Formazioni economico-sociali
Al concetto di 'formazione economico-sociale' è sotteso fin dalle origini, quali si rintracciano nell'opera di Karl Marx, un duplice intento (benché, come si dirà, non il solo): costruire una tipologia, una sistematica di tipi di società in cui sia possibile far rientrare il maggior numero di casi storici reali; e inoltre scoprire le leggi che provocano il passaggio d'una società, nel quadro di tale sistematica, da un tipo all'altro. Ciò significa, all'evidenza, proporsi nulla meno che elaborare una teoria generale della storia. Ambizione innumeri volte denunciata come smodata - e non dai critici minori di Marx -, che pone la teoria della società (per la quale useremo talora per sinonimo 'macrosociologia') dinanzi a un bivio ingrato. Di fatto ignorare o ripudiare totalmente un simile intento equivarrebbe a ridurre il concetto di formazione economico-sociale, di certo uno dei più potenti mai costruiti dal pensiero sociale, allo stato di mero reperto della storia di tale pensiero, del tutto inutilizzabile per la scienza sociale contemporanea. D'altra parte le indagini sociologiche compiute su di esso, gli sviluppi della ricerca storica, non meno che la storia contemporanea, sino agli eventi susseguitisi nell'Est europeo a partire dal 1989, mostrano che un simile intento non può più venir perseguito lungo le linee originarie. Troppe sono le società del passato e del presente non suscettibili di venir ricondotte alla tipologia marxiana, mentre l'inedito passaggio dal socialismo al capitalismo, avvenuto nelle società dell'Europa orientale, è stato un vulnus empirico d'estrema gravità per una teoria costruita al fine di dimostrare la inevitabilità del suo contrario.
Ciò premesso, l'approccio qui seguito consiste nel trattare il concetto di formazione economico-sociale come un abbozzo, un'ipotesi in divenire, un edificio teorico che presenta innumeri elementi provvisori, contraddittori e disparati; ma che per la potenziale fecondità dei suoi apporti alla teoria macrosociologica, alla teoria della società, merita che attorno a esso si continui a lavorare.
Quanto alle origini, la definizione più esplicita di formazione economico-sociale si trova nella prefazione d'un testo marxiano del 1859, Per la critica dell'economia politica: "Nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita [...]. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura [...]. A grandi linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese possono essere designati come epoche che marcano il progresso della formazione economica della società" (v. Marx, 1859; tr. it., pp. 10-11).
Si noti, nel brano citato, che 'formazione economica della società' è una versione più fedele dell'originale ökonomische Gesellschaftsformation che non l'espressione 'formazione economico-sociale'; ma questa e non quella si è affermata in quasi tutti i lavori italiani dedicati a tale concetto.
Tra gli studiosi marxisti della prima generazione il concetto di formazione economico-sociale quale rappresentazione d'un tipo di società storicamente determinato, totalità organica di rapporti economici, politici e giuridici, e di forme di cultura e di coscienza sociale a essi corrispondenti, non ebbe in verità largo corso. Il dibattito fu piuttosto incentrato sulla definizione dei singoli blocchi costitutivi d'una formazione economico-sociale, ossia su che cosa si dovesse realmente intendere per 'base economica', 'rapporti di produzione', 'forze produttive', 'sovrastruttura', e su quali elementi economici o tecnologici, giuridici, sociali o culturali fosse corretto includere in ciascuno di essi. Fu Lenin, in un articolo del 1894, a insistere sull'importanza per la sociologia del concetto globale di formazione economico-sociale: il solo capace, a suo dire, di elevare tale disciplina al livello di una vera scienza, ponendola finalmente in grado di rappresentare l'evoluzione delle società umane come un processo storico naturale (v. Lenin, 1894). La letteratura ufficiale sovietica, e con essa quella dei paesi caduti sotto il controllo dell'URSS tra il 1945 e il 1989 (con la parziale eccezione della Polonia, dove la presenza di importanti scuole sociologiche, storiche e metodologiche portò a opporre maggior resistenza al dogmatismo), ha in effetti riproposto innumerevoli volte, in opere sempre più estese, ma con innovazioni puramente marginali, non altro che la definizione di formazione economicosociale introdotta dalla citata Prefazione marxiana e dalla sua interpretazione leniniana del 1894.
Più critica, e sicuramente più efficace al fine di assicurare sino ai nostri giorni la sopravvivenza scientifica del concetto di formazione economico-sociale, è stata la discussione intervenuta nel campo marxista d'Occidente. Essa si è particolarmente giovata tanto d'una rivisitazione teorico-metodologica delle opere 'storiche' di Marx (attributo peraltro non felice se riferito a un autore in cui, come nota P. Vilar, la storia è trama e ordito d'ogni suo testo), quanto, in epoca più tarda, della pubblicazione (avvenuta soltanto nel 1939) dei Grundrisse, i quaderni preparatori del Capitale. Austriaci eterodossi, se non anzi revisionisti, come Karl Kautsky; comunisti italiani, da Antonio Gramsci a Rodolfo Mondolfo, a Cesare Luporini; marxisti francesi, quali Charles Bettelheim, Maurice Godelier, Louis Althusser, hanno gradualmente introdotto nuove flessibilità nella definizione di formazione economico-sociale alquanto meccanica della vulgata sovietica, dei suoi elementi costitutivi, delle leggi che li collegano.
In tale contesto pregno di autonome letture hegeliane, premessa d'una accezione della dialettica rimessa sì sui piedi, ma non priva di testa, il primato di già inflessibile delle forze produttive venne gradualmente circoscritto, sottolineando che il bisogno economico che ne sospinge lo sviluppo "non è separabile - con le parole di Mondolfo - dal suo oggetto, l'uomo, in cui tutte le esigenze, tendenze e manifestazioni della vita si unificano in inscindibile rapporto di azioni e reazioni" (v. Mondolfo, 1968, p. 225). Alla nozione di sovrastruttura come mero rispecchiamento dei rapporti di produzione quale prospettava il Diamat, la versione del materialismo dialettico codificata dall'Accademia delle Scienze dell'URSS, si oppose e anzi antepose, stando alle date, la concezione gramsciana che, criticando Croce, non vuol staccare "la struttura dalle superstrutture", ma "invece concepisce il loro sviluppo come intimamente connesso e necessariamente interrelativo e reciproco" (v. Gramsci, 1975, p. 1300). Quanto al processo di transizione da una formazione economico-sociale alla successiva, lungi dall'essere tenuto per definitivamente spiegato nell'opera di Marx, fu dimostrato che esso sbocca in una miriade di problemi aperti, posta l'estrema difficoltà di conciliare, sulla base dei frammenti sparsi in tale opera, le leggi di funzionamento d'una formazione economico-sociale, cioè le sue leggi strutturali, con le leggi della sua genesi (cfr. E. Balibar, in Althusser e altri, 1965).
Simili problematizzazioni del concetto di formazione economico-sociale, oltre a ristabilire il suo carattere di costruzione aperta, di cui nessuna versione del marxismo può dire di possedere il piano autentico, hanno posto in luce l'esigenza d'integrare la ricerca storica con ricerche sociologiche ed economiche, non necessariamente ancorate al materialismo dialettico, al fine di addivenire a una teoria comprensiva delle società contemporanee (v. Topolski, 1973). Pare pertanto lecito asserire che tali sviluppi, nell'insieme, abbiano posto le premesse per un recupero del concetto di formazione economico-sociale in differenti ambiti teorici i quali, pur non ignorandone gli intenti originari, siano ampiamente svincolati da ipoteche metodologiche e ideologiche discendenti dall'una o dall'altra scuola del pensiero marxista.
Nella prospettiva di una teoria macrosociologica delle società contemporanee, cui l'esposizione verrà qui per necessità circoscritta, una formazione economico-sociale può essere a questo punto provvisoriamente ridefinita come un insieme di modi di organizzare i tipi fondamentali d'azione sociale - detti fondamentali perché tutti necessari ad assicurare la vita d'una società - funzionalmente coerenti tra di loro. Definizione che si preciserà e articolerà nel prosieguo del testo, ma che obbliga a stabilire innanzitutto che cosa si intenda per 'modo di organizzare' un determinato tipo d'azione sociale, e quali siano le sue specie fondamentali.
