Filippine
Stato dell’Asia sudorientale, con capitale Manila. A differenza di altre regioni dell’Asia sud-orientale, le F. non subirono una forte influenza cinese o indiana; più rilevante fu, a partire dal 15° sec., la penetrazione musulmana nelle isole meridionali (Sulu, Mindanao), dove furono costituiti due sultanati. Nel 16° sec. la popolazione era frazionata in piccole comunità indipendenti (barangay), guidate da capi ereditari (datu), quando, dopo la spedizione di Magellano (1521), la conquista spagnola delle F. fu avviata (1565) da M. López de Legazpi, che stabilì la prima colonia a Cebu. Costituitasi nel 1583 come dipendenza formale del vicereame della Nuova Spagna, l’amministrazione della colonia fu di fatto autonoma, con ampi poteri esercitati dal governatore generale. Sul piano economico, i rapporti con il Messico restarono per oltre due secoli di primaria importanza, data la posizione strategica delle F. sulla rotta fra l’America spagnola e l’Asia. Nella gestione della colonia fu rilevante il ruolo della Chiesa, che assunse funzioni politiche e accumulò un ingente patrimonio fondiario; essa contribuì all’inserimento nell’amministrazione locale dei datu che si trasformarono in proprietari terrieri, formando un’aristocrazia fondiaria indigena (la principalía). L’apertura del Canale di Suez (1869) e l’afflusso di investimenti inglesi e statunitensi si accompagnarono a crescenti rivendicazioni da parte della nuova élite filippina che chiedeva riforme e partecipazione al potere politico. La chiusura e la repressione da parte del governo di Madrid contribuirono allo sviluppo di un movimento indipendentista (Katipunan) che nel 1896 diede inizio alla lotta armata di liberazione, nel 1898 proclamò l’indipendenza e nel 1899 promulgò la Costituzione repubblicana con presidente E. Aguinaldo. Ma gli Stati Uniti, che nel 1898 avevano comprato la colonia dalla Spagna, imposero il proprio dominio con la forza: ingenti truppe (ca. 60.000 uomini) furono inviate e l’aspro conflitto con la guerriglia filippina, protrattosi fino al 1902 malgrado la cattura di Aguinaldo (1901), provocò moltissime vittime tra la popolazione civile; sacche di resistenza si ebbero ancora per qualche anno e solo nel 1916 i musulmani del Sud furono definitivamente sottomessi. Gli USA concessero alla colonia una graduale autonomia interna: nel 1907 fu istituito un parlamento bicamerale con una Camera alta nominata dal governatore generale e una Camera bassa eletta a suffragio ristretto; nel 1916 la Camera alta divenne quasi totalmente elettiva e il diritto di voto fu esteso a tutti i cittadini di sesso maschile capaci di leggere e scrivere; nel 1934, infine, fu riconosciuto alle F. l’autogoverno (mantenendo a Washington il controllo della politica estera e della difesa) come regime transitorio (Commonwealth delle F.) verso la piena indipendenza, da conseguirsi entro dieci anni. Il Partito nazionalista, espressione dell’élite degli ilustrados (intellettuali), dominò la vita politica fin dal 1907. Il processo di concentrazione della proprietà terriera e le nuove possibilità offerte dal mercato statunitense rafforzarono il potere economico degli ilustrados, mentre il peggioramento delle condizioni di vita dei contadini provocava, a partire dagli anni Venti, agitazioni e rivolte; nelle campagne, con il crescere dei movimenti di protesta, si diffondevano organizzazioni sindacali e politiche (tra cui il Partito comunista, fondato nel 1930 e messo fuori legge dal 1931 al 1938), che alle rivendicazioni sociali affiancavano la richiesta di un’immediata indipendenza nazionale. Dal 1935, approvata tramite referendum una Costituzione ispirata al modello statunitense, fu eletto un Congresso (dal 1940 bicamerale), un presidente e un vicepresidente del Commonwealth, cui furono trasferiti gran parte dei poteri del governatore (divenuto alto commissario); i leader del Partito nazionalista, M. Quezon e S. Osmeña, furono eletti presidente e vicepresidente del Commonwealth. Nel 1937 il suffragio fu esteso alle donne, ma non agli analfabeti (ancora il 50% della popolazione, malgrado i progressi indotti dall’amministrazione statunitense). Tali sviluppi furono accompagnati da un rapido incremento demografico e da una forte crescita dell’economia di piantagione, mentre aumentava notevolmente la dipendenza dagli USA, che negli anni Venti assorbivano quasi i due terzi del commercio estero filippino (una flessione si verificò negli anni Trenta in seguito alla grande depressione e alle rivendicazioni protezionistiche degli agricoltori americani). La colonia ebbe termine durante la Seconda guerra mondiale, con la dominazione giapponese.
