Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il pensiero di Comte, sia sul piano epistemologico sia nelle sue connessioni politico-sociali, sottolinea particolarmente l’ideale di una politica razionale e l’esigenza di una concezione scientifica dell’uomo che porta a una prima formulazione della sociologia. Non è possibile separare il suo pensiero dalla profonda crisi di un’epoca, nel tentativo di superare il momento critico per recuperare una visione organica.
La formazione e le idee
Auguste Comte è considerato il principale esponente del positivismo, movimento di pensiero che si sviluppa a partire dalla Francia nella seconda metà del XIX secolo, dando grande impulso alla riflessione filosofica sulle scienze e alla fondazione delle scienze umane. Comte, nato da famiglia cattolica e monarchica, fin dagli anni liceali riceve però un forte influsso dall’ambiente dell’École Polytechnique, prima grande scuola della borghesia industriale francese. Nella rivoluzione del 1831 è sostenitore del governo liberale; nel 1848 manifesta invece un’involuzione politica che lo porta ad approvare il colpo di stato di Luigi Bonaparte, alienandogli molti dei propri seguaci. La sua vita è molto travagliata a causa di problemi familiari, psichici ed economici. Respinto dall’ambiente accademico, si mantiene prevalentemente dando ripetizioni di matematica.
Nel periodo in cui si forma il pensiero comtiano, in Francia le aspirazioni illuministiche al progresso si vanno scontrando con una fase “distruttiva” e rivoluzionaria. Dopo i recenti sconvolgimenti è diffuso il desiderio di ritorno a una società armonica e costruttiva. È in particolare C.H. de Saint-Simon che elabora in tal senso progetti di una società “organica”, tecnocratica e per certi tratti socialista, anche se variamente intesa dai suoi seguaci. Comte collabora per sette anni (1817-1824) alle teorizzazioni e alla propaganda sansimoniana prima di differenziarsene, con posizioni proprie, a partire dallo scritto Piano dei lavori scientifici necessari per la riorganizzazione della società (1822). Resta comunque in lui l’ideale di fondo di una politica che sia finalmente razionale, basata sulla mentalità scientifica e sul corretto ordine naturale, mettendo ormai da parte mentalità vecchie come quella religiosa e quella metafisica.
Che cosa significa “positivo”
Anche i fatti umani devono essere ormai guardati con l’occhio obiettivo della scienza, con un atteggiamento “positivo” (così lo ha denominato Saint-Simon), in quanto positum, stabilito, legato ai dati di fatto e non a speculazioni astratte e a costruzioni immaginarie. Se si riuscisse veramente a trattare anche i temi relativi all’uomo in questo modo, ispirato ai criteri e ai metodi già affermatisi in varie scienze della natura, si avrebbe finalmente a disposizione una scienza dell’uomo che permetterebbe di affrontarne i problemi in modo obiettivo e rigoroso, come mai si è fatto finora. È questo il quadro in cui si colloca, come si nota fin dal titolo, l’opera più influente di Comte, il Corso di filosofia positiva. La pubblicazione, nel 1830, del primo dei sei volumi che lo compongono (l’ultimo uscirà nel ’42) può essere considerata convenzionalmente la data di inizio del positivismo.