Tra i presupposti impliciti del concetto originario di formazione economico-sociale v'è il criterio 'prima di tutto occorre sopravvivere'. Sulla base di tale criterio, tra le principali specie d'azione e di relazione sociale osservabili in una società il primato venne assegnato, da Marx e dai marxisti, pur con innumerevoli cautele e qualificazioni (sintetizzate nel continuo ricorso all'espressione 'in ultima analisi'), alle azioni e alle relazioni economiche. Che una società non sopravviva se non produce gli alimenti, il vestiario, le case necessarie a chi la popola è condizione ch'è sempre stato arduo negare, non che per il materialismo storico, perfino per il suo opposto, l'idealismo storico (v. Muhs, 1956). Ciò ammesso, sembra parimenti innegabile che la medesima società difficilmente sopravviverà ove non riesca a riprodurre con regolarità, mediante procreazione o immigrazione, la propria popolazione, o gli individui che ne fan parte siano di continuo sottoposti a tensioni psichiche insopportabili. Ancora, una società non sopravvive nemmeno se non arriva a mantenere entro limiti accettabili i conflitti d'interesse, di motivazione, di cultura, tra i differenti gruppi, strati, classi, comunità, etnie che la compongono; ovvero, in positivo, se non riesce a realizzare e mantenere un grado adeguato di cooperazione tra la maggior parte di queste collettività.
Un'ultima funzione che deve comunque essere svolta per assicurare la sopravvivenza d'una società è la trasmissione di informazioni tra i suoi membri, e della cultura da una generazione all'altra. Se non si riesce a far sapere in tempo utile ciò che succede in un punto della società ad altri punti; se i figli non imparano a comunicare, a lavorare, a cooperare tra loro come fecero i loro genitori, il declino o la scomparsa d'una società sono inevitabili. In sintesi, entro una società non esiste soltanto il bisogno di economia; esiste anche il bisogno di riproduzione biopsichica, il bisogno di politica, e il bisogno di riproduzione socioculturale, nell'ordine casuale in cui sono stati sin qui richiamati. La storia mostra che le azioni individuali e collettive orientate a soddisfare regolarmente tali insiemi di bisogni d'una qualsiasi società sono suscettibili di venir organizzate in molti modi differenti; in altri termini, ogni tipo d'azione può venire svolto con modalità strutturalmente diverse, pur perseguendo scopi analoghi, così come sono diverse le relazioni che vengono a stabilirsi tra le azioni stesse e tra gli individui che le compiono. Di epoca in epoca, di società in società, si osservano pertanto modi differenti di organizzare la produzione economica, la politica, la riproduzione socioculturale e la riproduzione biopsichica. Organizzare significa essenzialmente decidere in quale maniera, e su quali basi, sono distribuiti tra individui e collettività di vario genere il controllo e la trasformazione delle risorse di caso in caso pertinenti per soddisfare i fondamentali bisogni sociali in questione. Controllare una risorsa equivale a poter disporre di essa - soprattutto della sua destinazione, modalità di utilizzo, collocazione - entro limiti più o meno ampi, socialmente definiti. Trasformare una risorsa vuol dire invece intervenire su di essa con mezzi naturali o artificiali per modificarne o regolarne gli stati, ovvero i parametri quantitativi e qualitativi. Il lavoro è una tipica attività di trasformazione di risorse, ma non la sola, salvo procedere a una generalizzazione insostenibile del concetto di lavoro.
Anche le risorse, per quanto grandi siano le loro differenze concrete, sono riconducibili da un punto di vista analitico a poche classi. Per soddisfare il bisogno di economia come il bisogno di politica d'una società, il bisogno di riproduzione biopsichica come il bisogno di riproduzione socioculturale, è necessario di volta in volta disporre di energia (umana e non), di spazio fisico, di informazioni, di tecnologia; nonché d'un mezzo di scambio utilizzabile per tramutare rapidamente, quando e dove sia utile, determinate quantità d'una risorsa in una certa quantità di altre risorse - un 'equivalente universale' che storicamente ha assunto veste di denaro. Queste risorse generiche prenderanno quindi forma specifica, in relazione al grado di sviluppo d'una società, di forza lavoro, terra, dati economici, mezzi di produzione, capitali finanziari per quanto attiene all'economia; di aule parlamentari, apparati burocratici, sezioni di partito, consenso elettorale, mezzi di comunicazione di massa per quanto concerne la politica; insegnanti e scuole, quotidiani e centri di ricerca, biblioteche e beni culturali se ci si riferisce alla riproduzione socioculturale; di famiglie e abitazioni, asili nido e comunità alloggio, ospedali e centri d'assistenza sociale, medici e psicologi in ordine alla riproduzione biopsichica.
Assumendo come riferimento un campione sufficientemente esteso nello spazio e nel tempo di gruppi organizzati, si osserva che il controllo su quantità più o meno grandi d'un dato tipo di risorsa è accentrato, entro certi gruppi, in pochi ruoli, laddove in altri gruppi il controllo è distribuito tra molti ruoli. Inoltre, a uno stesso ruolo viene talora affidato il controllo su insiemi compositi di risorse; in altri casi per ogni risorsa si strutturano ruoli specializzati. A sua volta la trasformazione d'un dato tipo di risorsa disponibile per un gruppo risulta, a un estremo, affidata a un singolo ruolo, mentre all'estremo opposto appare suddivisa tra un gran numero di ruoli differenti entro lo stesso gruppo. Si osservano anche ruoli sociali che trasformano parecchi tipi di risorse, e ruoli specializzati nel trattare un solo tipo di esse.
Di gruppo in gruppo, la base su cui avviene simile suddivisione, tra diversi ruoli e posizioni sociali, del controllo e della trasformazione delle risorse di cui un gruppo dispone appare quanto mai varia: comprende infatti investiture divine e colpi di Stato, vittorie o sconfitte militari, capacità professionali e norme istituzionali, forme di contratto e di scambio, atti di imperio e meccanismi elettivi. Benché diversissime tra loro, le basi della divisione e assegnazione delle attività di controllo e trasformazione si distribuiscono lungo un continuum che va da un massimo di accentramento (un solo individuo decide tra quali membri della popolazione, nonché come, quando, dove le attività di controllo e trasformazione sono distribuite) a un massimo di decentramento (tutta la popolazione interviene nel decidere tale suddivisione). A questo riguardo la teoria delle formazioni economico-sociali non prevede un caso trattato invece dalla teoria politica, quello di un sistema - economico, politico, o altro - completamente acentrato, ossia privo di basi per la divisione del controllo e della trasformazione tra i suoi membri. Al di là della varietà delle basi su cui poggia la divisione del controllo e della trasformazione tra i componenti d'una società, in qualunque punto del predetto continuum opera un solo processo: maggiore la quantità di risorse controllate da un individuo o da un gruppo, e maggiore la possibilità di acquisire il controllo di quantità addizionali di risorse.
Sebbene sia oneroso per l'esposizione, e non sempre possibile per ragioni di spazio, l'effettiva divisione delle attività di controllo e trasformazione entro una popolazione, da un lato, e le basi di simile suddivisione, dall'altro, vanno sempre tenute concettualmente distinte ai fini della presente analisi; ragione non ultima essendo che la correlazione tra le due dimensioni, che in superficie potrebbe apparire ovvia (a chi mai un despota giunto al potere con la violenza penserebbe di assegnare il controllo sulle ricchezze della nazione, se non a se stesso?), è in realtà assai debole. Il presidente degli Stati Uniti detiene un grande potere, e il pontefice della Chiesa cattolica esercita una immensa influenza, dando così corpo a due forme di controllo marcatamente accentrato su risorse materiali (specie nel primo caso) e simboliche (specie nel secondo); ma tanto il potere del primo quanto l'influenza del secondo hanno alla base un diffuso consenso popolare, correlato qui a credenze religiose, là a una costituzione democratica e ai connessi meccanismi elettivi.
Alla divisione e alla correlativa distribuzione su determinate basi, tra ruoli, soggetti, gruppi differenti, delle attività di controllo e trasformazione di tipi e quantità variabili di risorse societarie - economiche, politiche, culturali, umane - va aggiunta, tra i criteri che distinguono le diverse modalità storiche di organizzare la soddisfazione dei bisogni fondamentali d'una società, la differenziazione osservabile nei rapporti tra i rispettivi gruppi di attività. In una comunità primitiva essa è minima: produzione economica e regolazione dei conflitti sociali, riproduzione socioculturale e riproduzione biopsichica sono strettamente intrecciate, in specie nel gruppo familiare. Per contro, in una società industriale la differenziazione di codeste attività è avanzatissima: l'attività economica e l'attività politica, al pari dei due tipi di riproduzione, sono svolte da ruoli e organizzazioni nettamente distinti, quali che siano i rapporti di scambio che si stabiliscono tra le due.
