Movimento artistico nato tra l'Europa e l'America negli anni Cinquanta e Sessanta del 20° secolo. Attraverso la scelta del termine pop la p.a. vuole identificare un'arte che parla un linguaggio che tutti conoscono: quello dei mass media, della pubblicità, della televisione e del cinema, ovvero il linguaggio per immagini tipico della società dei consumi. Entrando in gara con il linguaggio aggressivo e impersonale dei mass media, la p.a. sperimenta tecniche inedite, si serve di fotografie ritoccate, di collage e assemblages, di sculture in gesso e persino di gesti teatrali per svelare luci e ombre del recente benessere e denunciare lo smarrimento dell'uomo di fronte a una civiltà che impone desideri sempre nuovi e sogni sempre più amplificati.
Le origini specifiche della p.a. vanno ricercate nella crisi attraversata dall'arte non figurativa e in partic. dall'espressionismo astratto, crisi che portò la più giovane generazione di artisti alla ricerca di una nuova espressione figurativa che attingesse nuova linfa dalle forme della vita quotidiana. Le immagini prodotte dal cinema, dalla televisione e dalla pubblicità, gli oggetti commerciali di una società consumistica e i nuovi idoli creati dai mass media divennero i protagonisti e i materiali espressivi di questa nuova forma artistica. Il primo esempio di p.a. fu realizzato dal pittore britannico R. Hamilton (1922-2011) nel 1957, mentre i capiscuola della p.a. americana furono J. Johns e R. Rauschenberg.
Gli artisti della p.a. si interrogarono sul problema della riproducibilità dell'arte nell'epoca industriale, sul come e se mantenere il carattere esclusivo dell'opera d'arte, o se invece conciliare la realtà consumistica con il proprio linguaggio. Dalle diverse risposte date a questi interrogativi nacque la diversità di stili e di tecniche tipica della pop art. Da un lato la creazione artistica divenne meccanica, dall'altro vennero recuperate le lezioni delle principali avanguardie del Novecento: dalle provocazioni del dadaismo che per primo mescolò arte e realtà, ai collage di foto o immagini pubblicitarie di sapore ancora cubista, fino agli happening o gesti teatrali, in cui l'artista crea l'opera d'arte direttamente davanti agli spettatori, lasciando spazio all'improvvisazione.
I maggiori rappresentanti del genere furono tra gli altri: R. Lichtenstein, che si richiamò al mondo dei fumetti; G. Segal, che costruì a grandezza naturale figure in gesso colte in gesti di vita quotidiana; C. Oldenburg, che riprodusse in grande scala beni di consumo, o fece apparire molli e quasi in decomposizione oggetti tecnologici; J. Rosenquist, con i suoi enormi cartelloni pubblicitari. Maestro riconosciuto della p.a. fu A. Warhol, anche regista cinematografico, che trasformò l'opera d'arte da oggetto unico in un prodotto in serie, come nella celebre serie dei barattoli di minestra Campbell, con la quale egli confermò, di fatto, che il linguaggio della pubblicità era ormai diventato arte e che i gusti del pubblico si erano a esso uniformati e standardizzati.