Fisco
Questa voce serve a fare il punto, agli inizi del 3° millennio, sullo stato attuale del sistema fiscale italiano e sui principali problemi che il tema della fiscalità incontra sul piano scientifico e applicativo. Si ritiene dunque opportuno ripartire l'argomento nei diversi profili sotto cui esso rileva.
Il profilo normativo
Nell'ordinamento repubblicano, rimasto privo di pratica realizzazione l'ambizioso progetto presentato da E. Vanoni con il Rapporto della Commissione economica all'Assemblea Costituente del 1946 che coinvolgeva tutti gli aspetti, sostanziali e formali, del concorso dei privati alle pubbliche spese e tutti i possibili livelli di fonti normative (Costituzione, legge tributaria generale, singole leggi di imposta, atti degli enti locali), anche il successivo progetto di riforma tributaria degli anni Settanta del Novecento è entrato in crisi per la progressiva divaricazione tra la accurata considerazione della disciplina sostanziale dei tributi e la insufficiente valutazione dei problemi inerenti all'attuazione del tributo e, in particolar modo, all'accertamento.
Con l'attuazione della riforma tributaria degli anni Settanta del 20° sec., nel suo schema originario e nelle modificazioni successive, può dirsi che l'Italia si fosse finalmente dotata di un sistema tributario strutturalmente all'altezza di quelli che gli altri Paesi industrializzati avevano cominciato ad adottare fin dagli inizi del secolo. Esso conteneva in sé i germi della propria modernità, ma anche del proprio possibile insuccesso. In primo luogo, la generalizzazione delle ritenute d'acconto coinvolse e responsabilizzò una grande massa di contribuenti: le dichiarazioni passarono da 5 a 20 milioni determinando una grande attenzione dell'opinione pubblica per i problemi del fisco. In secondo luogo, la generalizzazione della rilevanza fiscale delle scritture contabili estesa a tutte le imprese e ai professionisti rese presto evidenti i limiti dell'amministrazione nell'accertamento e consentì pratiche evasive di ampie dimensioni. La pubblicazione di un libro bianco sullo stato dell'amministrazione mise subito in evidenza questi inconvenienti della riforma: ne derivò il progressivo accollo ai privati di funzioni pubbliche. In particolare, l'autoliquidazione dei tributi in dichiarazione e il versamento spontaneo, anche attraverso acconti d'imposta sempre più alti, presso le banche e gli istituti di credito.
Come per la riforma Vanoni, ancora una volta il conservatorismo e l'inadeguatezza dell'amministrazione sono stati la causa principale della crisi della riforma. Alla relativa adeguatezza sul piano strutturale, corrispose inadeguatezza sul piano formale, specie dell'accertamento, della riscossione e del contenzioso.
Sul piano dell'accertamento, a fronte di una fiscalità di massa e di un'amministrazione inefficiente, si è assistito a continui interventi legislativi che erano diretti a selezionare i contribuenti da accertare e a introdurre criteri induttivi di accertamento,in special modo per le imprese minori. Per un verso si sono introdotti i controlli globali a sorteggio, i metodi di accertamento programmato, le liste selettive; per altro verso metodi sintetici di accertamento, il redditometro e, soprattutto, i coefficienti, i parametri fino agli studi di settore. Sul versante della riscossione si sono generalizzati anche alle imposte indirette l'autoliquidazione e il versamento spontaneo del tributo e introdotti acconti, anche giustificati da esigenze di cassa, sempre più vicini al cento per cento dell'imposta.
Sul piano strutturale, esigenze di semplificazione e sentenze della Corte costituzionale spingono verso la progressiva cedolarizzazione dell'IRPEF: i redditi di capitale, interessi, dividendi e poi anche le plusvalenze su titoli, vengono assoggettati a ritenute secche e a imposte sostitutive e sottratti alla progressività dell'imposizione; all'ILOR sono sottratti i redditi di lavoro autonomo. Tenuto conto dell'estrema diffusione delle società di capitali anche per attività medio piccole, e dei numerosi regimi speciali e forfettari per le imprese minori, l'IRPEF finiva per colpire in modo prevalente i redditi di lavoro, posto che i redditi immobiliari erano tassati con il metodo catastale.
Negli anni Ottanta il nostro Paese ha iniziato ad aprirsi ai fenomeni di internazionalizzazione, ma ha subito al tempo stesso le crisi finanziarie e monetarie mondiali, e le conseguenze in termini d'inflazione. Alla elevata crescita del PIL, anche a causa della elevata inflazione, ha corrisposto nel decennio quasi il raddoppio del debito pubblico. Le esigenze di gettito, anche per far fronte agli interessi sul debito pubblico in continuo aumento, hanno condizionato pesantemente la politica fiscale. È un periodo di continuo e affannoso ricorso alla leva fiscale che ha inciso profondamente e negativamente sulle caratteristiche strutturali e formali del sistema.
