fonetica sintattica
I fenomeni fonetico-fonologici che si verificano nella lingua parlata a confine di parola vanno sotto il nome, ormai tradizionale, di fonetica sintattica o fonotassi. Nella linguistica più recente si preferisce utilizzare il termine di ➔ sandhi esterno, che fa riferimento ai fenomeni, descritti con tale nome nella grammatica sanscrita, riguardanti la forma fonologica che uno o più fonemi possono assumere a seconda del contesto sintattico. Sui processi fonosintattici (o di sandhi esterno) vigono due vincoli di carattere generale: tra le due parole contigue deve esserci un legame sintattico forte e non deve esserci pausa.
Nell’ambito della fonetica sintattica si descrivono le possibili modificazioni che intervengono a livello morfofonologico nella pronuncia dei segmenti iniziali o finali di parole o morfemi. Dato il carattere continuo della catena fonica, nella lingua parlata le singole parole non si pronunciano distinte e separate le une dalle altre, ma l’una dopo l’altra. I fenomeni fonosintattici sono quindi dovuti in ultima istanza al vincolo della coarticolazione propria del parlato (➔ fonetica articolatoria, nozioni e termini di). La presenza di una pausa blocca pertanto il prodursi di ogni fenomeno fonosintattico.
La maggior parte dei fenomeni fonosintattici trova corrispondenza nel dominio della parola, sia che si tratti di fenomeni assimilativi o di processi di indebolimento consonantico (ad es., la ➔ gorgia toscana), sia che si tratti di aggiunta di segmenti: per es., nell’ambito del vocalismo, i fenomeni di prostesi o ➔ epitesi che ricorrono a confine di parola (cfr. § 5) corrispondono ai fenomeni di ➔ epentesi o anaptissi all’interno di parola.
I principali fenomeni di fonetica sintattica della lingua italiana che interessano le ➔ vocali sono: ➔ elisione (§ 3), apocope e ➔ troncamento (§ 4), ➔ aferesi, prostesi, epitesi e sinalefe (§ 5); nell’ambito del consonantismo, meritano menzione alcuni fenomeni di ➔ assimilazione, affricazione e spirantizzazione (§ 6), nonché il cosiddetto raddoppiamento fonosintattico (§ 7; ➔ raddoppiamento sintattico).
Con il termine elisione si intende la caduta di una vocale atona finale di una parola davanti alla vocale iniziale della parola seguente. Nell’ortografia dell’italiano, il segno grafico che indica la caduta della vocale è di norma l’➔apostrofo:
(1) una amica → un’amica
una ora → un’ora
un bello albero → un bell’albero
Il fenomeno si verifica obbligatoriamente con i seguenti elementi funzionali e attributivi:
(a) gli articoli determinativi singolari la e lo e le relative preposizioni articolate: ad es., l’alba, l’ombra, all’opera, sull’albero, dell’anima;
(b) l’articolo indeterminativo una: ad es., un’amaca, un’erba, un’istruttrice;
(c) gli aggettivi dimostrativi singolari questo/-a e quello/-a: ad es., quest’amico, quest’ombra; quell’isola, quell’abito;
(d) l’aggettivo bello/-a: ad es., in bell’ordine, bell’idea;
(e) l’aggettivo santo/-a: ad es., Sant’Antonio, Sant’Ermete, Sant’Orsola, ma San Leonardo, San Lorenzo, con troncamento (cfr. § 4);
(f) la particella pronominale ci e l’avverbio e congiunzione come davanti al verbo essere: ad es., c’è, c’era, c’erano, com’è, com’era;
(g) anche seguito dal pronome personale io.
L’elisione è inoltre comune in una serie di espressioni idiomatiche come d’accordo, d’epoca, d’oro, mezz’ora, senz’altro, tutt’altro, quattr’occhi.
Tra le preposizioni, di mostra tendenza spiccata a perdere il nucleo vocalico finale (ad es., d’essere, d’amare, canto d’usignolo), mentre da non si elide mai, tranne in alcune espressioni fisse, come d’altra parte, d’ora in poi, d’altronde; su, tra e fra parimenti non si elidono, in virtù della loro tonicità.
