FILIPPINE
(XV, p. 292; App. I, p. 595; II, I, p. 939; III, I, p. 613; IV, I, p. 795)
Estese su una superficie di 300.000 km2, le F. sono formate da un numero altissimo di isole, circa 7100, di cui abitate solo 880. Tra queste emergono per estensione Luzon e Mindanao, che da sole rappresentano il 66% del territorio nazionale. Debbono la loro importanza internazionale al ruolo strategico giocato nell'ambito dello scacchiere sud-est asiatico. Di qui l'interesse degli Stati Uniti e la politica filoccidentale perseguita anche dopo la fine del protettorato americano e la proclamazione della repubblica (1946).
La popolazione segna indici di crescita assai elevati: 27.088.000 ab. nel 1960, 36.684.000 nel 1970 e 48.098.460 al censimento del 1980, con un incremento medio annuo nell'ultimo lustro del 2,6%; ma i primi risultati del cens. 1990 stimano la popolazione in oltre 60 milioni di abitanti. La natalità continua a essere alta e pari al 21ı, contro una mortalità scesa al 4,4ı. La capitale Manila è passata da 1.139.000 ab. nel 1960 a 1.598.918 nel 1990 (ma la Grande Manila con le sue estese bidonvilles ha superato i 7 milioni di ab.), seguita da Quezon City, l'altra città milionaria, che nel 1990 ha raggiunto 1.666.766 ab., ma che trent'anni prima era a 398.000 abitanti. Tra le altre città maggiori vanno segnalate Davao (850.000 ab.), Caloocan (761.000 ab.), Zamboanga (442.000 ab.) e Pasay (366.600 ab.). Le migrazioni dalla campagna alla città hanno fatto salire la percentuale di popolazione urbana con incrementi sempre più cospicui: 25% nel 1950, 28,5% nel 1960, 31,8% nel 1970, 37,3% nel 1980, 43% nel 1990.
Il tagalog, lingua nazionale, si sta lentamente affermando e ora è parlato da oltre il 55% dei Filippini accanto all'inglese utilizzato dal 45% della popolazione, mentre lo spagnolo è ormai ridotto a una minoranza pari al 3%.
Benché ricche di risorse, con una popolazione distinta da un buon grado d'istruzione e una classe imprenditoriale discretamente sviluppata, le F. restano il paese che nell'ambito dell'ASEAN ha registrato il minor incremento economico. L'inflazione, già del 18,5% alla fine degli anni Settanta, ha superato il 60% nel primo lustro degli anni Ottanta, accompagnandosi a un crescente indebitamento estero (nel 1990 superava i 30.000 milioni di dollari a fronte di un PIL che nello stesso anno non arrivava ai 44.000 milioni di dollari), soprattutto per l'acquisto di idrocarburi, e a un'esasperazione dello stato di povertà interna. Questa, diffusa sia in campagna che in città, è particolarmente accentuata nelle isole e nelle regioni più marginali e, secondo una valutazione della Banca Mondiale, interessa non meno del 40÷50% della popolazione. Stime dello stesso organismo attribuivano al paese un reddito medio pro capite di 730 dollari nel 1990. La riduzione della crescita demografica, il potenziamento agricolo e lo sviluppo dell'industrializzazione vengono suggeriti dalla stessa Banca quali strumenti per la ripresa socio-economica del paese. Indubbiamente ciò riequilibrerebbe il rapporto popolazione-risorse alimentari, ma difficilmente si otterrebbe una maggiore produzione agricola senza una pericolosa aggressione ambientale, com'è accaduto frequentemente per la cosiddetta ''rivoluzione verde'' (deforestazione, chimizzazione dei suoli, incontrollato uso di insetticidi, ecc.), preceduta dalla riforma agraria del 1963, rilanciata da Marcos nel 1972 per favorire il passaggio alla conduzione diretta e la nascita di cooperative di villaggio (samahang nayon).
