Filmologia
Orientamento degli studi cinematografici che anticipò per diversi aspetti la semiologia del cinema degli anni Sessanta e Settanta ed ebbe origine con la fondazione nel 1946 dell'Association pour la recherche filmologique e l'anno successivo, presso l'università parigina della Sorbona, dell'Institut de filmologie, entrambi per opera del professor Gilbert Cohen-Séat, che intendeva in questo modo coinvolgere nello studio dei film e del cinema specialisti di altri campi delle cosiddette scienze umane, in primo luogo la psicologia, la sociologia, la psicofisiologia, la psicoanalisi, l'estetica. Nel quadro delle attività del nuovo istituto, Cohen-Séat si avvalse della collaborazione sia di storici e critici del cinema (occasionalmente, però) come Georges Sadoul, Jean-Marie Lo Duca, Siegfried Kracauer, Léon Moussinac, Amédée Ayfre, André Bazin, sia di storici dell'arte come Pierre Francastel (anche lui in modo occasionale), sia di estetologi come Étienne Souriau, sia (soprattutto) di psicologi dell'infanzia come Henri Wallon (fondatore nel 1946 del Comité français du cinéma pour la jeunesse) e i coniugi Bianka e René Zazzo, di psicologi della percezione come Albert Michotte van der Berck, di sociologi come Edgar Morin, di psicoanalisti o studiosi di psicoanalisi come Cesare Musatti, Didier Anzieu, Jean Deprun, Serge Lebovici, di semiologi come Roland Barthes (due interventi all'inizio degli anni Sessanta). I risultati delle ricerche filmologiche furono per lo più pubblicati nella "Revue internationale de filmologie" (39 numeri, usciti tra il 1947 e il 1961), diretta dallo stesso Cohen-Séat, il cui primo numero uscì nel luglio-agosto 1947.
L'istituto e la rivista si proponevano un approccio interdisciplinare che tenesse conto, come ipotesi fondamentale di lavoro, del funzionamento sociale del cinema e della presenza dello spettatore decifratore come elemento costitutivo del fenomeno cinematografico. Ipotesi che con il passare degli anni si specializzerà in direzione psicofisiologica, riducendo l'interdisciplinarità dei primi tempi, ma che all'inizio costituì il primo vero tentativo sistematico di studio del cinema per opera di studiosi che non appartenevano alla critica cinematografica e non erano coinvolti ad alcun livello nella produzione di film. Tutto ciò in ossequio al principio, affermato da Cohen-Séat (contro le estetiche delle avanguardie storiche), di una netta distinzione tra pensiero filmologico e prassi realizzativa. Distinzione, oltre che intellettualmente precisa, anche strategicamente vantaggiosa, perché in grado di permettere il coinvolgimento nel discorso cinematografico di quella parte del mondo accademico che ne restava lontana. Il pregiudizio di 'addetti ai lavori' costituiva infatti il maggior ostacolo a un'operazione culturale che nelle intenzioni e nelle dichiarazioni del suo proponente aveva il valore di una vera e propria missione sociale di carattere umanistico, indirizzata a un mondo moralmente devastato dalla guerra.Le basi del nuovo metodo vennero poste da Cohen-Séat nel suo Essai sur les principes d'une philosophie du cinéma, 1. Introduction générale. Notions fondamentales et vocabulaire de filmologie (1946, 1958²), in cui la "filmologia" veniva definita come "una conoscenza ordinata che ha per oggetto un insieme di fenomeni specifici che possono dividersi in due gruppi principali: i fatti filmici e i fatti cinematografici" (p. 11). Distinzione importante, che introduceva apertamente e sistematicamente la questione, cara alla successiva semiologia del cinema, dell'interpretazione del testo-film come "discorso significante localizzabile" (per usare la ridefinizione di Christian Metz nel suo Langage et cinéma, 1971, p. 8) e dello studio del cinema come territorio più complesso, che necessita per la sua comprensione di una molteplicità di interventi sotto una pluralità di punti di vista. Per Cohen-Séat, infatti, ciò che individua il "fatto cinematografico" è il "mettere in circolazione in gruppi umani un fondo di documenti, sensazioni, idee, sentimenti, materiali offerti dalla vita e messi in forma dal film secondo il modo suo proprio" (p. 54). Esso è dunque indagabile sia secondo specifiche competenze sia secondo i punti di vista offerti dalla ricerca tecnologica, sociologica e psicologica. Il fatto poi, come recitava il titolo dell'Essai, di inaugurare un lavoro sul "vocabolario", che sarà ripreso e perfezionato successivamente dai filmologi, con l'intenzione di rendere adeguato il discorso filmologico al proprio oggetto di studio, permise l'introduzione di una serie di termini che presto divennero di uso comune tra gli studiosi: "diegesi", "diegetico", "filmofanico", "profilmico", "spettatoriale", "schermico". Operazione, questa, nella quale si scorge, com'è stato osservato da Francesco Casetti (Teorie del cinema. 1945-1990, 1993), "la volontà da un lato di staccarsi dall'imprecisione e dalla disinvoltura terminologica degli approcci "ontologici", dall'altro di delineare una mappa sistematica dei concetti chiave, da affidare ciascuno ad una specifica esplorazione, e da usare tutti come sfondo comune della ricerca" (p. 101).