I principali modi sinora affermatisi nella storia delle società umane di produrre beni e servizi; di strutturare l'attività di regolazione dei conflitti e il perseguimento di scopi collettivi in cui consiste - anche in assenza di Stato - la politica; di organizzare la riproduzione della memoria sociale; infine di regolare la riproduzione d'una popolazione sotto il profilo biopsichico, sono altrettante combinazioni specifiche di divisione delle azioni di controllo e di trasformazione delle risorse societarie, di basi su cui tale divisione si fonda, e di differenziazione strutturale tra i sistemi sociali in cui i diversi 'modi' si concretano. Ove si consideri il modo di produzione d'una società, occorrerà di conseguenza stabilire, per definirne la forma storica, chi detiene il controllo sulle unità produttive, e al loro interno; su quali basi poggia tale controllo; tra quali soggetti sono suddivise le attività di trasformazione di quali risorse. Parafrasando il detto marxiano "il mulino ad acqua ci ha dato il signore feudale; il mulino a vapore ci ha dato l'imprenditore capitalista", si potrà quindi dire: il controllo assegnato a un solo individuo, in base all'investitura d'un potere superiore, o come effetto d'una conquista militare - investitura che implica un elevato grado di fusione tra agire politico e agire economico - su tutte le risorse materiali (in particolare la terra e i suoi prodotti) di un dato territorio, che sono però trasformate individualmente dagli abitanti sparsi su di esso, in piccole unità produttive funzionalmente fuse con la famiglia (gruppo portante del sistema di riproduzione biopsichica), con l'obbligo di conferire una quota rilevante delle risorse trasformate a chi detiene il controllo, definisce storicamente il modo di produzione feudale. Per contro, il controllo assegnato a un solo individuo, in base a un titolo di proprietà acquistato per denaro, su una singola unità produttiva di dimensioni ridotte - al più con poche decine di addetti - e su tutte le risorse che la compongono, a cominciare dalla forza lavoro, definisce il modo di produzione del capitalismo imprenditoriale o concorrenziale. In questo quadro lo stesso individuo, l'imprenditore, combina nel proprio ruolo anche un'ampia attività di trasformazione di alcune risorse, in primo luogo l'informazione di rilevanza economica, mentre la trasformazione delle risorse materiali è compiuta sotto il suo diretto controllo da lavoratori che cedono forza lavoro in cambio di denaro. Se invece il controllo è distribuito tra un certo numero di individui in base alla qualifica professionale, senza che nessuno di essi si configuri come proprietario dell'unità produttiva in cui opera, e questa occupa non poche decine ma migliaia di lavoratori, tra i quali la trasformazione delle risorse è distribuita per mezzo d'una avanzatissima divisione sociale e tecnica del lavoro, si avrà il modo di produzione del capitalismo oligopolistico.
A loro volta i modi principali di organizzazione politica si definiscono: a) per l'ampiezza del controllo che un dato soggetto - un individuo, un'élite, una classe sociale - detiene sulle risorse politiche, a cominciare dal governo e dagli apparati burocratici dello Stato, e, tramite queste, sulle altre specie e modi di organizzare l'azione sociale nell'insieme della società; b) per la base su cui tale controllo si fonda; e di nuovo c) per il grado di differenziazione strutturale rispetto alle altre specie di agire. Se si assume a riferimento il prodotto economico complessivo d'una società (grandezza che nelle società contemporanee prende nome di prodotto interno lordo, PIL), si possono collocare a un estremo le società in cui il soggetto centrale del sistema politico controlla non più del 10-20% di tale prodotto (come si stima che accadesse nelle società capitalistiche dell'Ottocento), mentre all'estremo opposto si collocano le società in cui il centro politico ne controlla o controllava oltre il 90%, come avveniva in URSS e in altre società socialiste. Sia il controllo sulle risorse nazionali limitato o esteso, la base di esso varia per conto suo da un'elevata concentrazione, come accade nei casi in cui il soggetto centrale del sistema politico giunge a occupare tale posizione grazie a un atto di forza di un numero ridotto di altri soggetti, o di lui stesso, a un elevato decentramento, quando esso riceve il mandato da una parte considerevole della popolazione mediante elezione. Nel primo caso la base del controllo viene detta oligarchica; nel secondo poliarchica.Sull'asse fusione/organizzazione con altre specie di agire sociale e altri modi d'organizzarle, il modo di organizzazione politica appare esser stato spesso intrecciato, nelle società moderne e contemporanee, tanto con il modo di produzione quanto con il modo di riproduzione socioculturale, trovandosi a volte nella posizione di controllore del primo, a volte di controllato per mano del secondo. Le società del socialismo reale dell'Europa orientale erano riconducibili in prevalenza al primo caso; l'Iran, dopo la conquista del potere da parte dei fondamentalisti islamici, piuttosto al secondo.
Il grado di concentrazione del controllo e della trasformazione delle risorse di caso in caso rilevanti, oltre che delle basi su cui tali funzioni sono suddivise, e la misura in cui essi risultano fusi o differenziati tanto l'uno rispetto all'altro, quanto con gli altri modi d'organizzare le specie fondamentali dell'agire sociale, sono atti a definire anche la struttura del modo di riproduzione socioculturale e del modo di riproduzione biopsichica. Nel determinare le modalità della riproduzione socioculturale è evidentemente cruciale il controllo cui sono assoggettati il sistema scolastico, i mezzi di informazione (quotidiani, radio, TV), i sistemi di comunicazione (dalla posta tradizionale ai telefoni, alle reti di trasmissione dati). A un estremo, lo Stato pretende di essere sia l'unico controllore di tutti e tre questi sottosistemi del sistema di riproduzione socioculturale, sia l'unico ente a svolgere materialmente le attività di cui essi constano. Si avranno così la scuola di Stato, la TV di Stato, i telefoni di Stato, e nessun tipo di scuola, di TV o di azienda telefonica al di fuori di quelle controllate dallo Stato stesso. Poco più in là, lungo il continuum massimo accentramento/massimo decentramento, il controllo sulle stesse attività è distribuito tra un ristretto numero di enti economici privati; al monopolio dello Stato si sostituiscono oligopoli capitalistici. Nella zona intermedia dello spettro del controllo appaiono coesistere scuole, enti, aziende statali con scuole, mezzi d'informazione e sistemi di comunicazione il cui controllo è distribuito tra un gran numero di privati, e altri controllati invece da forme di oligopolio. Infine, all'estremo che coincide con il massimo decentramento, il controllo e la trasformazione delle medesime attività volte alla riproduzione socioculturale sono interamente distribuiti tra un gran numero di piccole organizzazioni imprenditoriali o autogestite.
Uno schema analogo può esser replicato nel caso del sistema della riproduzione biopsichica, benché si debba qui tener conto della peculiare 'resilienza' della famiglia - concrezione sociale specifica, s'è già notato, di tale sistema analitico - a forme di controllo esterno, che pure si osservano in molte società. La massima concentrazione del controllo su tale sistema si avrebbe sotto un regime politico che pretendesse di sottoporre la popolazione a uno stretto controllo demografico; di stabilire quali dimensioni massime una famiglia debba avere, quando si possa costituire e quando sciogliere, dove debba risiedere; di sorvegliare tutto ciò che accade dentro di essa; di gestire in proprio, imponendone in dettaglio le caratteristiche, tanto l'assistenza sanitaria quanto le pratiche psicoterapeutiche; di determinare mediante norme rigide e propri rappresentanti la vita di ogni comunità locale e di ogni associazione. Nell'età contemporanea forse soltanto il nazismo e lo stalinismo, e in parte la Cina della rivoluzione culturale, si avvicinarono a tale estremo. Al polo opposto, i vincoli istituzionali sull'esistenza della famiglia, delle comunità locali, delle associazioni sono minimi o inesistenti; l'assistenza sanitaria si fonda esclusivamente su un rapporto individuale tra medico e paziente; nessun intervento viene effettuato per modificare la dinamica naturale della popolazione.
La massima differenziazione del modo di organizzare il sistema della riproduzione biopsichica è palesemente osservabile nelle società industriali. Entro la famiglia, la produzione economica ha un peso irrilevante. Il ripristino dello stato di salute fisico e mentale dei suoi membri si svolge soltanto a opera di enti e ruoli specializzati. Altri enti specializzati provvedono, sin dai primissimi anni di età e per quasi tutto il corso della vita, alla formazione e all'aggiornamento delle competenze socioculturali degli individui. Il fatto che una simile differenziazione sia osservabile nelle società industriali avanzate non deve però far ignorare il fatto che in gran parte dell'Africa, del subcontinente indiano, dell'Asia sudorientale, dell'America Latina, la riproduzione biopsichica è tuttora strettamente intrecciata con la produzione economica e con la riproduzione socioculturale, in modo strutturalmente non dissimile rispetto a quanto accadeva nella famiglia contadina in Europa e negli Stati Uniti sino ai primi decenni del XX secolo.
