FILIPPO II di Macedonia
Figlio di Aminta re di Macedonia e di Euridice, quartogenito di questa moglie, nato intorno il 382 a. C. Nel 368 circa, quando Pelopida intervenne in Macedonia per pacificare Tolomeo, tutore del secondo figlio di Aminta, Perdicca III, con il pretendente al trono Pausania, F. fu dato, insieme con altri, in ostaggio a Tebe. Vi rimase tre anni fino al momento in cui Perdicca, assassinando il suo tutore, assunse l'effettivo governo dello stato (365 a. C.). La familiarità acquistata in quegli anni con i maggiori uomini politici di Tebe, la conoscenza diretta degli ordinamenti militari e in genere dell'organizzazione della lega beotica ebbero certo grandissima parte nella formazione spirituale di F.; ma l'esperienza della sua vita fu così varia e vasta e vi s'incrociarono influssi così diversi che è arbitrario attribuire importanza esclusiva all'educazione in Tebe. Al contrario, si può agevolmente riconoscere che in un primo momento della sua attività F. non superò i limiti della mentalità dei predecessori e fece una politica strettamente macedonica così nell'ambito materiale come nelle finalità ideali, e solo a poco a poco si sollevò a una più ampia e complessa visione dei problemi politici ora accompagnando ora provocando lo svolgersi degli avvenimenti con questo arricchirsi dei motivi della sua azione. C'è senza dubbio, sotto il processo dell'espandersi della potenza macedonica, un più segreto rinnovarsi della coscienza di F., che solo può spiegare la sua opera.
Già si è detto che il primo momento dell'attività di F. è esclusivamente rivolto a problemi macedonici. La morte di Perdicca III nel 359, in battaglia contro gl'Illirî, aveva aggravato le condizioni interne del paese, il cui governo toccò a Filippo come tutore del primogenito di Perdicca, Aminta IV. Appena ventitreenne F. si trovò a dover combattere contro tre pretendenti al trono: Pausania, tornato a competere dopo l'accordo fittizio con Tolomeo, Archelao figlio di Aminta III e della sua prima moglie Gigea, che era stato diseredato a vantaggio del primo figlio della seconda moglie, e un certo Argeo. La gravità di queste candidature stava soprattutto nel rappresentare uno degli aspetti dell'invadenza straniera nella Macedonia, perché almeno due dei pretendenti, Pausania e Argeo, erano sostenuti dalle armi straniere, l'uno dal re dei Traci Berisade, l'altro dagli Ateniesi. Traci e Ateniesi costituivano appunto, più ancora dei Tebani, i due maggiori pericoli per la Macedonia, data la loro politica di espansione; e mentre i primi minacciavano l'interno della Macedonia, i secondi tentavano di tagliarla fuori dal mare. Perciò sin da Alessandro Filelleno (v.), la mira tradizionale della politica macedonica era diventata il liberarsi da questa duplice stretta e in genere il restituire vita autonoma al paese. F. riprese questa tradizione cercando di colpire insieme con i varî pretendenti le forze che da lontano li muovevano in modo più o meno diretto e quelle altre forze, Peoni e Illirî, che avevano approfittato della torbida situazione per invadere la Macedonia. I Peoni erano allontanati con il pagamento di una forte somma; Berisade con un'altra somma era persuaso a far assassinare il suo protetto Pausania; Archelao infine era preso e ucciso. Restava, unico pretendente, Argeo, sostenuto da tremila soldati ateniesi, il quale tentava di sorprendere Ege, la vecchia capitale macedone, e di farla ribellare. Fallito il tentativo, Argeo era costretto a ritornare indietro e nella strada fra Ege e Metone veniva colto di sorpresa e obbligato ad arrendersi. F. riteneva allora opportuno di accordarsi con Atene per avere mano libera nella lotta più urgente contro gli Illirî. Né, fallito il tentativo di Argeo, era difficile trovare i termini dell'accordo: bastò che F. rinunciasse a ogni pretesa su Anfipoli, il cui ricupero costituiva dalla guerra del Peloponneso l'aspirazione continua degli Ateniesi; e fu rinuncia tanto più agevole in quanto la città non era in possesso della Macedonia, bensì autonoma. Conclusa pace e alleanza, l'attacco contro gl'Illirî per liberare la Macedonia superiore da loro invasa fu immediato. Le