FOCIONE (Φωκίςν, Phocion)
Generale e uomo politico ateniese, nato intorno al 397 a. C. Dalla scuola di Platone, che egli frequentò, gli pervennero le radicate convinzioni antidemocratiche mantenute per tutta la vita: alla stessa educazione filosofica si dovrà riportare anche l'austero e disdegnoso tono di vita, che, celebrato dai suoi biografi, Plutarco e Cornelio Nepote, i quali attingevano in definitiva a fonti peripatetiche eredi del suo atteggiamento politico, è rimasto caratteristico della sua personalità. Giovanissimo partecipò nel 376 alla battaglia di Nasso con Cabria; ma la sua carriera di generale comincia nel 349-8, quando, nell'Eubea ribellatasi ad Atene per incitamento di Filippo di Macedonia, vinse a Tamine, senza peraltro poter riconquistare Eretria, e fu quindi costretto ad abbandonare l'isola per impossibilità di ottenervi successi conclusivi. Nel 344 comandava l'esercito e la flotta di mercenarî greci che il re di Persia aveva assoldato per ricuperare Cipro. Rifiutatasi Atene di aiutare la Persia nella riconquista dell'Egitto, la quale avrebbe significato il rinnovarsi dell'egemonia persiana nel Mediterraneo orientale, F. accettò disciplinatamente la decisione dei concittadini, depose il comando e tornò in patria. Nel 343-2 era stratego e prese le difese di Eschine accusato di corruzione da Demostene, dichiarando cosi esplicitamente per la prima volta, almeno secondo la nostra informazione, il proprio punto di vista politico, che era fin d'allora di entrare nell'orbita della supremazia macedonica. Non sappiamo se a questo programma si accompagnasse già anche l'intenzione d'approfittare dell'appoggio macedonico per instaurare una forma meno democratica di governo in Atene. Ma, per quanto amico di Eschine, F., a differenza di lui, non si sottrasse negli anni 340-38 allo sforzo di Demostene di coalizzare i Greci contro la Macedonia e fu anzi, per la sua perizia militare, l'organizzatore e la guida di tutte le più importanti imprese antecedenti allo scontro definitivo di Cheronea. Ciò significa che F., già convinto che Atene non dovesse opporsi alla supremazia macedone, la quale voleva essere garanzia di pace e di concordia, di fronte all'improvviso e mirabile risorgere delle energie ateniesi rinnegò per un momento sé stesso o almeno ritenne doveroso di vivere a fondo, dando tutta la propria opera, questo conato prima di credere definitiva la necessità di assoggettarsi alla Macedonia. Al comando della flotta ristabilì il dominio ateniese sull'Eubea e difese Bisanzio contro Filippo (340). Ma già prima di Cheronea si dovette persuadere dell'inutilità del tentativo e fu tra coloro che vollero l'accettazione delle offerte di Filippo: per tale atteggiamento pacifista non fu tra gli strateghi che comandarono a Cheronea. Dopo la vittoria macedonica partecipò all'organizzazione della difesa di Atene e succedette nella direzione di essa a Iperide, facendo cadere senz'altro le proposte disperate con cui quest'ultimo aveva cercato di rafforzare Atene e consigliando l'accordo con Filippo. La pace avvenne appunto per la mediazione di F., inviato ambasciatore con Eschine e Demade. Nel 335 F. fu favorevole a consegnare i capi della democrazia, Demostene, Iperide, ecc., ad Alessandro, che li richiedeva in seguito alla rivolta di Tebe. Ma poi cedette alle pressioni dell'assemblea e accettò di portarne il rifiuto ad Alessandro. Questa prova di forza del sentimento democratico ateniese, insieme con altri minori, ma consimili episodî, ebbe certo parte grandissima nel persuadere F. che era impossibile prescindere dalla volontà della maggioranza e nel farlo collaborare con Demostene e Licurgo per restaurare le finanze e l'esercito di Atene. Mentre