Sulla base di queste premesse ‒ le quali coinvolgevano importanti questioni anch'esse riprese poi dalla semiologia del cinema, come la distinzione tra fenomeno e codice interpretativo, la natura formale del codice, la sua specificità cercata in quella che L. Hjelmslev chiamava la "materia dell'espressione", i rapporti tra formalizzazione logico-verbale e fenomeno filmico ‒ l'Institut de filmologie tracciò all'inizio della sua storia un programma di ricerche epistemologiche basato su una serie di punti e momenti: ricerche sperimentali, volte a scoprire gli strumenti, i processi, i laboratori che fossero in grado di permettere un valido studio di carattere specificamente filmologico; evoluzione dell'empirismo cinematografico, per costituire una documentazione che permettesse di tracciare in modo "intelligibile" la storia delle tecniche del cinema, svelandone produttivamente le intenzioni implicite e interpretando le diverse concezioni e pratiche che si erano succedute o affiancate nel corso della storia del cinema, realizzando peraltro le condizioni per aggiornare successivamente sia questa documentazione sia la sua interpretazione; estetica, psicologia e filosofia generale, sociologia, per affrontare i problemi propri del cinema e le loro relazioni con uno studio generale sullo psichismo umano; studi comparativi, che operassero un confronto produttivo tra il linguaggio cinematografico e gli altri linguaggi, indagando i grandi fenomeni collettivi messi in luce dal cinema, come, per es., la mitologia e l'iconografia, nel confronto con gli analoghi fenomeni presenti nella storia delle lettere e delle arti; ricerche normative di applicazione, per lo studio dei problemi che concernono le funzioni possibili del cinema, nella vita individuale e sociale, sia dal punto di vista estetico sia da differenti punti di vista funzionali.
Tra le prime attività della f. vanno ricordati il Primo congresso internazionale di filmologia, che si tenne nel settembre 1947 a Parigi, e la fondazione, accanto all'istituto universitario della Sorbona (e del relativo Centre français des recherches filmologiques), di un Bureau international de filmologie. Più tardi, nel febbraio 1955, sempre a Parigi, si tenne una seconda edizione del Congresso, cui parteciparono numerosi studiosi di varie nazionalità. La vocazione internazionale di questi studi e la loro dichiarata funzione pedagogica, cui non poteva restare indifferente il mondo cattolico di quegli anni, molto sensibile ai problemi della comunicazione di massa, determineranno una svolta all'inizio degli anni Sessanta, quando, in occasione della Conferenza internazionale di Milano sul tema dell'informazione visiva, si ebbe il passaggio delle consegne dalla "Revue" alla nuova testata "Ikon" dell'Istituto 'Agostino Gemelli' di Milano, la quale accentuerà l'interesse per i mezzi di comunicazione di massa, pur continuando a portare il sottotitolo "Revue internationale de filmologie" e a ospitare scritti di carattere psicofisiologico.
