Stato
L’organizzazione della vita collettiva
Lo Stato è l’organizzazione politico-istituzionale e giuridica di una comunità che esercita il potere sovrano in un determinato territorio mediante le leggi e il ricorso anche alla forza per farle rispettare. Esso può essere autoritario, liberale o democratico; unitario-centralistico, federale o confederale; confessionale o laico; monarchico o repubblicano; a base capitalistica o socialistica. Le funzioni dello Stato sono dirette sia a garantire l’ordine interno regolando i rapporti tra le varie componenti sociali e politiche, sia a definire le relazioni con gli altri Stati
Il termine Stato ha fatto la sua comparsa nel Cinquecento. Lo Stato moderno è sorto in Europa tra il 15° e il 16° secolo, trovando la sua espressione dominante nella monarchia assoluta, che a partire dalle grandi monarchie nazionali di Spagna, Inghilterra e Francia pose gradualmente fine al particolarismo di matrice feudale o quanto meno lo ridusse fortemente ponendolo sotto il proprio controllo.
Fondamento dello Stato moderno è che esso sia retto da un ordinamento in base al quale i suoi membri – individui e organismi collettivi – sono sottomessi unicamente alla legge, garanzia dei diritti statuiti e sottoposti al controllo dell’ordine giudiziario. In questo senso lo Stato si presenta come Stato di diritto. Le costituzioni – le prime sono state quella inglese (non espressa in un testo scritto) e quella degli Stati Uniti d’America (stabilita in un testo scritto nel 1787) – sono le leggi fondamentali che fissano il quadro normativo generale a cui devono attenersi le leggi ordinarie per risultare legittime.
Lo Stato di diritto, con il superamento delle monarchie assolute, è andato via via diventando sinonimo di Stato liberale e democratico, basato sul rispetto delle libertà politiche e civili e quindi del pluralismo culturale e sociale. Sorto nel Settecento e consolidatosi nel corso dell’Ottocento, esso è stato distrutto là dove si sono costituiti regimi totalitari e dittatoriali.
Il sistema dell’assolutismo vide il sovrano assumere nelle proprie mani i poteri e le funzioni pubbliche precedentemente condivisi con i diversi ceti e anzitutto con l’aristocrazia feudale, costituire un esercito da lui dipendente e sottoporre al proprio controllo il fisco e gli apparati amministrativi. Clero, nobiltà e terzo stato – i tre ceti, ordini o stati che componevano la società nel quadro di una struttura gerarchica politica e sociale – erano sottoposti alla volontà esclusiva dal sovrano, il quale, in quanto faceva le leggi, era esente dall’osservarle (legibus solutus «sciolto dalle leggi»).
Tutti erano sudditi del sovrano, che, per essere legittimo, era tenuto al rispetto delle leggi divine e naturali, nonché delle leggi fondamentali del regno, come – in primo luogo – il rispetto delle regole di successione al trono. Il monarca, incarnazione nella sua persona della sovranità dello Stato, governava mediante consigli, ministri, alti funzionari, i quali rispondevano a lui e operavano fino a che egli volesse. Le istituzioni rappresentative di clero, nobiltà e terzo stato – gli Stati generali – persero a mano a mano i loro poteri e vennero convocate sempre più raramente.
Nelle monarchie assolute il controllo sulla religione e sulle Chiese, considerate essenziali strumenti di governo, costituiva un tratto diffuso, così da dare in molti casi allo Stato un volto confessionale, che solo nel Settecento andò attenuandosi facendo strada a una concezione laica dello Stato (secolarizzazione).
L’assolutismo monarchico raggiunse la massima espressione nell’Europa continentale tra Seicento e Settecento. L’assolutismo entrò decisamente in crisi in Inghilterra in conseguenza delle rivoluzioni avvenute nel 17° secolo con l’avvento della monarchia limitata e costituzionale (rivoluzioni inglesi).
