MENNA, Filiberto
– Nacque a Salerno l’11 nov. 1926 da Alfonso, funzionario comunale, poi sindaco, e da Gemma Giuliano. Conseguita la maturità classica nel liceo T. Tasso della città natale (1944), compì gli studi universitari in medicina a Napoli, laureandosi nel 1950. Due anni dopo, a Roma, prese servizio come medico provinciale presso l’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica, continuando a coltivare privatamente gli studi artistici, filosofici e letterari, da lui prediletti fin dalla prima gioventù. Nel 1957 ebbe modo di mettere alla prova le proprie qualità critiche indirizzando a R. Longhi uno scritto sul contributo dato da Masaccio al Trittico della Neve (pubblicato, con il titolo di Masaccio a Roma, in La Fiera letteraria, XIII [1958], 31-32, p. 8).
Pur non condividendo le tesi avanzate dal M., l’insigne corrispondente concluse entusiasticamente la sua lettera di risposta scrivendo: «il Suo saggio mi ha molto interessato e vorrei ch’Ella si provasse in qualche altro problema “di fondo”, perché sento ch’Ella non potrà non proseguire in questi studi» (Roma, Archivio Menna-Binga).
Nel 1959 sposò Bianca Pucciarelli, poetessa che sarà nota dagli anni Settanta con lo pseudonimo di Tomaso Binga. A partire dal 1960 si delinearono con chiarezza i tratti salienti dell’orientamento critico del Menna. Se in Argomenti per l’arte astratta (Arte oggi, II [1960], 8, pp. 7-11), si schierò nettamente a favore delle forme più rigorose di astrazione, in altri interventi coevi approfondì la natura del design, fino a promuovere nella terza pagina del quotidiano romano Telesera un’inchiesta sull’argomento (dal 10 febbraio al 31 marzo 1961), alla quale presero parte importanti esponenti del panorama artistico e culturale italiano (tra i quali G.C. Argan, Palma Bucarelli, C. Maltese).
Da tale esperienza nacque il libro Industrial design. Inchiesta… (Roma 1962), nel quale è già pienamente sviluppato il tema di una possibile integrazione dell’arte con la produzione industriale e, quindi, con la società moderna.
Queste riflessioni avrebbero trovato espressione anche nella prima attività didattica che il M. svolse quale docente di storia del disegno industriale presso l’Accademia di belle arti di Perugia (1962-68). Tra i temi delle sue lezioni si ricordano Le premesse storiche del disegno industriale: l’art nouveau (1962-63) e Il razionalismo tra le due guerre (1963-64).
Intanto, dopo un lungo periodo di studio (1956-61), venne dato alle stampe Mondrian. Cultura e poesia (Roma 1962, con prefazione di Argan).
Qui il M. restituisce all’astrazione dell’artista olandese (costante punto di riferimento per le sue future indagini) una complessa stratificazione di significati, scorgendovi un avvicinamento profondo alla realtà della vita, praticato attraverso la creazione di strutture armoniche che ne raccolgono la forma pura e immutabile, intese quali mezzi per superare le antinomie tra coscienza e inconscio, individuo e società, e per costruire una realtà nuova, avvicinando la poetica dell’artista a quella declinazione del primo romanticismo tedesco (Novalis) volta a esprimere realtà invisibili, conoscibili per il solo tramite della poesia. Si può scorgere chiaramente, già in questo lavoro, la futura metodologia critica del M., che avrebbe sempre privilegiato la riflessione filosofica sull’arte rispetto alla ricostruzione puramente storica.
Nel 1963 prese parte al XII convegno internazionale di Verucchio, presieduto da Argan, sostenendo le ricerche dell’arte cinetica, nelle quali vedeva l’unione del rigore costruttivista all’indeterminazione propria della pittura informale, insieme con la possibilità di estenderne i metodi «aperti» di progettazione su scala urbanistica. Due anni dopo ottenne la libera docenza in storia dell’arte contemporanea, divenendo anche docente incaricato di storia dell’arte medievale e moderna presso la facoltà di magistero di Salerno. Con la monografia su Enrico Prampolini (ibid. 1967), svolse un attento esame del versante italiano delle avanguardie storiche.