L’occupazione giapponese (1942-45) delle F. durante la Seconda guerra mondiale segnò una frattura nella classe dirigente: da un lato Quezon e Osmeña, rieletti nel 1941, costituirono un governo in esilio a Washington; dall’altro numerosi altri esponenti del Commonwealth collaborarono con gli occupanti, che nell’ott. 1943 proclamavano la Repubblica indipendente delle F., presieduta da J.P. Laurel. Una forte resistenza si sviluppò nel Paese, in particolare a Luzon, dove il movimento guerrigliero Huk (abbreviazione di hukbalahap, «esercito popolare antigiapponese»), a base contadina e di ispirazione comunista, liberò gran parte del territorio prima dell’arrivo delle forze statunitensi. Dopo la fine della guerra, costata ai filippini quasi un milione di vittime e gravissimi danni economici e materiali (come la distruzione quasi totale di Manila), e la restaurazione del Commonwealth (presieduto da Osmeña in seguito alla morte di Quezon nel 1944), il Paese ottenne l’indipendenza il 4 luglio 1946. Primo presidente fu M. Roxas, fondatore del Partito liberale. Un emendamento costituzionale (1947) riconobbe alle imprese statunitensi diritti uguali a quelli dei filippini nello sfruttamento delle risorse naturali (privilegio valido fino al 1974 ed esteso nel 1954 alle altre attività economiche); gli USA ricevevano anche in affitto basi militari e la giurisdizione legale sui filippini che vi risiedevano. L’allineamento con gli USA fu rafforzato dal Trattato di mutua difesa del 1951, dalla partecipazione alla SEATO (fondata a Manila nel 1954) e dall’intervento nelle guerre di Corea e del Vietnam. Dopo qualche anno dall’insurrezione (1949), il governo represse il movimento Huk, che reclamava una radicale riforma agraria. Dal 1946, per circa 25 anni, si ebbe un sistema bipartitico, con l’alternanza fra nazionalisti e liberali (entrambi espressione dell’oligarchia dominante). Il rapido incremento demografico, la dipendenza economica dagli USA, dalla fine degli anni Sessanta la crescita dei contrasti fra i vari gruppi dell’oligarchia, un forte movimento di protesta degli studenti, le agitazioni contadine, la nascita di un movimento separatista musulmano e la guerriglia, dopo la formazione di un nuovo Partito comunista di ispirazione maoista (1968) e del New people’s army (NPA) a esso legato, portarono a una crisi del regime. F.E. Marcos proclamò la legge marziale (sett. 1972-genn. 1981) e instaurò una dittatura personale, varò una nuova Costituzione (1973) e creò il Movimento per la nuova società (KBL). Dopo la crescita economica degli anni Settanta, vi fu la grave recessione del decennio successivo. Le manifestazioni seguite all’uccisione (1983) del leader dell’opposizione liberale B.S. Aquino si accompagnarono alla crescita della guerriglia, alle fughe di capitali, alla caduta degli investimenti esteri e al calo del sostegno americano. Contestò la vittoria di Marcos alle elezioni presidenziali del 1986 C. Aquino, vedova del leader assassinato (l’esplosione della protesta popolare e la ribellione di una parte delle forze armate, appoggiata dagli USA, costrinsero il dittatore a lasciare il Paese per le Isole Hawaii), che assunse la presidenza e varò una nuova Costituzione (1987). Le elezioni del 1992 portarono alla presidenza F. Ramos, che continuò la liberalizzazione dell’economia, tolse il bando contro il Partito comunista e introdusse una severa legislazione antiterroristica. Nel 1996 fu siglato un accordo tra governo e MNLF (Moro national liberation front), che pose fine a 24 anni di guerriglia nelle regioni meridionali, e furono avviati negoziati con l’ala estremista del MILF (Moro islamic liberation front). Le elezioni presidenziali del 1998 furono vinte dal vicepresidente J. Estrada, che condusse una campagna elettorale dai toni fortemente populisti e ottenne anche l’appoggio della vedova di Marcos, Imelda. Incapace di attuare profonde riforme strutturali, la nuova amministrazione ebbe comunque vita breve e fu messa in difficoltà anche dal riacutizzarsi degli scontri con la guerriglia musulmana, contro la quale a nulla valse l’impiego massiccio dell’esercito. Coinvolto in episodi di corruzione e sottoposto a un procedimento di impeachment nell’ott. 2000, Estrada fu costretto a dimettersi e fu sostituito dalla vicepresidente G. Macapagal Arroyo, poi confermata nel 2004. I tentativi di dialogo con il Fronte Moro e con l’NPA si sono scontrati con una ripresa dell’attività terroristica. Nel 2010 è stato eletto nuovo presidente B. Aquino III.