riforme dell'esercito a cui avevano atteso tutti) sovrani da Alessandro Filelleno in poi, e specialmente Archelao, poterono dimostrare allora per la prima volta, raggiunta la tranquillità interna, la loro efficacia, tanto più che la tattica applicata di recente dai Beoti del duplice attacco, frontale con gli opliti e laterale con la cavalleria, permetteva l'adeguato e armonico sfruttamento delle due armi, di cui la Macedonia era ugualmente fornita. Parmenione (v.), che allora e poi fu sempre il migliore generale di F., sbaragliava con 10.000 uomini gl'Illirî e li costringeva a ritirarsi di là dal lago Lichnitide (358 a. C.). È assai probabile che conseguenza di questa campagna sia stata anche la definitiva e salda riunione al regno macedonico di quei principati semindipendenti della Macedonia superiore (Elimiotide, Lincestide, Orestide), la cui piena fusione con il resto del paese, condizione prima della sua efficienza politica, era un altro obiettivo tradizionale della politica macedonica. Certo questa riunione, maturata dal rismglio della coscienza nazionale macedonica, non fu difficile, né richiese troppa violenza: e F. ebbe l'abilità di saper accogliere i membri di queste case principesche alla sua corte e di affidare loro alcune tra le cariche più importanti, ed egli stesso sposò Fila, la sorella del dinasta Derda di Elimiotide. Già nel medesimo 358 il ricuperato prestigio della Macedonia era riconosciuto con la richiesta dei Tessali capeggiati dai nobili Alevadi di Larisa perché F. intervenisse in aiuto delle città conculcate dalla tirannide, approfittando del recente assassinio del tiranno Alessandro di Fere, e delle discordie fra i suoi successori. Anche questo appoggio della Macedonia alle città tessaliche, per evitare la formazione di un saldo stato unitario nelle vicinanze, era un vecchio motivo obbligato della politica macedonica ripreso da F. con molta abilità, sicché nello stesso anno Farsalo, Crannone e Larisa erano liberate. Filippo poteva ora volgere la sua attività ai punti essenziali del suo programma: aprirsi la via almare, e quindi limitare l'espansione ateniese soprattutto nella penisola Calcidica e combattere i Traci. Un colpo di mano gli permise di impadronirsi nel 357-6 di Anfipoli, che egli occupò in nome di Atene per evitare che da Atene appunto fosse accolta la richiesta di soccorsi della città. Ma, avutala in mano, con il pretesto che Atene non aveva adempiuto all'obbligo di una clausola segreta (probabilmente non mai esistita) del trattato di alleanza, che le imponeva di cedere Pidna ai Macedoni, si rifiutò di consegnare Anfipoli agli Ateniesi. Di qui una guerra fra Atene e la Macedonia, che di fatto poté svolgersi solo dalla parte di quest'ultima, perché la prima era impegnata nella guerra sociale. F. ne approfitiò per prendere a tradimento Pidna e per allearsi con Olinto e strappale con la sua collaborazione ad Atene Potidea, il cui territorio egli lasciò a Olinto. Né gli mancava l'occasione per portare un attacco diretto ai Traci. Crenide, una colonia di Taso, chiese il suo aiuto contro i figli di Berisade, i quali alla loro volta si allearono con Peoni e Illirî e tutti insieme poi con Atene. Ma la superiorità militare macedonica ebbe facile ragione degli alleati, che non avevano potuto collegarsi. I Peoni furono trasformati in stato vassallo, gl'Illirî ricacciati, i Traci costretti a ritirarsi di là dal Nesto, lasciando in mano di F. le miniere d'oro del Pangeo, che saranno uno degli strumenti più formidabili della sua politica successiva. Crenide fu trasformata in una colonia a carattere militare, Filippi, per tutela della regione. Poco più di un anno dopo (354-3) una nuova sorpresa permise a F. di occupare Metone, l'unica città greca rimasta indipendente sulla costa macedonica. È dubbio se appartenga a questo periodo o vada collocato più tardi, intorno al 347, un attacco fallito ad Abdera. Certo dovette avvenire in questo tempo da parte dell'assemblea del popolo in arme il riconoscimento di F. come re, lasciando tacitamente da parte il giovinetto Aminta IV, che rimase sempre tranquillo e fu ucciso soltanto dopo l'avvento di Alessandro Magno.