Dal momento che l’elisione è un processo di ➔ indebolimento articolatorio, motivato dalla tendenza a evitare sequenze vocaliche contigue (➔ iato), nel parlato, specie se poco controllato e veloce, si può verificare elisione anche al di fuori delle categorie sopra menzionate: ad es., i sintagmi degli amici, un vero affare, vorranno uscire, vedranno ancora possono essere ridotti a [ˌdeʎːaˈmiːtʃi], [un ˌveraˈfːaːre], [voˌrːanːuˈʃːiːre], [veˌdranːaŋˈkoːra]. L’atonia delle due vocali a confine di parola è condizione necessaria affinché si verifichi il processo (Agostiniani 1989; Marotta 1995a):
(2) il marìto arrìva → il marìt arrìva, ma: * il marìt èsce
potrànno àrdere → * potrànn àrdere
Presenta invece carattere facoltativo, e riservato alla sola lingua parlata, l’elisione con le forme plurali dell’articolo determinativo, specialmente in caso di omofonia tra la vocale finale dell’articolo e quella iniziale seguente:
(3) gli italiani → gl’italiani
le erbe → l’erbe
ma: le italiane → * l’italiane
Nel complesso, l’elisione sembra essere in regresso nell’italiano contemporaneo, forse per influsso delle varietà settentrionali. Nel suo studio sulla distribuzione del fenomeno nei vent’anni a cavallo tra XX e XXI secolo, Vanvolsem (2007) analizza la frequenza d’uso dell’elisione sia nelle preposizioni di e da che negli articoli determinativi e indeterminativi in un campione di testi giornalistici, rilevando per la preposizione di l’elisione ormai soltanto in espressioni in parte cristallizzate (come essere d’accordo) o in sintagmi con una forte coesione interna (per es., in olio d’oliva); per quanto riguarda gli articoli, la mancata elisione di una e la è molto frequente, specialmente se il nome seguente inizia con vocale atona diversa da a ed è un polisillabo lungo; si consideri, ad es., il contrasto tra un’analisi, un’ora, un’opera, da un lato, e una infezione, una incompatibilità, dall’altro.
Nella grammatica tradizionale, apocope e troncamento sono essenzialmente sinonimi e indicano la caduta della vocale o sillaba finale di parola (Battaglia & Pernicone 1951; Serianni 1989):
(4) sono stato → son stato
comprare patate → comprar patate
Sembra tuttavia preferibile distinguere i due processi, riservando il termine apocope alla caduta di una vocale atona finale che si verifica in contesto postvocalico (Marotta 1995b):
(5) bei figli → be’ figli
quei ragazzi → que’ ragazzi
nei campi → ne’ campi
La mancata distinzione tra i due processi nella grammatica normativa si spiega perché il troncamento, come l’elisione, ricorre nell’italiano standard e nella lingua scritta, mentre l’apocope postvocalica è connotata sia sul piano diafasico (essendo preferita nei registri meno accurati) che su quello diatopico (ricorrendo in molte varietà dialettali del Centro-Sud, tra cui il romanesco e il toscano).
L’apocope postvocalica è di norma indicata dall’apostrofo nella lingua scritta, e nella lingua colta è sentita come un tratto antiquato (Serianni 1989: 81), mentre è processo ancora vitale in alcune varietà regionali dell’italiano parlato. In particolare, nel toscano l’apocope si verifica molto spesso, soprattutto in contesti diafasici bassi, con numerose classi morfologiche (Marotta 1995a):
(6) a. aggettivi possessivi: il mi’ figliolo, il tu’ babbo
b. numerali: du’ gatti
c. preposizioni articolate: ne’ prati, de’ bimbi
d. forme verbali in -i finale: se’ bello, se’ stato, verre’ subito
e. avverbi: poi → po’, mai → ma’
Il fenomeno è documentato per il toscano letterario fin dalle fasi più antiche:
(7) a. Po, ben puo’ tu portartene la scorza (Petrarca, Canz. CLXXX, 1)
b. Ed elli a me: – se tu vuo’ ch’i’ ti porti (Dante, Inf. XIX, 34)
ed anche in opere recenti di carattere popolare:
(8) Dunque tu se’ proprio il mi’ caro Pinocchio (Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio, Milano, Garzanti, 2002, p. 145)
Perché si verifichi apocope, la vocale che cade dev’essere atona e contigua a una vocale precedente. Il processo va interpretato fonologicamente come soluzione dello iato di partenza, e in quanto tale appare poco marcato sia sul piano empirico che su quello teorico.
Il troncamento si definisce invece come la caduta di una vocale finale atona preceduta da un segmento sonorante, quindi o una liquida (l, r) o una nasale (m, n); ad es., mal sottile, buon vino, cantar bene, prender cantonate.
