governo, forme di
L'organizzazione del potere politico
Tradizionalmente con questa espressione sono stati indicati i regimi politici, più precisamente la loro organizzazione giuridica, l'articolazione dei poteri, in una parola la loro costituzione, ben prima che il costituzionalismo moderno facesse di quest'ultima una carta contenente le leggi fondamentali dello Stato. Una comunità politica ha infatti sempre una costituzione come ordinamento dei rapporti tra i poteri, anche se questa non trova espressione in un documento scritto. La forma di governo indica pertanto non solo l'organizzazione formale ma anche la base sociale del potere, non solo le regole del gioco ma anche l'identità dei giocatori
In un passo celebre delle Storie lo storico greco Erodoto dà inizio a una bimillenaria disputa che attraversa tutta la storia occidentale mettendo in scena un dialogo immaginario in cui potenti personaggi dell'Impero persiano si chiedono se la miglior forma di governo sia la monarchia, ossia il governo di uno solo, l'aristocrazia, cioè il governo dei pochi eccellenti per nascita e capacità, oppure la democrazia, ossia il governo di tutti o dei più sotto il governo della legge.
Fin dalle origini questa classificazione è stata complicata dal fatto che ciascuna forma di governo era considerata soggetta alla degenerazione: la monarchia nella tirannide, il governo arbitrario di uno solo; l'aristocrazia nell'oligarchia, che è il governo non dei pochi che eccellono ma di pochi privilegiati senza meriti; la democrazia nell'anarchia, cioè nel disordine.
La questione su quale di queste tre forme di governo fosse la migliore in astratto è stata pertanto spesso risolta tenendo conto non solo delle loro intrinseche virtù, ma anche della loro maggiore o minore stabilità e capacità di durare. Fin oltre la Rivoluzione francese, per esempio, la democrazia è stata considerata come una forma di governo particolarmente instabile e incline a degenerare nell'anarchia e poi nella tirannide.
In età moderna, in particolare con il filosofo politico francese Charles-Louis de Montesquieu, alla classica tripartizione delle forme di governo fondata sul numero dei detentori del potere ne è subentrata una diversa, che tiene conto di una più ampia esperienza storica e di una pluralità di fattori. Le forme di governo di cui si tratta nello Spirito delle leggi (1748) sono ancora tre: la repubblica, la monarchia e il dispotismo. Ma quest'ultima forma di governo serve ora a designare un regime politico che si è affermato in quel mondo orientale che non conosce né i diritti dell'individuo né la libertà politica e in cui il potere non può fondarsi sul consenso ma solo sulla paura, mentre nella storia del mondo occidentale è prevalsa la contrapposizione tra la forma repubblicana, in cui si affermano la libertà politica e la partecipazione al potere di tutto il corpo sociale, e la forma monarchica, in cui il governo di una persona fisica poggia su una gerarchia amministrativa che promuove lo sviluppo delle libertà civili.
Fondando la repubblica sul principio della virtù, vale a dire sulla dedizione dei cittadini alla cosa pubblica, e la monarchia sul principio dell'onore, cioè sul riconoscimento delle gerarchie sociali e sui privilegi di ceto, Montesquieu guarda ancora alla società europea del passato. All'indomani della Rivoluzione americana e di quella francese, tuttavia, la contrapposizione tra repubblica e monarchia finisce per prevalere con nuovi contenuti: la prima nella forma della democrazia rappresentativa che lo storico francese Alexis de Tocqueville descrive in un'altra opera classica, Della democrazia in America (1835-40), la seconda nella forma della monarchia costituzionale, cioè di un regime in cui al re spetta ancora soltanto la rappresentanza formale dell'unità dello Stato, mentre potere legislativo e governativo sono ormai nelle mani dei gruppi che esprimono gli interessi della società civile e degli apparati governativi.