Sotto il profilo degli strumenti normativi adottati, è venuto meno in primo luogo il contributo della dottrina alla formazione dei testi legislativi. L'episodicità degli interventi normativi tanto sul diritto tributario sostanziale quanto soprattutto su quello formale ha contribuito a indebolire il concetto di sistema e, al contempo, ha reso assai difficile l'azione dell'amministrazione nonché quella dell'interprete. Allo stesso tempo, l'apertura globale dei mercati moltiplicava, da un lato, le opportunità di pianificazione (e di elusione) fiscale e, dall'altro lato, raccomandava all'amministrazione finanziaria comportamenti di correttezza nei confronti dei contribuenti comparabili con quelli degli altri Paesi industrializzati.
Da qui, negli ultimi anni del secolo scorso e nei primi di questo secolo, la prevalente attenzione, rispetto all'evasione, al fenomeno dell'elusione, ossia all'utilizzo di comportamenti legittimi, ma consistenti in aggiramenti della norma tributaria sostanziale: con l'art. 37 bis del d.p.r. 29 sett. 1973 nr. 600 il legislatore ha introdotto una norma generale antielusiva che ha consentito al f. di riqualificare atti, fatti e negozi elusivi, soprattutto relativi a imprese e società, quando privi di valide ragioni economiche e diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario, e a ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti. La norma antielusiva si è avviata ad assumere importanza centrale nel diritto e nella pratica tributaria, consentendo all'amministrazione finanziaria di disconoscere gli effetti di operazioni societarie formalmente legittime, ma fiscalmente dannose.
Per un altro verso, le pressioni per un f. civile a fronte di una legislazione spesso inintellegibile per le incrostazioni e le complicazioni normative hanno ottenuto un importante risultato con l'emanazione della l. 27 luglio 2000 nr. 212, contenente Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente. Essa costituisce una sorta di legge sui principi generali del diritto tributario relativi alla normazione, all'informazione nonché alla conoscenza degli atti da parte del contribuente, alla tutela dell'integrità patrimoniale, all'affidamento e alla buona fede, infine alla tutela del contribuente rispetto alle incertezze legislative, alle verifiche fiscali e, in generale, al comportamento della pubblica amministrazione.
Riguardo alla loro gerarchia, le disposizioni dello Statuto prevedono una cosiddetta clausola di autorafforzamento in quanto costituiscono principi generali e possono essere derogate o modificate soltanto espressamente e mai da leggi speciali. È interessante notare che questa clausola di autorafforzamento è già stata più volte ignorata dal legislatore che ha continuato a emanare norme retroattive, ma è stata invece presa in seria considerazione dalla Corte di cassazione che ha considerato principi generali immanenti dell'ordinamento alcuni tra quelli affermati dallo Statuto soprattutto con riguardo alla tutela dell'affidamento e della buona fede (Cassazione civile, 10 dic. 2002 nr. 17576). L'oscurità legislativa in materia tributaria ha indotto più volte la dottrina a porsi il problema della codificazione. Se per un verso si è ritenuto poco praticabile un codice generale che abbracci anche la parte speciale della materia (in relazione all'esigenza di poter continuare a manovrare frequentemente la leva della disciplina dei singoli tributi) si è ritenuto che la parte generale del codice potesse includere almeno l'attuale Statuto più la disciplina dell'attuazione del tributo: accertamento, riscossione, sanzioni e contenzioso.
È dubbio, peraltro, che anche alla disciplina formale del tributo possa riconoscersi attualmente un sufficiente grado di stabilizzazione tale da consentirne la cristallizzazione in un codice.
L'ambiziosa aspirazione alla redazione di un codice che fosse articolato in una parte generale e in una parte speciale che consolidasse la riforma del sistema fiscale delineata nella l. 7 apr. 2003 nr. 80 è tuttavia tramontata per decorso senza proroga del termine biennale fissato per l'emanazione dei decreti delegati previsto dall'art. 10 della stessa legge.
Il diritto tributario sostanziale
Il sistema tributario italiano ha subito negli ultimi tempi radicali cambiamenti il cui effettivo impatto sistematico è ancora per molti versi tutto da decifrare e rispetto ai quali sono state comunque avanzate significative critiche da parte della dottrina. Basato prevalentemente su imposte cedolari e reali nella riforma degli anni Cinquanta, con la riforma degli anni Settanta è stato incentrato su due imposte principali sul reddito delle persone fisiche e giuridiche a carattere personale e su un'imposta reale, l'ILOR, in funzione di discriminazione qualitativa dei redditi non guadagnati; oltre all'IVA, imposta europea sugli scambi. Venuta meno l'ILOR, che mai era stata sostituita con un'imposta dichiaratamente sul patrimonio come nei progetti di riforma originari, essa è stata sostituita con l'IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive) e a livello comunale con l'ICI (Imposta Comunale sugli Immobili), che ha un marcato carattere patrimoniale.