In quest’ultima la sovranità veniva esercitata secondo procedure che non dipendevano più dalla volontà esclusiva del monarca e che rispettavano la costituzione del regno – una costituzione, in Inghilterra, in continua evoluzione e mai fissata per iscritto – risultante dal ‘patto’ stabilito tra la corona e i ceti sociali rappresentati in parlamento.
La costituzione era la sintesi di leggi derivanti dalla consuetudine e di atti, invece, scritti, come la Petizione dei diritti del 1628, l’Habeas corpus act del 1679, il Bill of rights del 1689, l’Act of settlement del 1701. Il potere venne perciò a essere condiviso, secondo il principio della separazione dei poteri, tra il monarca e il Parlamento composto da una Camera dei Lord ereditaria e una Camera dei Comuni eletta a suffragio ristretto sulla base prevalente del censo. Nel Settecento il monarca inglese cessò di tenere nelle proprie mani il controllo del potere esecutivo, poiché si impose la prassi secondo cui egli era tenuto a nominare capo del governo il leader della maggioranza parlamentare e i ministri erano responsabili di fronte al Parlamento.
Una diversa evoluzione ebbe luogo negli Stati Uniti e nell’Europa continentale. Nei primi il principio costituzionale si affermò mediante l’approvazione nel 1787 di una Costituzione scritta, la prima in età moderna; in Francia, in seguito alla rivoluzione che abbatté il sistema assolutistico, con la Costituzione – anch’essa scritta – del 1791. Entrambi i paesi erano divenuti repubbliche. Le loro costituzioni, pur nella loro diversità per aspetti essenziali, stabilivano che lo Stato avesse il fondamento in inviolabili diritti e libertà appartenenti al popolo sovrano e garantiti dalla divisione del potere esecutivo da quelli legislativo e giudiziario. Diritti – tra i quali primeggiava il diritto di proprietà –, libertà politiche e civili, rappresentanza parlamentare, divisione dei poteri diventarono la caratteristica basilare delle costituzioni e degli Stati che per il loro richiamo alla libertà furono detti liberali (liberalismo).
La Costituzione americana unì con una struttura federale gli Stati dell’Unione, mentre quella francese diede origine a uno Stato unitario centralizzato. Entrambe, pur rifacendosi alla sovranità popolare, limitarono però il diritto di rappresentanza parlamentare con un suffragio ristretto volto a tutelare in primo luogo i proprietari. Le costituzioni americana e francese furono il prodotto di rivoluzioni. Dopo la fine dell’Impero napoleonico e la Restaurazione del 1814-15 vennero introdotte costituzioni per concessione dall’alto, ossia del monarca, che accettò l’autolimitazione dei propri poteri. Così avvenne, per esempio, in Francia, dove nel 1814 Luigi XVIII concesse una Carta e nel Regno di Sardegna, in cui Carlo Alberto emanò nel 1848 lo Statuto. Nei regimi liberali sono diventati prevalenti i principi della separazione dello Stato laico dalle Chiese.
Il modello dello Stato democratico si è perfezionato nel mondo occidentale tra la seconda metà del 19° secolo e la prima metà del 20° attraverso l’evoluzione dello Stato liberale. Quest’ultimo poggiava sul suffragio ristretto, in vari paesi europei sulla presenza accanto alla Camera bassa elettiva di una Camera alta di nomina regia, su partiti di notabili a carattere non permanente che operavano per lo più in vista delle elezioni (partiti politici). In alcuni casi il monarca manteneva ancora il controllo o quanto meno una forte influenza sul potere esecutivo.
Lo Stato ha assunto un carattere democratico con l’elezione del Parlamento o quanto meno della Camera bassa a suffragio universale, con partiti di massa permanentemente organizzati, con un potere esecutivo formato sulla base della maggioranza parlamentare e la sua durata in carica in relazione alla fiducia a esso espressa dal Parlamento, con il pieno riconoscimento dei diritti di libertà individuali e collettive a partire da quelli delle minoranze. Questo tipo di Stato democratico viene definito Stato parlamentare per la supremazia che nella divisione dei poteri tiene il parlamento, ossia il potere legislativo.