Nel riconoscimento del sovrano c'era anche il riconoscimento della straordinaria trasformazione avvenuta in pochi anni della Macedonia. F. nel comporre a unità il paese, nell'aprirgli il mare, nell'impedire la formazione di unità statali pericolose ai suoi confini, aveva concluso un ciclo storico. Tutto ciò che Alessandro Filelleno, Perdicca II, Archelao avevano potuto desiderare per la fortuna della Macedonia, era realizzato con quelle forze che essi, in un'elaborazione durata più di un secolo, avevano messo a disposizione di Filippo. Ma ora, chiuso questo ciclo, le stesse condizioni della Macedonia offrivano le possibilità per un ciclo nuovo, che lungi dal lasciare esaurire le forze macedoniche nelle posizioni raggiunte, le espandesse nella conquista, sia verso i Barbari, sia, più ancora, verso la Grecia. Non solo la Macedonia era lo stato unitario più vasto (circa 30.000 kmq.) del mondo greco; non solo aveva un'attrezzatura militare, che per la varietà delle sue formazioni (con molte qualità di truppe a piedi e a cavallo dai diversissimi armamenti) poteva affrontare eserciti di qualsiasi genere; non solo aveva una ricchezza di miniere, che le permetteva una politica finanziaria assolutamente autonoma; ma aveva, almeno per il momento, di fronte al mondo greco, il vantaggio essenziale di averne assimilata la civiltà come tecnica e di essere rimasta estranea ai contrasti politici e ideali che lo caratterizzavano. La cultura greca infatti, essendo penetrata esclusivamente fra le classi alte e privilegiate, non aveva portato con sé quei fermenti di lotte sociali e politiche (democrazia contro oligarchia; particolarismo contro federalismo) che erano state la forza ascensionale della Grecia, ma che erano anche un motivo di debolezza di fronte a organismi in cui, a parità di organizzazione tecnica, fosse superiore il grado di omogeneità. Un tale organismo era già stato, nell'interno stesso della Grecia, la Lega beotica, che, assai meno sensibile a conflitti ideali delle altre confederazioni, aveva perciò potuto sovrapporsi agli stati più civili. S'intende che una tale superiorità non poteva durare a lungo, mancando altra forza di dominio che non fosse la forza bruta: ciò che, nel caso della Beozia, stava dimostrando appunto in quegli anni la guerra sacra, che era nella sostanza un'insurrezione contro l'egemonia beotica, capeggiata dai Focesi e sostenuta dagli Ateniesi. Ma per intanto si offriva alla Macedonia un'agevole occasione di predominio in Grecia. Solo in un momento successivo sarebbe sorto il problema di giustificare idealmente questo predominio per renderlo duraturo. Problema che non sarà estraneo a F., anzi costituirà il filo conduttore degli ultimi anni della sua politica e l'avviamento a quella di Alessandro. Nel secondo ciclo della politica di F., che si apre intorno al 354, vanno dunque distinte due fasi: una, che giunge almeno sino al 346, in cui le esigenze dell'espansione imperialistica sono le uniche sentite; un'altra, che si elabora dal 346 al 338 e in quell'anno ha la sua piena attuazione in cui è evidente lo sforzo d'inserire l'egemonia macedonica nella storia ideale della Grecia e con ciò di giustificarla.
Nel 354 s'iniziava l'espansione della Macedonia con un intervento in Vessaglia, che, a differenza del precedente, era volto a scopo di conquista. Nella nuova guerra fra i tiranni di Fere e gli Alevadi di Larisa, i primi si volgevano ai Focesi, i secondi a F. Questi vinceva una volta i Focesi guidati da Faillo; ma era poi sconfitto due volte nello stesso anno da Onomarco e costretto a ritirarsi. L'anno dopo alla testa degli alleati tessalici, F. tornava a discendere in Tessaglia, occupava Pagase e batteva Onomarco in una battaglia decisiva in luogo ignoto, dove lo stesso generale focese moriva. Gran parte della Tessaglia fino ad Alo rimaneva in mano di F., che si faceva riconoscere comandante dell'esercito tessalico, imponeva guarnigioni e provocava violenti mutamenti costituzionali: dimostrava, cioè, chiaramente la sua intenzione di considerare la Tessaglia uno stato vassallo della Macedonia. Né egli si limitava a combattere i Focesi in quanto erano intervenuti in Tessaglia. Con il far uccidere tutti i prigionieri focesi, ritenendoli sacrileghi, egli s'inseriva nella stessa guerra sacra a fianco dei Tebani. E infatti tentava subito un'invasione della Grecia che un tempestivo accentramento di forze alle Termopili valeva per allora a impedire, per quanto l'intrusione della Macedonia nella vita politica greca fosse ormai un fatto compiuto.
