FIDENZA
(lat. Fidentia, Fidentiola vicus; fino al 1927 Borgo San Donnino)
Città dell'Emilia-Romagna (prov. di Parma) nata, per la posizione lievemente sopraelevata, come posto di controllo del ponte sul torrente Stirone, in relazione alla viabilità lungo la via Emilia, e divenuta municipio nel sec. 1° avanti Cristo. Nel sec. 3° è documentata come Fidentiola vicus a indicare una probabile decadenza e un conseguente declassamento. A partire dal Medioevo la città fu chiamata Borgo San Donnino, nome che compare per la prima volta in un documento del 923, ma probabilmente entrato in uso a una data più antica.La città è attraversata dalla via Emilia, che, con il suo percorso, propone ancora le coordinate viarie fondamentali, già alla base dello sviluppo antico del sito, malgrado il pesante cambiamento subìto dall'assetto geomorfologico, con l'arretramento, rispetto al nucleo urbano, dello Stirone e degli altri corsi d'acqua circostanti. L'asse viario rettilineo rappresentato dalle od. via Zani, via Cavour e via Berenini identifica, con una certa approssimazione, il tratto urbano dell'antica via Emilia e permette di riconoscere l'unica configurazione superstite della città romana, confermata dalla scoperta, nel 1874, di un'arcata del ponte sullo Stirone, al di sotto di porta S. Donnino, non lontano dalla cattedrale.La storia di Borgo San Donnino, come rivela il nome, si lega al culto delle reliquie del santo eponimo, la cui vicenda ricevette una dettagliata illustrazione in un lungo fregio plastico sulla facciata della cattedrale; tale valorizzazione è connessa alla funzione di stazione di sosta lungo la via Francigena assunta dalla città in relazione al pellegrinaggio verso Roma. Questa particolare situazione è documentata anche nel rilievo della facciata, che presenta due famiglie di pellegrini, vividamente ritratte nella quotidianità del loro viaggiare, esortate a entrare nell'edificio da alcuni angeli.S. Donnino, secondo la narrazione agiografica del suo martirio, era un cubicolario dell'imperatore Massimiano che, convertitosi al cristianesimo e abbandonata la Germania in direzione di Roma per sfuggire alla persecuzione, nel 291 venne raggiunto dai carnefici a F., nei pressi del ponte sullo Stirone, e decapitato; miracolosamente il santo avrebbe scelto il luogo della propria sepoltura, portando tra le mani la testa mozzata dal ponte fino al terreno dove sorge l'attuale cattedrale, nata dunque come sua chiesa sepolcrale.La prima notizia certa dell'esistenza della chiesa è del 913, ma è probabile che essa risalga almeno all'età longobarda, se si vuole prestare fede alle sculture disposte sul protiro settentrionale, che commemorano la concessione di privilegi già da parte di Carlo Magno e di papa Adriano II (867-872), fatto ricordato ancora nel 1162 da una bolla di Federico Barbarossa che accorda alla chiesa la protezione imperiale. Nel sec. 10° l'edificio era una pieve dipendente dal vescovo di Parma, che, come attesta un diploma dell'imperatore Corrado II del 1035, esercitava sul luogo anche l'autorità civile. Non è possibile determinare l'epoca in cui si verificò il passaggio da chiesa sepolcrale a chiesa plebana, funzione conservata per secoli, visto che la sua elevazione a sede vescovile avvenne solo nel 1601. La soggezione di F. a Parma entrò in crisi con lo scisma del vescovo Cadalo: la pila marmorea conservata nella cattedrale con il ricordo dei privilegi concessi da papa Alessandro II (1061-1073) allude a un compenso ottenuto in tale occasione, in cambio probabilmente di una dichiarata fedeltà alla Santa Sede. Nel 1108, con la composizione dello scisma e con l'assunzione della sede parmense da parte di Bernardo degli Uberti, la divergenza di posizioni sfociò in aperto conflitto, per cui F., avendo rifiutato l'obbedienza al nuovo vescovo, venne distrutta. È probabile che l'iniziativa di ricostruire la cattedrale, secondo la tradizione che la vuole consacrata da papa Pasquale II nel 1106, rientrasse in un progetto di affrancamento dalla tutela parmense: una scelta politica che da questo momento segnò profondamente la storia di F., che dovette subire per questo reiterate distruzioni, le quali, a quanto pare, non risparmiarono neppure la cattedrale se, sul finire del secolo, si dovette procedere a una sua nuova costruzione. Questa fu evidentemente destinata a protrarsi nel tempo, come