La legge dei tre stadi
Auguste Comte
Che cosa significa “positivo”
Opuscoli di filosofia sociale
[Che cosa significa “positivo”]
“[…] nella sua accezione più antica e più comune, la parola positivo designa il reale, in opposizione al chimerico: da questo punto di vista, essa conviene pienamente al nuovo spirito filosofico, così caratterizzato dalla sua costante consacrazione alle ricerche veramente accessibili alla nostra intelligenza, con l’esclusione permanente degli impenetrabili misteri di cui si occupava soprattutto la sua infanzia. In un secondo senso, molto vicino al precedente, ma tuttavia distinto, questo termine fondamentale indica il contrasto dell’utile con l’inutile: allora ricorda, in filosofia, la destinazione necessaria di tutte le nostre sane speculazioni al miglioramento continuo della nostra vera condizione, individuale e collettiva, invece che alla vana soddisfazione di una sterile curiosità. In un terzo significato questa felice espressione è frequentemente usata per qualificare l’opposizione tra la certezza e l’indecisione: essa indica così l’attitudine caratteristica di una tale filosofia a costituire spontaneamente l’armonia logica nell’individuo e la comunione spirituale nell’intera specie, invece di quei dubbi indefiniti e di quelle discussioni interminabili che doveva suscitare l’antico regime mentale. Una quarta ordinaria accezione, troppo spesso confusa con la precedente, consiste nell’opporre il preciso al vago: questo senso richiama la tendenza costante del vero spirito filosofico ad ottenere dappertutto il grado di precisione compatibile con la natura dei fenomeni e dei nostri veri bisogni […]. Bisogna infine notare un quinto significato, meno usato degli altri, quando si usa la parola positivo come il contrario di negativo. Sotto questo aspetto, indica una delle più eminenti proprietà della vera filosofia moderna, mostrandola destinata soprattutto, per sua natura, non a distruggere ma ad organizzare”.
A. Comte, Opuscoli di filosofia sociale, trad. it. di A. Negri, Firenze, Sansoni, 1969
Auguste Comte
I fatti e l’immaginazione
Corso di filosofia positiva
I fatti e l’immaginazione
Dopo Bacone si suol dire, almeno da parte degli spiriti più acuti, che sono conoscenze reali soltanto quelle che riposano sull’osservazione dei fatti. Questa massima fondamentale è evidentemente incontestabile, quando la si applichi, come si conviene, allo stadio maturo della nostra intelligenza. Ma risalendo alla formazione delle nostre conoscenze, è altrettanto certo che lo spirito umano, nel suo stadio primitivo, non poteva e non doveva pensare a questo modo. Infatti, se da un lato è vero che ogni teoria positiva doveva fondarsi su osservazioni, per altro lato è vero che, per effettuare l’osservazione, è necessaria al nostro spirito una qualsiasi teoria. Se osservando i fenomeni non li riferissimo immediatamente ad alcuni principi, non soltanto ci sarebbe impossibile organizzare in qualche modo queste osservazioni isolate e, conseguentemente, trarne qualche frutto, ma saremmo affatto incapaci di ritenerli; e il più delle volte i fatti passerebbero inosservati ai nostri occhi.
Ordine e progresso
L’ordine e il progresso, che l’antichità considerava assolutamente inconciliabili, rappresentano sempre, secondo la natura della civiltà moderna, due condizioni egualmente importanti, la cui intima e indissolubile combinazione caratterizza ormai sia la fondamentale difficoltà sia la principale risorsa di ogni vero sistema politico. Nessun ordine reale può essere stabilito, né soprattutto durare, se non è pienamente compatibile con il progresso; nessun grande progresso porrebbe effettivamente compiersi, se non tendesse infine all’evidente consolidamento dell’ordine.