Negli anni seguenti F., oltre che da nuove campagne contro gl'Illirî (352 a. C.), fu tenuto occupato dalla penetrazione in Epiro e in Tracia. In Epiro governava come reggente Aribba, che aveva la tutela del nipote Alessandro. F., che doveva già avere sposato da alcuni anni, valendosi dell'abitudine della poligamia permanente in Macedonia, una sorella di Alessandro, Olimpia, pretese di avere la tutela del cognato, lasciando però ad Aribba la reggenza fino alla maggiore età d'Alessandro. Nel 350 attaccava Cerseblepte in Tracia, imponendogli di recedere dalla politica troppo filo-ateniese e conseguentemente di far allontanare il principale sostenitore di questa politica, il ministro Caridemo: nello stesso tempo stringeva relazioni amichevoli con Perinto e Bisanzio, ma, per una malattia sopraggiuntagli nella spedizione, doveva ritirarsi prima di avere ottenuto successi definitivi. Egli stava del resto preparando un'altra impresa che avrebbe portato alla sottomissione la penisola calcidica e in particolare Olinto. Con il pretesto che Olinto aveva accolto dei fuggiaschi macedonici e in specie il pretendente Arcnelao, egli (349 a. C.) rompeva la vecchia alleanza e invadeva la penisola. Nonostante gli aiuti ripetuti di Atene, a cui Olinto si era rivolta, la città era assediata, occupata e rasa al suolo (318 a. C.), mentre le altre città della penisola erano incorporate a pari diritto nel regno di Macedonia.
Ormai a F. conveniva, per avere le mani libere di agire contro i Focesi e quindi introdursi finalmente in Grecia, di far pace con gli Ateniesi. Egli sapeva che la loro superiorità marittima avrebbe costituito un ostacolo insormontabile a un trionfo definitivo contro di loro: ciò in fondo egli riconobbe sempre per tutta la sua vita, né mai ebbe agio di organizzare una flotta macedonica, che si potesse contrapporre a quella ateniese. D'altra parte non ignorava che la stessa pace con Atene, quando si fosse trasformata in effettiva collaborazione, era la forma migliore e più sicura del vassallaggio di Atene alla Macedonia perché Atene, se con la sua flotta era in grado di opporre un'estrema difesa alla Macedonia, non sarebbe però mai stata in grado d'imporle la sua volontà. Del resto anche gli Ateniesi che sentivano maggiormente la minaccia dell'espansione di F., come Demostene, furono concordi nel ritenere utile un accordo provvisorio, il quale avrebbe almeno permesso una migliore organizzazione della resistenza contro la Macedonia. Fu perciò facile, dopo l'ambasceria di Demostene, Filocrate ed Eschine a Pella (v. demostene) e di Parmenione e Antipatro ad Atene, di concludere la pace. Era sancita la rinunzia di Atene ad Amfipoli e a Potidea, era stretta un'alleanza difensiva, veniva proclamata la libertà di commercio particolarmente preziosa per la Macedonia, data la superiorità marittima dell'altra contraente, era infine esclusa dal trattato, insieme con l'isola di Alo, anche la Focide, che implicitamente veniva lasciata nelle mani di F. (346 a. C.). Così mentre avveniva una nuova spedizione in Tracia contro Cerseblepte, che portava all'occupazione di alcune piazzeforti, era preparata l'irruzione in Grecia. Passate di sorpresa le Termopili, l'esercito focese di Faleco era abbattuto e costretto alla resa. La guerra sacra era conclusa. F. dispose da arbitro le sorti dei Focesi, costringendoli, dopo aver distrutte le loro città, a disperdersi in villaggi, e imponendo loro la restituzione dei beni sacri rapiti con il pagamento di 60 talenti all'anno. I due posti nell'Amfizionia tenuti dai Focesi insieme con due dei quattro tenuti dai Dolopi e dai Perrebi erano sostituiti con due posti assegnati a Delfi e due altri al re di Macedonia, in modo da sanzionare anche dal punto di vista sacrale l'egemonia di quest'ultimo sulla Grecia. E perciò quando gli Ateniesi si astenevano dalle feste Pitiche per rimostranza contro la sua ammissione nel consiglio amfizionico, F. poteva protestare come per un'offesa fatta all'Amfizionia stessa.
