democrazia
La forma di governo che si oppone a ogni tipo di dittatura
La democrazia è la forma di governo in cui il potere risiede nel popolo e che garantisce a ogni cittadino la piena libertà e uguaglianza. Il problema della democrazia come governo del popolo e la discussione dei suoi pregi e difetti sono antichi quanto la riflessione politica. Negli ultimi due secoli la discussione sulla democrazia si è svolta attraverso un confronto con il liberalismo e il socialismo
Alla fine del 6° secolo a.C., in Grecia, ad Atene, arrivò a maturazione un processo di radicale riforma politica: si giunse a un regime in cui il potere spettava a tutti i maschi nati liberi, che per questo erano cittadini a pieno titolo, e agli stranieri che avessero ottenuto il diritto di cittadinanza. Questo regime era caratterizzato dal principio che tutti i cittadini erano uguali di fronte alla legge, avevano uguale libertà di parola e potevano concorrere a cariche pubbliche. Gli organi fondamentali della città-Stato (pòlis) ateniese erano l'assemblea di tutti i cittadini; il consiglio, che aveva il compito di preparare le proposte da sottoporre al giudizio dell'assemblea; i magistrati, eletti o sorteggiati, in carica per un anno con funzioni esecutive e con obbligo di rendiconto all'assemblea. Il modello ateniese di democrazia si configura quindi come un sistema di autogoverno e di partecipazione, nel quale l'esercizio del potere è diretto ed è fondato sull'impegno personale dei cittadini coinvolti nelle decisioni riguardanti la pòlis.
La prima importante riflessione sulla democrazia risale ad Aristotele (4° secolo a.C.). Secondo il filosofo tre sono le forme di governo possibili, distinte in base a chi detiene il potere supremo: monarchia (governo di uno solo), aristocrazia (governo di pochi), politìa (letteralmente "costituzione", cioè la costituzione per eccellenza: governo di molti a vantaggio di tutti). A queste tre forme Aristotele contrappone le tre forme corrotte ‒ nelle quali il potere non è esercitato nell'interesse di tutti, ma solo nell'interesse di chi governa ‒ e cioè la tirannide (governo a vantaggio del monarca), l'oligarchia (governo a vantaggio di pochi ricchi) e la democrazia (governo della plebe o dei poveri, inteso come dominio dei demagoghi).
I giuristi medievali, partendo da un commento al diritto romano, elaborarono il concetto di sovranità popolare, affermando che se è la volontà del re che fa le leggi, tuttavia il re ha tale autorità perché il popolo gli ha trasferito, sia pure solo idealmente, il potere originario di legiferare.
Ma è Jean-Jacques Rousseau (18° secolo) il grande teorico della democrazia: alla sovranità popolare spetta il potere di fare le leggi, che devono essere l'espressione di una volontà generale inalienabile (che non può essere trasmessa o delegata a rappresentanti), indivisibile e infallibile. Per Rousseau la democrazia è quindi partecipazione diretta di tutti i cittadini ‒ quale che sia la loro condizione sociale ‒ alla formazione delle leggi e al governo.
Se la democrazia degli antichi ha come punto di riferimento la pòlis, la democrazia dei moderni si organizza nello Stato, e più precisamente in uno Stato territoriale esteso a una popolazione infinitamente più numerosa di quella della pòlis. Viene così in primo piano il problema della rappresentanza: in che modo il popolo possa delegare ad alcuni rappresentanti l'esercizio del suo potere, senza rinunciare però ai propri diritti individuali.
Attraverso il confronto con la tradizione del pensiero politico liberale (liberalismo) si è affermata l'idea che la forma di democrazia compatibile con lo Stato liberale ‒ cioè con lo Stato che riconosce e garantisce i diritti fondamentali dell'individuo, quali l'inviolabilità personale, la libertà di opinione, di stampa, di religione e d'insegnamento ‒ non sia la democrazia diretta propugnata da Rousseau, bensì la democrazia rappresentativa o parlamentare, nella quale non è il popolo intero riunito in assemblea a fare le leggi, ma un gruppo di rappresentanti eletti da quei cittadini cui è riconosciuto il diritto di voto.
Nella seconda metà del 19° secolo l'ideale di libertà e garanzia dei diritti individuali e l'ideale democratico di partecipazione popolare al potere sono confluiti l'uno nell'altro. Pertanto oggi si parla comunemente di liberaldemocrazia.
Secondo le teorie socialiste (socialismo), le libertà richieste come presupposto di qualsiasi democrazia non possono limitarsi all'ideale astratto di giustizia formale proprio dello Stato liberale, in cui tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge ma diversi per ricchezza e per status sociale. Tali libertà devono invece porre le condizioni per arrivare a un superamento delle differenze economiche e sociali, e quindi devono affermare un ideale di eguaglianza. È soprattutto il marxismo (Marx) a diffondere queste tesi: nella nuova società di tipo comunista si dissolverà il sistema capitalistico delle differenze economiche e ciascuno troverà il proprio interesse nell'intreccio con gli interessi degli altri. La vera democrazia, quindi, è democrazia sostanziale, non solo formale, e consiste nell'"autogoverno dei produttori", cioè nell'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione e nella partecipazione diretta alla loro gestione da parte dei lavoratori.
La democrazia consiste nello stabilire regole, accettate da tutti, che ci dicono come dobbiamo arrivare a una decisione politica, ma non cosa dobbiamo decidere. Queste regole sono liberamente poste e possono cambiare; non possono mai introdurre, però, elementi limitativi della libertà del gioco democratico e della partecipazione popolare.
Elemento caratterizzante della democrazia è infatti la partecipazione del popolo al potere politico, cioè la dottrina della sovranità popolare. Nelle democrazie moderne questa partecipazione avviene attraverso l'elezione diretta da parte del popolo di rappresentanti che costituiranno l'organo politico (in Italia, il Parlamento) cui è affidata la funzione legislativa. Elettori devono essere tutti i cittadini che abbiano raggiunto la maggiore età, senza distinzioni di sesso, razza, religione o censo. Accanto al supremo organo legislativo, anche i responsabili degli enti di amministrazione locale (come Comune, Provincia e Regione) devono essere eletti. Tutti gli elettori devono avere un voto uguale e devono essere liberi di esprimersi secondo le loro convinzioni, scegliendo tra più partiti in competizione. Per le elezioni e per tutte le decisioni prese in seno all'organo legislativo o al governo, vale il principio della maggioranza numerica, anche se nessuna decisione della maggioranza deve cancellare i diritti delle minoranze.
Alcuni valori sono considerati essenziali dell'ideale democratico. Essi sono: l'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge; la tolleranza religiosa e la libertà di stampa e di insegnamento; la libertà di organizzazione politica e sindacale; la soluzione pacifica dei conflitti sociali; l'eliminazione della violenza nel funzionamento di istituzioni come polizia, esercito, carceri; il frequente ricambio della classe politica; il rispetto dei diritti delle minoranze; il controllo della concentrazione di poteri di monopolio nelle mani di pochi in campo economico, dell'informazione e delle telecomunicazioni.
Oggi si parla spesso di due diversi modelli di democrazia: presidenziale e parlamentare. La prima prevede l'elezione diretta, oltre che dell'organo legislativo, anche del capo dello Stato, che ha poteri esecutivi (è questo il caso degli Stati Uniti); mentre nella democrazia parlamentare il capo dello Stato è una figura super partes, garante dell'osservanza della costituzione, e sono molto stretti i rapporti tra esecutivo e legislativo: il governo (potere esecutivo) è infatti vincolato al Parlamento (potere legislativo) da un rapporto di fiducia.