la sua presenza nel governo, a cui egli apparteneva per l'annuale rielezione a stratego, costituiva una garanzia per la Macedonia, egli si valeva della sua autorità per impedire che Atene si gettasse in nuove avventure. La sua condotta ambigua era la condizione necessaria perché egli potesse agire in una città profondamente democratica come Atene. Ogni ambiguità venne meno dopo la fine della guerra lamiaca (322). La convinzione che nessun governo ben regolato potesse sussistere senza la tutela macedonica e senza l'esclusione della democrazia, la quale aveva voluto la guerra di Lamia, divenne da allora in F. rigidissima e lo portò ad accettare un presidio macedonico in Munichia e la costituzione timocratica. L'ideale dello stato retto dai migliori, che, per la mancanza di una politica estera autonoma, può dedicarsi ad elevare le condizioni economiche e morali dei cittadini, trova ora il suo concretamento e sarà perseguito, dopo la morte di F., da Demetrio Falereo (v.). Coerente con sé stesso, F. rifiutò d'invocare da Antipatro, e per lui dal figlio Cassandro, il richiamo della guarnigione macedonica voluto da una parte degli stessi cittadini privilegiati e non protestò contro l'esecuzione sommaria del collega Demade (v.), ordinata da Cassandro, quando l'Ateniese venne a portargli il voto dei cittadini al riguardo. Già in questo episodio si rivelava il contrasto tra F. e la grossa schiera di quelli che, nonostante l'appoggio avuto dalla Macedonia, non si sapevano rassegnare alla continua umiliazione della tutela straniera. Il malcontento contro F. arse, quando Poliperconte, per contrapporsi a Cassandro, modificò la tradizionale politica macedonica e proclamò la restaurazione delle democrazie, ordinando nello stesso tempo l'allontanamento del presidio macedonico da Munichia. F., che con il ritorno della democrazia vedeva la fine di ogni buon governo, favorì il tentativo di resistenza del comandante macedonico, Nicanore di Stagira, il quale occupò di sorpresa il Pireo. Sopraggiunto Alessandro figlio di Poliperconte in Attica e dimostratasi vana la resistenza di Nicanore, F. tentò ancora di accordarsi con Alessandro e si rifugiò nel suo campo Ma, instaurato in Atene il governo democratico, messo F. sotto accusa, ad Alessandro non restava che inviare F. al padre per non essere costretto a consegnarlo direttamente agli Ateniesi. I quali lo chiesero e lo ottennero da Poliperconte e lo condannarono a morte. La sentenza fu eseguita il 26 aprile 318. F. resta per la sua austerità il più nobile rappresentante di quella tendenza della politica greca, la quale, constatati i danni dei governi democratici e delle discordie intestine fra Greci, e ritenuto impossibile eliminarli senza un'egemonia esteriore, si sforza tuttavia di mantenere il valore ideale della vita dei singoli comuni assegnando loro una nuova finalità etica di elevazione materiale e spirituale dei cittadini.
Fonti: le Vite di Plutarco e di Cornelio Nepote; Diodoro, XVIII, 18, 48, 64 segg.
Bibl.: G. Droysen, Histoire de l'hellénisme, trad. francese, Parigi 1883-84, I-II, passim; G. Grote, History of Greece, Londra [1906], XI e XII, passim; J. Beloch, Griechische Geschichte, 2ª ed., Berlino 1912, III-IV, passim; J. Bernays, Phokion und seine neueren Beurtheiler, Berlino 1881; G. De Sanctis, Contr. alla st. ateniese dalla guerra lamiaca alla cremonidea, in Beloch, Studî di storia antica, II, Roma 1893, p. 3 segg.; C. Küger, Zur Charakteristik Phokions, in Zeitschr. f. die österr. Gym., LIX (1908), p. 679 segg.; W. Ferguson, Hellenistic Athens, Londra 1911, passim; P. Cloché, Les dern. années de l'athénien Phocion, in Revue Hist., CXLIV (1923), p. 160 segg. e CXLV (1924), p. 1 segg.