A. Comte, Corso di filosofia positiva, trad. it. di A. Vedaldi, Torino, Paravia, 1957
Nel Cours troviamo un grande panorama della cultura soprattutto scientifica dell’epoca, basato sulla convinzione che in ogni campo si progredisca passando attraverso tre stati o stadi derivanti dal diverso atteggiamento intellettuale con cui gli uomini cercano di spiegare la realtà che si trovano di fronte (in modo diverso per esempio dal marxismo, il quale spiega i cambiamenti epocali con l’economia). Il primo stadio è quello teologico o religioso, in cui si tenta di spiegare i fenomeni di cui abbiamo esperienza supponendo che derivino da più o meno numerosi agenti soprannaturali, che produrrebbero sia le regolarità sia le eccezioni (miracoli) della natura, per cui dovremmo cercare di ottenere da loro la soluzione dei nostri problemi. Questo stadio è detto anche “fittizio”, perché i suoi prodotti non riescono ancora a distinguersi dalle nostre fantasie, pur manifestando una certa evoluzione interna per cui si passa dal feticismo (che considera animati tutti i fenomeni della natura) al politeismo e infine al monoteismo, che fa dipendere tutto da un unico principio. Il secondo stadio è quello metafisico (considerato intermedio, di passaggio): in esso gli agenti soprannaturali lasciano il posto a delle “forze” inanimate inerenti ai fenomeni del mondo e ritenute capaci di produrli (per esempio la vita viene spiegata con una “forza vitale”). E come lo stadio teologico culmina nella concezione di un Dio unico, così in questo stadio si arriva ad attribuire l’origine di tutto a un’unica forza universale, la natura, che conterrebbe tutte le altre. Il terzo e ultimo stadio, quello scientifico o positivo, è quello in cui si abbandonano le spiegazioni fantastiche, che pure sono state una fonte indispensabile per lo sviluppo della nostra mente, e si sottopongono discorsi e teorie alla testimonianza dell’esperienza, senza far più riferimenti a entità come esseri superiori, sostanze e simili. A contrassegnare lo stadio scientifico ci sono dunque tre “caratteristiche essenziali”: anzitutto sottomissione ai fatti; conosciamo i fenomeni solo in quanto si presentano alla nostra esperienza sensibile – che può variare, migliorare ecc. – e sono quindi sempre suscettibili di approfondimento e rettifica con il progredire degli strumenti di ricerca. In questo senso i dati non sono intoccabili e definitivi, ma possono modificarsi in base a nuovi contesti e strumenti di ricerca. Ciò significa che ogni nostra conoscenza ha un valore relativo, mai assoluto e definitivo. Inoltre lo stadio scientifico è caratterizzato dalla ricerca di leggi, intese come relazioni regolari tra i fenomeni, rinunciando invece alla ricerca di “cause”, siano esse cause prime, ossia generatrici dei fenomeni, oppure cause finali, mete cui i fenomeni stessi dovrebbero “tendere”. Infine, è caratteristico della scienza il collegamento all’azione, fondato sulla previsione di ciò che verrà, alimentata a sua volta dalla conoscenza di ciò che si è verificato in passato: “vedere per prevedere” è il nuovo motto, che comporta la fine dell’atteggiamento contemplativo dello scienziato classico.
Il Corso non si ferma però a queste tre caratteristiche generali delle scienze. Ciascuna di esse ha anche qualche caratteristica metodologica specifica che sviluppa al meglio un aspetto della logica delle scienze, la quale andrebbe studiata tutta per non lasciarsi mancare importanti possibilità. Così, per esempio, in certi settori, come in biologia, predomina l’osservazione strettamente intesa (vale a dire l’esame diretto dei fenomeni come si presentano), in altri, come in fisica, l’esperimento, inteso come un’osservazione artificialmente provocata; nell’astronomia l’esperimento è impossibile e i fenomeni sono per la maggior parte costruiti dalla nostra intelligenza, non essendo possibile vedere azioni come la rotazione della terra, che va invece inferita con ragionamenti e calcoli.
Dato questo quadro, viene spontaneo domandarsi: se il punto d’approdo di ogni sapere è assicurato dal raggiungimento del livello e atteggiamento scientifico, rimane ancora un qualche compito alla filosofia? Secondo Comte sì, nel senso che anche la filosofia deve svolgere un compito funzionale all’avanzamento complessivo delle scienze e più precisamente quello di chiarire il metodo della scienza stessa, nei suoi vari aspetti, e le connessioni delle scienze tra di loro, cioè l’“omogeneità delle dottrine”, dei contenuti elaborati nei vari campi, in modo che non ci siano contraddizioni, anche se non si può pretendere che formino un blocco derivante da un unico principio.