Intanto F., poiché finita la guerra sacra avrebbe dovuto abbandonare il comando dell'esercito tessalico, che andava smobilitato si faceva nominare (344 a. C.) arconte perpetuo della Tessaglia, sottomettendo al suo imperio i quattro tetrarchi. Ne veniva confermata la sua intenzione di tenere distinti i suoi dominî personali da quelli che egli deteneva come sovrano macedonico. È una tendenza di F. che merita molta attenzione, perché vale poi a spiegare la sua politica verso la Grecia negli anni seguenti, in specie dopo Cheronea. Già cominciava a svolgersi in F. la coscienza di essere distinto dai Macedoni e di poter detenere personalmente un impero più vasto di quello che toccasse al popolo macedonico. In parte era forse consapevolezza del proprio valore individuale, ma certo nel fondo v'era la convinzione che i Macedoni fossero immaturi ad assorbire in sé i popoli contro cui dimostravano la superiorità delle loro armi. F. aveva insomma presente la difficoltà di affidare a un popolo ancora spiritualmente arretrato il comando di altri popoli, che spesso gli erano molto superiori; e di conseguenza sentiva anche la necessità di dare una diversa giustificazione alla sua egemonia. Non ci può essere dubbio che a fargli acquistare più netta consapevolezza di entrambe le esigenze cooperò molto la pubblicistica d'Isocrate (v.) che in quegli anni andava appunto proclamando F. re greco di popolo barbaro e invitandolo a servirsi della forza che egli aveva a disposizione per un programma panellenico, la lotta contro la Persia e la correlativa espansione greca, che avrebbe risolto o aiutato a risolvere i problemi economici e sociali in cui la Grecia si dibatteva.
Ad accettare il secondo punto di questo programma F. tardò molto, forse anche perché ne sentiva le debolezze e capiva che non bastava una guerra comune per dare un'unità a un mondo così ricco di contrasti interni come il greco. Comunque sia, è certo che nel 343, quando il re di Persia riconquistò l'Egitto e riapparve minaccioso sul Mediterraneo, F. si affrettò a concludere con lui un trattato di alleanza, in cui erano divise le sfere d'influenza dei due sovrani e lasciata a F. l'Europa. In conseguenza di tale trattato F. dovette rinunciare all'amicizia con alcuni dei dinasti e satrapi ribelli che fino allora egli aveva sostenuto; è noto specialmente l'abbandono di Ermia, dinasta di Atarneo, perché Aristotele, che fu per un certo tempo alla sua corte, dovette servire da mediatore fra lui e F. Ma la conseguenza più importante del trattato era che la Persia rinunciava a intervenire nella politica interna della Grecia, annullando lo stato di fatto e di diritto che si era creato dall'inizio del sec. IV. Perciò F., se da una parte rinunciava per conto suo all'espansione in Asia, dall'altra poteva già presentare il suo predominio come liberazione dalla supremazia persiana. È egualmente credibile che almeno in parte debbano riportarsi a questo sforzo di trovare una base ideale nella Grecia anche i ripetuti tentativi di quegli anni per avere l'amicizia e la collaborazione del "cuore dell'Ellade", Atene. Già nel 345-44 egli sosteneva i diritti di Atene su Delo in una questione sottoposta al consiglio amfizionico; poi due volte, nel 343 e nel 342, offriva la revisione del trattato del 346, urtando contro l'opposizione vittoriosa di Demostene che nel medesimo tempo con le sue campagne a base di scandali e di processi mirava a rendere impossibile la vita dei partigiani di F. in Atene. Uguale scopo antimacedonico aveva la campagna diretta nel 343 da Demostene nel Peloponneso per attrarre verso l'influenza di Atene le città (Messene, Megalopoli, ecc.), che finora avevano trovato il loro naturale sostegno contro Sparta in Tebe e nella Macedonia. Il tentativo fallito almeno parzialmene, perché Atene non intendeva rinunciare alla contemporanea alleanza con Sparta, provocava tuttavia naturalmente le proteste di F.: il quale dunque da questa sistematica opposizione tanto più era spinto a sostenere in Grecia le oligarchie, le quali non solo dovevano essere assai più comprensibili alla sua mentalità, ma anche gli offrivano la certezza di dover sempre dipendere da lui per la loro intrinseca debolezza, dovuta al loro ripugnare alla più diffusa coscienza civica dei Greci. Così nel 343 l'Elide ridivenuta oligarchica si rivolgeva a F.; in Eubea, per aiuto suo, si costituivano le oligarchie accompagnate dalla ribellione ad Atene; e un analogo tentativo a Megara falliva. Questi tentativi provocavano per reazione un maggiore avvicinamento ad Atene degli stati democratici o che comunque si sentissero minacciati da F. Ambracia, Corinto, Corcira, l'Acarnania chiedevano l'appoggio di Atene: nello stesso Peloponneso, Argo, Messene, Megalopoli si alleavano con lei. F. si doveva accontentare dell'alleanza con gli Etoli (342 a. C.).