Nel mondo contemporaneo coesistono differenti modi di organizzare i tipi fondamentali dell'azione sociale, la cui reciproca coerenza funzionale è sufficientemente avanzata da far concludere che si è in presenza di altrettante formazioni economico-sociali. Alcune sono in sviluppo, altre in declino; alcune occupano una posizione dominante, altre sono palesemente subordinate. Alcune, inoltre, sono incomplete: manca loro, perché lo hanno perso sotto la spinta di altre formazioni economico-sociali o ancora non sono riuscite a svilupparlo, un modo sufficientemente strutturato di organizzare questo o quel tipo di azione. Come forme di organizzazione sociale, la loro età - misurata dall'epoca in cui comparvero sulla scena del mondo, che può esser tutt'altra cosa rispetto all'epoca in cui si svilupparono in una determinata società - va da pochi decenni ad alcuni millenni. In ordine discendente di età - certo non più che presumibile data la scarsità di ricerche specifiche - le maggiori formazioni economico-sociali individuabili nel mondo d'oggi sono la comunità di villaggio; la formazione economico-sociale latifondista; la formazione economico-sociale contadina; la formazione economico-sociale capitalistica imprenditoriale; la formazione economico-sociale capitalistica oligopolistica; la formazione economico-sociale statuale collettivista o socialista; infine la formazione economico-sociale statuale dirigista. Un simile elenco fa emergere un'ovvia discrepanza: l'entità 'società' e l'entità 'formazione economicosociale' non sembrano affatto coincidere. Non si vede quale società possa essere oggi definita in modo corretto con un predicato implicante che essa sia nell'interezza delle sue strutture sociali esclusivamente latifondista, contadina, o dirigista, e nemmeno capitalistica o collettivistica.
Un assunto da porre in discussione ai fini d'un recupero del concetto di formazione economico-sociale alla macroteoria sociologica riguarda precisamente la coincidenza tra formazione economico-sociale e società. Le molte e contrastanti versioni del concetto di formazione economico-sociale individuabili nella letteratura marxista coincidono su almeno un punto: per quanto grande possa essere il peso del passato, una determinata società appare sempre improntata nella totalità dei suoi rapporti sociali da una determinata formazione economico-sociale e coincide in sostanza con essa. Dire 'società europea del XII secolo' equivale a dire, conformemente a tale assunto, formazione economico-sociale del feudalesimo, così come 'società inglese di metà Ottocento' vuol dire formazione economico-sociale borghese o capitalistica. Rimane da stabilire se il peso del passato non possa risultare, per la maggior parte delle società, talmente grande da costringere infine il ricercatore ad accoglierlo come componente strutturale del presente; se, in altri termini, l'ipotesi d'una coesistenza di formazioni economico-sociali differenti entro una medesima società, che pur ammetta il dominio di una di esse e il conflitto tra tutte, non sia più efficace, al fine di spiegare la struttura e la storia di quella società, che non l'enunciato ortodosso 'una società, una formazione economico-sociale'.
A questo proposito vi sono pagine di Marx che lo fanno apparire più aperto a una interpretazione pluralistica del concetto di formazione economico-sociale di quasi tutti i suoi commentatori. Secondo Marx, nel presente di ogni formazione economico-sociale si ritrovano innanzitutto molteplici condizioni materiali trasmesse da formazioni economico-sociali del passato. I mezzi di produzione e le capacità tecniche, le forze produttive, non nascono con una nuova formazione economico-sociale, ma sono ereditati dalle formazioni economico-sociali precedenti. Lo stesso avviene per il grado prevalente di divisione del lavoro, la morfologia del territorio (in quanto lavorato da più generazioni), la composizione della popolazione, le grandi vie di comunicazione. Dal passato discendono ugualmente rapporti politici, giuridici, economici, comunitari che marcano in profondità, a diversi livelli, lo sviluppo d'una nuova formazione economico-sociale. Precedenti modi di produzione contendono spazio, forza lavoro, capitali al modo di produzione emergente. La stessa manifattura, epitome per Marx del nuovissimo modo di produzione capitalistico, gli appariva formata da lavoratori le cui capacità professionali (i mestieri da loro portati in fabbrica) si erano formate per generazioni durante le epoche precedenti. Non meno che sui rapporti economici, politici e giuridici, sottolinea Marx in un famoso brano di Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, il passato "pesa come un incubo sul cervello dei vivi", sotto forma di mentalità e linguaggi, costumi e rituali, dottrine religiose e sistemi filosofici.
L'alternativa scelta dagli studiosi marxisti è consistita, con rare eccezioni, nel giudicare le condizioni materiali, economiche, politiche e culturali trasmesse dal passato a una nuova formazione economicosociale come sopravvivenze destinate alla scomparsa dinanzi all'irresistibile sviluppo di tale formazione, o reperti d'archeologia del sociale privi di rilevanza. In ciò cedendo a quell'idea di una evoluzione perennemente progressiva e unilineare delle società umane che fu, tra le categorie esplicative della realtà presenti nell'opera di Marx, una delle più rozze rispetto alle sue implicazioni storiografiche e metodologiche, tale da accomunarlo paradossalmente ai suoi ben meno provveduti - quanto a sensibilità storica - antipodi positivistici, in primo luogo Auguste Comte e Herbert Spencer.
Ove non bastasse un secolo di ricerca antropologica, sociologica e storica a confutare il modello di una evoluzione unilineare delle società umane (il cui nucleo è la previsione che una formazione economicosociale emergente sotto l'impulso di nuove forze produttive sia destinata a spazzar via inevitabilmente i residui delle formazioni economico-sociali precedenti), sono state proprio le 'rivoluzioni di velluto' del 1989-1990 nell'Est europeo, nelle società del socialismo reale, a rafforzare l'ipotesi che in ogni società, quale che sia la forza del dominio esercitato da una formazione economico-sociale, siano contemporaneamente presenti formazioni economico-sociali sviluppatesi in passato. In tali società, la formazione economico-sociale socialista, primo stadio della formazione economico-sociale comunista, è entrata in crisi a causa, non meno che delle sue intrinseche inefficienze, del logoramento cui è stata sottoposta da parte di elementi sociali e culturali propri di formazioni economico-sociali precedenti per origine, ma ancora ben attivi nella società sovietica, nella DDR, in Cecoslovacchia, in Ungheria. Inoltre le rispettive rivoluzioni sono risultate non sanguinose per due ragioni solo apparentemente contraddittorie: a) perché al crollo della formazione economico-sociale socialista non è subentrato il vuoto, bensì modi di organizzare la produzione come la politica, la riproduzione dei corpi come delle menti e della cultura, che in realtà erano rimasti in funzione, e in certi casi si erano sviluppati, negli interstizi della formazione economicosociale socialista; b) perché in realtà la formazione economico-sociale socialista non è crollata completamente, ma è passata in gran parte in posizione di latenza, negli interstizi delle formazioni economico-sociali capitalistiche che l'hanno sostituita in posizione dominante, diventando a sua volta, con una inversione di ruolo caratteristica della dinamica delle formazioni economico-sociali, un supporto di esse.
Ammettendo la compresenza di una pluralità di formazioni economico-sociali entro una stessa società, si viene naturalmente a modificare la concezione della storia e dell'intera evoluzione socioculturale insita nel concetto originario di formazione economicosociale. Stando a quest'ultimo, storia ed evoluzione in sostanza coincidevano; la seconda era soltanto la prima scritta più in grande. Di contro, ove si accolga in suo luogo il concetto di formazione economicosociale ridefinito dalla teoria macrosociologica, le due si dissociano, mentre il loro oggetto si trasforma. La storia d'una determinata società non è più la storia di forze produttive in sviluppo che premono, in presenza di particolari condizioni locali, per spezzare i rapporti economici e giuridici che tale sviluppo ostacolano, le une e gli altri rappresentati da classi nitidamente e oggettivamente contrapposte. Piuttosto è la storia risultante da due processi concomitanti: 1) la ricerca di coerenza funzionale, da parte di soggetti individuali e collettivi, tra modi affini di organizzare l'economia e la politica, la riproduzione socioculturale e quella biopsichica; 2) le alterne vicende del conflitto, che può durare per generazioni, tra le formazioni economico-sociali coesistenti in quella società, ovvero tra i soggetti individuali e collettivi che ne incorporano le istanze di ordine metastrutturale. In riferimento sia a (1) che a (2) i soggetti che perseguono lo scopo di sviluppare o difendere una data formazione economico-sociale rappresentano, o affermano di rappresentare, gli interessi di élites e classi sociali, e in taluni casi si identificano con l'una o l'altra di esse, ma rispetto al modello originario il conflitto tra queste segue linee spezzettate, cangianti, talora indecifrabili.