La superficie coltivata si è estesa a spese della foresta. Grazie anche al recupero di nuove terre e all'introduzione di varietà ad alto rendimento, la produzione di riso è salita dai 56 milioni di q del 1974 ai 94 milioni del 1989, il mais è passato in pari tempo da 23 a 45 milioni di quintali. Seguono la batata, la manioca, le patate, i legumi, le arachidi e la soia, tutti destinati al consumo interno; per il mercato internazionale vengono prodotti invece zucchero di canna, copra e olio di cocco, nonché l'ananas che viene inscatolato. Tra le altre colture industriali si segnalano il tabacco, piuttosto ricercato per la buona qualità, la canapa di Manila, il cotone e il caffè. Assai importanti, come integratori della dieta quotidiana, i prodotti della pesca, praticata per lo più con forme tradizionali, ma anche con numerosissimi, e talora moderni, impianti di acquacoltura (soprattutto di milkfish, Chanos Chanos). Il pescato annuo si aggira sui 2 milioni di tonnellate.
Fortemente esportato è il legname pregiato, tra cui il mogano filippino. La produzione di 4,5 milioni di m3, alla metà degli anni Cinquanta, ha conosciuto un continuo incremento: raddoppiata agli inizi degli anni Settanta, ha superato i 38 milioni di m3 alla fine del decennio successivo.
Notevole la varietà delle risorse minerarie, ma non altrettanto la produzione. A parte il carbone di Cebu (1.336.000 t nel 1988) e il rame (193.100 t nel 1989) che viene concentrato e avviato all'esportazione, il ferro tocca appena le 15.000 t. Modesti valori raggiungono il manganese, il molibdeno, il cobalto, il nichel, il piombo e lo zinco. Modesta è anche la quantità di petrolio nazionale. Più significativa è la produzione di cromo, di oro e argento.
Primo paese al mondo per capacità geotermica, ha in corso di realizzazione progetti che consentiranno una forte riduzione dell'importazione petrolifera. Attualmente di origine geotermica è circa un quarto della produzione che si aggira sui 24.000 milioni di kWh; il resto è idroelettrico o atomico (centrale nucleare di Morong).
Accanto alle industrie alimentari (zuccherifici, brillatura del riso, ecc.) e tessili (filati e tessuti di cotone), hanno preso sviluppo quella chimica, dei fertilizzanti e delle fibre sintetiche, oltre ai cementifici, al montaggio di autovetture e alla produzione di pneumatici grazie alle locali risorse di caucciù. L'industrializzazione tuttavia appare strutturalmente e, nonostante i tentativi di decentramento produttivo, anche territorialmente, assai squilibrata, continuando a favorire la dipendenza dai mercati internazionali e le differenze tra le poche aree forti (Manila e le città che le fanno corona) e quelle più deboli e conservatrici, la cui marginalità è aggravata dall'inadeguatezza dei collegamenti.
Nel giugno 1991, dopo oltre 600 anni di inattività, il vulcano Piñatubo, nell'isola di Luzon, è stato sconvolto da una terribile eruzione, seguita da un terremoto e da un ciclone. Le conseguenze sono state drammatiche: centinaia i morti, centinaia di migliaia i senzatetto.
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Storia. - Nel febbraio 1975 i Filippini furono chiamati alle urne per esprimere il loro consenso al mantenimento della legge marziale proclamata nel gennaio 1973, che aveva conferito al presidente F. Marcos poteri straordinari. Le urne, dato il clima d'intimidazione e violenza in cui si svolse la consultazione, diedero ragione al presidente: circa il 90% degli elettori approvò il mantenimento della legge. Nell'ottobre 1976 al popolo fu chiesto di esprimersi, oltre che sulla proroga della legge marziale, su una modifica costituzionale diretta ad abrogare l'Assemblea nazionale, peraltro mai convocata. Al di là dei risultati favorevoli al regime, l'opposizione popolare si manifestò in violenti scontri e dimostrazioni nei giorni precedenti il referendum.
Sul fronte della guerriglia, dopo l'occupazione (febbraio 1974) della città di Jolo, capoluogo delle isole Sulu, da parte del Moro National Liberation Front che si proponeva l'indipendenza dei territori musulmani e la creazione di una Bangsa Moro Republic, e un inasprimento delle operazioni militari, la situazione mutò nel dicembre 1976, allorché il presidente del Fronte Moro, N. Misuari, e una delegazione governativa filippina firmarono a Tripoli, con la mediazione libica, un accordo per il cessate il fuoco. Nel marzo 1977, Marcos concesse l'autonomia a una larga striscia meridionale delle F. (l'isola di Palawan, l'arcipelago delle Sulu e circa metà dell'isola di Mindanao) con la costituzione di un governo provvisorio aperto alla partecipazione degli aderenti al Fronte Moro.