Tra i contributi di carattere estetologico apportati fin dall'inizio alla f. i più importanti furono quelli di É. Souriau, professore alla Sorbona, che nel primo numero della "Revue" intervenne con un saggio dal titolo Nature et limite des contributions positives de l'esthétique à la filmologie. Al filosofo ed estetologo di formazione spiritualistica e di indirizzo personalistico, che nel medesimo 1947 pubblicò La correspondance des arts, e che l'anno successivo diede vita, insieme con Raymond Bayer e Charles Lalo, alla "Revue d'esthétique", si devono altri interventi fondativi nel dibattito filmologico, come per es. il saggio La structure de l'univers filmique et vocabulaire de filmologie (pub-blicato sul nr. 7-8, 1951, della "Revue internationale de filmologie"), il saggio Filmologie et esthétique comparée (pubblicato sul nr. 10, 1952) e la cura di un volume a più mani, L'univers filmique (1953), che raccoglie i risultati di una serie di incontri di studio tenuti presso l'Institut de filmologie ‒ tra i ricercatori coinvolti, lo stesso Souriau, Henri Agel, Jean Germain, Henri Lemaître, Jean-Jacques Rinieri ‒ su specifici argomenti, come per es. l'impressione di realtà al cinema, attività e passività dello spettatore, il tempo del film, le funzioni dei costumi e delle scenografie, la musica e il sonoro, i problemi del film sull'arte. La metodologia utilizzata è indicata dallo stesso Souriau nell'introduzione al libro: incontri e discussioni sui temi di volta in volta trattati, con presentazione di ciascun argomento da parte di un relatore e proiezione di brani di film come esempi e come materiali di studio. In chiusura del libro, il risultato di una piccola ma significativa indagine sul campo: la proiezione del film di Jean Grémillon Le ciel est à vous (1944) a un pubblico di quattordici studenti di f., e la raccolta delle loro opinioni in relazione a un unico tema, quello del ritmo del film e delle sue parti.Sempre di carattere estetologico furono gli interventi di studiosi come Agel, che collaborò alla "Revue" nei primi due anni con saggi sul rapporto tra cinema e letteratura, o come lo storico dell'arte P. Francastel, cui si devono Spazio e illusione (nr. 5, 1949), Études comparées (nr. 20-24, 1955), e un intervento al simposio Techniques nouvelles du cinéma, cui parteciparono anche Sadoul, Abel Gance, Moussinac, Bazin (tutti gli interventi furono pubblicati nel nr. 20-24).Di più generale carattere filosofico e storico-sociologico furono i contributi di due studiosi italiani: Enrico Castelli-Gattinara, direttore dell'Istituto di studi filosofici dell'Università degli Studi di Roma, autore del saggio Philosophie et cinéma (nr. 3-4, 1948), e Luigi Volpicelli, autore di La filmologie en tant que recherche socio-historique (nr. 25, 1955). è chiaro, anche dall'esiguità di questo tipo di interventi, che la linea della f. tendeva verso studi applicati, anche per ciò che concerne le scienze umane (su queste ultime in generale, si veda l'intervento di R. Bayer, professore alla Sorbona, intitolato Le cinéma et les études humaines e pubblicato sul nr. 1 della "Revue"). E infatti rilievo ben maggiore ebbero nella rivista i contributi di carattere sociologico e ancor più quelli di carattere psicologico e psicofisiologico, che avrebbero preso il netto sopravvento dopo i primi anni.Tra i contributi di carattere sociologico vanno ricordati soprattutto quelli di Georges Friedmann ed E. Morin, che pubblicarono sul nr. 10, aprile-giugno 1952 della "Revue" il saggio Sociologie du cinéma, in cui venivano esplicitate alcune ipotesi di fondo dell'approccio sociologico al cinema, in particolare l'interesse per il cinema come istituzione culturale, la dialettica di arte e industria, il ruolo dell'ideologia e la capacità, propria del cinema, di rispecchiare i valori diffusi in una determinata società: "Ogni film, anche il più surreale, è in un certo senso un documentario, un documento sociale. [...] È una sorta di microcosmo attraverso il quale si può ritrovare ‒ certamente deformata, stilizzata, ordinata ‒ l'immagine di una civiltà, la medesima di cui esso è il prodotto". A Friedmann si deve anche la relazione Problèmes sociologiques al Secondo congresso internazionale di filmologia, pubblicata nel nr. 20-24, 1955, della "Revue", che al convegno è dedicato. Mentre a Morin si devono altri due saggi pubblicati sulla "Revue" nel 1953, rispettivamente nei numeri 12 e 14-15: Recherches sur le public cinématographique (che riporta i risultati di un'inchiesta realizzata in dieci Paesi diversi) e Le problème des effects dangereux du cinéma; e una nota, Deux thèmes d'enquêtes sociologiques, pubblicata sul nr. 20-24 (numero della rivista che ospita anche due significative sezioni per la forte componente pedagogica della f., dedicate al convegno internazionale Problème de l'utilisation du film pour la formation et l'information e ai Débats en 1955 sur l'influence du cinéma et sur les problèmes du film et de la jeunesse). Scritti, quelli di Morin sulla rivista, che precedono di pochi anni i tre libri che gli avrebbero dato notorietà tra gli studiosi di cinema e che risentiranno dell'approccio filmologico (i primi due avendo avuto anche un'anticipazione in due interventi dell'autore sulla "Revue", rispettivamente nei numeri 20-24 e 25 del 1955): Le cinéma, ou l'homme imaginaire (1956), Les stars (1957) e L'esprit du temps (1962, uscito in Italia con il significativo titolo L'industria culturale). E precedono anche la collaborazione con Jean Rouch per il film Chronique d'un été (1961), sorta di manifesto del Cinéma vérité.