1. Quando in una società si sviluppa un nuovo modo di organizzazione politica, è certo che si manifesteranno forze orientate a sviluppare un modo di produrre che appaia coerente con esso, ovvero che faciliti il suo funzionamento piuttosto che ostacolarlo; inversamente, se è il modo di produzione a svilupparsi per primo, sarà esso a chiedere un modo coerente di soddisfare il bisogno di politica. La democrazia rappresentativa pretende il capitalismo imprenditoriale, e questo quella: 'niente imposte senza rappresentanza' è, da secoli, il motto che riassume tale richiesta. Sebbene la ricerca di coerenza funzionale si riscontri in maniera più evidente, nelle società contemporanee, nell'ambito dei rapporti tra politica ed economia, non va ignorato tuttavia che la ricerca di coerenza può aver inizio anche dal sistema di riproduzione socioculturale, e talora perfino da quello biopsichico. Un esempio di ciò può vedersi, ai nostri giorni, nei paesi dove il fondamentalismo islamico ha preso il potere, imponendo anzitutto alla politica - oltre che all'intera riproduzione socioculturale - un modo di organizzazione coerente con la cultura che esso rappresenta, mentre ha mostrato di sapersi adattare senza gravi tensioni a varie forme di capitalismo.
Il richiamo all'adattamento del fondamentalismo islamico al capitalismo (ma vi sono casi ancor più innovativi rispetto al concetto originario di formazione economico-sociale, come il capillare adattamento, in Estremo Oriente, della cultura buddhista e taoista, nata quindici-venti secoli addietro, al capitalismo oligopolistico del XX secolo) permette di precisare ulteriormente la nozione di coerenza funzionale. Parlare di coerenza funzionale anziché organica, com'era quella predicata dal concetto originario di formazione economico-sociale, postula infatti che ciascun modo d'organizzare una data specie d'azioni sociali di base sia disposto a stabilire rapporti strutturali con qualsiasi altro modo d'organizzare le restanti specie di azioni, purché esso appaia tangibilmente giovare alla sua sopravvivenza e riproduzione; ciò anche nel caso di modi che in passato rappresentavano parti di formazione economico-sociale in conflitto con il modo d'organizzazione interessato.
La ricerca d'una coerenza funzionale sufficientemente avanzata si estende di norma a tutti i modi di organizzare i sistemi sociali fondamentali. Il capitalismo imprenditoriale non richiede soltanto un sistema politico fondato sulle regole della democrazia rappresentativa; né il modo di produzione statuale collettivistico richiede soltanto un'economia fondata sul controllo centrale del piano invece che sul controllo diffuso esercitato dal mercato. L'uno e l'altro richiedono pure tipi diversi, a sé coerenti, di istruzione, di mezzi di informazione, di famiglia, di associativismo, di organizzazione della ricerca scientifica, di pratica religiosa, di previdenza, ecc. Ciascuna formazione economico-sociale è pertanto assimilabile a un progetto di società che mira a realizzarsi perseguendo tenacemente lo sviluppo di modi a esso adeguati, e intercoerenti, d'organizzare la soddisfazione dei principali bisogni collettivi. Le strategie seguite dalle differenti formazioni economico-sociali coesistenti in una società, i loro successi e insuccessi nel realizzare il proprio progetto, formano l'ordito profondo della storia di quella società.
2. Nel tendere a realizzare un grado sufficiente di coerenza funzionale tra i diversi modi che la compongono, una formazione economico-sociale, o il modo di essa che anticipa gli altri in tale ricerca, entra inevitabilmente in conflitto con le altre formazioni economico-sociali compresenti entro la stessa società. Le risorse materiali, biologiche, psicologiche, culturali di cui dispone una società sono scarse per definizione. Perciò le risorse che una data formazione economico-sociale pretende od ottiene sono sottratte alle altre, che attueranno quindi strategie di difesa e di contrattacco. La grande distribuzione controllata dal capitale oligopolistico, ad esempio, toglie clienti e reddito ai piccoli negozi del capitalismo microimprenditoriale, i cui titolari premono allora sulle amministrazioni locali, non di rado riuscendovi, per bloccare la costruzione di nuovi supermercati. L'industria della Comunità Europea ha sottratto per decenni lavoratori, capitali e terra alle campagne, a danno della formazione economico-sociale contadina, che per rivalsa è riuscita a dirottare, a sostegno dell'agricoltura, fondi comunitari assai superiori a quelli destinati alla ricerca scientifica, con grave danno per la competitività dell'industria. In Italia lo Stato sociale, che costituisce un particolare modo di organizzare parte della riproduzione socioculturale, e gran parte di quella biopsichica, coerente con i bisogni di una formazione economico-sociale statuale dirigista, ha sottratto a lungo enormi flussi di capitale e di risparmio alle due formazioni economico-sociali capitalistiche, sino a innescare da parte di queste una controffensiva che all'inizio degli anni novanta ha portato a una sua rilevante contrazione. Se le strategie attuate da differenti soggetti collettivi per realizzare un'adeguata coerenza funzionale tra i modi d'organizzare le specie fondamentali d'azione sociale formano l'ordito della storia d'una società, le azioni da ciascuna parte intraprese nel conflitto che oppone una formazione economico-sociale a un'altra ne sono la trama. Ma né la trama né l'ordito seguono un disegno predisposto una volta per tutte dalle leggi profonde di movimento delle società, di cui il concetto marxiano di formazioni economico-sociali pretendeva d'aver disvelato il segreto.
La concezione non economico-deterministica e non sequenziale della storia (o, per chi obietti che nemmeno la concezione marxiana era tanto deterministica e sequenziale quanto fu dipinta dai suoi critici: di certo meno deterministica e meno sequenziale) quale emerge da una ridefinizione del concetto di formazione economico-sociale tende inoltre a svuotare di senso un terzo intento connesso alla definizione originaria, cui abbiamo alluso all'inizio. Alle origini, e per un lungo tratto della sua vita nella sfera del pensiero marxista, il concetto di formazione economico-sociale non si proponeva soltanto come uno strumento atto a fornire una spiegazione globale della storia, bensì anche come strumento per fare la storia. Facendolo proprio, convincendosi per suo mezzo del passaggio ineluttabile dal capitalismo al comunismo, le classi lavoratrici potevano scorgere in esso il proprio destino, la liberazione definitiva dei corpi e delle menti dalle catene del lavoro mercificato. E da ciò dovevano trarre la spinta a organizzarsi sempre più solidalmente come soggetto politico, come classe per sé, affrettando il momento in cui, tramite un moto rivoluzionario, il loro destino doveva compiersi. Un simile intento non appare assolvibile dal concetto di formazione economico-sociale qui ridefinito. Cionondimeno esso non può non influire sul modo di pensare la storia e di orientare le proprie azioni in essa con l'umiltà dell'individuo che conosce la propria irrilevanza, ma sa quanto questa possa se sommata a mille altre. Infatti, a fronte di tale concetto due modelli di storia non sono oltre sostenibili: la storia come passato sostituito inesorabilmente e integralmente dal presente, e la storia come lotta d'una società per liberarsi dal dualismo tra settori avanzati e settori arretrati. In luogo di questi modelli il concetto ridefinito di formazione economico-sociale propone un modello di storia come dialettica perenne di permanenza e di mutamento, nella quale la negazione rigida di uno dei due termini significa schiudere le porte alle peggiori tragedie.
Quanto all'evoluzione socioculturale, essa permane collegata alla nozione sopra ridefinita di formazione economico-sociale quale concetto compendiante l'ipotesi che la storia dell'umanità, dopotutto, manifesti a livello planetario una direzione riconoscibile verso forme di organizzazione sociale capaci di conciliare per popolazioni sempre più ampie libertà individuali e bisogni 'pubblici', contratto e mercato. Tuttavia, quale sequenza concreta di accadimenti storici - fatto sempre riferimento al modello originario - essa non è più localizzabile in alcuna società o gruppo di società. Localmente essa appare sempre ambigua, contraddittoria, di epoca in epoca progressiva e regressiva.
Seguendo l'ordine già citato in cui si può ritenere siano apparse originariamente in qualche luogo del pianeta (ordine che nella storia delle singole società è stato però interrotto e sovvertito innumerevoli volte), le formazioni economico-sociali più comuni osservabili nelle società contemporanee, e anzi in esse compresenti e coesistenti in varie combinazioni, sono sinteticamente definibili mediante un richiamo ai principali tratti dei loro modi di organizzare (v. cap. 2) il soddisfacimento dei bisogni sociali di base.
La comunità di villaggio. In questa formazione economico-sociale il modo di organizzazione politica è caratterizzato dall'autorità detenuta sugli abitanti del villaggio, sovente appartenenti a un medesimo clan o tribù, da un capo, assistito da un consiglio di capifamiglia o di anziani, il quale svolge anche funzioni di giustizia e di amministrazione collettiva. Il modo di produzione è organizzato sulla base dello sfruttamento di boschi e pascoli liberi, sulla coltivazione di campi comuni e sull'allevamento di animali di proprietà collettiva. La riproduzione socioculturale è fusa con il modo di produzione e con le attività di riproduzione biopsichica; in molti casi essa avviene al di fuori di qualsiasi istituzione scolastica. Considerevoli residui strutturali e culturali di questa formazione economico-sociale sopravvivono in molte società africane, nel Sudest asiatico, in Cina.