In età moderna, con la costruzione dei grandi e complessi apparati statali, il criterio numerico di distinzione è venuto progressivamente perdendo di rilievo rispetto a criteri giuridici e socio-politici più elaborati, anche in considerazione del fatto che, come hanno mostrato i teorici delle élite, tutte le società sono governate da minoranze e tutti i gruppi di potere hanno struttura oligarchica.
Contrapponendo repubblica e monarchia o, secondo la dizione prevalsa nel 20° secolo, democrazia e autocrazia o democrazia e dittatura, la teoria politica moderna adotta un diverso criterio di distinzione, che concerne la formazione della volontà politica, a seconda che questa salga dal basso o scenda dall'alto, e la modalità del suo esercizio, a seconda che prevalga il consenso o la forza.
Nel mondo contemporaneo la miglior forma di governo è ormai unanimemente riconosciuta nella democrazia: ma la democrazia dei moderni è una forma nettamente distinta da quella teorizzata dagli antichi, è democrazia rappresentativa e non diretta (fondata cioè sull'autogoverno e sulla partecipazione di tutti alla gestione degli affari pubblici), è democrazia liberale e non egualitaria (nel senso almeno che l'eguaglianza sociale di tutti i cittadini non vi è né realizzata né perseguita come valore). Si può anche dire che questa democrazia, come democrazia liberale, è fondata sulla sovranità non del popolo inteso come nazione, come identità collettiva, ma dei cittadini intesi come individui che hanno il diritto e la libertà costituzionalmente garantita di eleggere chi deve deliberare per loro.
Nel linguaggio giuridico, queste distinzioni appaiono ancor più articolate. In questo campo si è soliti scindere forme di Stato e forme di governo. Come forma di Stato, la democrazia rappresentativa presenta numerose varianti, qualificabili in senso tecnico come differenti forme di governo in virtù del diverso rapporto e della diversa dinamica tra i poteri dello Stato (in particolare esecutivo e legislativo): si distinguono così la democrazia presidenziale (modello americano) da quella semipresidenziale (modello francese) e da quella parlamentare (prevista dalla Costituzione italiana). Diverso è anche il grado di approssimazione all'ideale della democrazia costituzionale, di una forma politica cioè in cui il governo degli uomini è disciplinato nel modo più capillare possibile dal governo delle leggi (ma anche qui si tratta di un ideale antico, che solo gradualmente e lentamente ha conosciuto realizzazione nella storia).
Se la forma dello Stato democratico costituzionale è considerata il prodotto più sofisticato dell'evoluzione istituzionale dell'Occidente, non va dimenticato però che essa, in primo luogo, ha conosciuto anche sul suolo della civilissima Europa, nel corso dell'ultimo secolo, un capovolgimento radicale nella forma del totalitarismo e, in secondo luogo, che la sua esportazione in contesti socio-culturali diversi appare spesso problematica.
Sul piano delle forme di governo, intesa ancora l'espressione nella sua accezione più generale, il totalitarismo è la vera innovazione del 20° secolo: si tratta infatti di un regime politico che non può essere ricondotto né al modello antico della tirannide (perché presuppone la società di massa, anche se la psicologia sociale del dittatore totalitario può essere assai simile a quella del tiranno classico), né al modello del dispotismo orientale (il totalitarismo è un prodotto specifico della modernizzazione), né a una qualsiasi dittatura militare o personalistica. Il totalitarismo presuppone la democrazia e i partiti di massa, lo Stato amministrativo e pianificatore, l'economia militarizzata, i moderni sistemi di propaganda, la leadership carismatica.
D'altro canto, non andrebbe dimenticato che la storia istituzionale dell'Occidente e la sua utopia del governo delle leggi non esauriscono lo spettro delle forme di governo possibili: in gran parte del mondo le società appaiono poco ricettive nei confronti della democrazia costituzionale scaturita dalla nostra civiltà liberale perché nella loro storia sono prevalse forme di governo personalistiche, patrimoniali e clientelari oppure reggimenti di tipo teocratico.