All'inizio del 21° sec., con la dichiarata intenzione di semplificare il sistema nel suo complesso, di ridurre il carico fiscale sul reddito delle famiglie e dei meno abbienti da un lato, e di favorire la competizione internazionale delle nostre imprese e società dall'altro, il sistema è stato nuovamente sconvolto (oltre che con la soppressione dell'imposta sulle successioni e donazioni che, nonostante il limitato gettito, rivestiva comunque un significativo ruolo sistematico) con l'annuncio di una riforma delineata con la legge delega 7 apr. 2003 nr. 80, che avrebbe dovuto ridurre a cinque il numero delle imposte; rivedere la tassazione del reddito delle persone fisiche includendo tra queste gli enti non commerciali e riducendo le aliquote a due (23% e 33%); modificare radicalmente l'imposizione delle società sostituendo il metodo della participation exemption a quello del credito d'imposta per eliminare la doppia imposizione dell'utile prima in capo alla società e poi in capo al socio; semplificare il sistema dell'IVA; concentrare e razionalizzare tutte le imposte indirette sui trasferimenti e i consumi in un'unica imposta sui servizi.
Vicende politiche e di finanza pubblica non hanno consentito, come era prevedibile, la realizzazione di un programma così ambizioso nei tempi ristretti (due anni) previsti per la redazione dei decreti delegati. La riforma è stata infatti realizzata in due soli moduli relativi all'imposizione sul reddito: il primo, attuato con le leggi 27 dic. 2002 nr. 289 e 30 dic. 2004 nr. 311, ha condotto alla riduzione da 5 a 4 delle aliquote IRPEF, e alla sostituzione delle detrazioni d'imposta con deduzioni dall'imponibile al fine di creare una zona esente per i redditi minori che decresce con il crescere del reddito imponibile e si azzera a 78.000 euro; il secondo, assai più incisivo, ha integralmente innovato l'imposizione sulle società modificando il nome dell'imposta (IRES in luogo di IRPEG), sostituendo e rinumerando integralmente (anziché novellarlo) il d.p.r. 22 dic. 1986 nr. 917 (Testo unico delle imposte sul reddito) con il d. legisl. 12 dic. 2003 nr. 344, e trasferendo tutta la disciplina del reddito d'impresa dall'area dell'imposta sulle persone fisiche a quella sulle società.
Con riguardo a quest'ultima, il legislatore ha attenuato la natura personale e accentuato quella reale dell'imposizione IRPEG da un'imposta prelevata in capo alla società, ma imputata come credito ai soci sul loro dividendo, in IRES, cioè un'imposta che viene prelevata per intero in capo alla società che produce il reddito (con aliquota del 33%).
La doppia imposizione sugli utili distribuiti ai soci viene attenuata o elisa esentando (participation exemption) il dividendo per il 95% in capo a ciascun socio ente commerciale per il quale la partecipazione costituisce investimento finanziario e per il 60% in capo al socio finale persona fisica. La stessa regola vale per le plus e minusvalenze relative a queste partecipazioni.
Questo meccanismo ha sostituito il precedente che neutralizzava la doppia imposizione accreditando ai soci l'imposta pagata dalla società e che era criticato in ambito europeo poiché, non consentendo l'accredito ai soci non residenti, sfavoriva questi ultimi.
La riforma dell'imposta sul reddito delle società, allo scadere del biennio previsto dalla legge di delega, è in realtà l'unica modifica sostanziale di un sistema che avrebbe dovuto essere integralmente ristrutturato e raccolto in un codice tributario. L'interruzione del percorso ha finito per aggiungere complessità a un ordinamento già troppo complicato e per togliere coerenza a un sistema che appare piuttosto ispirato a logiche particolari, antielusive e agevolative. Da ultimo, con la legge finanziaria varata per il 2007, il governo ha sostanzialmente azzerato l'ultima riforma IRPEF rimodulando in cinque scaglioni la curva delle aliquote e ristrutturando integralmente la cosiddetta no tax area. Ha introdotto una moderata imposizione su successioni e donazioni sotto forma di imposta di registro sugli atti a titolo gratuito. Ha infine insediato una commissione di studio per la riforma dell'IRES.