In politica estera, la nuova politica degli USA nei confronti del Sud Est asiatico e la situazione interna filippina, dove il regime doveva far fronte alla ribellione del Fronte Moro al Sud e dei comunisti al Nord, obbligarono Marcos a rivedere la linea diplomatica che si concretizzò in una sua visita ufficiale a Pechino (7-11 giugno 1975) con il ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra le F. e la Cina e la rottura con Taiwan. Nel giugno 1976 le F. normalizzarono i rapporti con l'URSS, dopo una visita ufficiale di Marcos a Mosca.
Nell'aprile 1978, in un paese retto da sei anni da un partito a regime unico, vennero indette le elezioni generali. Sfruttando la precaria occasione che il regime offriva, alla consultazione partecipò il movimento democratico Potere popolare (Lakas Ng Bayan) o Laban, di tendenza liberale, al cui leader, il senatore B. Aquino, da sei anni in carcere e condannato a morte dai tribunali di Marcos, fu concesso di presentarsi candidato ma non di svolgere la campagna elettorale. Contro questa formazione si presentò il Movimento per la nuova società (Kilusang Bagong Lipunan), espressione politica del regime di Marcos. Subito dopo il risultato elettorale, favorevole al partito filogovernativo, anche se con meno voti del previsto, molti candidati del Laban vennero arrestati con l'accusa di sovversione. B. Aquino vedeva elevarsi la propria statura di leader nazionale e diventava l'''uomo di riserva'' della vita politica filippina. A lui, nel gennaio 1980, Marcos offrì la libertà e un posto di consigliere in un costituendo ''Consiglio dei capi''.
Nel gennaio 1981 venne abrogata la legge marziale, eccezion fatta per le isole meridionali dell'arcipelago dove operavano ancora le formazioni del Fronte Moro, seppure in scala ridotta. Questo passaggio dall'autoritarismo alla ''democrazia guidata'' era la conseguenza di un nuovo sviluppo della situazione interna filippina: l'indebolimento della guerriglia rivoluzionaria d'ispirazione comunista nel Nord dell'arcipelago, la crisi del Fronte Moro nel Sud e una più favorevole congiuntura economica. Il reddito nazionale annuo pro capite passò, dal 1973 al 1980, da 214 a 755 dollari, mentre le esportazioni − legname, zucchero, copra e olio di cocco − segnarono un lieve rialzo sui mercati mondiali. Tuttavia lo sviluppo delle F. rimaneva il più precario tra i paesi dell'ASEAN. Per porre riparo alla cronica fragilità dell'economia, nell'aprile 1981 fu nominato primo ministro e ministro dell'Economia C. Virata, un esperto di problemi economici e finanziari il quale però, costretto a operare all'interno dei vecchi schemi e meccanismi imposti da Marcos, non riuscì a imprimere una svolta al paese.
Mentre la stessa Chiesa cattolica, per voce del cardinale J. Sin, si opponeva apertamente al regime di Marcos, chiedendo le sue dimissioni e sottolineando la gravità dei problemi che il paese doveva affrontare dopo sedici anni di governo autocratico, il presidente filippino compì (settembre 1982) un viaggio ufficiale negli Stati Uniti, a sancire un riavvicinamento tra Manila e Washington dopo gli anni difficili della presidenza Carter. Scopo del viaggio era di ottenere nuovi aiuti economici che permettessero al paese di uscire dalla critica situazione economica (inflazione galoppante, disoccupazione in aumento, ristagno delle esportazioni) e lo indirizzassero verso un ''nuovo corso''. In cambio Marcos rinnovò la concessione delle due basi aeree di Subic Bay e Clark, per le quali gli USA concordarono un affitto annuo di 100 milioni di dollari.