Mentre così in Grecia la supremazia di F. sembrava per il momento determinarsi in una restaurazione di oligarchie, F. veniva estendendo il suo potere in Epiro, dove sostituiva Aribba con il suo pupillo Alessandro (342). Nel medesimo anno e nel seguente portava a compimento la conquista della Tracia, dove impiantava colonie macedoniche, tra cui Filippopoli, e con lui si alleavano i re barbari vicini, tra cui Cotilo re dei Geti: la Tracia era sottoposta al pagamento di un tributo. Questa espansione di F. provocava rinnovati timori delle città greche, e Bisanzio si rivolgeva ad Atene (341). Atene, per incitamento di Demostene, decise di approfittare dell'occasione, ma evitò di rompere apertamente guerra con F. prima che fosse ricuperata l'Eubea e saldamente costituita la Lega ellenica, la quale comprendeva, oltre all'Eubea stessa, Megara, Corinto, Leuca, Ambracia, l'Acaia, l'Acarnania, Corcira (vedi demostene). In un primo momento ci si limitò quindi a provocare F. attaccando una città alleata della Macedonia, Cardia. Ma quando poi F., dopo avere invano richiesta soddisfazione ad Atene a alle sue alleate si rivolse ad assediare Corinto e Bisanzio (estate 340), Demostene fece decidere la rottura della pace e l'invio di una flotta nell'Ellesponto comandata da Carete. Dopo gli scarsi risultati di questa prima spedizione, ne veniva inviata una seconda, la quale sotto il comando di Focione riusciva a liberare Bisanzio. F. comprendeva il pericolo che questa sconfitta significava per il suo prestigio in Tracia e nelle regioni vicine, sicché rimaneva tutto l'inverno 340-39 sul posto, facendo poi nella primavera del 339 una irruzione nel paese degli Sciti e al ritorno nel paese dei Triballi, che avevano cominciato a far scorrerie in Tracia: in tale impresa egli fu ferito gravemente.
Ormai era inevitabile che la guerra fosse trasferita in Grecia, tanto più che solo a questo modo poteva essere resa inefficace la supremazia di Atene sul mare. L'incognita era per F. la condotta di Tebe. La quale fin dal principio dell'intervento di F. in Grecia aveva seguito docilmente le sue direttive, paga che fossero umiliati e battuti i suoi nemici, anche se tali vittorie macedoniche escludevano ogni sua posizione egemonica. Ma ora gli spiriti non parevano più rassegnati come negli anni innanzi, eccitati senza dubbio anche dalla propaganda di Demostene. C'era da temere un'alleanza di Atene con Tebe, che avrebbe riunito la maggiore potenza marittima con la maggiore potenza continentale della Grecia. A evitare questo accordo F. tentava nella riunione amfizionica dell'autunno 340 di opporre Atene e Tebe, provocando l'accusa di un alleato di Tebe, Amfissa, contro una violazione sacrale di Atene e provocando un'analoga accusa di Atene per bocca di Eschine contro Amfissa (v. eschine). Il tentativo falliva perché Atene non aderiva alla guerra sacra contro Amfissa. I Tebani spinti alla guerra occupavano Nicea per tagliare la via delle Termopili a F. e questi rispondeva con la fulminea sorpresa dell'occupazione di Elatea nella Focide, che lo portava nel cuore della Grecia. Seguiva immediata l'alleanza di Atene con Tebe (v. demostene; grecia: Storia), mentre i Peloponnesiaci mantenevano la neutralità. Due corpi di spedizione erano costituiti, uno a proteggere Amfissa, l'altro a marciare nella Focide contro il grosso delle truppe di F. Dopo parziali successi dei collegati Greci, a F. riusciva di cogliere e di abbattere separatamente i due corpi presso Amfissa, che come sacrilega veniva distrutta, e presso Cheronea (v.) in una battaglia campale, che gli lasciò l'assoluto dominio della Grecia (1 settembre 338). Tebe e Atene erano costrette alla pace, la quale per la seconda, dopo i vani timori del primo momento, fu assai più mite del credibile. Tebe dovette ammettere un presidio macedonico nella sua rocca, dovette restaurare le città beotiche distrutte (Platea e Orcomeno) e richiamare i cittadini banditi. Inoltre per crearle una vicinanza pericolosa. F. permise ai Focesi di ricostruire le loro città e diminuì la loro multa da 60 talenti a dieci. Ad Atene furono soltanto richiesti lo scioglimento della Lega e la rinuncia al Chersoneso tracico, mentre le fu restituita Oropo. Anche Sparta, benché non avesse partecipato alla lega, fu privata di molta parte del suo territorio in una marcia attraverso il Peloponneso dello stesso autunno del 338 a vantaggio degli alleati di F. Fu ricostruita anche la Lega arcadica, ma fu evitata la distruzione di Sparta per mantenere il contrasto che paralizzava da più di trent'anni il Peloponneso.