Il diritto tributario formale (procedimentale e processuale)
Come si è visto in precedenza, nella storia recente del nostro ordinamento tributario, debolezza politica dei governi di coalizione e vicende della finanza pubblica non hanno consentito di incidere in modo strutturale e sistematico sui presupposti sostanziali e sulle aliquote dei tributi. Una intensa attività legislativa ha invece riguardato i profili formali del tributo e soprattutto l'accertamento, la riscossione e le sanzioni, sui quali reagivano da un lato esigenze di gettito che raccomandavano la massima anticipazione del prelievo, dall'altro esigenze di contrasto all'evasione con strumenti di carattere generale viste le scarse capacità del f. di reagire ai singoli comportamenti evasivi dei contribuenti.
L'anticipazione del prelievo è una costante, nel nostro ordinamento, dagli anni Settanta, quando alle iscrizioni provvisorie a ruolo furono affiancate le autoliquidazioni in dichiarazione e i versamenti in banca o in tesoreria provinciale. Da allora, attraverso la generalizzazione delle ritenute, l'introduzione degli acconti d'imposta via via sempre più vicini al 100% del tributo dovuto e la liquidazione e riscossione dell'imposta in sede di controllo formale della dichiarazione introdotta con gli artt. 36 bis e 36 ter del d.p.r. 29 sett. 1973 nr. 600, si è realizzato un assetto dell'accertamento e della riscossione per cui al momento della dichiarazione da parte del contribuente si è di solito integralmente realizzata la riscossione spontanea di tutto quanto dovuto in base alla dichiarazione stessa.
Allo scopo di elevare il livello di compliance dei contribuenti si è operato, per un verso, con misure premiali di carattere generale: i condoni previsti dalle leggi 30 dic. 1991 nr. 413, 30 nov. 1994 nr. 656, 27 dic. 2002 nr. 289, che hanno subordinato alla dichiarazione integrativa, autoliquidazione e versamento del dichiarato determinati benefici in termini di riduzione dell'imposta e preclusioni dall'accertamento; per altro verso, con meccanismi automatici e statistici di determinazione dell'imponibile (solo per fare alcuni esempi, coefficienti, parametri, studi di settore), con il rispetto dei quali il contribuente era messo al riparo da ulteriori pretese del fisco.
Il legislatore ha offerto il massimo spazio all'adempimento spontaneo del contribuente in sede di dichiarazione/autoliquidazione/versamento, ma ha anche anticipato i tempi dell'accertamento introducendo, con l'art. 41 bis del d.p.r. 29 sett. 1973 nr. 600, l'accertamento parziale di cui è stato progressivamente ampliato l'ambito di applicazione già in presenza di qualunque elemento anche presuntivo e basato su indici, coefficienti e studi, in modo da consentire al f. di accertare materia imponibile e iscrivere a ruolo imposta non appena in possesso di elementi fondati e, dunque, nel tempo più ravvicinato possibile rispetto al loro verificarsi. Il principio della unicità e globalità dell'accertamento è stato così fortemente intaccato.
L'altra linea evolutiva, che si è affermata fortemente nel corso del decennio che precede il 2006, riguarda il rafforzamento della posizione del privato nella fase di accertamento.
In parte per la difficoltà di gestire una fiscalità di massa, in parte per le esigenze di origine europea e internazionale di riconoscere maggiore 'civiltà' ai rapporti tra f. e contribuente (sancite poi nello Statuto), si sono moltiplicate negli ultimi anni le misure premiali, di definizione consensuale, di partecipazione del contribuente alle fasi di attuazione del tributo.
Per quanto riguarda i condoni, essi hanno riguardato quasi senza soluzione di continuità il periodo 1990-2003 alleggerendo i compiti di gestione del f., ma sguarnendone le capacità operative e di accertamento. Con l'art. 33 del d.l. 30 sett. 2003 nr. 269 si è introdotto il concordato preventivo e con la l. 30 dic. 2004 nr. 311, art. 1, 387°-398° co. la pianificazione fiscale concordata, che consentono persino di proiettare verso il futuro i benefici di una definizione standardizzata del reddito imponibile sulla base di indici o studi di settore negoziati con il fisco.
La generalizzazione della definizione dell'imponibile con adesione (concordato: d. legisl. 19 giugno 1997 nr. 218) ha sicuramente concorso alla responsabilizzazione dell'amministrazione finanziaria e a eliminare i vecchi formalismi nell'esercizio della funzione vincolata d'imposizione. È da auspicare che si formino indirizzi costanti che guidino gli uffici nell'esercizio dei loro poteri.Infine, il moltiplicarsi degli obblighi di chiamata, di interlocuzione, di comunicazione, di notifica al contribuente dei diversi atti tributari al fine di partecipare al procedimento sia in funzione collaborativa sia in funzione difensiva (contraddittorio), pone in evidenza un nuovo modo di esercitare la funzione tributaria nel rispetto dei principi di buona fede e di affidamento che sono ora sanciti nello Statuto dei diritti del contribuente.