Se in P. Mondrian aveva individuato la tensione verso un’arte nuova, vista come strumento per la creazione di una realtà rinnovata, anche nel percorso del futurista E. Prampolini riscontrò una forte volontà di portare l’arte nella vita, che lo condusse oltre i limiti della pittura, verso le esperienze di un teatro sperimentale trasformato in spettacolo di pure luci colorate in movimento.
L’indagine sul rapporto tra arte e società costituisce il nucleo di Profezia di una società estetica (ibid. 1968; ripubblicato con una nuova prefazione nel 1983) in cui il M. ricerca le premesse filosofiche delle avanguardie e del movimento moderno, ravvisandone la caratteristica precipua nella volontà di risolvere i dissidi nati dallo stato di mercificazione del prodotto artistico e dalla divisione del lavoro provocati dall’era industriale.
Partendo da F. Schiller, individuato quale precursore di un’idea dell’artista, poi ripresa dalle correnti avanguardistiche, inteso come portatore di una pedagogia estetica in grado di riconciliare civiltà e natura, il M. giunge fino alla contemporaneità, segnata dal possibile avvento di un’epoca postindustriale, nella quale vedere finalmente realizzate le speranze degli utopisti ottocenteschi.
Nel 1969 fu nominato docente incaricato (ordinario dal 1975) di storia dell’arte contemporanea alla facoltà di magistero di Salerno, assumendo anche la direzione dell’istituto di storia dell’arte. L’anno seguente ottenne la libera docenza in progettazione artistica per l’industria e raccolse i suoi scritti su design e architettura nel volume La regola e il caso (ibid. 1970). Nel 1973 prese parte alla X Quadriennale d’arte di Roma in qualità di coordinatore della commissione di studio e del comitato di attuazione della mostra «La ricerca estetica dal 1960 al 1970».
Successivamente apparve il testo più noto del M., La linea analitica dell’arte moderna (Torino 1975; ripubblicato con un’approfondita nota introduttiva nel 1983), in cui confluirono alcune delle indagini da lui compiute nel campo della logica (con L. Aloisio: Analisi delle proporzioni concettuali, intervento tenuto al convegno Critica in atto, del 1972, Roma 1973, pp. 77-85) e delle scienze matematiche (con B. D’Amore, nel catalogo della mostra De mathematica, Roma Galleria dell’Obelisco, Roma 1974).
Avvalendosi di una lettura in chiave strutturalista, il M. ricostruisce la storia dell’arte sotto il segno dell’analiticità, prendendo le mosse da G. Seurat, che, scomponendo la pratica del dipingere in elementi discreti (unità cromatiche e lineari di base), fu il primo a concepire l’idea di un sistema della pittura, fondato esclusivamente sulle relazioni sintattiche dei segni all’interno del quadro e non sulla rispondenza degli enunciati iconici a un possibile referente di natura. L’arte, dopo questa rottura epistemologica, avrebbe assunto, in modo sempre più spiccato, uno statuto essenzialmente linguistico, approdando a una pratica riflessiva, non più fondata sulla sola espressività, fino a giungere, con le investigazioni concettuali, alla creazione di proposizioni artistiche tautologiche, il cui unico valore è dato dalla non contraddittorietà e dalla coerenza interna. Tuttavia il M., comprendendo i limiti di un simile approccio, conclude rilevando come anche l’arte più rigorosa rappresenti inevitabilmente una scoperta di territori ignoti, trovando conferma a questa tesi nei coevi fenomeni di abbandono dell’autoreferenzialità del concettualismo e nella tendenza, propria della nuova pittura, verso il recupero di forti elementi di soggettività.