Accanto agli interventi di Friedmann e Morin, da segnalare Filmologie et sociologie (nr. 2, 1947), firmato da D. Anzieu, futuro psicoanalista, e una serie consistente di studi, dedicati soprattutto al pubblico, al valore educativo del cinema e alle modalità di rapporto di bambini e adolescenti con la pluralità di senso offerta dalle immagini, come per es.: Réflexions sur la valeur éducative du cinéma (nr. 2), firmato dalla dottoressa Juliette Favez Boutonnier, direttrice del Centro psico-pedagogico; Cinéma, science et enseignement (nr. 5, 1949), firmato da Jean Painlevé, direttore dell'Istituto di cinematografia scientifica; Le film, procédé d'analyse projective (nr. 6, 1950), firmato da Agostino Gemelli, il presidente della Pontificia accademia delle scienze cui venne poi intitolato l'Istituto di ricerca sulla comunicazione di Milano nel cui ambito sarà pubblicata dall'inizio degli anni Sessanta la citata rivista "Ikon"; Le cinéma et les images collectives (nr. 6), di M. Ponzo; Les adolescents et le cinéma (nr. 6), degli inglesi W.-D. Wall e E.-M. Smith; Film d'enseignement et filmologie (nr. 7-8, 1951), di M.-C. Lebrun, direttore del Museo pedagogico di Parigi.
Più ancora dell'approccio sociologico, è però quello psicologico che riscosse il maggior interesse da parte della f., che dopo i primissimi anni caratterizzati da un'ampia interdisciplinarità (in cui trovarono spazio, oltre alle tematiche già ricordate, anche quelle relative al rapporto tra il cinema e il teatro, la pittura, l'antropologia) tese sempre più a specializzare le proprie ricerche nella direzione della psicologia sperimentale, con particolare riferimento ai temi relativi allo spettatore, localizzati nell'ambito del pubblico più giovane, in età infantile e prepuberale. A queste ricerche contribuirono talvolta anche la medicina e quasi sempre la psicofisiologia.
