Flegetonte (Flegetonta)
È il terzo dei fiumi dell'Inferno. D. immagina che esso nasca dal riaffiorare, nel cerchio dei violenti, della corrente fluviale prodotta dalle lacrime del Veglio di Creta (If XIV 103-142). Si presenta come la riviera del sangue in la qual bolle / qual che per vïolenza in altrui noccia (If XII 46-48); attraversa il girone dei violenti contro il prossimo, che vi stanno immersi (vv. 124-132); gira attorno alla selva dei suicidi (XIV 11); riemerge nel girone dei violenti contro Dio (XIV 76-84, XV 1-3), dove esala un vapore che spegne la pioggia di fuoco che cade su quei dannati; alla fine precipita con fragore nel cerchio sottostante (XVI 91-105). Per la forma di accusativo greco Flegetonta (come Calcanta, Aronta, ecc.), v. Parodi, Lingua 247-248.
Il F., prima che in D., si trova nell'idrografia classica, sin da Omero (Odissea X 513: sbocca nell'Averno insieme con Cocito) e da Platone (cfr. Fedone: dal suo fuoco si fanno nascere i torrenti di lava dei vulcani). Dovunque è immaginato come fiume di fuoco: nella Tebaide di Stazio, " atra vadis Phlegethon incendia volvit " (IV 523); nel De Raptu Proserpinae di Claudiano, " fumantia torquens / aequora vorticibus Phlegethon perlustrat anhelis " (I 23), e poi ancora, " Dominis intrantibus ingens / assurgit Phlegethon; flagrantibus hispida rivis / barba madet, totoque fluunt incendia vultu " (II 314-316); nel poema In Rufinum, " igne redundat " (II 468); nelle Puniche di Silio Italico, " late exundantibus urit / ripas saevus aquis Phlegethon, et, turbine anhelo / flammarum resonans, saxosa incendia torquet " (XIII 563-565) e per di più qualcuno vi sta immerso (" ardenti Phlegethonte natat "); e, infine, nell'Eneide, " ...rapidus flammis ambit torrentibus omnes / Tartareus Phlegethon " (VI 550-551). Tale è del resto l'etimo del vocabolo illustrato sin da Servio (ad Aen. VI 265 " Per Phlegethonta... ignem significat, nam φλόξ graece, latine ignis est ") e sin da Uguccione da Pisa: " Flegeto-ontis, quidam fluvius infernalis totus ardens, a fos quod est ignis, vel flegi quod est inflammans, et totus " (Magne derivationes). Interpretazione ripresa dai primi commentatori: da Pietro che, oltre a Virgilio, cita Macrobio e gli attribuisce l'etimo di " ardor irarum et cupiditatum ", a Graziolo, secondo il quale F. " interpretatur incendium " (cosa anche l'Ottimo); dall'Anonimo che lo intende come " ardore " al Vellutello che lo definisce " ardente desiderio ". A ragion veduta, quindi, D. ne fa il fiume dei violenti, specialmente di coloro che hanno sparso il sangue degli altri, e immagina che le sue acque siano fatte proprio di sangue bollente (If XII 100-102; e qui il Lombardi sostiene che il poeta abbia tenuto presente la storia della regina Tamiri " che in vendetta del tanto sangue da Ciro sparso, volle attuffata la recisa di lui testa in un vaso pieno di sangue "; e il Pascoli, sulla scorta di Seneca - Ira II 5 - ricorda una fossa piena di sangue di cui diede spettacolo Annibale).
Quanto alle significazioni allegoriche o simboliche attribuite al fiume, ve ne sono di due nature. La prima è specifica, relativa cioè al cerchio che il F. bagna e ai dannati che vivono nelle sue acque o giacciono sulle sue rive. Al riguardo, per il Pascoli, F. è " il fiume che corrisponde alla rovina guardata dall'ira bestiale ", cioè simbolo della bestialità come " prima specie d'ingiustizia ", in corrispondenza della terza delle ferite di Beda; per il Flamini esso rappresenta " la passione dell'appetito sensitivo snaturato fino a punto di diventar simile a quello di bruto ". La seconda è generica, perché vede il F., nel più ampio ordinamento dell'Inferno, come elemento emblematico di uno dei momenti caratterizzanti della vita del dannato: così il Boccaccio crede scoprire nel fiume il simbolo del peccatore che " divenuto nella tristizia della sua perdizione, incontanente diviene nell'ardore della gravità de' supplicii i quali con tanta angoscia il cuocono e cruciano e faticano ". A sua volta il Pietrobono estende il dominio simbolico del fiume dai " vinti d'ira folle " ai " vinti d'amore ", a lussuriosi, golosi e avari.
Bibl. - Toynbee, Dictionary 283-284; G. Pascoli, Sotto il velame, Messina 1900, 217 ss., 369 ss.; F. Flamini, Il significato e il fine della D.C., Livorno 1916, 181-197; E. Ciafardini, L'idrografia dell'Inferno e del Purgatorio, in Studi in onore di F. Torraca, Napoli 1922, 260-306; L. Pietrobono, Dal centro al cerchio, Torino 1923, 71 ss.; U. Bosco, Il c. XII dell'Inf., in Lett. dant. 211 ss. (poi in D. vicino, Caltanissetta-Roma 1966, 237 ss.); A. Sacchetto, Il c. XII dell'Inf., Torino 1959; F. Figurelli, Il c. XII dell'Inf., in Lect. Scaligera i 393 ss.