PRATICA, FILOSOFIA
. La distinzione di una "filosofia pratica" dalla "filosofia teoretica" risale, quanto alla sostanza, a Socrate e alla sofistica, opponenti la conoscenza del mondo umano a quella del mondo naturale; ma si fa esplicita propriamente in Platone, che distingue in generale la scienza (ἐπιστήμη) in πρακτική (cioè riferentesi alla πρᾶξις, all'azione) e γνωστική (cioè riferentesi alla γνῶσις, alla conoscenza). Aristotele determina ulteriormente la distinzione, affiancando alla scienza "teoretica" (ϑεωρητική) non solo la scienza "pratica" ma anche quella "poetica" (ποιητική), cioè concernente l'attività creatrice delle arti, giacché, secondo l'uso linguistico greco, la ποίησις si distingue dalla πρᾶξις in quanto la prima è attività che produce un risultato e in esso si esaurisce, mentre la seconda è azione che ha il suo fine nel suo stesso agire. La filosofia postaristotelica, preferendo il nome di "etica" per la generale distinzione della scienza dell'azione da quelle della conoscenza (logica" o "canonica") e della natura ("fisica"), fa passare in ombra il termine "pratica"; ma esso ritorna in uso, anche per l'influsso aristotelico, nella terminologia medievale della scolastica, che determina la classica antitesi della philosophia theoretica alla philosophia practica. E da Cristiano Wolff questa passa nella filosofia di Kant, il cui sistema è tutto imperniato sul binomio della "ragion teoretica" e della "ragion pratica" (la Critica della ragion pura è infatti, com'è noto, critica della ragion pura teoretica, così come la Critica della ragion pratica è critica della ragion pura pratica). La terminologia kantiana consolida, nello stesso tempo, la distinzione della "pratica" dall'"etica" (o dalla "morale"), la prima concernendo in generale il mondo dell'azione e la seconda determinando in seno a questo mondo, la sfera dell'attività moralmente valida. "Tecnico-pratici" sono, così, i principî che regolano l'azione in vista del raggiungimento di un fine particolare, e cioè gl'imperativi ipotetici, mentre "etico-pratici" (moralisch-praktisch, o sittlich-praktisch) sono gl'imperativi categorici, dirigenti l'azione al compimento incondizionato del dovere morale. Questa determinazione generale del concetto di "pratica" nei suoi rapporti con quello più specifico di "etica" riappare più volte nel pensiero postkantiano: così, nella filosofia italiana contemporanea, essa è ripresa dalla concezione crociana della "filosofia della pratica" come comprendente in sé un' "economica", dottrina della volontà tendente al fine individuale e un'"etica", dottrina della volontà tendente al fine universale come a fine individuale (con distinzione che dal punto di vista terminologico era già in certa misura anticipata dalla definizione wolffiana - erede peraltro, a sua volta, di una distinzione della scuola peripatetica - della philosophia practica universalis come tripartita in ethica, oeconomica e politica). Non solo questa distinzione, ma anche quella più generale della filosofia pratica dalla teoretica è invece esclusa dall'idealismo attualistico, che concependo la teoria stessa come prassi, cioè come eterno fare, nega la particolare filosofia della pratica proprio in quanto l'identifica con l'universale dottrina dello spirito.