testimonia, nel 1179, la presenza delle reliquie di s. Donnino nella chiesa di S. Giovanni Battista, l'antica battesimale, la stessa nella quale nel 1195 sarebbero ancora convenuti i delegati della Lega Lombarda per sancire la loro alleanza contro Enrico VI. Il prolungarsi della vicenda costruttiva è confermato inoltre dal carattere composito dell'edificio e dal fatto che solo nel 1207, con una nuova traslazione delle reliquie del santo, si giunse alla consacrazione della cripta, mentre i lavori di completamento proseguirono ancora a lungo.In conseguenza di questo stato di cose solo agli inizi del Trecento si sviluppò a F. un'organizzazione comunale, mentre il periodo precedente fu caratterizzato da un'incerta situazione politica. La dipendenza da Parma si alternò a una soggezione a Piacenza, dal 1191, anno nel quale l'imperatore Enrico VI vendette la città a quel Comune, fino al 1202, quando, con la pace di Alseno, essa tornò sotto la precedente giurisdizione. Dal 1221 la città fu poi presa sotto la diretta potestà imperiale di Federico II, che nel 1249 ne investì della signoria Oberto Pallavicino. Questa fase si concluse, al momento del crollo svevo, con la distruzione nel 1268 da parte del Comune di Parma, la più grave e radicale, dalla quale la città prese a sollevarsi solo dopo un trentennio. Risolto il dissidio con Parma con la pace stipulata a Verona nel 1315, sotto gli auspici di Cangrande della Scala, F. rivelò la propria debolezza già nel 1322, quando si consegnò al cardinale legato della Lombardia, che vi inviò un vicario per conto di papa Giovanni XXII. Questo stato di incertezza venne superato nel 1336 con la conquista da parte di Azzone Visconti e con l'incorporamento nel ducato di Milano, che segnò un periodo di netta ripresa della città. Nel 1395, per decisione imperiale, F. venne concessa in feudo alla famiglia dei Pallavicino, come successivamente confermato nel 1410 da Giovanni Maria Visconti.Di una cinta muraria medievale si ha notizia solo nel 1354, quando essa appare in costruzione per iniziativa di Bernabò Visconti. Fortificazioni precedenti, se erano esistite, dovevano essere andate distrutte nel 1268, tanto più che fino al 1302 il Comune di Parma non aveva permesso che ne fossero costruite di nuove. Nel 1361 i lavori non erano ancora compiuti; di fatto persistevano semplici terrapieni con fossati e solo negli anni immediatamente successivi, tra il 1363 e il 1366, furono portati a compimento sotto la guida di Giorgio da Como. La cinta presentava due porte: la sola superstite è quella di S. Donnino, che negli Statuti del 1391 è detta porta Nuova ad attestare il recente rifacimento, anche se la sua origine era più antica, in quanto si identificava con il ponte romano per l'attraversamento dello Stirone e quindi con la tradizionale via di accesso alla città dalla parte di Piacenza. La porta S. Michele si poneva invece all'altro capo del già ricordato asse viario principale, in direzione di Parma e in corrispondenza dell'attraversamento del torrente Ghiara. Questo assetto, pur derivando dalla viabilità di epoca romana, fu fortemente condizionato dalle vicende di età medievale. La fondazione della pieve in posizione eccentrica costituì un inevitabile fattore di attrazione per la città, che si venne a sviluppare concentricamente intorno all'edificio, in una zona tangente al vecchio asse viario. Questa zona, ancora apprezzabile nella configurazione attuale, è il Castrum vetus ricordato dagli statuti trecenteschi, il cui contorno era segnato dal corso del torrente Venzola, che, derivando dal Ghiara, lo aggirava completamente, fino a congiungersi allo Stirone e creare una vera opera di difesa naturale. In conseguenza delle ripetute distruzioni del sec. 12° si ebbe la fondazione del Burgus novus, con la riattivazione del vecchio asse viario, corrispondente all'od. via Berenini, secondo un insediamento di tipo mercantile composto da case-bottega schierate su un unico allineamento. A fare da cerniera tra i due nuclei, la cui fusione dette alla città la caratteristica disposizione a clavicembalo che ancora conserva, si pose l'area di piazza Garibaldi - che in età viscontea divenne la sede degli edifici pubblici -, entro la quale sorge il palazzo Comunale, la cui costruzione dovette concludersi nel 1355, anche se esistono documenti che attestano lavori di sistemazione