Tra gli esponenti di questo particolare approccio si trovano nomi di studiosi di rilievo nell'ambito della psicologia e della psichiatria infantile francese. Anzitutto quelli di H.Wallon, del suo allievo R. Zazzo e della moglie di quest'ultimo, B. Zazzo.Gli interventi di Wallon sulla "Revue" seguono l'iter di un approfondimento sperimentale della percezione del film da parte del bambino. L'elemento di maggior interesse consisteva nel fatto che venivano presi in considerazione aspetti precipui del linguaggio cinematografico e che si stabiliva una connessione tra quegli elementi e l'evoluzione della psicologia infantile, con la conseguenza che quegli esperimenti risultavano utili non solo al campo cinematografico ma anche agli studi sul funzionamento psichico infantile. Così, per es., la fase di "sincretismo soggettivo" che caratterizza la fascia d'età della scuola materna, dai tre ai sei anni, in cui il bambino non è ancora in grado di elaborare una visione oggettiva, ma mescola percezione dell'esterno ed esperienze personali e soggettive, risulta molto chiara negli esperimenti di percezione cinematografica: in questa fase, il bambino non è in grado di comprendere il film ‒ né il suo spazio né il suo tempo ‒ alla maniera degli adulti, stadio di comprensione che il bambino comincia a raggiungere solo alla fine della fase successiva, quella dai sette ai dodici anni, perfezionandone l'acquisizione durante la pubertà; e tuttavia, proprio l'attitudine del "sincretismo soggettivo" rende i bambini estremamente sensibili e interessati alla percezione della "metamorfosi filmica", costituita dal movimento e dalla successione delle immagini. Questo interesse per la pura successione di immagini da parte del bambino, che gli esperimenti di Wallon mettono in rilievo, dimostra da un lato come sia il movimento ciò che suscita la curiosità spettatoriale in quella fascia di età, permettendo al bambino di superare le difficoltà di organizzazione e riconoscimento dello spazio dello schermo, troppo ristretto, e del tempo del racconto, troppo costruito (il che costituiva un dato che poteva tornare utile, nella prospettiva pedagogica della f., a coloro che producevano e realizzavano film per i bambini); ma dall'altro ha conseguenze anche in ordine alla percezione dei film da parte degli spettatori adulti, perché illumina il funzionamento della memoria spettatoriale (altro tema centrale in questi studi: vedi, per es., Sur la mémoire des films, firmato da P. Fraisse e G. de Montmollin sul nr. 9, 1952; e Remémoriation du matériel filmique ‒ Étude expérimentale, firmato da D. J. Bruce nel nr. 12, 1953), che permette all'adulto di ritrovare al cinema una forma di sensibilità che gli è appartenuta da piccolo e che ha perso crescendo. A queste e ad altre indagini di tenore simile lavorano i saggi che H. Wallon scrisse sulla "Revue", in gran parte come risultato di esperimenti in cui uno spazio considerevole è riservato alla fisiologia, e che perciò motivano il ricorso all'elettroencefalogramma praticato da altri psicologi-filmologi, come è evidenziato in particolare nel nr. 16 della rivista (1954), dedicato agli Études experimentales de l'activité nerveuse pendant la projection du film, che raccoglie testi come Modification de l'E.E.G. pendant la projection cinématographique, firma-to da Cohen-Séat, H. Gastaut e J. Bert, Retentissement du "fait filmique" sur les rythmes bioélectriques du cerveau, di Cohen-Séat e J. Faure, Note sur l'électroencéphalographie pendant la projection cinématographique chez des adolescents inadaptés, di G. Heuyer, Cohen-Séat, S. Lebovici, M.me Rebeillard, M.lle Daveau. Tra le pubblicazioni di Wallon sulla "Revue" si ricordano: De quelques problèmes psycho-physiologiques que pose le cinéma (nr. 1), L'enfant et le film (nr. 5, 1949), Introduction au symposium de filmologie (XIII Congrès international de Psychologie, Stockholm, juillet 1951) (nr. 9, 1952), L'acte perceptif et le cinéma (nr. 13, 1953; articolo in cui Wallon distingue, nel complesso delle impressioni spettatoriali, due serie specifiche: la "serie visuale" e la "serie propriocettiva", vale a dire il sentimento del proprio corpo e conseguentemente del mondo reale, che risulta, al contrario della prima, fortemente attenuata), L'intérêt de l'enfant pour les événements et pour les personnages du film (nr. 17, 1954), L'enfant et le film (nr. 26, 1956; ripresa e approfondimento dell'omonimo intervento sul nr. 5).Anche R. e B. Zazzo si proponevano di studiare il modo in cui il film viene compreso dal pubblico infantile, e lo fecero partendo dai test intellettivi, individuando i diversi livelli mentali corrispondenti alle diverse età (R. Zazzo, Niveau mental et compréhension du cinéma, nr. 5, 1949) e verificando sperimentalmente l'evoluzione, età per età, della comprensione degli specifici aspetti del linguaggio cinematografico. Anche in questi studi torna il discorso sull'uscita dalla fase infantile del sincretismo soggettivo e sul raggiungimento della capacità di decentrare