La formazione economico-sociale latifondista. Qui il modo di produzione è controllato da una ristretta classe di grandi proprietari terrieri, e organizzato al fine esclusivo di trarre il massimo reddito dalle colture estensive o dagli allevamenti di bestiame dei loro latifondi (i due tipi di attività essendo non di rado accoppiati), nonché di assicurare la riproduzione indefinita di questi. Nei latifondi stessi i lavoratori dipendenti vivono, di fatto, di là dai diritti formali, in condizioni assimilabili alla schiavitù. I grandi proprietari controllano anche il modo di organizzazione politica, sia esercitando localmente essi stessi, o per mezzo di politici al loro soldo, il potere su coloro che vivono sui loro latifondi o attorno a essi, sia controllando la formazione e l'attività del corpo parlamentare. La riproduzione socioculturale è affidata a forme locali di istruzione elementare, che peraltro raggiungono soltanto una frazione della popolazione della relativa fascia di età. Dominante nel XVIII e XIX secolo nel Sud degli Stati Uniti, questa formazione economico-sociale sopravvive al presente soprattutto in Brasile, dove circa 32.000 aziende di oltre 1.000 ettari ciascuna possiedono circa tre quarti dei terreni adibiti a coltivazione o pascolo, e dove l'opposizione ai latifondisti si paga spesso con la vita.
La formazione economico-sociale contadina. Il modo di produzione si fonda su una proprietà agricola di pochi ettari, sulla quale lavorano direttamente il proprietario e i suoi familiari, con un apporto minimo o stagionale di lavoro salariato. Una quota più o meno fissa del prodotto va all'autoconsumo, mentre una quota variabile è destinata al mercato e permette alla famiglia contadina di ottenere beni e servizi che essa non produce. Carattere distintivo del modo di organizzazione politica è l'antica forma di rapporto patrono-cliente, più di recente denominata clientelismo, in forza della quale un notabile del luogo - spesso un parlamentare uscito dalla borghesia d'una città vicina - trasmette al centro politico richieste atte a soddisfare particolari interessi locali, e riceve in cambio, oltre al voto, azioni conformi a riprodurre e ad allargare il suo potere. Riproduzione socioculturale e biopsichica sono fuse in notevole grado con il modo di produzione, dato che questo domina in ogni momento della giornata, dall'interno, le attività della famiglia. La formazione economico-sociale contadina è al tempo stesso la più antica, la più diffusa e la più persistente delle formazioni sociali, giacché è presente ancor oggi nella maggior parte delle società contemporanee, pur con le sue tante varianti osservabili nei cinque continenti.
La formazione economico-sociale capitalistica imprenditoriale. Come sappiamo (v. cap. 3), questa formazione economico-sociale diffusissima nelle società contemporanee, benché le sue origini risalgano alla rivoluzione industriale, prende nome dalla presenza centrale, nel modo di produrre, di un'impresa controllata in base a un qualche titolo di proprietà da un singolo individuo, il quale ne controlla altresì di persona l'attività di trasformazione, assumendosi in proprio i rischi derivanti da tale congiunzione di ruoli. Le dimensioni dell'impresa, che occupa al massimo poche centinaia di lavoratori, non sono tali da permetterle di influenzare, con le sue decisioni produttive, l'andamento del mercato; essa opera quindi in un regime di effettiva concorrenza. Il modo di organizzare la politica più coerente con il capitalismo imprenditoriale è la democrazia liberale - possibilmente fondata su maggioranze parlamentari formate da partiti liberali o conservatori. Alla politica e allo Stato vengono avanzate due richieste, di fatto convergenti benché apparentemente contraddittorie: dare il massimo spazio, mediante una legislazione appropriata, alla libera iniziativa, astenendosi da qualsiasi azione che possa ostacolarla, come ad esempio l'istituzione o il mantenimento di un'industria di Stato; e al tempo stesso intervenire vigorosamente sulle regole del commercio internazionale, sul sistema bancario, sul costo del lavoro, sui finanziamenti diretti e indiretti alle aree sottosviluppate, allo scopo di limitare i rischi che con la libera iniziativa si corrono.
Al modo di riproduzione socioculturale si chiede anzitutto di fornire alle imprese il personale avente l'istruzione adatta per alimentare, in proporzioni adeguate, i principali strati di posizioni lavorative in esse individuabili al di sotto dell'imprenditore-proprietario: operai, impiegati, tecnici, quadri, dirigenti. Con lo sviluppo dell'industria le rispettive quote sono atte a variare grandemente da uno stadio all'altro: ad esempio gli operai superano i quattro quinti del totale degli addetti nei primi stadi dell'industrializzazione - che localmente è probabile si realizzino in tempi diversi - per scendere a molto meno della metà negli stadi più avanzati. A tali esigenze variabili si deve provvedere con una scuola pubblica di massa, via via adeguata, quanto a programmi e volumi produttivi, alle trasformazioni tecnologiche e organizzative delle imprese.
La formazione economico-sociale capitalistica oligopolistica. In questa formazione economico-sociale l'impronta essenziale al modo di produrre è data dalla grande azienda privata, con migliaia di dipendenti e un fatturato dell'ordine di miliardi di dollari. In essa, le cui origini come specie risalgono all'Ottocento, ma la cui crescita per numero e dimensioni ha avuto salti sostanziali dopo le due guerre mondiali, il controllo operativo non è più esercitato da un singolo imprenditore bensì da dirigenti professionali, passibili di licenziamento come chiunque altro da parte della proprietà, o, come capita spesso, dei loro colleghi in posizioni più elevate. Date le sue dimensioni, essa condiziona con le sue decisioni il mercato di un intero settore produttivo, si tratti di computer, elettrodomestici o automobili. La concorrenza da parte di aziende minori diventa impossibile o insignificante. La concorrenza permane nel 'sistema mondo', il cui sviluppo vede nell'impresa oligopolistica uno dei fattori di maggior incidenza, ma anche a tale livello essa viene sovente limitata da accordi di vario genere tra le aziende del settore e dal fatto che molte di queste hanno carattere multinazionale, ovvero posseggono unità produttive in differenti paesi che sono configurate esse stesse come aziende, ma sono controllate in ultimo da un unico centro.
Nel modo di organizzazione politica si affermano i partiti di massa, declinano i poteri reali del parlamento, e la rappresentanza diretta, personale, delle varie classi sociali nel sistema politico che contraddistingue il capitalismo imprenditoriale viene sostituita dalla rappresentanza mediata da larghi gruppi di politici di professione. Lo Stato è spinto a intervenire in misura crescente in ogni sottosistema dell'organizzazione sociale, al fine di regolarne la struttura sempre più differenziata e complessa. Nei modi di riproduzione socioculturale e biopsichica si assiste ad una sorta di rivoluzione dei processi di socializzazione primaria e secondaria. Essi sono condizionati dall'interazione tra l'ingresso nel sistema scolastico, fino al livello universitario, di una quota rilevante dei giovani delle relative fasce di età, e la massiccia incidenza dei mezzi di comunicazione di massa nei tempi della vita quotidiana. La famiglia nucleare rimane centrale nel modo di riproduzione biopsichica, ma il suo monopolio è parzialmente eroso dalla liberalizzazione dei rapporti sessuali e dalla sperimentazione di nuove forme di vita: dalle coppie fisse, ma non conviventi, ai matrimoni tra omosessuali, alla libera scelta di vivere da single.
La formazione economico-sociale statuale: dirigista e collettivista. Nata negli anni venti e trenta di questo secolo, in certi casi come progetto di superamento radicale delle formazioni capitalistiche, in altri per alleviare gli effetti delle loro ricorrenti crisi, è caratterizzata da un modo di produzione in cui le unità costitutive, di norma aziende di grandi dimensioni, sono programmaticamente sottratte dallo Stato alle leggi del mercato al fine di conseguire per loro mezzo scopi di natura politica o sociale, prima che economici in senso stretto. Tra siffatti scopi possono rientrare tanto la costruzione d'una nuova società - come la società socialista o comunista - quanto, in un ambito più limitato, lo sviluppo d'una particolare regione dove l'iniziativa privata è carente, come il Mezzogiorno italiano negli anni cinquanta e sessanta, oppure il potenziamento d'un settore produttivo rilevante per la sicurezza o l'indipendenza economica del paese, come fu un tempo la siderurgia e sono oggi l'informatica o l'industria aerospaziale.