ancora nei successivi anni sessanta. Formalmente il palazzo, che ha subìto pesanti restauri nel tardo Ottocento, si rifà a quello di Piacenza, di cui ripete fedelmente moduli e scansione. All'altro capo della piazza si poneva la rocca, realizzata in uno con le fortificazioni, i cui ultimi resti furono abbattuti nel 1950.Cancellata la città altomedievale dalle ripetute distruzioni, è al periodo visconteo, dopo l'ultimo grande incendio del 1341, che si deve la più parte dei monumenti medievali, come la chiesa di S. Giorgio, posteriore al 1392, e quella di S. Francesco, il cui perduto portale recava la data del 1393. Scomparsa è anche la villa che Bernabò Visconti fece realizzare dall'architetto Bendidio Berte e decorare con affreschi dal pittore Giacomello Caminata, detto Mangiaterra, nel corso degli anni settanta del Trecento.Della cattedrale non sopravvive nessuna parte riferibile alla fase costruttiva degli inizi del sec. 12°; l'edificio attuale appartiene in toto alla fine di quel secolo ed è caratterizzato da un aspetto fortemente composito. La navata, con i pilastri di dimensioni alternate e il matroneo, ricorda il sistema lombardo, al quale è aggiunto, come nella cattedrale di Modena, il terzo piano delle finestre, sia pure decentrate rispetto alle arcate sottostanti. La facciata, con la netta tripartizione adagiata sui portali e le torri laterali, propone una citazione provenzale dall'abbaziale di Saint-Gilles-du-Gard, suffragata dai caratteri stilistici di molte parti della decorazione plastica, opera di un composito gruppo di artefici, tra i quali spicca l'autore delle due grandi statue dei profeti Daniele ed Ezechiele, per le quali si è fatto spesso e con poco fondamento il nome di Benedetto Antelami. La cripta, con il singolare andamento su tre navate, che inverte il tradizionale percorso trasversale, altro non è che un riflesso condizionato del nuovo progetto di coro, profondamente allungato, che nella fase finale del cantiere si venne a sostituire a quello inizialmente previsto. È in questa zona, particolarmente all'esterno, che si notano contatti con il battistero di Parma, per via delle grandi arcate su colonne, mentre l'interno propone un influsso gotico borgognone, segnalato, oltre che dalla tipologia allungata, dalla calotta scandita da volte a vela rette da colonnine pensili. La complessa vicenda progettuale che si cela alle spalle di questa variegata articolazione di fatti formali rende assai improbabile, anche per l'architettura, pensare a una presenza di Benedetto Antelami come esecutore, sia pure in tempi diversi.Nel catino absidale della cattedrale si stendono i resti di un Giudizio finale ad affresco di un pittore locale della fine del Duecento. Iconograficamente inconsueta per questa parte dell'edificio, l'opera si giustifica forse in relazione alla presenza delle soprastanti sculture del Cristo Pantocratore tra i simboli degli evangelisti e due angeli che si dispongono tra le vele della calotta e che potrebbero avere trovato questa posizione già nel corso del Duecento. Queste sculture, stilisticamente legate a una lastra con lo stesso soggetto, sul cui retro è graffita la data del 1259, trovata in anni recenti nella cattedrale di Reggio Emilia, riflettono il momento in cui l'ambiente padano addolcì la tradizionale lezione di solida plasticità con tratti di morbida eleganza desunti dall'Ile-de-France; anche in questo caso risulta pertanto incongruo il riferimento a Benedetto Antelami.Del tesoro medievale dell'edificio, che la posizione sulla via del pellegrinaggio lascia supporre cospicuo per entità e valore, rimangono due pezzi di rilievo. Il primo è una colomba bronzea di produzione mosana, riferibile alla prima metà del sec. 12°, che ha come caratteristica più spiccata quella di non essere, come solitamente accade, una teca per le particole, ma un contenitore di liquidi, forse destinato al vino per la messa, come sembrerebbero suggerire i bei viticci a bulino che ne decorano il corpo. Più tardo di un secolo è il secondo pezzo: un calice di sobria ma raffinata decorazione formata da dragoni alati operati a cesello che compongono sia i manici sia il nodo di raccordo con il piede; potrebbe trattarsi di un'opera di provenienza renana, anche se non è stata esclusa una sua esecuzione locale di imitazione.
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