Un tipo diverso è lo Stato democratico presidenziale e federale esistente negli Stati Uniti. Qui il governo centrale federale è nelle mani del presidente, eletto, al pari del Congresso – il parlamento – direttamente dal popolo. I membri del governo sono scelti dal presidente e dipendono dalla sua fiducia. Inoltre il presidente non è responsabile di fronte al Congresso e dura in carica sino alle successive elezioni. In quanto frutto dell’evoluzione degli Stati liberali, gli Stati democratici vengono definiti correntemente liberaldemocratici.
Viene definito autoritario ogni Stato non liberale e non democratico. Sennonché gli Stati autoritari possono essere di tipi assai differenti. Per un verso vi sono quelli apertamente dittatoriali o totalitari, nei quali esiste un solo centro di potere effettivo e le libertà politiche e civili sono soppresse; per l’altro quelli che, per distinguerli da questi, si è soliti definire di autoritarismo tradizionale i quali, in taluni casi – come nell’Italia del 1922-26 –, rappresentano una fase di transizione da uno Stato autoritario allo Stato dittatoriale o totalitario.
Nello Stato autoritario tradizionale la pluralità dei partiti, il parlamentarismo, le garanzie di libertà politica e civile in molti casi non vengono soppressi, ma la loro vita è resa quanto mai o sempre più precaria da parte di chi detiene il potere: in genere una coalizione di forze conservatrici di destra sostenute dai militari. In esso le masse vengono tenute ai margini del sistema.
L’esempio sovietico. Lo Stato liberaldemocratico ha avuto e ha dovunque come base sociale ed economica la proprietà privata e il capitalismo. Per contro lo Stato socialista, il cui primo esempio è stato costituito dalla Russia sovietica (urss) in seguito all’avvento al potere dei bolscevichi nell’ottobre 1917, si è posto quale compito di abolire la proprietà privata, accusata di essere la causa prima dei conflitti tra le classi sociali e tra gli Stati, e di sostituirla con la proprietà collettiva dei mezzi di produzione.
Il suo fine ultimo è di creare – passando attraverso la fase socialista (nella quale sopravvivono ancora disuguaglianze provvisorie) e la dittatura del proletariato – una società integralmente egualitaria, e cioè comunista, nella quale gli uomini – scomparse definitivamente le classi – si autoamministreranno senza aver più bisogno né del potere politico né dello Stato stesso.
L’esempio cinese. Stati socialisti si sono formati nel Novecento in varie parti del mondo. Dopo l’Unione Sovietica, che si è dissolta nel 1991, l’altro maggiore esempio è quello della Cina comunista, che è sorta nel 1949 e, pur avendo subito mutamenti di enorme rilievo – a partire dal ‘compromesso’ stabilito col capitalismo negli ultimi decenni–, dura tuttora.
Il monopolio del partito comunista. Nessuno Stato socialista ha in concreto attuato il passaggio dalla fase socialista alla comunista. Tutti hanno assunto il carattere di dittature del partito comunista sottoposto a sua volta al potere del suo gruppo dirigente e del capo supremo, come Stalin e Mao Zedong. Lo Stato è sottomesso al partito. In esso vige non già la separazione dei poteri ma l’unità del potere. Le costituzioni degli Stati socialisti teorizzano e attuano il monopolio politico del partito comunista. La democrazia è un mero slogan ideologico, in quanto le elezioni sono manipolate dal governo. Le grandi masse vengono costantemente mobilitate dalle organizzazioni di regime. Le opposizioni si trovano sistematicamente represse in un regime di terrore, gli oppositori sterminati, imprigionati o inviati in campi di prigionia e di lavoro. L’economia è statizzata. La società nel suo insieme è insomma pienamente assoggettata al partito e allo Stato. L’Unione Sovietica degli anni Trenta ha fornito l’esempio più integrale dello Stato detto totalitario a indicare, appunto, il dominio totale del potere sulla società.
