DORIA, Filippo
Nacque a Genova nella prima metà del secolo XIV.
Allo stato attuale delle conoscenze documentarie, non è possibile indicame la paternità, perché la sua famiglia si era ormai moltiplicata vertiginosamente e si era frantumata, dopo la sua sconfitta politica in città, in una serie di piccole consorterie, ora legate a signorie montane (spesso circoscritte ad un solo villaggio o castello), ora alla ricerca di fortuna sul mare, nella guerra di corsa o nella pirateria. Un Filippo Doria è segnalato come podestà di Savona nel 1336, ma non è possibile stabilire se si tratti del D.; un altro omonimo fu signore di Lerma (una piccola località situata nell'Appennino ligure), ma anche questo non dovrebbe essere identificato col D., il quale non risulta aver cercato signorie territoriali e sembra aver concentrato nel commercio marittimo le sue attività.
Nel 1346 egli fece parte della flotta guidata da Simone Vignoso e allestita col contributo di privati cittadini (che avrebbero poi costituito la Maona di Chio) sotto il pretesto, addotto in un secondo tempo, di combattere una fazione ribelle che infestava le coste liguri. In realtà, l'obiettivo della spedizione fu la conquista di nuovi avamposti per i traffici genovesi nel Mediterraneo orientale. Nel giugno la flotta, giunta a Negroponte, si incontrò con le 26 galere, in parte venete, in parte al servizio dei cavalieri di Rodi e del papa, condotte dal delfino Umberto II di Vienne alla crociata in aiuto di Smirne e di Caffa. In realtà, la flotta crociata mirava anch'essa all'occupazione di Chio; sorpresi dall'arrivo delle navi genovesi, i capi della spedizione alleata tentarono di corrompere il Vignoso e i patroni delle navi (tra cui il Doria). A questi ultimi furono offerti 30.000 fiorini, da dividere tra loro, purché ritornassero indietro. Il Vignoso rifiutò e, giunto a Chio, dopo un tentativo di occupazione pacifica, prese il castello il 12 sett. 1346, conquistando poi le due Focee; infine, fece ritorno a Genova, nel novembre, mentre il D. dovette probabilmente fermarsi nell'isola per presidiarla.
Venezia, tuttavia, non si rassegnò alla presenza di una nuova roccaforte genovese nel Mediterraneo orientale; nel 1350 una flotta, composta da 35 galere al comando di Marco Ruzzini, riuscì a catturare ben dieci navi genovesi, guidate da Niccolò di Magnerri, nelle acque di Alcastri, in Eubea. Tuttavia quattro galere riuscirono a porsi in salvo, perché il Ruzzini non ebbe la prontezza di sfruttare sino in fondo il colpo di mano. Giunte a Chio, le navi genovesi superstiti si unirono a nove galere che il podestà dell'isola, Simone Vignoso, affidò al comando del D.; la flotta assalì di sorpresa Negroponte, la mise a sacco ed obbligò alla resa il comandante veneziano, Tommaso Viaro.
Nel novembre il D. tornò a Chio con un ricco bottino ed alcuni nobili nemici in ostaggio. In ricordo della vittoria, furono appese sulla porta del castello genovese nell'isola le chiavi strappate alla città saccheggiata e che ancora all'epoca dell'annalista Giustiniani erano conservate in loco.
Il D. dovette poi fare ritorno a Genova. Durante il periodo di trattative, apertosi con la sospensione delle ostilità tra Genova e Venezia (che aveva conosciuto una dura sconfitta navale a Portolongo), nei mesi invernali del 1354 la flotta del D. (che raggiungeva la ragguardevole cifra di 15 galere) uscì dal porto senza una meta precisa, forse per danneggiare il più po'ssibile i traffici catalani o per intimidire la città rivale, spingendola all'accordo. Dopo aver incrociato al largo della Sardegna, senza riuscire a far bottino, il D. si diresse su Trapani, dove fu informato che Tripoli si era ribellata al re tunisino. Nel porto siciliano egli fece allestire macchine d'assedio per prepararsi ad un attacco alle deboli postazioni difensive della città africana, dopodiché si diresse verso Sud-ovest. Tuttavia egli dovette preoccuparsi delle possibili gravi perdite, che un assalto a Tunisi avrebbe comportato, per cui preferì tentare la conquista ricorrendo ad uno stratagemma. Chiese asilo al signore di Tripoli, con il pretesto di dover compiere rifornimenti. In tal modo i marinai, che erano sbarcati, poterono indagare sulle difese della città e tranquillizzare il D. sul felice esito di un eventuale attacco a sorpresa. Operati i rifornimenti, la flotta prese il largo, non senza aver notato nelle acque del porto la presenza di due navi provenienti da Alessandria d'Egitto e cariche di spezie. Il giorno dopo (24 apr. 1355), invertita la rotta di notte, la flotta del D. si presentò all'alba davanti alle mura di Tripoli; dapprima furono catturate le due navi egiziane e poi fu assalita la città che, colta di sorpresa, si arrese.