Il 21 agosto 1983 venne assassinato all'aeroporto di Manila, al suo ritorno in patria dopo tre anni di esilio negli USA, B. Aquino, il principale oppositore di Marcos, che intendeva presentarsi candidato alle elezioni presidenziali previste per il 1984. Come avrebbe successivamente stabilito una commissione d'inchiesta, la responsabilità dell'omicidio ricadde sul generale F. Ver, capo di Stato maggiore dell'esercito e braccio destro di Marcos. In seguito a questo avvenimento, la credibilità del regime raggiunse il suo punto più basso e i funerali di Aquino si trasformarono in una gigantesca manifestazione contro il presidente Marcos. Malgrado il discredito caduto sul governo, il regime poté ancora contare sull'appoggio delle forze armate, della grande finanza e soprattutto degli Stati Uniti. Cominciò comunque a farsi strada il problema della successione a Marcos, sia per l'aggravarsi del suo stato di salute, sia per l'inasprirsi dei contrasti all'interno del palazzo e tra i militari, mentre l'economia segnava il passo. Il peso dovette essere svalutato del 20%, le linee di credito esterno vennero dilazionate e i progetti di espansione industriale sospesi.
Nel maggio 1984, le elezioni per il rinnovo dell'Assemblea nazionale videro il successo dei partiti d'opposizione, il Laban e l'UNIDO (United Nationalist Democratic Organization), che ottennero 61 dei 183 seggi. In seguito alle conclusioni della commissione d'inchiesta per l'assassinio di B. Aquino, nel 1985, le forze armate filippine furono riorganizzate a tutti i livelli. Alla fine dello stesso anno, Corazon (detta Cory) Aquino, vedova del leader assassinato, pose la sua candidatura alle elezioni presidenziali del 1986, raccogliendo attorno a sé tutta l'opposizione filippina a eccezione dei soli comunisti, che decisero di boicottare la consultazione elettorale. Questa, svoltasi il 7 febbraio 1986, in un clima d'intimidazione, violenza (23 morti) e minacce agli oppositori, vide la vittoria di C. Aquino, malgrado le gravissime manipolazioni nel conteggio dei voti e i brogli elettorali.
Nonostante ciò Marcos si autoelesse presidente e C. Aquino lanciò il 16 febbraio la parola d'ordine della disobbedienza civile mentre la Chiesa cattolica accusava il regime di non aver più una base di moralità. Mentre i settori più illuminati della borghesia, la Chiesa cattolica e il movimento riformatore all'interno delle forze armate si schieravano con l'Aquino nel timore che la continuazione del regime di Marcos portasse in breve tempo i comunisti al potere, numerosi membri del governo e dell'establishment filippino cominciarono ad abbandonare il regime. Un identico atteggiamento venne assunto dagli Stati Uniti, che restarono neutrali tra i due contendenti, ma ben decisi a non avallare una frode elettorale per timore di una guerra civile.
Il 22 febbraio 1986, il ministro della Difesa, J. Ponce Enrile, e il vice capo di Stato maggiore dell'esercito, F. Ramos, invitarono Marcos a "dimettersi senza indugi" e sollecitarono le forze armate a disobbedire agli ordini del governo. Abbandonato da tutti e privato dell'appoggio di Washington, Marcos lasciò il palazzo Malacanang e si rifugiò nella base americana di Clark, mentre C. Aquino s'insediava come presidente e capo di un governo provvisorio.
I primi e più pressanti problemi che il nuovo presidente si trovò ad affrontare furono sia di ordine economico e sia legati alle guerriglie, quella comunista nel Nord del paese, e quella del Fronte Moro nel Sud. Nel settembre 1986 si arrivò alla firma di un accordo con i capi dei due movimenti per il cessate il fuoco. Tuttavia, nelle zone di guerriglia, la situazione rimase calda e da parte comunista continuarono gli attentati e i combattimenti contro le forze governative. In politica interna, dal luglio al novembre 1986, l'esercito mise in atto ben tre tentativi di colpo di stato, l'ultimo dei quali portò all'allontanamento del ministro della Difesa, generale Enrile.
