o agli eventi civili di grande risonanza.
L'inizio dell'anno o delle stagioni è celebrato universalmente con riti per tenere lontano il male, sia fisico sia morale. Spesso tali feste a carattere liberatorio, come il Carnevale, si ricollegano alle celebrazioni arcaiche dei Lupercali e ai culti dionisiaci. In essi prevaleva la sfrenatezza, l'abolizione dei comportamenti normali in favore di una generale infrazione delle regole, accompagnata da ubriacatura, musica assordante, corteggiamenti (considerati propizi alla fecondità della natura, dalle piante agli animali), uso di maschere, con episodi di violenza e ferite autoinflitte. Tali comportamenti improntati alla cancellazione provvisoria di tutte le regole abituali sono presenti in moltissime culture primitive e simboleggiano il ritorno a una mitica età dell'oro quando ancora non esistevano differenze sociali.
Nelle società di agricoltori la festa della fecondità coincide spesso con l'epoca dei matrimoni e rientra nei rituali relativi ai momenti culminanti della coltivazione (semina, mietitura, vendemmia e così via): l'unione dell'uomo e della donna è infatti offerta agli dei per promuovere la fecondità della terra.
Un altro livello simbolico espresso dalla festa arcaica è l'abolizione temporanea dell'ordine sociale, anzi il rovesciamento di esso; il trionfo del disordine diventa così la condizione di un radicale rinnovamento dell'ordine. Forme attenuate di feste smodate e 'disordinate' sono passate, attraverso il paganesimo classico, anche nella vita cristiana medievale (Capodanno e Carnevale legati ai Saturnali, feste contadine sfrenate, cerimonie e danze notturne con maschere, mietitura e vendemmia) e si sono mantenute nel cattolicesimo popolare.
Molte usanze festive sono ispirate alla tradizione arcaica secondo la quale nei 'giorni solenni' alcune forze soprannaturali, come la fortuna, gli spiriti benigni e maligni e le potenze che regolano la natura e il Cosmo agiscono più intensamente e possono essere propiziate. Tali caratteristiche propiziatorie sono state ereditate dai cristiani e attribuite a Dio, a Cristo, alla Vergine Maria e ai santi, che sono celebrati attraverso apposite festività. Nel tempo della festa 'accadono' prodigi: fiumi che diventano di latte per pochi secondi, alberi che si caricano di frutti d'oro, colline che diventano pane. È un ritorno all'età dell'oro, ai tempi mitici del Paradiso terrestre.
La festa, inoltre, è tempo di riposo e nella settimana la domenica, per i cristiani, rappresenta il settimo giorno in cui Dio, dopo aver creato il mondo, si riposò. Nel mondo primitivo le feste sono universalmente caratterizzate dalla musica e dalla danza, entrambe dedicate alle potenze divine. Non si balla solo per divertirsi: ogni passo e ogni figura della danza costituiscono un incantesimo o una preghiera. Si spera in un buon raccolto, in una ricca pesca, si esorcizzano le malattie del bestiame e degli uomini. La bellezza della danza ha il potere di attrarre le benedizioni divine e di curare le malattie del mondo. Il rito e la festa rappresentano il tramite tra potenze divine e vita umana: la musica chiama gli dei, la danza li rappresenta.
Nelle feste primitive vediamo congiungersi i concetti di effimero e di eterno, come nelle celebrazioni dei malagan in Melanesia. La parola indica una grande festa che dura tre giorni e tre notti e che svolge diverse funzioni: è omaggio ai defunti, è sacralizzazione dell'inizio dell'anno, scongiura la carestia e promuove la fecondità della terra e degli animali. Gli artisti scolpiscono in legno decine e decine di coloratissimi oggetti sacri, vere e proprie opere d'arte: statue, bassorilievi, ornamenti, pali istoriati che rappresentano gli antenati, gli spiriti, l'Essere Supremo, la dea pluviale della Luna (che regola le nascite) e il dio del Sole (che matura i frutti). Si ritiene che tutti questi oggetti siano imbevuti della presenza divina. La festa prosegue con vari banchetti, danze e canti. Le cerimonie sono organizzate da chi dispone di beni e ricchezze in quanto comportano enormi sacrifici economici: a fronte del consumo delle provviste dell'intero anno, si acquista un prestigio straordinario. Lo sfarzo e l'esibizione del lusso diventano un esorcismo collettivo di respiro cosmico contro la morte e la carestia. Le sculture restano esposte per tutto il tempo della festa e poi vengono abbandonate al disfacimento, le piogge che iniziano persistenti penetrano nei capolavori e li distruggono e la foresta pluviale finisce per avere ragione sull'estetica, ricoprendo tutto con le liane, i cespugli e i fiori.