I due vincoli che operano sul processo del troncamento sono di tipo sia prosodico che segmentale. Sul versante prosodico, la mancanza di accento costituisce il prerequisito fondamentale per l’indebolimento di una vocale, che prelude alla sua cancellazione dalla stringa fonetica; l’accento salvaguarda infatti il mantenimento della ➔ sillaba, nel caso specifico del suo nucleo. Sul versante segmentale, la struttura fonotattica dell’italiano, che ammette in coda sillabica solo liquide e nasali, governa la possibile selezione dei contesti di troncamento.
Nelle grammatiche (ad es., Serianni 1989: 29), si legge che il troncamento è obbligatorio con l’articolo indeterminativo uno (ad es., un albero, un tappeto), cosi come con l’aggettivo dimostrativo quello (ad es., quel tipo, quel tale) e gli aggettivi indefiniti alcuno, nessuno, ciascuno (per es., alcun pensiero, nessun tratto, ciascun programma). In realtà, è preferibile ritenere che per gli elementi sopra citati vi sia allomorfia (➔ allomorfi), per cui le forme tronche, in sincronia, non sono da ritenersi l’esito di un processo fonologico che cancella la vocale finale, ma forme alternanti e selezionate sulla base del contesto fonetico: si pensi al contrasto un incubo, un treno, un tappo ~ uno spruzzo, uno sciocco.
Si ha troncamento obbligatorio (che colpisce sia un solo segmento, sia due segmenti) con gli aggettivi buono (buon amico, buon diavolo), bello (bel divano, bel tipo), santo (San Lorenzo, San Severo); si osservi che davanti a parola iniziante con s preconsonantica, il troncamento non è ammesso, per cui Santo Spirito, bello scalone, buono spunto. Anche con i nomi di professione il troncamento è obbligatorio nell’italiano standard: ad es., il signor Neri, l’ingegner Cavalli, il cavalier Martini; mentre è escluso nelle varietà meridionali; per es., in calabrese, salentino o siciliano: il dottore Nicotra, il professore De Magistris, ecc.
Il processo è invece opzionale in alcune forme verbali:
(9) sono → son
fanno → fan
stanno → stan
andiamo → andiam
mentre è ormai cristallizzato in alcune espressioni di uso comune:
(10) ben detto
ben fatto
in fin dei conti
mal di mare
mal di testa
Va tuttavia osservato che nell’italiano contemporaneo, sia scritto che parlato, il troncamento, come l’elisione (cfr. § 3), sembra essere in regresso.
A parte vanno considerati gli infiniti, che prevedono il troncamento della vocale finale a livello di lingua colta o di eloquio veloce:
(11) voler bene
poter fare
veder lontano
contar poco
sentir Messa
amar tanto
Nei registri diafasici bassi di molte varietà italiane, come pure nei dialetti corrispondenti, gli infiniti contemplano anche la caduta dell’intera sillaba finale, dando luogo a forme con accento finale (Rohlfs 1968: 359-360; Marotta 2000):
(12) studiare → studià
cadere → cadé
dormire → dormì
Analoga perdita della sillaba atona finale prevedono le forme allocutive di alcuni dialetti del Sud, ad es. napol. Peppino → Peppì, Teresa → Terè (Andalò 1997), come pure alcuni titoli professionali: per es. roman. dottore → dottó, professore → professó.
Tra i fenomeni di cancellazione di vocale a confine di parola va menzionata anche l’aferesi, vale a dire la cancellazione delle vocale iniziale contigua a vocale finale. Bersaglio preferito di questo processo sono le forme dell’articolo inizianti con vocale, specialmente /i/:
(13) compro i giornali → compro ’ giornali
bevo il latte → bevo ’l latte
prima il pane → prima ’l pane
bevo un tè → bevo ’n tè
compro una casa → compro ’na casa
Va tuttavia osservato che con le forme dell’articolo indeterminativo l’aferesi è meno frequente, anche perché è in competizione con l’elisione.
L’aferesi è assai comune nella lingua parlata (specialmente a livelli diafasici e diastratici bassi) in vaste zone della penisola italiana, tra cui il Lazio (per il romanesco, cfr. Sorianello & Calamai 2005; Marotta 2005) ed anche la Toscana (Marotta 1995b).