Lo Stato fascista e quello nazionalsocialista hanno rappresentato con lo Stato sovietico tra le due guerre mondiali le altre maggiori varianti del totalitarismo contemporaneo. Dall’Unione Sovietica essi si sono distinti per il fatto di aver avuto tra i loro scopi di preservare il capitalismo contro la minaccia comunista; tra loro perché l’Italia fascista poggiava principalmente sull’idea della potenza dello Stato nazionale, mentre la Germania nazista si poneva come compito la costruzione di un Reich («regno») millenario nel quale lo Stato tedesco era visto come nucleo di un impero mondiale dominato dalla razza ariana. In comune avevano però aspetti essenziali, tanto che Mussolini venne considerato da Hitler come un maestro e che i due regimi dittatoriali legarono i loro destini con un’alleanza che li portò entrambi alla rovina nella Seconda guerra mondiale. Si trattò di un legame sanzionato anche dai termini fascismo internazionale e nazifascismo.
Dopo una fase autoritaria tra il 1922 e il 1926 il fascismo italiano si pose l’obiettivo di dar vita a uno Stato totalitario. Le istituzioni liberali e democratiche vennero soppresse, il partito fascista istituì il proprio monopolio politico, la guida dello Stato fu affidata unicamente agli organi del regime sottoposti a loro volta al dittatore Mussolini, le opposizioni furono stroncate e ridotte alla clandestinità, i mezzi di informazione ridotti a strumenti del fascismo. Sennonché l’obiettivo totalitario si trovò a essere sostanzialmente limitato per un verso dalla Chiesa e dalle sue organizzazioni, per l’altro dalla monarchia in quanto il sovrano restava il capo dello Stato e delle forze armate. Chiesa e monarchia sostennero decisamente il fascismo fino a poco prima del suo crollo nel 1943, ma mantennero una loro autonomia con cui il regime doveva fare i conti. Un aspetto assai significativo del regime fascista fu, in risposta agli effetti della grande crisi economica del 1929, il forte intervento dello Stato in campo economico, con la formazione di un importante settore industriale e finanziario statale. Per la sempre maggiore influenza esercitata su di esso dal nazismo, in seguito al varo delle leggi razziali dirette in primo luogo contro gli ebrei lo Stato fascista prese altresì il volto di uno Stato razziale, inteso a preservare la purezza di una ipotetica razza italica.
Lo Stato nazionalsocialista (nazionalsocialismo) ha rappresentato insieme con quello sovietico la forma estrema di totalitarismo. Dopo la presa del potere nel 1933 il nazismo procedette con rapidità a costruire le istituzioni della dittatura, che assunse un carattere estremamente personalistico quando nel 1934 Hitler assunse i poteri di capo sia del governo sia dello Stato. A differenza dello Stato fascista quello nazista non creò un settore significativo di proprietà pubblica, ma piegò l’economia capitalistica agli scopi del regime.
Data l’enorme ampiezza e spietatezza dell’apparato repressivo, lo Stato nazista assunse il carattere, al pari di quello sovietico, di uno Stato terroristico, teso all’annientamento in larga misura fisico di ogni opposizione e alla difesa della razza ariana. Gli ebrei vennero prima ridotti allo stato di semplici ‘soggetti’, poi durante la Seconda guerra mondiale caddero vittime di un sistematico sterminio di massa (Shoah). La politica dello sterminio colpì nel corso della guerra anche milioni di appartenenti alle ‘razze inferiori’.
A differenza dello Stato unitario centralizzato che ha una fonte indivisa di sovranità, lo Stato federale poggia su un doppio sistema di sovranità, in quanto al governo centrale federale spettano i poteri delegati dai governi dei singoli Stati che compongono l’unione. In genere al governo federale spetta in maniera esclusiva la direzione della politica estera, degli affari militari, della politica monetaria, e in maniera parziale quella della sicurezza e del fisco. Sono federazioni gli Stati Uniti, la Confederazione svizzera, il Messico, il Sudafrica, l’Australia, il Brasile.
L’Unione europea, giunta nel 2004 a comprendere 25 Stati, rappresenta un organismo incompiuto che oscilla tra una confederazione che opera per accordi tra Stati e una federazione che ha un Parlamento e istituzioni di governo comuni.