Il complesso rituale dei malagan sembra il trionfo dell'effimero: la distruzione dell'oggetto imita la decomposizione dei defunti ed è un omaggio agli immortali. Lasciare opere d'arte e oggetti di lusso come doni ai morti garantisce la continuità della vita, della natura e delle stirpi. Le piante e i fiori che dopo la pioggia coprono le opere d'arte indicano il trionfo della vita indistruttibile. La festa è vissuta come un grande rituale che sconfigge la morte e che ripropone l'eterno ciclo vitale della natura.
Anche in Occidente si hanno cicli festivi che comprendono diversi giorni, come nel periodo natalizio. Infatti i dodici giorni che vanno da Natale all'Epifania sono un'unica festività che conclude l'anno vecchio e apre il nuovo ciclo generativo. In diverse località personaggi arcani e misteriosi, provenienti dal mondo degli antenati e delle potenze divine, portano regali: nell'Italia settentrionale si parla di santa Lucia (la santa della luce), nel Sud di san Nicola e nell'Italia centrale della Befana. In origine i doni natalizi erano una ridistribuzione dell'eccedenza alimentare e consistevano in noci, mandorle, castagne, dolci e frutta secca. Servivano a mantenere relazioni nella grande festa invernale a cui partecipavano i vivi e i morti, che dall'aldilà portavano regali ai bambini, come ancora oggi in Sicilia. I padri della Chiesa scelsero il 25 dicembre, giorno del dio Sole, per festeggiare la nascita del Redentore; in precedenza, da Aureliano in poi, gli imperatori romani avevano promosso in quel giorno un culto solare universale, che assorbiva i riti militari del dio Mitra. Il Natale si ricollega quindi alla festa imperiale del Sol invictus e celebra Gesù come Sole di verità. Per le altre tradizioni festive si attribuisce a Martin Lutero il primo albero di Natale, che si diffuse a partire dal 16° secolo in Sassonia. La figura di Babbo Natale è una deformazione di quelle di san Nicola (in inglese Santa Claus, da Saint Nicolaus), che fu vescovo di Mira e protettore di Bari e Venezia; mentre il presepe fu ideato da san Francesco, che ambientò la sacra rappresentazione nella grotta di Greccio nel 1223. La scena della nascita del Bambino è un'apparizione divina: la grotta notturna contiene il nuovo Sole e la Vergine, simbolo della natura primordiale incontaminata. Uomini e animali partecipano all'evento: il bue e l'asino, instancabili, e le greggi da cui verrà l'agnello sacrificale della futura Pasqua.
Il ciclo pasquale (Pasqua), legato alla primavera, consacra la rinascita della vegetazione dopo il sonno invernale. Le antiche religioni agro-pastorali dell'Impero Romano celebravano questa rigenerazione primaverile della terra, della vegetazione e degli animali. Il rito del ver sacrum ("primavera sacra") consisteva nel dedicare a Marte, dio della guerra, ma anche protettore della caccia e delle greggi, gli animali appena nati e i giovani destinati a fondare colonie lontane. Il cristianesimo ha raccolto la consacrazione della primavera dando a essa un significato spirituale che costituisce il fulcro dell'intero anno liturgico.
La Pasqua è festa mobile: si celebra nella prima domenica dopo il plenilunio dell'equinozio di primavera. La Luna, legata alla pioggia e alla fecondità primaverile, domina la settimana santa. La liturgia propone, a partire dal giovedì santo, varie cerimonie. In molti paesi di tradizione cattolica (Italia, Spagna, America Latina) la settimana santa è il cuore della liturgia e prevede giorni di lutto, penitenza e raccoglimento per la morte di Cristo, fino all'esplosione di gioia della Resurrezione. Nelle processioni vengono portate per le strade grandi sculture di legno, su palchi semoventi, oppure si mettono in scena sacre rappresentazioni come avviene in molte città italiane. Nelle processioni sfilano i notabili della città e le bande suonano 'gli strumenti delle tenebre': rombi, raganelle, nacchere, dai suoni lignei e penetranti, mentre campane, campanelli e flauti restano muti fino alla domenica di Risurrezione. Il venerdì sfila la Vergine dei dolori, che contempla l'urna di vetro con il Cristo morto. Durante molte processioni i penitenti si percuotono il petto. Il dolore come forma di espiazione e rigenerazione è costantemente presente in molte zone del mondo, come visione religiosa arcaica precedente la diffusione del cattolicesimo. Nelle celebrazioni messicane, andine, brasiliane e delle Antille, dopo il lutto, marcato anche dai vestiti viola indossati per penitenza da moltissimi fedeli, esplode la festa della notte del sabato che si passa ballando fino allo sfinimento, bevendo, fumando e mangiando i cibi cotti all'aperto. L'ultima processione mostra su carri altissimi la statua del Cristo sorretto da angeli danzanti mentre esplodono i fuochi d'artificio.