Ulteriori fenomeni che interessano il vocalismo in fonosintassi sono la prostesi e l’epitesi, che indicano l’aggiunta di un segmento vocalico rispettivamente all’inizio o alla fine di parola. La prostesi (talora denominata anche protesi), che prevede l’aggiunta della vocale [i], era molto più diffusa nell’italiano antico, tipicamente per i contesti iniziali composti da /s-/ + C: per es., per ischerzo, in ispalla, per iscritto, in Ispagna (Lorenzo Da Ponte nel Don Giovanni mozartiano); nell’italiano contemporaneo è quasi del tutto scomparsa, ormai relegata a poche forme dialettali o connotate comunque come rustiche, quali, nel toscano, istrumento con il valore di «rogito notarile» (Marotta 1995b).
Quanto all’epitesi, va considerata come fenomeno anch’esso dialettale, e ormai in regresso; di norma, la vocale che si aggiunge è in questo caso [e]. Il contesto di selezione del processo sono le parole tronche, sia nel toscano (ad es., fu → fùe, però → peròe) che in molti dialetti meridionali, nei quali tuttavia può esser aggiunta anche un’intera sillaba (ad es., calabr. cantà → cantàdi).
Molto più vitale, per quanto connotato come dialettale e popolare, è invece il fenomeno epitetico che si osserva nel toscano in caso di parola terminante in consonante: forme come tram, gas, bar, lapis, Upim diventano tra[mːe], ga[sːe], ba[rːe], lapi[sːe], Upi[mːe], con concomitante geminazione della consonante finale (Bafile 2003). Nel Salento, l’epitesi con geminazione ha luogo con la ripetizione dell’ultima vocale: ba[rːa] per bar, Upi[mːi] per Upim, ecc.
Vocali contigue a confine di parola possono infine dar luogo a ➔ sinalefe, vale a dire al mantenimento fonetico di entrambi i nuclei vocalici:
(14) Marco arriva
il pianista iniziò
da eroe
Il termine sinalefe è in realtà mutuato dalla metrica poetica, già classica, in cui indica il fenomeno prosodico per cui la vocale finale di una parola e la vocale iniziale della parola seguente contano nel verso come una sillaba sola: ad es., nel seguente endecasillabo carducciano si rilevano tre casi di sinalefe:
I cipressi che a Bolgheri alti e schietti (Giosuè Carducci, “Davanti a San Guido”, in Rime nuove, v. 1)
La dialefe, al contrario, prevede che le due vocali contigue, l’una finale e l’altra iniziale, contino come due sillabe nel verso; nella metrica italiana, e soprattutto nella tradizione che si ricollega a Petrarca, la sinalefe è di gran lunga più frequente della dialefe (Beltrami 1991). Si ricordi che nella metrica poetica, sinalefe e dialefe a confine di parola corrispondono a sineresi e dieresi all’interno di parola.
Per completare il quadro, si menziona il fatto che nei contesti in cui ricorre la sinalefe alcuni rilievi acustici hanno mostrato, specialmente nel parlato veloce, il prodursi di coalescenza: i due timbri contigui possono arrivare a fondersi e dar luogo così a un unico segmento vocalico, in genere di grado di apertura intermedio tra i due segmenti di partenza e di durata comparabile o poco superiore a quella di una vocale atona; così, /-a # i-/ può produrre un unico segmento di timbro [e] (ad es., in leggeva il giornale); in parallelo, /-a # u-/ può dar luogo a [o] (ad es., in mangiava un gelato: cfr. Marotta & Sorianello 1998).
Nell’ambito del consonantismo, a confine di parola si verificano in italiano, come accade in molte lingue naturali, processi di ➔ assimilazione, sia parziale che totale.
Un primo fenomeno assimilativo nel parlato italiano riguarda il punto di articolazione delle consonanti nasali finali di parola, che è lo stesso della consonante seguente, indipendentemente da come viene scritta la lettera corrispondente (di solito ‹n›): ad es., con Paolo → [kom]; con Carlo → [koŋ], in casa → [iŋ ˈkaːsa]. In questo caso, l’assimilazione è parziale, in quanto riguarda soltanto il punto di articolazione, e si verifica in tutti i registri della lingua parlata, indipendentemente dal livello diafasico.