Lo stesso è da dire per l'espandersi dei diversi tipi di interpello (art. 21 della l. 30 dic. 1991 nr. 413; d. legisl. 8 ott. 1997 nr. 358; art. 37 bis, 8° co., del d.p.r. 29 sett. 1973 nr. 600; art. 11 della l. 27 luglio 2000 nr. 212) e del ruling internazionale (art. 8 nel d.l. 30 sett. 2003 nr. 269) con cui sempre più frequentemente i contribuenti sono messi in condizione di conoscere preventivamente la posizione vincolante per l'amministrazione sulle fattispecie da essi realizzate.
Tutti i sopra ricordati strumenti di partecipazione del privato alla attuazione del tributo, se hanno attenuato la rigidità e i formalismi ingenerati dalla riserva di legge, dal principio di stretta legalità e di indisponibilità dell'obbligazione tributaria, hanno tuttavia incentivato la 'privatizzazione' del rapporto tra f. e contribuente.
La stessa costituzione delle Agenzie fiscali, enti di diritto privato che gestiscono i tributi su concessione del Ministero dell'Economia e delle Finanze, può favorire il rinascere di profili privatistici nella gestione del tributo evocando in qualche modo la distinzione tra Fisco ed Erario nel diritto romano.
Se, in conclusione, una rivalutazione dell'apporto del privato e dei principi di affidamento e buona fede è sicuramente da salutare con favore, non si deve ritenere, invece, che una eccessiva privatizzazione nella gestione del tributo corrisponda alla funzione pubblica di applicazione di esso in ragione della capacità contributiva del soggetto passivo, così come ancora previsto dall'art. 53 della Costituzione.
Sul piano sanzionatorio, successivamente alla riforma delle sanzioni amministrative realizzata negli anni Novanta (decreti legislativi 18 dic. 1997 nr. 471 e nr. 472) con la quale era stata affermata la natura afflittiva di tali sanzioni la cui disciplina era stata costruita sul modello di quella delle sanzioni penali e ispirata al principio di personalità anziché al principio di reintegrazione patrimoniale, si è provveduto prima con la l. 25 giugno 1999 nr. 205 di delega per la riforma del sistema penale tributario e successivamente con il decreto delegato 10 marzo 2000 nr. 74 a realizzare tale riforma.
Infine, sul piano del processo, dopo la riforma recata dai decreti legislativi 31 dic. 1992 nr. 545 e nr. 546 (il secondo entrato in vigore il 1° apr. 1996) la situazione si è positivamente stabilizzata. Le misure sostanziali di deflazione del contenzioso (condoni e concordati) soprattutto, ma anche la liturgizzazione del processo tributario ora modellato sul processo civile da cui trae gli adempimenti formali, la rappresentanza tecnica, le regole del contraddittorio e del giudizio, hanno grandemente ridotto il numero e l'arretrato dei processi e migliorato la qualità dei giudizi e delle sentenze.
Resta da smaltire l'arretrato della Commissione centrale che opera a esaurimento dell'arretrato mentre si sta accumulando arretrato presso la Corte di cassazione la cui unica Sezione tributaria costituisce ormai il solo giudice ordinario nell'intero processo tributario. La natura di giudice di legittimità, con la limitazione di giurisdizione che ne consegue, appare ora come inconveniente tutte le volte che le prospettazioni nel giudizio di merito impediscono alla Cassazione una cognizione piena della controversia.Sull'altro versante, peraltro, la generalizzazione a tutti i tributi sia erariali sia locali della giurisdizione delle commissioni tributarie (art. 12, 2° co., nella l. 28 dic. 2001 nr. 448) ha sicuramente semplificato e riordinato il quadro del contenzioso.
Alcuni miglioramenti, pochi per la verità, sono tuttavia ancora resi necessari in seguito al riordino delle competenze giurisdizionali in campo civile e in campo amministrativo e dalla costituzionalizzazione dei principi del giusto processo (art. 111 della Costituzione). Il giudice tributario è ormai pacificamente giudice esclusivo delle situazioni soggettive coinvolte nell'attuazione del tributo e il processo costituisce la tutela dei diritti del contribuente sia alla tutela dell'integrità del proprio patrimonio, sia alla legittimità dell'imposizione, sia infine alla contestazione del relativo potere. Le aree di frizione con il giudice civile e amministrativo si sono grandemente ridotte nell'interesse della tutela effettiva delle pretese sostanziali delle parti: chiariti quasi del tutto i problemi in materia di esecuzione, di tutela cautelare e di esecuzione della sentenza (ottemperanza), residuano soltanto problemi di fondo legati alla natura impugnatoria del giudizio davanti alle commissioni, al risarcimento del danno aquiliano, ai danni da esercizio illegittimo dei poteri istruttori.