il proprio punto di vista, relazionandolo con l'esterno, in rapporto alla comprensione del continuo mutamento del punto di vista che il cinema propone attraverso l'articolazione del proprio complesso linguaggio, l'uso del campo/controcampo e la dinamica del movimento che gli sono propri. Nelle loro ricerche R. e B. Zazzo esaminarono un alto numero di bambini, alcuni dei quali con disturbi psicologici, arrivando a conclusioni di rilievo e ribadendo la centralità del movimento come fattore facilitante nella comprensione del film: "il dinamismo del film induce un dinamismo del racconto [da parte di bambini di quattro anni e mezzo d'età] in un'età in cui il bambino è ancora allo stadio dell'enumerazione o della descrizione statica quando si tratta di immagini o anche di scene vissute; mentre la comprensione della condensazione di ellissi di tempo era probabilmente molto tardiva" (Une expérience sur la compréhension du film, nr. 6, 1950). Gli interventi di B. Zazzo si spinsero fin nelle scuole (Le cinéma à l'école maternelle, nr. 9, 1952), con coinvolgimento delle insegnanti, a ulteriore riprova della diffusione tra i filmologi dell'atteggiamento pedagogico propugnato da Cohen-Séat.Tra gli interventi su tematiche di carattere psicologico apparsi sulla rivista, un piccolo gruppo è dedicato al tema cinema e psicoanalisi: di J. Deprun sono Le cinéma et l'identification (nr. 1) e Cinéma et transfert (nr. 2, 1947); a S. Lebovici, medico ospedaliero, si devono tre scritti: Psychanalyse et cinéma (nr. 5, 1949), Sur quelques réactions d'enfants inadaptés (nr. 9, 1952, scritto insieme con G. Heuyer e L. Bertagna, trio cui si deve anche il successivo Une expérience d'étude de groupe. Le processus de l'identification et l'importance de la suggestibilité dans la situation cinématographique, pubblicato nel nr. 13, 1953), e Cinéma et criminalité (nr. 14-15, 1953); di G.-C. Zapparoli, F.-G. Ferradini e M. Arrigoni sono infine le Observations sur un phénomène d'enrichissement testimonial chez des sujets psychotiques (nr. 38, 1961), mentre il futuro psicoanalista D. Anzieu, oltre al già ricordato Filmologie et biologie (nr. 1), firma nel nr. 2 un secondo intervento dal titolo Filmologie et sociologie.
Tra le problematiche di carattere psicologico applicate al cinema va ricordata con un discorso a parte quella relativa alla cosiddetta impressione di realtà. Essa fu toccata dagli psicologi di cui si è parlato, fu tra i temi del volumetto L'univers filmique, come si è visto, e trovò spazio nella "Revue" fin dal secondo numero, grazie al saggio Le temps, l'espace et le sentiment de réalité firmato da Roman Ingarden, professore all'università di Cracovia, e grazie agli studi del belga A. Michotte van der Berck, ricordati più tardi da Ch. Metz nel suo primo saggio À propos de l'impression de réalité au cinéma (in "Cahiers du cinéma", nr. 166-167, 1965; poi ripubblicato nel 1° tomo degli Essais sur la signification au cinéma, 1968; trad. it. Semiologia del cinema, 1972). Il principale intervento di Michotte sull'argomento porta il titolo Le caractère de "réalité" des projections cinématographiques ed è pubblicato sul nr. 3-4, 1948, della "Revue". Lo studioso collega l'impressione di realtà, così forte nel cinema, al fattore movimento, che dà corporeità agli oggetti permettendo loro di staccarsi dallo sfondo, di acquistare il rilievo e attraverso il rilievo la vita (considerazioni analoghe svolgerà C. Musatti parlando dell'"effetto stereocinetico" nel suo saggio Les phénomènes stéréocinétiques et les effets stéréoscopiques du cinéma normal, pubblicato nel nr. 29, 1957, della "Revue"). Ma, afferma Michotte, il movimento contribuisce all'impressione di realtà anche in un modo più diretto, vale a dire dandosi esso stesso come movimento reale. "è infatti legge generale della psicologia ‒ osserverà Metz nel saggio citato ‒ che il movimento, a partire dal momento in cui viene percepito, sia percepito il più delle volte come reale, contrariamente a molte altre scritture visive come, per esempio, il volume, il quale, da parte sua, può benissimo essere percepito come irreale nel momento stesso in cui lo si percepisce (come succede per i disegni prospettici). A. Michotte ha studiato le interpretazioni causaliste ‒ impressione che qualcosa sia stato "spinto, tirato, lanciato ecc." ‒ che abbozzano i soggetti cui sia stato fatto semplicemente vedere del movimento, grazie a un minuscolo dispositivo combinato in maniera tale da far apparire soltanto il movimento, e non il suo meccanismo produttivo; questo causalismo spontaneo, ritiene A. Michotte, dipende dal fatto che i soggetti non dubitano un solo istante che il movimento sia reale, dato che l'hanno visto" (pp. 36-37). Altri interventi, di grande interesse, pubblicati da Michotte sulla "Revue": Espace et illusion (nr. 6, 1950), La participation émotionnelle du spectateur à l'action représentée à l'écran. Essai d'une théorie (nr. 13, 1953; poi ripreso nel nr. 35, 1960), Le réel et l'irréel dans l'image (nr. 39, 1961).