La festa di san Giovanni, la notte del 23 giungo, è una data solstiziale fondamentale per una serie di cerimonie che ricordano i riti di fertilità dei campi e mettono in scena lotte immaginarie contro le streghe. La data, che ricorda il Natale di Giovanni il Battista, è in rapporto con il 24 dicembre, Natale di Gesù: le due feste santificano i cicli stagionali, una nel solstizio invernale, l'altra in quello estivo. Nel solstizio d'estate il sole dal suo massimo splendore comincia a decrescere e le giornate iniziano ad accorciarsi. Era la festa romana della Fons Fortunae propiziata con i bagni nell'acqua durante la notte che purificavano e allontanavano la mala sorte.
L'usanza perdurerà nel cristianesimo fino alla fine dell'Ottocento, rendendo la festa un gioioso baccanale durante il quale si accendevano grandi fuochi intorno a cui si ballava per poi bagnarsi nelle acque delle fontane, dei fiumi e della rugiada per garantire fertilità e abbondanza. Tali usanze erano diffuse in tutta Europa ed erano volte a tenere lontani streghe e stregoni, artefici del demonio. La festa agiva contro il male e la distruzione, contro le larve notturne, le streghe invisibili e dannose, gli spettri nemici dei raccolti e dei bambini. San Giovanni Battista è in rapporto con le streghe già dal 7° secolo quando si diffuse la leggenda che Erodiade e sua figlia Salomè (che chiesero la morte di Giovanni) fossero le antenate di tutte le streghe, condannate a volare per sempre con i demoni nella notte.
Per Ognissanti e per la festa dei morti, il 1° e il 2 novembre in ogni paese dell'America Latina la gente si reca ai cimiteri con bande musicali, grandi cesti colmi di vivande, corone di fiori e un'incredibile quantità di candele, alte anche un metro. La festa mette in scena inconsapevolmente una rappresentazione dai molti significati, strettamente legata all'antichissimo culto dei morti. Sulle tombe si pongono i ceri affinché la luce trionfi sul buio, si suona e si canta per rallegrare i defunti, si fanno copiose libagioni di liquore di agave e acquavite, si regalano ai bambini gli angelitos (speciali dolci di zucchero a forma di angeli) che vengono mangiati presso le tombe.
Il cibo ha un forte valore simbolico e viene consumato all'interno di rituali di cui oggi resta soltanto un pallido ricordo. Durante le feste si consumano grandissime quantità di cibo in onore degli dei e dei defunti. La festa è il modo più diffuso di distribuzione dei beni alimentari in eccesso e dell'uso di cibi rituali: i dolci dei morti, il cenone di Natale, le pizze rustiche a Pasqua. Quasi ovunque si lasciano offerte di cibo per gli dei e per gli spiriti. Durante le feste di Natale i pasti commemorativi hanno molti significati e rientrano nel grande ciclo del dono e dello scambio. I doni per eccellenza erano un tempo mandorle, frutta secca, noci, nocciole, castagne, dolci caserecci a base di miele e mosto, piccole provviste di beni alimentari da condividere, pena il ritorno angoscioso dei morti e delle figure potenti dell'aldilà. I festini di Natale si dividevano tradizionalmente in due parti: il cenone della Vigilia, rigorosamente di magro, e il pranzo del 25 in cui primeggiavano il cappone e il brodo. Il pesce, tipico cibo di magro, è presso i popoli indoeuropei simbolo di fecondità e di saggezza. Nel cristianesimo il pesce è l'ideogramma per rappresentare Cristo. La notte della Vigilia si mangiano pesci fritti o marinati, a ricordo della pesca miracolosa. Il capitone e l'anguilla sono simboli antichi del Sole nascente mentre il cavolfiore con le sue molte infiorescenze simboleggia la fecondità: sotto le sue foglie si trovano i bambini appena nati.
Il pane tipico di Natale è un pane dolce, pieno di uva passa e canditi, alto e molto lievitato, detto panettone. I frutti che nel guscio legnoso nascondono la vita (noci, nocciole e mandorle) sono simbolo della verità spirituale avvolta in un guscio, mentre i fichi secchi pieni di innumerevoli semi sono simbolo di abbondanza e di prosperità. Anche il brodo è una bevanda tradizionale che conferisce immortalità. Durante i misteri Eleusini, nell'antica Grecia, si consumava un brodo di carne in cui era stata sciolta farina. Infine il vino è simbolo di alleanza tra il divino e l'umano.
Nelle feste popolari legate a un accadimento sacro e miracoloso o a un evento storico, i cittadini sono coinvolti profondamente e recuperano il senso della comunità, facendo fiorire attività collaterali: fiere, mercatini, sagre gastronomiche, danze, gare, teatro in piazza, mascherate, sfilate e processioni.
I vari paesi hanno le proprie peculiarità e le proprie tradizioni: ogni festa ha alle spalle una storia complessa, spesso drammatica, sia sacra sia profana, intrisa di fede, passione, amori, fughe, assedi, battaglie, eventi miracolosi e magici fatti rivivere nelle strade e nelle piazze con grande creatività e con un gusto estetico ereditato dall'arte classica e dal Rinascimento.