ABIGNENTE, Filippo
Nacque a Sarno (Salerno) il 10 apr. 1814 da Giovanni e da Fortunata dei baroni Gaiano di Baronissi. Avviato alla carriera ecclesiastica, divenne ben presto canonico e insegnante di letteratura latina e filosofia speculativa nel seminario vescovile di Sarno, distinguendosi per ingegno tra gli elementi antiborbonici del clero e della borghesia liberale del Salernitano. Nelle elezioni dell'aprile 1848 fu eletto, al secondo scrutinio, deputato al parlamento per il distretto di Salerno. Prese parte attiva agli avvenimenti del 15 maggio, e fu uno dei sessantaquattro deputati che sottoscrissero la protesta Mancini. Sciolta la Camera, nelle nuove elezioni del 15 giugno l'A. fu rieletto deputato nello stesso distretto di Salerno. Dopo la reazione, si ritirò a Sarno. Ma continuando la sua propaganda, specialmente tra gli ecclesiastici, il 7 ag. 1849 venne confinato nel monastero dei minori osservanti di Vico Equense, donde, il 5 ottobre, riuscì a fuggire. Riparato a Napoli, il 10 dello stesso mese, con l'aiuto dell'ambasciata francese, s'imbarcò sul piroscafo "Ariel",insieme con altri patrioti, e si recò prima a Genova, poi a Nizza. Quivi rimase dieci anni, dedicandosi a studi di storia delle religioni e in particolare del cristianesimo, senza tuttavia perdere mai i contatti col mondo politico e con gli altri emigrati: a favore dei più bisognosi svolse anche attività assistenziale, alla testa d'un apposito comitato istituito nel 1850 dal comune di Nizza. Difese inoltre l'italianità di questa città, in polemica vivace con L'Avenir de Nice, dalle colonne dell'Osservatore del Varo. Nello stesso periodo collaborò al periodico Gente latina diretto da Ausonio Franchi.
Della sua amicizia, stretta durante l'emigrazione, con Guglielmo Pepe e specialmente con i fratelli Nicola, Paolo e Luigi Fabrizi, sono testimonianza le lettere inedite che si conservano nell'archivio del Museo Centrale del Risorgimento in Roma.
Rimpatriato subito dopo la caduta dei Borboni di Napoli, avendo già abbandonato lo stato sacerdotale, ottenne un incarico presso il dicastero della Pubblica Istruzione della luogotenenza, retto da P. E. Imbriani; indi ebbe la cattedra di storia della Chiesa presso l'università di Napoli.
Le sue lezioni, di cui Marc Monnier ci ha lasciato una vivida testimonianza, e che riguardavano in realtà una più larga storia delle religioni, ebbero molto successo, perché egli predilesse un tipo di storia oratoria che ben si adattava all'orientamento del pubblico. Nella ricerca sulle origini del cristianesimo e sul contributo da esso dato alla civiltà, come pure nell'interpretazione del Cristo alla luce dei risultati critici dello Strauss, l'A. era portato, infatti, a trovare nessi ideali con le aspirazioni politiche del tempo. L'insegnamento dell'A. andò però a mano a mano perdendo vigore e continuità, vuoi per il progressivo indebolimento del suo generico razionalismo storico, vuoi perché la politica militante finì con assorbire completamente la sua attività.
Dal 1867 (l'elezione del 1865 era stata annullata per irregolarità di procedura) al 1882, fu infatti, per cinque legislature, ininterrottamente deputato per il collegio di Angri. Nel 1882, aggregato il suo collegio a quello di Salerno, in seguito all'istituzione dello scrutinio di lista, fu clamorosamente battuto dal gruppo avversario capeggiato da D. Tajani e G. Nicotera. L'A. che, in occasione delle elezioni del 1874, era stato tra i firmatari del manifesto della "Sinistra giovane", scontava così l'opposizione fatta in provincia e nel parlamento al Nicotera, considerato uno dei capi della "Sinistra storica" nel Mezzogiorno.
Nelle sei legislature (X-XV) cui partecipò, l'A. intervenne attivamente nelle discussioni parlamentari, specialmente in quelle relative ai rapporti tra Stato e Chiesa, esprimendo la speranza di un rinnovamento delle istituzioni ecclesiastiche, da attuarsi in un clima di moderno razionalismo che potesse consentire l'accordo tra libertà e religione. Fu, perciò, contrario alla legge delle guarentigie, che il 27 genn. 1871 definì alla Camera "legge di privilegio".
Per due volte (dal 29 marzo al 3 ott. 1876 e dal 26 maggio 1880 al 25 sett. 1882) fu vicepresidente della Camera. Declinò ripetutamente l'invito, rivoltogli da B. Cairoli, di far parte del gabinetto da lui presieduto. Già nel 1876, con l'avvento della Sinistra al potere, lasciato definitivamente l'insegnamento, era entrato a far parte del Consiglio di Stato nella sezione di grazia, giustizia e culto. Ritiratosi, dopo la sconfitta elettorale, nel paese natio, vi morì il 30 giugno 1887.
Rimangono di lui i Discorsi parlamentari e scritti politici e scientifici (Roma 1902), raccolti dal nipote G. Abignente.
Bibl.: M. Monnier, Naples hérétique et panthéiste, in Rev. germanique et française, VI, fasc. XXV (1863), pp. 131-132; R. Mariano, F. A., in Annuario dell'Università di Napoli, Napoli 1887, pp. 225-230; S. Migliaro, Cenni biografici degli uomini illustri del mandamento di Sarno, Sarno 1908, pp. 41-43; M. Mazziotti, La reazione borbonica nel Regno di Napoli (Episodi dal 1849 al 1860), Milano 1912, passim; G.Paladino, Il quindici maggio del 1848 in Napoli, Milano 1920, pp. 210, 512; M. Orza, Una stirpe millenaria. La famiglia Abignente. Notizie storiche, Milano 1933, pp. 26-29; E. Michel, Esuli italiani a Nizza: F. A., in Il Nizzardo,IX (1942), n. 10 del 17 maggio; L. Russo, Francesco De Sanctis e la cultura napoletana, Bari 1943, pp. 151-156; S. Ruocco, Storia di Sarno e dintorni, II, Sarno 1952, pp. 124-128, 142-144 e passim; G.Carocci, A. Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1887, Torino 1956, pp. 302, 331; G. Procacci, Le elezioni del 1874 e l'opposizione meridionale, Milano 1956, pp. 35, 88, 95-96, 137; F. Poggi, Dall'armistizio Salasco al proclama di Moncalieri, in L'emigrazione politica in Genova e in Liguria dal 1848 al 1857, II, Modena 1957, p. 374.