Nell'autunno dello stesso anno, il nuovo presidente delle F. compì il suo primo viaggio all'estero. A Washington ottenne da R. Reagan aiuti economici e militari per un valore di 200 milioni di dollari. La simpatia per il ''nuovo corso'' filippino si concretizzò in consistenti aperture di credito anche da parte di Australia, Germania, Francia, Canada e Singapore.
All'interno, il Fronte democratico nazionale, che negoziava per conto della guerriglia, sospese i colloqui di pace col governo, rivelatisi del tutto inutili, e sia i comunisti che gli appartenenti al Fronte Moro ripresero le armi. Nell'agosto 1987, un ennesimo tentativo di colpo di stato, guidato dal colonnello G. Honasan, ex braccio destro di Enrile, rese ancor più debole la posizione del presidente C. Aquino, la cui amministrazione era sotto accusa, anche da parte della Chiesa cattolica, per il malcostume e la corruzione. C. Aquino, per calmare il malcontento dei militari che le erano rimasti fedeli, e del mondo degli affari, dovette cedere alle loro richieste licenziando i suoi due più stretti collaboratori e sostituendoli con personaggi del passato regime. Anche il vice presidente S. Laurel prese le distanze dal suo governo, ne chiese le dimissioni e si unì all'opposizione guidata da Enrile, dando vita a un'Unione per l'azione nazionale.
Anche se la corruzione e il mancato rinnovamento politico deludevano le aspettative dei Filippini, dal 1988 il potere di C. Aquino andò lentamente consolidandosi. La stessa economia registrò un miglioramento: 3 milioni di nuovi posti di lavoro, un'espansione industriale di circa il 9%, l'applicazione della riforma agraria che distribuì 145.000 titoli di proprietà, facevano sperare in un futuro migliore.
La morte di Marcos, avvenuta a Honolulu il 28 settembre 1988, non contribuì tuttavia a eliminare tutti i pericoli che incombevano sulla stabilità del paese. Nel dicembre 1989 si verificò un tentativo di golpe che venne stroncato dopo cinque giorni di furiosi combattimenti e grazie all'intervento dimostrativo dell'aviazione americana e alla mediazione del cardinale Sin. Nel febbraio 1990 il generale Enrile e il colonnello Honasan vennero arrestati con l'accusa di essere stati gli ispiratori del golpe. Nell'ottobre dello stesso anno un centinaio di soldati, al comando del colonnello A. Noble, si ammutinarono a Mindanao e proclamarono l'isola repubblica indipendente. La rivolta, pur domata nel giro di 24 ore, evidenziava l'incapacità e la totale mancanza di affidabilità delle truppe filogovernative e dava un ulteriore colpo al prestigio di C. Aquino. La difficile situazione era complicata anche da tentativi separatisti dei musulmani del sud del paese (principalmente di Mindanao) che la stessa Aquino tentò di contrastare, sia pure con scarso successo, concedendo una certa autonomia alle regioni interessate dalla guerriglia (febbraio 1990). Nel maggio 1992 venne eletto alla presidenza della Repubblica F. Ramos, candidato sostenuto dalla Aquino dopo la decisione di quest'ultima di non ripresentarsi. La novità rappresentata da questa elezione è legata al fatto che Ramos è un protestante (in un paese in cui è tradizionalmente molto forte l'influenza della Chiesa cattolica nelle vicende politiche) e non appartiene alle famiglie dei grandi proprietari terrieri del paese. Senza esiti politici è stato il ritorno dall'esilio di I. Marcos, vedova del dittatore, avvenuto nel novembre del 1991.
Bibl.: Philippine social history: global trade and local transformations, a cura di A. W. McCoy, Manila 1982; Filipino muslims: their social institutions and cultural achievements, a cura di F. Landa Jocano, Quezon City 1983; Crisis in the Philippines. The Marcos era and beyond, a cura di J. Bresnan, Princeton 1986; G. Hawes, The Philippine state and the Marcos regime, Ithaca (N.Y.) 1987; L. E. Gleeck, President Marcos and the Philippine political culture, Manila 1987; Rebuilding a nation: Philippine challenges and American policy, a cura di C. H. Landé, Washington 1987; W.S. Thompson, The Philippines, New York 1992.