La formazione economico-sociale statuale si presenta in due varianti principali. Nella prima, che chiameremo formazione economico-sociale statuale dirigista, le aziende controllate dallo Stato - per quanto attiene al modo di produzione - hanno una struttura giuridico-finanziaria del tutto analoga a quella delle aziende private: lo Stato le controlla garantendosi o acquisendo una partecipazione azionaria di maggioranza, come farebbe un qualunque capitalista. Inoltre prendono decisioni relative agli investimenti e alla produzione, entro il quadro di finalità sociali loro assegnate, liberamente conformi a una logica di mercato. Nella seconda variante, per la quale è più adatto il nome di formazione economico-sociale statuale collettivista, la proprietà azionaria non esiste, lo Stato è l'unico padrone e le aziende sono assoggettate alle regole più o meno rigide di un piano centralizzato. Tale formazione economico-sociale si è realizzata con particolare nitidezza nei paesi socialisti dell'Europa orientale, prima nell'Unione Sovietica e poi nei suoi satelliti dopo la seconda guerra mondiale, per cedere poi alla fine degli anni ottanta al ritorno di vari tipi di formazioni economico-sociali capitalistiche.In entrambe le varianti della formazione economico-sociale statuale, due essenziali tratti comuni sono che le aziende facenti parte del suo modo di produzione sono subordinate al modo dominante di organizzazione politica, quindi alle élites che lo controllano; inoltre non risultano soggette alla sanzione negativa del fallimento, anche se per lunghi periodi consumano più risorse economiche di quante non ne producano. L'industria a partecipazione statale, in Italia, ha incorporato in modo idealtipico codesto modo di produrre.
L'organizzazione politica della formazione economico-sociale statuale s'incentra sul dominio di fatto, sia esso codificato o no dalla costituzione, dei politici di professione sui partiti; dei partiti, e spesso d'un solo partito, sul parlamento, quale che sia la sua forma locale; dell'esecutivo (che comprende la burocrazia statale) sul legislativo. Nel modo di organizzare la riproduzione socioculturale, particolare attenzione viene dedicata al controllo ideologico dei mezzi di comunicazione di massa, a partire da quelli di proprietà dello Stato. Sulla scuola il controllo può essere parimenti fermo, ma tende a diminuire via via che si passa ai gradi più elevati anche perché ad essi vengono ammessi in prevalenza - in particolare nella formazione economico-sociale collettivista - studenti già selezionati in base al grado di conformità all'ideologia propria della formazione economico-sociale corrispondente. Nel modo di riproduzione biopsichica viene estesa a gran parte della popolazione l'allocazione di servizi gratuiti o semigratuiti, dai trasporti all'assistenza sanitaria e alla previdenza sociale; i loro costi reali sono sostenuti direttamente dal bilancio dello Stato, il quale è peraltro alimentato da varie forme di prelievo fiscale centralizzato sui redditi individuali e sulle aziende produttive.
In posizione dominante o subordinata, come macrosistemi altamente sviluppati o come residui, molte delle formazioni economico-sociali sopra indicate sono simultaneamente presenti nelle società contemporanee. Le loro particolari combinazioni e interazioni influenzano sia lo stato e la dinamica attuale di ciascuna società, sia la sua provvisoria collocazione nel variegato percorso dell'evoluzione socioculturale. Un saggio eloquente di tale influenza può vedersi nella storia recente delle maggiori società dell'Europa occidentale. Da decenni in Italia, in Germania, in Francia, nel Regno Unito, in Spagna, coesistono fianco a fianco formazione economico-sociale contadina e formazione economico-sociale capitalistico-imprenditoriale, formazione economico-sociale capitalistica oligopolistica e formazione economicosociale statuale dirigista. La dinamica politica, economica e socioculturale di tali società è stata contrassegnata per gran parte del XX secolo tanto dal conflitto quanto dalla cooperazione tra le diverse formazioni economico-sociali in esse compresenti.
Seppur in varia misura, e con modalità scalate localmente su tempi diversi, la formazione economicosociale capitalistica oligopolistica sviluppatasi entro tali società, a partire dai primi anni del Novecento, è entrata ben presto in conflitto con la formazione economico-sociale contadina e con la formazione economico-sociale capitalistico-imprenditoriale. La prima soffriva per le forze di lavoro migranti in massa dalle campagne alla città, per lo squilibrio tra prezzi dei prodotti agricoli e prezzi dei prodotti industriali di cui l'agricoltura ha bisogno; più in generale, per la distruzione delle comunità e della cultura contadine causata dalle emigrazioni, dagli insediamenti industriali, dalle nuove vie di comunicazione. Alla seconda pesava la concorrenza schiacciante della grande impresa, l'espulsione dal mercato dei piccoli imprenditori, dei commercianti, dei lavoratori specializzati, degli impiegati fiduciari dell'imprenditore, dei liberi professionisti, soppiantati da lavoratori e impiegati generici e da dirigenti o professionisti stipendiati. Molti movimenti e accadimenti politici, sociali e culturali dei due decenni che precedono e seguono la prima guerra mondiale ebbero in tale conflitto tra formazioni economico-sociali le loro radici.
All'inizio degli anni trenta, la crisi economica mondiale colpisce duramente tanto la formazione economico-sociale contadina, quanto le formazioni economico-sociali capitalistiche in tutti i paesi d'Europa. La risposta fu la rapida costruzione di una formazione economico-sociale statuale dirigista. Era un progetto di società nel quale convergevano, in differenti combinazioni a seconda delle società coinvolte, le preoccupazioni dei governi per le tensioni sociali indotte dalla crisi, con i suoi drammatici effetti sui redditi da lavoro e sui livelli di occupazione; le rivendicazioni a favore d'una maggior sicurezza sociale avanzate dalle classi più colpite, là dove potevano esprimersi, ma non ignorate nemmeno dai regimi autoritari; le pressioni dei partiti di sinistra in Francia e in Inghilterra, alla cui ideologia e azione politica la crisi successiva al 1929, da molti interpretata come la preannunciata crisi definitiva della formazione economico-sociale, aveva ridato peso; e, specie in Italia e in Francia, vari tratti di cultura del solidarismo cristiano. In Germania, un additivo specifico consistette nel concepire la formazione economico-sociale statuale dirigista come il migliore strumento per preparare materialmente e organizzativamente la società tedesca alla guerra.
Il periodo intercorrente tra la crisi economica mondiale e lo scoppio della guerra nel 1939 fu sufficiente per far comprendere a politici, imprenditori e sindacalisti europei che sia la formazione economico-sociale capitalistico-imprenditoriale, sia la formazione economico-sociale capitalistica oligopolistica dei loro paesi erano state di fatto salvate dalla nuova formazione economico-sociale, che pure incorporava molti elementi strutturali e culturali a loro ostili. Peraltro tale periodo fu troppo breve perché tra quest'ultima e le due formazioni economico-sociali capitalistiche si sviluppassero rapporti diffusi e articolati di cooperazione, posto che ciò richiedeva, nonché decisioni di governo e di orientamento politico da parte delle forze sociali, processi comunque lenti di apprendimento organizzativo da parte delle imprese. La crescita di tali rapporti nelle stesse società, che soltanto per intensità e profondità vide alla testa l'Italia, ha caratterizzato il dopoguerra sino agli anni ottanta. Dalla formazione economico-sociale statuale dirigista la formazione economico-sociale capitalistico-imprenditoriale e la formazione economico-sociale oligopolistica ottennero anzitutto decenni di pace sociale, grazie ai sistemi di previdenza e assistenza pubblica da essa e in essa cresciuti, ai milioni di posti di lavoro - ci riferiamo all'Europa comunitaria - creati e mantenuti artificiosamente da aziende pubbliche le cui perdite erano compensate dallo Stato, e all'intervento dell'industria a partecipazione statale (o dello Stato stesso, a suon di sovvenzioni a interessi minimi o a fondo perduto) in regioni sottosviluppate dove l'industria privata delle regioni ricche riluttava da sempre a insediarsi. Le due formazioni economico-sociali capitalistiche ottennero anche dalla formazione economico-sociale statuale dirigista milioni di miliardi (in lire 1994) di commesse, per orientare le quali, sottraendole all'attrito della concorrenza, furono intrecciate relazioni sempre più strette, in una vasta area che andava da forme esplicite e pienamente legali di lobbying a pratiche del tutto illegali, tra imprenditori, dirigenti delle tre formazioni, e parlamentari e politici di professione di tutti i partiti, compresi quelli di opposizione. Grazie a tali commesse e alla sapiente regia metastrutturale con cui furono distribuite - una metastruttura essendo un ordine di rapporti sociali che non vuol riconoscere di esserlo - le imprese private costruirono direttamente in tutta l'Europa comunitaria o parteciparono alla costruzione di un immenso sistema di infrastrutture pubbliche, che contribuirono all'espansione ulteriore dei loro mercati non meno che agli interessi collettivi.