Il sistema fiscale italiano tra federalismo e globalizzazione
Dalla metà degli anni Novanta il sistema fiscale italiano è stato sottoposto alla potente azione di due forze divaricanti quali il federalismo e la globalizzazione. Quello che è stato definito il tramonto degli Stati nazione, sul cui radicamento territoriale era stato basato il diritto tributario sia interno sia internazionale, ha da un lato determinato la cessione di quote progressive di sovranità tributaria agli enti substatali (regioni, comuni), dall'altro l'adozione di misure interne di competizione fiscale con gli altri ordinamenti e le reazioni degli altri ordinamenti nazionali e sovranazionali nei confronti dell'ordinamento italiano.
In presenza di un sistema tributario molto accentrato nonostante la lettera dell'art. 119 della Costituzione e basato sostanzialmente su trasferimenti dallo Stato agli enti locali, il federalismo fiscale voluto dalle forze politiche ha iniziato ad affermarsi con il d. legisl. 15 dic. 1997 nr. 446 che ha introdotto l'IRAP e riordinato la disciplina dei tributi degli enti locali attribuendo a questi ultimi una generale potestà regolamentare (art. 52).
Con il d. legisl. 28 sett. 1998 nr. 360 si sono introdotte addizionali comunali e provinciali all'IRPEF e con il d. legisl. 18 febbr. 2000 nr. 56, in esecuzione della delega 13 maggio 1999 nr. 133, si sono introdotti nuovi meccanismi di finanziamento (addizionali IRPEF e IVA) per le regioni e di perequazione interregionale. La più importante riforma in senso federalista si è avuta con la legge costituzionale nr. 3 del 2001 che ha riformato il Titolo V della Costituzione (artt. 114-132).
Nell'assetto costituzionale vigente sono materie di legislazione statale esclusiva (art. 117, 2° co.) il sistema tributario e contabile dello Stato e la perequazione delle risorse finanziarie. Sono materie di legislazione concorrente con le regioni (art. 117, 3° co.) l'armonizzazione dei bilanci pubblici e il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario: in queste materie spetta alle regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali riservata alla legislazione dello Stato.
Infine sono materie di competenza regionale esclusiva tutte le altre non espressamente riservate allo Stato (art. 117, 4° co.). A sua volta l'art. 119 della Costituzione stabilisce, in base all'ordinamento vigente dal 2001, che i comuni, le province, le città metropolitane e le regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa (1° co.).
Gli stessi soggetti hanno risorse autonome: stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri in armonia con la Costituzione e secondo principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (2° co.). Una riforma così incisiva e per molti versi non esaustiva avrebbe meritato immediate disposizioni applicative e di attuazione: tanto più che il testo costituzionale invoca più volte il coordinamento e l'armonizzazione nonché evoca, sia pure con significazioni ed effetti diversi, il concetto di sistema tributario.Peraltro la delicatezza politica della materia, suscettibile di scontentare la totalità delle autonomie locali, ha indotto le forze politiche a non intervenire lasciando in pratica la riforma costituzionale inattuata e i pochi indirizzi applicativi rimessi a sentenze, per la verità conservatrici, della Corte costituzionale (sentenze 37/2003; 274/2003; 236/2004; 241/2004).
I vantaggi dell'evoluzione del sistema tributario verso il federalismo fiscale e dunque verso un ampliamento della potestà impositiva e dell'autonomia di gestione degli enti locali sono generalmente individuati, nel dibattito politico, nelle garanzie di maggior efficienza e trasparenza dell'azione pubblica che deriverebbero da un diretto reperimento sul territorio dell'ente locale delle risorse necessarie al funzionamento dello stesso e da una diretta gestione dell'accertamento e della riscossione dei tributi. Una amministrazione locale che deve finanziarsi con tributi di propria istituzione e ricollegati al suo territorio sarebbe infatti incentivata a gestire al meglio tali risorse; e, dall'altro, i contribuenti potrebbero 'controllare'in modo assai più efficace le amministrazioni locali, misurando direttamente il rapporto tra entità del sacrificio fiscale loro richiesto e i servizi e gli investimenti forniti dall'ente locale impositore. Non bisogna d'altro canto dimenticare che il federalismo fiscale porta con sé una serie di controindicazioni che potrebbero risultare superiori ai segnalati vantaggi. Innanzi tutto il riconoscimento di una effettiva autonomia impositiva a una pluralità di enti locali può facilmente tradursi in una duplicazione di imposizione sullo stesso presupposto.