Marcatamente dialettale è invece il processo di assimilazione totale che si registra per le consonanti sonoranti finali di parola; il contesto tipico è in questo caso costituito da una preposizione (con, per), che perde il segmento finale con concomitante geminazione della consonante iniziale seguente:
(15) con te → co’ tte
per lui → pe’ llui
per fare → pe’ ffa’
Il processo si verifica nelle varietà centromeridionali dell’italiano, nelle quali è attiva la correlazione di quantità consonantica. Un ulteriore fenomeno che concerne il consonantismo italiano e che è comune in numerose varietà italiane del Centro-Sud è l’affricazione di /s-/ iniziale di parola dopo consonante sonorante finale:
(16) il sole [il ˈʦoːle]
con sale [kon ˈʦaːle]
per sempre [per ˈʦɛmpre]
il processo ricorre anche in contesto interno di parola:
(17) salsa [ˈsalʦa]
pensare [penˈʦaːre]
Anche se nell’affricata secondaria che si origina in questo contesto fonotattico la fase di occlusione aggiunta a quella di frizione, tipica di /s/, può essere brevissima, talvolta addirittura sostituita da rumore di frizione disomogeneo, come indicano i rilievi sperimentali di tipo spettrografico (Turchi & Gili Fivela 2004 per il pisano; Marotta 2005 per il romanesco), la percezione di un segmento affricato resta comunque chiara e inequivocabile. Questo processo di affricazione, di origine meridionale, si è esteso in area mediana e progressivamente diffuso anche a Roma e in Toscana.
I processi di indebolimento consonantico che interessano nel dominio di parola le occlusive intervocaliche in molte varietà centrali italiane si estendono naturalmente anche all’ambito fonosintattico, dal momento che ricorrono anche a confine di parola: è il caso della gorgia toscana (ad es., fiorentino questa cosa [ˌkwesta ˈhɔːsa], amica [aˈmiːha]; Marotta 2001 e 2008) e della lenizione, che interessa un vasto territorio della penisola, ivi compresa la capitale (ad es., roman. vengo poi [ˌvɛŋgo ˈpɔ̬ːi], aperto [aˈpɛ̬rto]; Marotta 2005).
Merita menzione anche il fenomeno morfo-fonologico che si verifica nel romanesco e che è noto in letteratura come Lex Porena (➔ laziali, dialetti), vale a dire la perdita della liquida laterale con concomitante allungamento della vocale iniziale della parola seguente (Marotta 2002-2003 e 2005):
(18) la macchina [aː ˈmaːkina]
lo vedi [oː ˈveːdi]
dalla parte tua [daː ˌparte ˈtuːa]
Il processo interessa gli articoli determinativi (la, lo, le, li), i clitici oggetto omofoni, le forme del pronome o aggettivo quello, le preposizioni articolate. Si noti che i vari elementi hanno in comune la base etimologica, essendo tutti derivati da lat. illum.
Per le varietà dialettali meridionali segnaliamo infine la geminazione della vibrante iniziale di parola (resa come retroflessa) nel siciliano (ad es., la rosa [la ˈŗːoːsa], la rana [la ˈŗːaːna]) e la palatalizzazione della sibilante iniziale se seguita da consonante labiale o velare nel napoletano (ad es., la scala [la ˈʃkaːla], uno sputo [uno ˈʃpuːto]; cfr., tra gli altri, Serianni 1989: 36).
Appartenente alla maggior parte delle varietà italiane (e ai corrispondenti dialetti) del Centro e del Sud d’Italia, il raddoppiamento fonosintattico consiste nella geminazione o allungamento della consonante iniziale di parola quando sia preceduta da vocale tonica finale o da alcuni morfemi, quali a, da, come, dove:
(19) caffè freddo [ˌkafːɛ ˈfːredːo]
città pulita [ˌʧitːa pːuˈliːta]
mangiò poco [manˌʤɔ ˈpːɔːko]
a casa [a ˈkːaːsa]
dove vai [ˌdove ˈvːaːi]
Il fenomeno trae origine dall’assimilazione della consonante finale di parola con quella iniziale della parola seguente, ed era forse già attivo nel latino parlato (Loporcaro 1997). Dal momento che l’esito del raddoppiamento fonosintattico consiste in una consonante geminata, il fenomeno è assente nelle varietà settentrionali di italiano (prive di geminate), mentre è presente e tuttora molto vitale in toscano come nella maggior parte delle varietà centromeridionali. Diversi sono tuttavia i contesti che innescano il processo: nel toscano, una vocale accentata finale e una lista chiusa di morfemi, anche se in parte variabile nello stesso territorio regionale (ad es., dove è elemento che induce il rafforzamento a Pisa, ma non a Lucca); nel Sud, il processo sembra invece controllato morfologicamente più che prosodicamente (Fanciullo 1986).
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