FONDACO (dall'ar. funduq "magazzino, locanda")
Fondaco, o secondo i dialetti anche fondico, fontico o fondego, fu detto in alcuni paesi il luogo dove si riscuotevano i diritti d'entrata, più noto sotto il nome di dogana. Fondaco fu anche detto l'edificio (generalmente a un solo piano) annesso alla dogana e adibito a magazzino, che troviamo in varie città; in Pisa, per es., è noto che i mercanti cittadini e forestieri potevano riporvi e contrattarvi le loro mercanzie pagando un compenso, fissato dagli statuti, al gestore del fondaco stesso, il quale a sua volta aveva l'obbligo di tenere i registri delle merci e delle vendite a disposizione dei consoli dei mercatanti e di ubbidire alle loro prescrizioni; in Fermo non tutte le vendite di merci avvenute nel fondaco erano soggette a tributo, ma solo quelle di merci destinate a rimanere nella città o nel contado: si aveva quindi qualcosa di simile agli odierni punti franchi. Gabella del fondaco, o semplicemente fondaco, furono pure chiamati in Sicilia e in Puglia il tributo imposto dall'imperatore Federico nel 1220 sulle merci depositate nel fondaco della dogana, e quello stabilito da Corrado nel 1253 sulle vendite all'ingrosso effettuate nel fondaco stesso.
Nel Veneto e nell'Istriano, fondaco era il magazzino o camera dove si riponevano le biade o le farine del comune, provenienti da terratici e altre rendite pubbliche e quelle che il fondacajo o fonticaro ricomperava di mano in mano con la vendita delle prime per averle sempre pronte e riparare con esse alle carestie; a Trieste era un vero monte frumentario e provvedeva all'annona, oltre che coi denari del comune, anche con i suoi; a Verona aveva pure entrate proprie, fornite dalle arti e da elemosine e così pure a Treviso, ove era governato da conservatori eletti dalle arti.
In Lucca, Corte o Curia del fondaco, e anche semplicemente Fondaco, si denominava una speciale magistratura (già ricordata nel 1336, ma di cui abbiamo ancora notizia nei secoli XIV e XV) composta di un maggior ufficiale e di sei consiglieri, e incaricata di sorvegliare sugli artefici per quanto si riferiva a pesi, misure, prezzi e mercedi, e di vigilare sull'adempimento dei provvedimenti suntuarî e sulla manutenzione delle strade. Quando si parla di fondaci ci si riferisce però comunemente a quegli edifici, o, per lo più, gruppi di edifici, ove per concessione del signore del luogo i mercanti forestieri depositavano le loro merci, esercitavano i loro traffici e spesso avevano essi stessi dimora.
I fondaci più importanti contenevano anche, o avevano a lato, forno, bagno, loggia, cisterna o acquedotto, scalo sul mare, chiesa, cimitero, e, ove c'erano fondaci di più popoli, si cingevano spesso di mura. Solo i nazionali potevano abitarvi, ma non potevano dimorarvi, e neppur mettervi piede, coloro che dalla patria fossero stati banditi. Il traffico commerciale che nei fondaci aveva luogo era cosa del tutto privata e lasciata alla libera iniziativa dei mercanti. La madre patria nominava però i consoli che erano a capo di queste piccole comunità nazionali, e provvedeva inoltre affinché a esse fossero concesse e garantite dai paesi di residenza agevolezze, franchigie e immunità di vario genere; i fondaci si ricollegano così alle prime origini della moderna istituzione dei consoli (v. console, IX, p. 207), come pure del regime delle capitolazioni (v. capitolazione, VIII, p. 861). Noti soprattutto sono i fondaci (detti anche emboli e ridotti) che Veneziani, Genovesi e Pisani ebbero in Oriente, e che tanto contribuirono al fiorire delle repubbliche marinare italiane.
Celebre è anche il Fondaco dei Tedeschi sul Canal Grande a Venezia, ove fin dal 1288 i mercanti tedeschi (e più propriamente alamanni, polacchi, ungheresi e boemi) erano obbligati a dimorare e tenere le loro merci (era severamente proibito ai barcaioli di sbarcarli altrove e a chiunque di riceverli in casa) e che divenne a poco a poco così ricco che, nel 1505, quando un incendio lo distrusse, la perdita fu ritenuta superiore al valore dell'intera città d'Anversa. Nel Fondaco dei Tedeschi, solo Tedeschi e Veneziani potevano contrattare tra loro, ché ai mercanti di altri paesi era perfino vietato l'ingresso; né d'altra parte era permesso ai Veneziani di vender merci ai Tedeschi e di acquistarne fuori del Fondaco. Le vendite e gli acquisti erano trattati da sensali pubblici, eletti dal Consiglio dei quaranta, che dovevano tenerne registro e renderne conto ogni tre mesi ai Visdomini del Fondaco, di modo che era ridotta al minimo la possibilità del contrabbando ai dazî imposti dalla repubblica su tutte le merci che uscivano dal Fondaco. I Visdomini erano una magistratura veneziana, composta di 3 0 4 patrizî che dimoravano nel Fondaco e vi facevano eseguire le leggi della repubblica controllando, con l'aiuto di sensali, scrivani e pesatori pubblici, quanto entrava, usciva e vi si vendeva.
La parola fondaco, sotto la forma di funnacu, vive tuttora in Sicilia e ha qualcosa dell'antico significato perché indica osterie ove i vetturali e carrettieri trovano alloggio per sé e per le bestie. In Liguria fondo ha ancor oggi significato di magazzino.
Bibl.: H. Simonsfeld, Der Fondaco dei tedeschi in Venedig, ecc., Stoccarda 1877; G. Rezasco, Diz. del linguaggio italiano storico ed amministrativo, Firenze 1881; A. Segre, St. del commercio, Torino 1923, I, pp. 147, 266-67.