I rapporti di cooperazione tra formazioni economico-sociali capitalistiche e formazione economicosociale dirigista, che nella realtà dell'economia non meno che della politica avevano svuotato di senso in tutte le società europee, seppur in differente misura, la contrapposizione tra Stato e mercato che taluni ancora agitavano sul piano ideologico come se fosse reale, cominciano a incrinarsi al principio degli anni ottanta. Il processo prende l'avvio dal Regno Unito, dove i governi di Margaret Thatcher danno corpo con calcolata durezza alle istanze per un ritorno al mercato. A fine decennio la ricca Germania scopre che non può pagare le spese dell'unificazione e insieme conservare al precedente livello le prestazioni dello Stato sociale. All'inizio degli anni novanta esplode in Italia la crisi del sistema di rapporti inter-formazioni economico-sociali, costruito da politici e imprenditori con una metodicità e un'estensione superiori a ogni altro paese europeo. Nel 1993 gli elettori francesi danno la maggioranza a un governo di centro-destra il cui programma preventivamente dichiarato, e di fatto avviato poche settimane dopo le elezioni, consiste nel privatizzare tutto il possibile dell'apparato pubblico.
Le differenze tra queste società sono immense, ma il modello della crisi è analogo. Il peso del solo sistema di assistenza pubblica - il modo dirigista di organizzare la sanità -, avviato ad assorbire poco meno d'un quarto della spesa primaria dello Stato, si rivela insostenibile. Una gran parte dell'industria pubblica o sovvenzionata con pubblico denaro accumula debiti che sarebbero temibili perfino per il bilancio d'uno Stato di medie dimensioni. Il rapporto tra imposte pagate e servizi ottenuti dai cittadini peggiora drasticamente. Il controllo esercitato dai partiti politici su tutti gli snodi dei rapporti tra formazioni economico-sociali capitalistiche e formazione economico-sociale statuale dirigista, quasi fossero porte buone per esigere dazi a ogni movimento in un senso o nell'altro, appare sempre più rivolto primariamente alla loro sopravvivenza piuttosto che a quella del sistema-paese. Il drogaggio del mercato nazionale fa trovare molte delle maggiori imprese europee in grave ritardo tecnologico e organizzativo a fronte della competizione internazionale e intercontinentale.
Analoghi appaiono essere anche i tentativi di soluzione della crisi. In maniera singolarmente conforme a quanto una teoria delle formazioni economico-sociali lascerebbe prevedere, alla formazione economico-sociale statuale dirigista sono attribuiti tutti i mali. Il progetto di una società più solidale che essa comprendeva viene ora rappresentato, perfino da alcuni che svolsero un ruolo attivo nel suo sviluppo dopo la guerra e dai loro eredi politici e intellettuali, come un piano di assistenzialismo parassitario d'impronta sovietica, atto solamente a corrompere i cittadini come le istituzioni. La soluzione non può dunque consistere che nello smantellarne le strutture politiche, economiche e sociali, combattendo altresì la cultura che le aveva legittimate. Nel contempo le élites dirigenti delle formazioni economico-sociali capitalistico-imprenditoriali e capitalistico-oligopolistiche richiamano tutti i loro componenti a operare al fine di recuperare la purezza delle origini, il rispetto del mercato come tipo ideale, la necessaria separazione delle prerogative dell'impresa e dello Stato. Tra il ritorno in forze delle formazioni economico-sociali capitalistiche e l'indebolimento programmato della formazione economico-sociale statuale dirigista, il dominio di questa risulta essere negli anni novanta scosso o abbattuto in tutte le società euroccidentali.
(V. anche Borghesia; Capitalismo; Classi e stratificazione sociale; Complessità sociale; Divisione del lavoro; Economia e società; Evoluzionismo; Feudalesimo; Marxismo; Sistema sociale; Storia, teorie della).
Abrams, P., Historical sociology, Wells 1982 (tr. it.: Sociologia storica, Bologna 1983).
Akademija nauk SSSR, Osnovy marksistskoj filosofii, Moskva 1958 (tr. it.: Fondamenti della filosofia marxista, Milano 1966).
Albert, M., Capitalisme contre capitalisme, Paris 1991 (tr. it.: Capitalismo contro capitalismo, Bologna 1993).
Althusser, L. e altri, Lire Le capital, 2 voll., Paris 1965 (tr. it.: Leggere Il capitale, Milano 1968).
Amann, A., Soziologie: Theorien, Geschichte, Denkweisen, Wien 1991.
Andreani, T., De la société à l'histoire, 2 voll., Paris 1989.
Bauman, Z., Zarys marksistowskiej teorii społeczeństva, Warszawa 1964 (tr. it.: Lineamenti di una sociologia marxista, Roma 1971).
Bidet, J., Théorie de la modernité. Marx et le marché, Paris 1990 (tr. it.: Teoria della modernità. Marx e il mercato, Roma 1992).
Bucharin, N.I., Teorija istoričeskogo materializma, Moskva 1921 (tr. it.: La teoria del materialismo storico: testo popolare della sociologia marxista, Milano 1983).
Elster, J., Making sense of Marx, Cambridge 1985.
Fossaert, R., La société, vol. II, Les structures économiques, Paris 1977.
Gallino, L., Storia e scienze sociali, in Il mondo contemporaneo (a cura di N. Tranfaglia), vol. X, Gli strumenti di ricerca, t. 2, Questioni di metodo, Firenze 1983, pp. 1315-1340.
Gallino, L., Modi di produzione, formazioni sociali, società: per la critica dell'equivalenza sviluppo/evoluzione, in "Quaderni di sociologia", 1985, XXXI, 2-3, pp. 1-31.
Gerratana, V., Sulla categoria di 'formazione economico-sociale', in "Critica marxista", 1972, X, 1, pp. 44-80.
Godelier, M., Formazione economico-sociale, in Enciclopedia Einaudi, vol. VI, Torino 1979, pp. 341-373.
Gramsci, A., Quaderno 10, in Quaderni del carcere (a cura di V. Gerratana), vol. II, Torino 1975, pp. 1205-1362.
Jay, M., Marxism and totality: the adventures of a concept from Lukács to Habermas, Berkeley, Cal., 1984.
Kiss, G., Einführung in die soziologischen Theorien, 2 voll., Opladen 1972-1973.
Labriola, A., Del materialismo storico: dilucidazione preliminare (1896), in Scritti filosofici e politici (a cura di S. Sbarberi), vol. II, Torino 1973, pp. 531-636.
Lange, O., Ekonomia polityczna, Warszawa 1959 (tr. it.: Economia politica, Roma 1962).
Lenin, N., Čto takoe druz'ja naroda i kak oni vojujut s socialdemokratami (1894), in Sočinenija, vol. I, Moskva 1941⁴ (tr. it.: Che cosa sono gli 'amici del popolo' e come lottano contro i socialdemocratici?, in Opere scelte, vol. I, Mosca 1946, pp. 71-122).
Luporini, C., Marx contro Marx, in "Critica marxista", 1972, X, 2, pp. 48-118.
Luporini, C., Per l'interpretazione della categoria 'formazione economico-sociale', in "Critica marxista", 1977, XV, 3, pp. 3-26.
McLellan, D., La concezione materialistica della storia, in AA. VV., Storia del marxismo, vol. I, Il marxismo ai tempi di Marx, Torino 1978, pp. 35-59.
Marx, K., Zur Kritik der politischen Ökonomie, Berlin 1859 (tr. it.: Per la critica dell'economia politica, Roma 1957).
Marx, K., Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie (1857-1858), Moskau 1939 (tr. it.: Lineamenti fondamentali di critica dell'economia politica, 2 voll., Torino 1976).
Masulli, I., La storia e le forme: autoorganizzazione dei sistemi naturali e sociali, Roma 1991.
Mondolfo, R., Umanismo di Marx: studi filosofici 1908-1966, Torino 1968.
Muhs, K., Die Gesellschaftsauffassung des historischen Idealismus, in Handbuch der Soziologie (a cura di W. Ziegenfuss), Stuttgart 1956, pp. 484-511.
Simon, P.-J., Histoire de la sociologie, Paris 1991.
Skocpol, T. (a cura di), Vision and method in historical sociology, Cambridge 1984.
Strasser, H., Randall, S.C. e altri, Einführung in die Theorien des sozialen Wandels, Darmstadt 1979.
Topolski, J., Metodologia historii. Wydanie drugie poprawione i uzupełnione, Warszawa 1973 (tr. it.: Metodologia della ricerca storica, Bologna 1975).
Vilar, P., Marx e la storia, in AA.VV., Storia del marxismo, vol. I, Il marxismo ai tempi di Marx, Torino 1978, pp. 60-92.
Warner, R.S., Die Methodologie in Karl Marx's vergleichenden Untersuchungen über die Produktionsweisen, in "Kölner Zeitschrift für Soziologie und Sozialpsychologie", 1968, XX, 2, pp. 223-249.