D'altro lato, la gestione a livello locale dell'accertamento e della riscossione dei tributi non appare compatibile con l'attuale struttura organizzativa degli enti locali; si pensi alla difficoltà di gestire, a livello comunale o regionale, imposte che gravano su un reddito derivante da attività economiche svolte su un territorio ben più ampio di quello dell'ente locale; si pensi, ancora, alla difficoltà e alla illogicità di spostare a livello locale un'imposta sempre più europea come l'IVA. La scelta del federalismo fiscale, che pure resta sicuramente da perseguire, deve dunque fare i conti con le attuali strutture e capacità organizzative degli enti locali, poiché non si può ritenere che i difetti del sistema tributario, in gran parte derivanti dalle inefficienze dell'amministrazione centrale, possano essere guariti dall'attribuzione di una autonoma potestà impositiva ai Comuni e alle Regioni.
Infine, occorre evitare, da un lato, che il federalismo faccia lievitare la spesa degli enti locali pregiudicando il rigore della finanza pubblica, dall'altro che le esigenze di rispettare il patto di stabilità interno e comunitario si traducano o in incrementi indiscriminati dell'imposizione locale (come sta purtroppo avvenendo) ovvero in dequalificazione e differenziazione della spesa degli enti locali.
Sul versante internazionale e sovranazionale, dopo più di un decennio di competizione fiscale fra Stati e di sfrenata pianificazione fiscale transnazionale da parte dei contribuenti, si è imposta dalla metà degli anni Novanta una linea più rigorosa di coordinamento e di controllo. A partire dall'ECOFIN di Verona nel 1996 l'Unione Europea ha ripreso in mano i dossier fiscali ed elaborato il cosiddetto pacchetto Monti, incentrato sul coordinamento della fiscalità delle rendite finanziarie, sull'adozione di un codice di condotta contro la concorrenza fiscale dannosa (in merito alla quale l'OCSE aveva da tempo avviato studi e raccomandazioni), infine sull'armonizzazione della tassazione di interessi e royalties.
A ben vedere, la rinnovata attenzione dell'Unione Europea per i temi della competizione fiscale è da ricondursi al precedente libro bianco di J. Delors, che aveva sottolineato lo sfavore fiscale di cui soffrivano nel Mercato unico i redditi di lavoro fissi e non pianificabili, rispetto ai redditi di capitale e d'impresa che potevano scegliersi la giurisdizione in cui venire tassati: da cui la competizione tra giurisdizioni per attrarre tali redditi sotto il profilo fiscale.
Dal momento però che il Trattato U.E. non consentiva all'Unione interventi in materia di imposizione sul reddito, riservata alla sovranità dei singoli Stati, gli strumenti disponibili costituiti da raccomandazioni e decisioni (cioè strumenti di soft law non vincolanti per gli Stati) sono stati sostituiti, a decorrere da una importante comunicazione del 1998, con gli strumenti di hard law previsti dal Trattato per gli aiuti di Stato (art. 87 e segg.). In definitiva il passo compiuto dalla Commissione e dalla Corte europea di Giustizia è stato quello di affermare che nel concetto di aiuto di Stato rientrano anche le misure di carattere fiscale (esenzioni, agevolazioni, regimi sostitutivi) suscettibili di creare situazioni discriminatorie tra imprese. Per questa via, combinando la nozione di aiuto di Stato con il principio generale di non discriminazione applicato alle quattro libertà fondamentali (libera circolazione di persone, di cose, di imprese, di capitali), le istituzioni comunitarie hanno potuto negli ultimi anni realizzare una forte incidenza negli ordinamenti dei singoli Stati membri 'ortopedizzandone' la disciplina anche delle imposte sul reddito. Questa forte ingerenza negli ordinamenti nazionali, se ha avuto il merito di realizzare un'efficace negative integration, cioè una integrazione per sottrazione di norme o istituti ritenuti in conflitto con i principi del Trattato, ha tuttavia sollevato vibrate critiche sia ritenendosi che la materia dell'imposizione sul reddito fosse sottratta agli interventi delle istituzioni comunitarie, sia ritenendosi che la disciplina degli aiuti di Stato fosse più ristretta e non sovrapponibile a quella delle agevolazioni tributarie, sia infine accusando le istituzioni comunitarie di agire senza base democratica dal momento che l'ortopedizzazione delle legislazioni fiscali nazionali era realizzata con atti del potere esecutivo (Commissione europea) o del potere giudiziario (Corte europea di giustizia) ma non del potere legislativo (Parlamento europeo) l'unico cui è demandato in genere dalle costituzioni nazionali il potere di esprimere il consenso al tributo. Per la verità si era auspicato che la recente Convenzione intergovernativa in vista della redazione di una Costituzione europea potesse porre riparo a tali inconvenienti, ma le vicende della Costituzione e dei successivi referendum nazionali hanno reso indispensabile tanto una pausa di riflessione quanto un ripensamento che, a nostro avviso, non potrà non riguardare anche il tema della sovranità fiscale degli Stati membri (cristallizzato nel principio di unanimità) e le conseguenti forme fiscali di finanziamento del bilancio dell'Unione.