Nel 1975 venne sollevato dall’incarico di responsabile della rubrica di critica d’arte de Il Mattino di Napoli, quotidiano per il quale scriveva dal 1960 (Terenzi, 1975). Nello stesso anno, si candidò come indipendente nelle liste del Partito comunista italiano, venendo eletto consigliere regionale della Campania. Nel 1977 iniziò la sua collaborazione con Paese sera mentre nel 1978 il M. fece parte della commissione internazionale per la mostra storico-critica della Biennale di Venezia «Sei stazioni per Artenatura». L’anno seguente ottenne il trasferimento dalla facoltà di magistero di Salerno, di cui era stato preside, alla facoltà di architettura dell’Università di Roma, come ordinario di istituzioni di storia dell’arte. Successivamente diede alle stampe Critica della critica (Milano 1980), in cui, attraverso gli strumenti del New Criticism americano, dello strutturalismo e della psicoanalisi (altro campo di studi privilegiato dal M.), compie un’indagine serrata sulla natura della pratica ermeneutica, individuandone una triade di funzioni costitutive: storica (preposta a stabilire relazioni nella serie cronologicamente ordinata dei fatti artistici), teorica (che introduce un criterio di selezione e coordinamento dei dati) e critica in senso proprio.
Quest’ultima, che rappresenta il punto di passaggio da una zona di oggettività a un ambito prevalentemente soggettivo, è articolata a sua volta in tre momenti: la lettura (più legata al principio di piacere), l’interpretazione (che attraversa la complessità del lavoro oggetto dell’analisi) e la costruzione (in cui la soggettività dell’interprete si confronta e instaura un rapporto produttivo con l’altro da sé costituito dall’opera). Lo statuto disciplinare della critica, quindi, si presenta in maniera duplice, andando a occupare una posizione intermedia tra l’arte (appartenente all’ordine dell’immaginario) e la scienza (in cui la sfera del simbolico confluisce nel reale).
Nel 1982 raccolse i suoi scritti sparsi in Quadro critico. Dalle avanguardie all’arte informale (Roma) e fondò la rivista Figure, nella quale condusse una rigorosa riflessione sul rapporto tra modernità e condizione postmoderna, confluita nel Progetto moderno dell’arte (Milano 1988), in cui si rileva la separazione, causata dal radicalismo analitico delle tendenze concettuali, dell’arte dal campo dell’estetica, recuperato in forme destrutturate dal postmodernismo.
Il M. propone una reintegrazione di queste due realtà tramite il ritorno a un’idea di progetto in grado di reintrodurre la soggettività entro il terreno normativo del linguaggio, seppure secondo modalità distanti dall’utopismo delle avanguardie storiche. Concetti che, in quello stesso periodo, aveva espresso nelle teorizzazioni sul movimento dell’astrazione povera, nei cui esiti egli ravvisò la contaminazione di un principio costruttivo con l’accidentalità propria della fattura (Il meno è il più. Per un’astrazione povera, Milano 1986).
William Hogarth. L’analisi della Bellezza (Salerno 1988), momento conclusivo di una serie di studi iniziati nel 1962, costituisce l’ultimo atto del percorso del M., che indaga, anche in questo caso, la natura analitica dell’opera e delle elaborazioni teoriche del pittore inglese, precursore, sotto questo aspetto, di una moderna concezione dell’arte intesa come struttura linguistica.
Il M. morì a Roma il 6 febbr. 1989.
Nello stesso anno fu costituita a Salerno, per volontà della famiglia, la Fondazione Filiberto Menna, presieduta, dal dicembre 1990 fino alla morte nel 1992, da Argan.
Fonti e Bibl.: C. Terenzi, Il caso Menna, in Paese sera, 29 marzo 1975; A. Trimarco, Confluenze. Arte e critica di fine secolo, Milano 1990, pp. 40, 43-46, 69 s. e passim; Bibliografia degli scritti di F. M. 1958-1989, a cura di A. Cascavilla, Salerno 1991; B. Bandini, I linguaggi della critica, Santarcangelo di Romagna 1996, pp. 124-126, 164-168 e passim; A. Trimarco, Napoli. Un racconto d’arte: 1954/2000, Roma 2002, pp. 139-145 e passim; Giulio Carlo Argan 1909-1992 (catal.), a cura di C. Gamba, Roma 2003, p. 57 e passim; A. Trimarco, F. M. Arte e critica d’arte in Italia. 1960/1980, Napoli 2008.
E. Piersensini