Negli ultimi anni, la rivista tese, come si è detto, a specializzare i suoi interventi, inclinando da un lato verso la sperimentazione di carattere psicofisiologico e dall'altro introducendo il tema della comunicazione di massa. Quest'ultimo sarà dal 1957 il tema principale della "Revue", in un'evoluzione che porterà a una sorta di naturale avvicendamento con l'italiana "Ikon". Il nr. 29, gennaio-marzo 1957, trova infatti il proprio centro in un discorso sulle "tecniche visive di comunicazione", cui sono dedicati il saggio di Cohen-Séat Nature et portée de l'information par les techniques visuelles e il resoconto di un dibattito sulle tecniche visive di comunicazione e la nozione di informazione, cui avevano partecipato, tra gli altri, lo stesso Cohen-Séat, Morin e R. Pagès, che nel medesimo numero pubblicò lo scritto Les techniques visuelles de diffusion dans leurs rapports avec l'information.
Dopo questo numero, il ritmo della rivista si fece più rado: al successivo nr. 30-31, datato 1958 e dedicato allo studio di un "materiale filmico tematico" fece seguito solo nell'estate del 1960 il nr. 32-33 (gennaio-giugno), che ospita uno scritto di Frederic Bartlett dal titolo Le cinéma et la transmission de la culture, un saggio di P. Fougeyrollas dal titolo L'information visuelle à contenu politique et les relations entre le pouvoir et le public, e uno di H. Dieuzeide intitolato Principes généraux d'une réflexion filmologique appliquée à la télévision, oltre a un lungo scritto a più mani di carattere psicofisiologico (cui partecipò anche Cohen-Séat), alla prima parte di un dossier (la seconda sarà nel numero successivo) dedicato a Le cinéma pour enfants e al primo dei due scritti di R. Barthes sulla "Revue": Le problème de la signification au cinéma (il secondo, Les "unités traumatiques" au cinéma. Principes de recherche, sarà pubblicato nel nr. 34, luglio-settembre 1960, che ospiterà anche due rilevanti interventi sul tema delle tecniche d'informazione).
I numeri 35, 36-37, 38 e 39 della "Revue", pubblicati tra la fine del 1960 e la fine dell'anno successivo, trovano il loro fulcro nelle sperimentazioni cinematografiche di carattere psicologico e psicofisiologico su bambini e su soggetti affetti da disturbi psichici (ancora con la partecipazione diretta del fondatore della rivista), e in un discorso sull'informazione visiva centrato in tutti e quattro i numeri sulla Prima conferenza internazionale di informazione visiva organizzata a Milano, evento che, con la fondazione di un Registro centrale della Ricerca scientifica sull'informazione visiva e con la crescita dell'Istituto di filmologia di Milano, appare decisivo per il passaggio delle consegne filmologiche all'Istituto 'Agostino Gemelli' e per la nascita della nuova rivista "Ikon", il cui Comitato di direzione sarà composto da Leonardo Ancona, Cohen-Séat, F. Bartlett e C. Musatti.
Z. Gawrak, La filmologie: bilan de la naissance jusqu' au 1958, in "Ikon", 1968, 65-66.
G. De Vincenti, Alle origini della semiotica cinematografica: Cohen-Séat, in "Biblioteca teatrale", 1974, 10-11, pp. 189-204.
E. Lowry, The filmology movement and film study in France, Ann Arbor (MI) 1985.
F. Casetti, Teorie del cinema (1945-1990), Milano 1993, pp. 99-101.
J. Aumont, A. Bergala, M. Marie, M. Vernet, Esthétique du film, Paris 1994, éd. revue et augmentée (trad. it. Torino 1995).