Poco dopo F. convocava all'istmo di Corinto tutte le città greche, meno Sparta, per la costituzione di una nuova lega greca. La stessa ultima guerra aveva rivelato l'insufficienza dei programmi elaborati fino allora da F. per assicurare una larga base di consensi al suo predominio. Né il semplice allontanamento della tutela persiana, né tanto meno la politica in favore delle oligarchie bastavano ad assicurargli il consenso dei più tra i Greci. La stessa resistenza capeggiata da Demostene contro di lui sarebbe valsa d'altra parte a dimostrare l'estrema difficoltà di dominare la Grecia con la sola forza, se anche F. avesse mai avuto questa intenzione. Ma F. tale intenzione non aveva. E perciò scelse la soluzione di formulare un programma che poteva essere accetto a tutti i Greci, fondandosi sul triplice postulato della pace interna della Grecia, della guerra comune con la Persia e del mantenimento delle autonomie comunali. Quarto punto si aggiunse la tutela della proprietà insieme col relativo divieto di ogni rivolgimento sociale, che era senza dubbio gradito a tutte le classi possidenti. Le città secondo la loro importanza ottenevano seggi nella lega e vi portavano i loro contingenti militari: nessun tributo in denaro era imposto. La Macedonia fu lasciata fuori della lega, per quanto subito venisse pattuita con lei alleanza; il re di Macedonia ebbe invece personalmente il comando dell'esercito federale, secondo il modello già offerto dalla Confederazione tessalica e prima anche dalla Lega delio-attica nei suoi rapporti con Atene. Nel seguente anno, autunno 337, veniva dichiarata guerra alla Persia e inviato un corpo di spedizione di 10.000 uomini in Asia a preparare il terreno provocando la ribellione delle città greche e dei satrapi. Ma mentre giungevano gli annunci dei primi successi, una tragedia intima della sua famiglia recava la morte al sovrano. F. aveva preso una nuova moglie, Cleopatra, provocando lo sdegno di Olimpia e del figlio Alessandro (v.), che si allontanarono dalla corte. Riuscì tuttavia a F. di riconciliarsi con il figlio e con il fratello di Olimpia, Alessandro di Epiro, concedendogli in moglie una figlia. Tuttavia al matrimonio di quest'ultima in Ege F. cadeva assassinato (336 a. C.) per motivi incertissimi, a cui può non essere estranea l'avversione di una parte della aristocrazia macedonica al programma troppo filo-ellenico di F.
Famiglia e carattere di F. - Dalla prima moglie Fila, sorella di Derda di Elimiotide, non ebbe, a quanto si sa, figli. Olimpia figlia di Neottolemo di Epiro fu sposata al più tardi nel 357: nel 356 nasceva Alessandro. Dallo stesso matrimonio F. ebbe anche un'altra figlia, Cleopatra, sposata poi con lo zio Alessandro di Epiro. Intorno al 354 era sposata Filinna di Larisa, di cui fu figlio Arrideo; di poco posteriore è il nuovo matrimonio con Nicesipoli di Fere, da cui ebbe Tessalonica, sposata nel 316 con Cassandro. Da una moglie illiria, Audata, ebbe Cinna o Cinane, sposata con Aminta IV. Cleopatra fu sposata intorno al 338: ne ebbe non si sa bene se un figlio o una figlia. Conosciamo infine un'ultima moglie, Meda, figlia del re dei Geti Cotela, che dovette essere sposata nella spedizione getica. L'unico ripudio a noi noto è quello di Olimpiade.