Il quadro delle scienze
Organizzare le conoscenze scientifiche in un corpus omogeneo significa individuare l’ordine in cui ciascuna di esse si colloca rispetto alle altre, insomma costruire una classificazione (gerarchia, scala enciclopedica) delle scienze. Le scienze individuate come fondamentali vanno collegate in un preciso ordine di successione, cioè in un ordine di maggiore o minore generalità. Per esempio, i fenomeni trattati dalla biologia sono meno generali ed estesi di quelli trattati dalla fisica, perché le leggi fisiche valgono per tutti i corpi, non solo per gli organismi viventi. La fisica perciò dovrà venire prima della biologia, che però ha una maggiore “complessità” di aspetti da tenere presenti. Benché, infatti, gli organismi abbiano certamente alla base fenomeni fisici e chimici, non sono riducibili, ossia spiegabili, solo in base alla chimica e alla fisica e bisogna studiarli anche al loro livello con modi specifici e appropriati. Parlare di “classificazione” delle scienze non significa emettere giudizi di valore, si tratta piuttosto di stabilire l’“estensione” e la posizione reciproca delle varie scienze. Quelle “fondamentali” sono sei, che possiamo immaginare disposte in ordine ascendente, tenendo presente che ciascuna suppone necessariamente quelle sottostanti: matematica, astronomia, fisica, chimica, biologia e sociologia. Ciascuna utilizza le leggi delle scienze precedenti, ma possiede anche leggi proprie, non deducibili dalle altre. Va anche sottolineato che, talvolta, Comte elenca solo cinque scienze, lasciando fuori da questo schema la matematica, in quanto la considera uno strumento preliminare e universale di ogni scienza. Particolarmente importante e difficile è il passaggio dalle scienze fisico-chimiche a quelle della vita e della società. Dopo aver analizzato le varie funzioni che costituiscono gli organismi, Comte passa infatti a quelle “intellettuali e affettive”, proprie cioè dei fenomeni “morali” – oggi diremmo psichici o psicologici – specifici dell’uomo. Parlare di funzioni intellettuali, morali e simili, per Comte significa parlare di funzioni “cerebrali”. Benché con la sua scala gerarchica delle scienze dimostri di voler evitare – diremmo oggi – il “riduzionismo” che tratta i fenomeni organici nei termini di quelli fisico-chimici, nel caso dei fenomeni psichici Comte segue ancora ricercatori come F.J.V. Broussais, che ritengono trattabile scientificamente solo ciò che si presenta come “obiettivo” ed esteriormente controllabile, respingendo l’osservazione interiore o introspezione, su cui si basa la psicologia dell’epoca. Nello schema comtiano della classificazione delle scienze non ha quindi posto la psicologia, anche se questa esclusione sarà una delle tesi più contestate da parecchi degli stessi positivisti, tra i quali figurano importanti pionieri della psicologia.
La sociologia
Troviamo invece, come scienza autonoma, lo studio dell’ organismo sociale, cioè della società, in quanto presenta strutture e dinamiche proprie e sta nella posizione di vertice in questa classificazione delle scienze. Finora i fenomeni sociali – lamenta Comte – non sono mai stati affrontati in termini veramente scientifici, e ciò ha avuto gravi conseguenze pratiche, poiché non si sono acquisiti validi concetti direttivi per la politica e tutti hanno preteso di condurla con criteri personali. Ora egli assume come compito fondamentale proprio quello di mettere su basi scientifiche lo studio della società, ossia quella che egli comincia a chiamare la sociologia. Più spesso la chiama anzi fisica sociale, sottolineando la propria intenzione di ispirarsi analogicamente ai metodi delle scienze della natura, in primis della fisica. Non si può comunque vedere nella sociologia una semplice appendice della biologia. Ci sono infatti condizioni sociali che