L'evoluzione della scienza e della professione tributaristica
Nel secolo scorso lo studio del tributo si è progressivamente svincolato dalla stretta dipendenza dalle scienze economiche cui lo consegnavano gli studi degli economisti classici e la scuola di B. Griziotti ed E. Vanoni e ha presto raggiunto piena autonomia nell'ambito delle scienze giuridiche.
Dopo le originarie impostazioni con strumenti privatistici riferiti alla figura dell'obbligazione, l'entrata in funzione della Corte costituzionale, che attribuì centrale importanza all'art. 53 della Costituzione e ai suoi effetti sul presupposto del tributo, ha indirizzato sempre più la dottrina verso lo studio del diritto tributario in chiave pubblicistica, come esercizio di una funzione pubblica vincolata alla quale sono state via via ricondotte le numerose particolarità e i non pochi privilegi previsti dalle leggi in favore della attuazione e riscossione del tributo.
Dopo cinquanta anni di vivaci polemiche, il dibattito sulla natura dichiarativa o costitutiva dell'accertamento tributario, sulla ricostruzione del fenomeno intorno all'obbligazione o invece intorno al procedimento d'imposizione sembra, nei primi anni del nuovo secolo, sostanzialmente sopito non essendovi più dubbio, da un lato, sull'utilità di riferirsi all'obbligazione per indicare la complessiva situazione soggettiva che lega soggetto attivo e soggetto passivo del tributo, dall'altro sulla necessità di ammettere nell'attuazione del tributo la presenza di numerose situazioni soggettive in capo a diversi soggetti che sorgono prima e dopo il verificarsi del presupposto e che sono funzionalmente collegate da termini di decadenza in un modulo che può lato sensu definirsi procedimentale.
L'attenzione della dottrina è adesso rivolta piuttosto ai profili ricostruttivi di tali moduli procedimentali usati dal legislatore con molta improprietà e occasionalità, attribuendo maggiore rilevanza alla tempestività e alla certezza dei risultati che alla coerenza sistematica e alla correttezza degli istituti coinvolti.
Sarebbero altamente auspicabili tanto una pausa legislativa quanto una ricomposizione intorno a principi scientifici e sistematici della legislazione tributaria non appena il consolidamento del sistema consenta finalmente una codificazione almeno per quanto concerne la parte generale del diritto tributario.
Molto più netta e positiva è stata l'evoluzione della professione tributaristica. Da una originaria funzione di mero cabotaggio tra gli uffici finanziari e i contribuenti nel periodo (preriforma degli anni Settanta) in cui il concordato era la forma prevalente di definizione dei rapporti tributari, il consulente fiscale ha assunto funzione e professionalità precisa e propria nel lungo periodo della iperfetazione legislativa e della complessità di norme applicate formalisticamente da una amministrazione non ancora all'altezza dei tempi.
Con le riforme degli anni Novanta, l'istituzione delle Agenzie fiscali (che operano in assetti di diritto privato), l'introduzione di strumenti di amministrazione diretta quali la definizione dell'accertamento per adesione, la conciliazione giudiziale, l'interpello e il ruling internazionale, si sono predisposti gli strumenti per consentire un più agevole rapporto tra f. e contribuenti.
Per un altro verso sia l'internazionalizzazione dei mercati sia la globalizzazione hanno fortemente premuto sull'esperienza italiana: da un lato introducendo vincoli esterni per l'amministrazione (i già ricordati interventi della Comunità europea e della Corte europea di Giustizia) e dall'altro lato concorrendo alla formazione di una classe di giovani professionisti addestrati all'estero alle scuole delle società di revisione o dei grandi studi legali internazionali.
Ne è derivata una 'pratica' professionale di standard più elevato e internazionale, ora più concentrata sul contenzioso e sulle operazioni societarie straordinarie, che non ha più soltanto la funzione di condurre per mano il contribuente nella 'selva oscura' delle leggi fiscali, ma piuttosto - come avviene ormai in tutti i Paesi fiscalmente evoluti - quella di aiutarlo a minimizzare il carico fiscale nei confronti di un'amministrazione efficiente e collaborativa, nel rispetto di tutte le leggi vigenti in ambito sia interno sia internazionale.
bibliografia
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