La smodatezza, contraria ai costumi greci, testimoniata da tutti questi matrimonî, insieme con altri simili eccessi del carattere di F. lo fecero apparire, agli occhi dei più dei Greci, assai più barbaro di quanto il suo interesse per la civiltà greca - dimostrato, se non altro, dal chiamare Aristotele a educare Alessandro - comportasse. Nella resistenza dei Greci a lui anche questa antipatia personale ebbe parte, sebbene, come è ovvio, tutt'altro che determinante.
Per quanto sia impossibile dire quali sarebbero stati gli svolgimenti ulteriori della sua opera, è tuttavia certo che essa, nel suo sforzo di conciliare la supremazia del re di Macedonia con le aspirazioni dei Greci e diventare quindi l'espressione stessa della loro volontà, fallì, perché i Greci chiedevano anzitutto la più ampia libertà nella loro vita politica e sentivano pochissimo, al di fuori di ristretti ambienti culturali, la guerra contro la Persia. F. non offriva quindi nulla che li soddisfacesse. Ciò fu dimostrato dalle insurrezioni succedute in Grecia alla sua morte. E poiché d'altra parte l'inferiorità spirituale dei Macedoni non permetteva una "conquista" della Grecia, che fosse definitiva, Alessandro, che dovette rinunciare a rappresentare i Greci e capì, come suo padre, di non poter essere il semplice Macedone, tentò di superare entrambe le posizioni con l'elevare sé stesso al di sopra di Greci e di Barbari, apparendo quale dio al modo dei sovrani orientali.
Fonti: L'unico scritto a noi pervenuto di F. sarebbe la sua lettera contenuta nel Corpus delle orazioni demosteniche; ma è probabile che essa ci sia giunta nell'elaborazione di Anassimene, come la risposta di Demostene (v.). Cfr. tuttavia il tentativo di dimostrarne l'autenticità di M. Pohlenz in Hermes, LXIV (1929), pp. 41 segg. Le fonti principali sono gli oratori attici, specie Demostene, Isocrate ed Eschine. Inoltre Diodoro, XVI, che risale a fonti incerte; Giustino, VII-IX che risale, attraverso Trogo Pompeo e Timagene, a Teopompo. Le più importanti iscrizioni, tra cui un frammento dell'atto costitutivo della lega di Corinto, in Dittenberger, Sylloge, 3ª ed., n. 167-260.
Bibl.: G. Grote, History of Greece (1ª ed. 1846-56), cap. 86 segg.; J. G. Droysen, Histoire de l'hellénisme, trad. franc., I, Parigi 1893, p. 33 segg.; K. J. Beloch, Griechische Geschichte, III, 2ª ed., i-ii, Lipsia 1922-23 passim; A. Schäfer, Demosthenes u. seine Zeit, 2ª ed., Lipsia 1885; F. Grenier, Makedonische Heeresversammlung, Monaco 1931; U. Wilcken, Alexander der Grosse, Lipsia 1931, pp. 19 segg.; W. Schwahn, Heeresmatrikel und Landfriede Philipps von Makedonien, in Klio, XXI Suppl., Lipsia 1930; U. Wilcken, Philipp II. und die panhellenische Idee, in Sitzungsb. Preuss. Akadem., 1929, p. 291 segg.; H. Delbrück, Geschichte d. Kriegskunst, I, 3ª ed., Berlino 1920, p. 167 segg.; H. Droysen, Heerwesen und Kriegsführung der Griechen, Friburgo 1889, p. 107 segg.; A. Wilhelm, in Wien. Sitzungsb. 1921, Abh. 6 (lega di Corinto); U. Wilcken, Der Korinthische Bund, in Sitzungsb. Bayer. Akad., 1914, n. 10; A. B. West, The early Diplomacy of Philipp II as illustred by his Coins, in Numism. Chron., 1923, p. 169 segg.; G. Glotz, Philippe et la prise d'Élatée, in Bull. Corr. Hell., XXXIII (1919), p. 528 segg.; J. Kromayer, Antike Schlachtfelder, Berlino 1903, I, p. 127 segg. (su Cheronea); G. Soteriades, Das Schlachtfeld von Chaeronea, in Athen. Mitth., XXVIII (1903), p. 301 segg. Più minuta bibliografia in Cambridge Ancient History, VI, Cambridge 1927, pp. 580 segg. Si cfr. inoltre la bibliografia dell'art. demostene. È importante, anche per F., H. Berve, Das Alexanderreich auf prosopogr. Grundlage, I, Monaco 1926.