esercitano una loro influenza ed esigono che si passi a un ordine nuovo di leggi. Il concetto che maggiormente distingue la sociologia dalla biologia è l’“idea madre del progresso continuo”, dello “svolgimento graduale dell’umanità”, diversamente dal mondo degli organismi inferiori, che si mostra statico nelle sue forme di vita. La sociologia comtiana è organizzata secondo due direzioni di ricerca, dette rispettivamente statica sociale e dinamica sociale. La statica sociale è lo studio della struttura (dell’anatomia, dell’armonia), vale a dire del principio d’ordine che ogni società deve necessariamente rispettare. Indaga come ogni fatto sociale si leghi agli altri e come perciò nel complesso la società stia insieme. Il “vero principio filosofico” delle “leggi statiche” è dato da un consensus, una tendenza dei corpi viventi che lega insieme il corpo sociale e specialmente i componenti delle società umane. Non si potrebbe spiegare la società se non si ammettesse, per usare una metafora, la presenza di questa specie di collante, che determina la forma minima di aggregazione sociale, l’“unità sociale” elementare, da cui comincia l’indagine, ossia la famiglia. Questa, pur presentando forme diverse a seconda dei tempi e luoghi, è guidata da due imprescindibili principi comuni: la subordinazione dei sessi (in pratica della donna all’uomo) e la subordinazione delle età (dei giovani agli anziani). La donna, per un fatto naturale e fondamentalmente “cerebrale”, dal punto di vista dell’intelligenza astratta è inferiore all’uomo, che deve avere il posto di comando nella società. Comte riconosce invece alla donna una funzione importante sul piano del sentimento e della socialità. La società familiare, a sua volta, determina la formazione di quell’ulteriore grado di organizzazione che è la società generale, costituita da tante famiglie e basata sulla suddivisione del lavoro, entro la quale tutti concorrono alla conservazione del corpo sociale, naturalmente rispettando i propri ruoli.
L’altra dimensione dello studio sociologico è la dinamica sociale, studio del movimento, dello sviluppo, del progresso, legato essenzialmente all’evoluzione intellettuale (Comte parla sì di evoluzione mentale e sociale, ma non mostra grande interesse per l’evoluzione biologica, che pure comincia ad affacciarsi con i lamarckiani). Anche l’evoluzione intellettuale si svolge passando essenzialmente attraverso i “tre stadi” già indicati, a ciascuno dei quali Comte mette in parallelo determinate forme di organizzazione sociale e politica. Così il predominio della mentalità teologica è concomitante a una fase di “società preliminare, in cui l’attività umana dev’essere essenzialmente militare, per preparare gradualmente un’associazione normale”. Questa, dopo la fase di passaggio corrispondente allo stadio metafisico, si sviluppa in concomitanza con l’affermarsi dello spirito positivo e conduce a uno “stato industriale” e al relativo “ordine politico”. Si ha così un iter storico ai cui estremi stanno da una parte la società militare, con una rigida gerarchia, con il clericalismo e lo schiavismo, dall’altra la società industriale, smilitarizzata e fondata puramente su quella divisione di compiti che è richiesta dalla produzione. La nuova società, che dovrebbe rappresentare la situazione “normale” e definitiva dell’umanità ha al suo interno una gerarchia formata da tre “ordini fondamentali”, cioè (in progressione ascendente) “l’ordine industriale o pratico, l’ordine estetico o poetico, l’ordine scientifico o filosofico” (quest’ultimo chiamato a guidare la società). Per affermare tutto ciò Comte si poggia in buona parte sulla tripartizione cerebrale messa in luce dalla “frenologia” di F.J. Gall, secondo cui le attitudini delle persone dipenderebbero dalla predominanza di determinate aree del cervello.