Il bottino fu enorme: quasi due milioni di fiorini d'oro e settemila prigionieri, non comprendendo nel calcolo il frutto delle razzie personali (secondo i dati forniti da Matteo Villani).
Il D. provvide ad informare della conquista il suo governo, attendendo istruzioni. La Repubblica genovese, preoccupata per le conseguenze dell'azione, perché vi scorgeva il pericolo della rottura dei floridi rapporti economici con Tunisi, intimò al D. l'immediato ritorno in patria. Egli, però, preferì continuare le sue razzie a Tripoli ed in Oriente. Dopo aver offerto la città a vari signorotti locali, riuscì a venderla al signore dell'isola di Djerba per 50.000 doppie d'oro. Nel frattempo il governo genovese fu tranquillizzato da suoi emissari che nessuna reazione all'episodio aveva turbato i traffici con l'Egitto e Tunisi, per cui il D. fu perdonato, a patto che per tre mesi si impegnasse a danneggiare le coste catalane a sue spese. Finalmente, il 24 settembre, dodici galere del D., colme di bottino, entrarono nel porto ligure, seguite il giorno dopo dalle altre tre.
Egli riprese poi la navigazione, incrociando nel Mediterraneo occidentale per colpire i commerci catalani. In seguito, è ancora ricordato in vita nel 1357, quando venne esiliato da Savona e poi riammesso in città. Non abbiamo altre notizie che possano essere attribuite al D. con certezza.
Nel 1380 un Filippo Doria è ricordato tra coloro che fornirono capitali per finanziare la guerra di Chioggia contro la Repubblica veneziana; tre anni dopo, un personaggio omonimo partecipò al consiglio di guerra, convocato a Famagosta, nell'isola di Cipro, per soffocare la rivolta della feudalità locale contro il predominio politico ed economico dei Genovesi (cfr. S. Mangiante, Un consiglio di guerra dei Genovesi a Cipro nel 1383, in Atti della Soc. ligure di storia patria, n. s., III [1963], p. 259). Infine, un Filippo Doria è ricordato come signore di Negroponte e Focea, secondo il Federici, avrebbe dato una figlia in sposa a Raniero Acciaiuoli, duca di Atene.
Fonti e Bibl.: Genova, Bibl. Franzoniana, Mss. Urbani, 136: F. Federici. Alberi geneal. delle famiglie di Genova (ms. sec. XVII), I, sub voce; G. Stellae Annales Genuenses, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XVII, 2, a cura di G. Petti Balbi, ad Indicem; A. Giustiniani, Annali della Repubblica di Genova, Genova 1537, cc. CXXXV s.; M. Villani, Cronache storiche, a cura di I. Moutier-G. M. Mazzuchelli, V, Milano 1848, pp. 487 s.; L. A. Casati, La guerra di Chioggia e la pace di Torino, Firenze 1866, p. 126; V. Poggi, Series rectorum Reipublicae Genuensis, in Monum. historiae patriae, XVIII, Augustae Taurin. 1901, col. 1138; A. Sorbelli, La lotta tra Genova e Venezia per il predominio del Mediterraneo (1350-1355), Bologna 1921, p. 23; L. M. Levati, Dogi perpetui di Genova, Genova s.d. [1928], p. 33; R. Lopez, Storia delle colonie genovesi nel Mediterraneo, Bologna 1938, p. 171; P. P. Argenti, The occupation of Chios by the Genoese and their administration of the island (1346-1566), I, Cambridge 1958, ad Indicem; C. Fusero, I Doria, Milano 1973, pp. 288, 295; G. Meloni, Genova ed Aragona all'epoca di Pietro il Cerimonioso, I, (1336-1354), Padova 1971, pp. 59 s.; II, (1355-1360), ibid. 1976, pp. 92 s.; G. Petti Balbi, Il trattato del 1343tra Genova e Tunisi, in Civico Istituto Colombiano, Saggi e documenti, I, Genova 1978, p. 304.