Il secondo Comte
Quanto ora esposto corrisponde agli scritti elaborati da Comte fin quasi alla metà del secolo e soprattutto al Corso di filosofia positiva. Una svolta nel suo pensiero, però, interviene nella seconda parte degli anni Quaranta fino alla morte, avvenuta nel’57. Resta l’ideale della sua sociologia di servire al bene dell’umanità, ma il raggiungimento di questo scopo è affidato non più alla scienza, bensì all’etica e alla religione, personificate in Clothilde de Vaux, sua ispiratrice, che muore trentenne nel 1846 e diviene per lui un vero oggetto di culto. L’opera maggiore di questo periodo è il Sistema di politica positiva che istituisce la religione dell’umanità (4 volumi, 1851-1854), cui si aggiunge il Catechismo positivista o esposizione sommaria della religione universale (1852). Gran parte dei suoi seguaci non lo appoggia in questa nuova direzione, “religiosa” e sentimentale, del suo pensiero. In tutti gli ambienti che elaborano i temi del positivismo avviati da Comte si riscontrano di conseguenza (almeno) due indirizzi, a seconda che si faccia riferimento anche alla sua seconda fase, etico-mistica, o si rimanga più strettamente entro i limiti razionali segnati dalla prima. Per cominciare dall’Inghilterra (Paese in cui fioriscono maggiormente associazioni e comunità comtiane), alla London Positivist Society, fautrice della linea integrale seguita da R. Congreve e F. Harrison, si contrappongono autori assai autonomi nell’utilizzo dei temi comtiani originari. John Stuart Mill, che si era entusiasmato per Comte, era entrato in corrispondenza con lui e aveva perfino contribuito a sovvenzionarlo, a un certo punto, in un libro su Comte e il positivismo (1865) e altrove sottopone a un deciso sfrondamento le sue dottrine: accetta la sua divisione delle scienze e il suo metodo scientifico, accetta la divisione della sociologia in statica e dinamica; critica invece decisamente il rifiuto o la svalutazione che Comte fa di varie discipline (psicologia, economia politica, logica pura, calcolo delle probabilità), lamenta l’eliminazione troppo drastica del concetto di causa, il suo attaccamento alla frenologia, la sua avversione per il liberalismo, per il sistema rappresentativo e la libertà di pensiero, la sua concezione tradizionalista della famiglia e della donna, il “calendario positivista” e l’impostazione chiesastica della sua ultima fase. Quanto all’altro grande esponente del positivismo britannico, Spencer, nella sua nuova classificazione delle scienze e nel suo vasto sistema evoluzionistico (influentissimo anche in Italia, per esempio in Ardigò) si contrappone in gran parte a Comte. In Francia troviamo da una parte il comtismo integrale guidato dallo storico della scienza P. Laffitte e dall’altra autori più liberi e autonomi come il linguista Littré (severo critico in Auguste Comte e la filosofia positiva, 1863), lo storico del cristianesimo Renan, lo psicologo Ribot, il critico letterario e psicologo Taine, i fondatori della sociologia Dukheim e Lévy-Bruhl. È naturale che questi ultimi riprendano in forma più tecnica e concreta la metodologia sociologica, che Comte ha discusso in maniera filosofica generale. Lévy-Bruhl cura la pubblicazione, nel 1899, della Corrispondenza tra Comte e Stuart Mill e pubblica uno studio molto ponderato su La filosofia di Auguste Comte (1900). In Germania, benché il sansimonismo abbia avuto una certa risonanza tra giovani intellettuali, il pensiero comtiano di per sé non trova molto seguito. Nel 1859 esce un saggio di Twesten, Vita e scritti di Auguste Comte, elogiativo, eccetto che per gli effettivi risultati sociologici e la svolta religiosa. Ma nella Germania stessa parecchie delle funzioni svolte storicamente dal positivismo (lotta contro le visioni del mondo teologico-metafisiche, rivendicazione del valore culturale delle scienze naturali, esigenza di una visione scientifica anche dell’uomo) sono assolte da alcuni esponenti del cosiddetto “materialismo tedesco”, come Büchner e Moleschott.
La stessa vastità di discussioni critiche, sia interne sia esterne all’indirizzo positivistico, costringono a riconoscere la fondamentale incidenza di Comte nella cultura contemporanea. Tra i maggiori meriti si possono ricordare l’approfondimento delle discussioni sul metodo e sulla natura della scienza in generale, nonché sulle differenze e sulle connessioni tra le varie scienze o, ancora, il principio di seguire un metodo scientifico anche nello studio dell’uomo e della società, favorendo la creazione delle scienze umane.