rivoluzioni inglesi
La nascita della monarchia costituzionale
La rivoluzione che ebbe luogo in Inghilterra tra il 1628 e il 1658 e culminò nella guerra civile iniziata nel 1642 fu la prima delle grandi rivoluzioni moderne. Segnò il lungo e drammatico confronto tra l’assolutismo monarchico in declino e i ceti emergenti decisi a ottenere un peso essenziale negli equilibri di potere. Essa trovò la sua conclusione nella seconda rivoluzione (1688-89) che diede origine alla monarchia costituzionale
Nel 1625-26 l’Inghilterra si trovava in guerra con la Spagna e la Francia. Salito al trono nel 1625, Carlo I Stuart si scontrò negli anni seguenti con il Parlamento che, mal sopportando le imposizioni fiscali richieste dal re e la politica dei suoi favoriti, venne ripetutamente sciolto e riconvocato. Nel 1626 gli oppositori accusarono di dispotismo il re, piegandolo nel 1628 prima a convocare il Parlamento e poi ad accogliere una Petizione dei diritti che sanciva una limitazione dei poteri della corona. Nel 1629, però, Carlo riprese nelle proprie mani tutti i poteri, dando inizio a quelli che sarebbero stati definiti «gli undici anni della tirannide» (1629-40); come esecutori delle sue direttive si servì in campo politico del conte di Strafford e in quello religioso di William Laud, capo della Chiesa anglicana.
Tuttavia, nel 1639 l’esercito inglese fu sconfitto dagli Scozzesi e Carlo I, per ottenere i finanziamenti necessari per le esigenze della guerra, dovette convocare nell’aprile 1640 il Parlamento, che però, per aver messo sotto accusa la politica del sovrano, venne sciolto dopo poche settimane e per questo fu denominato Corto Parlamento. Nuovamente sconfitto dagli Scozzesi, il re si trovò costretto a riunire il Parlamento (novembre), che chiese apertamente la fine del regime assolutistico, e ad accettare l’umiliazione che il suo ministro, il conte di Strafford, venisse fatto decapitare. Il 23 novembre 1641 la Camera dei comuni votò una Grande rimostranza al re. Dopo che questi ebbe ordinato l’arresto di eminenti parlamentari, Londra insorse. Il 10 gennaio 1641 Carlo abbandonò la capitale e nell’agosto 1642 scoppiò la guerra civile.
Il re era sostenuto dalla grande nobiltà e dalla Chiesa anglicana; i ribelli dalla borghesia, dalla piccola nobiltà economicamente legata a quest’ultima, dagli strati popolari, dai puritani (puritanesimo) e dalle altre sette protestanti. La direzione degli intransigenti, decisi a non accettare ulteriori compromessi con il re, venne assunta dal gentiluomo di campagna puritano Oliver Cromwell, capo del partito delle Teste rotonde (dallo stile puritano di portare i capelli corti senza parrucca). Egli fu l’artefice della vittoria della rivoluzione: a capo del New model army («Esercito di nuovo modello»), composto da uomini che sentivano la disfatta dell’assolutismo come una missione etica e religiosa, sconfisse le truppe reali a Naseby il 14 giugno 1645.
Nel corso della guerra civile, nelle file dell’esercito rivoluzionario emersero correnti di radicalismo sociale (i levellers « livellatori » e i diggers « zappatori ») che chiedevano il suffragio universale e la proprietà comune della terra. Cromwell si mostrò decisamente contrario a esse. Intanto il re aveva trovato rifugio in Scozia e, grazie all’aiuto degli Scozzesi, fu in grado di riprendere la guerra, ma Cromwell lo sconfisse in maniera definitiva a Preston nell’agosto 1648. La vittoria diede il completo controllo sul Parlamento (detto Lungo Parlamento per essere stato in sessione dal novembre 1640) a Cromwell, il quale decise di epurarlo da tutti gli elementi inclini a un’intesa con il re. Quel che ne rimase dopo l’epurazione fu definito Parlamento moncone (Rump Parliament).
Un’Alta corte di giustizia condannò a morte lo sconfitto Carlo I accusandolo di tradimento e di tirannia; quindi il 30 gennaio 1649 il re fu decapitato. Stroncato il progetto assolutistico, venne proclamato il Commonwealth, ossia la Repubblica, con la soppressione della Camera dei lord e l’attribuzione alla Camera dei comuni dei poteri legislativi.
La Repubblica era minacciata da un lato dai seguaci del figlio di Carlo I, che il partito monarchico riconosceva come Carlo II, dall’altro dalle correnti sociali radicali dei livellatori e degli zappatori. Queste ultime vennero annientate nel maggio 1649. Quindi tra il 1649 e il 1651 Cromwell provvide a schiacciare la rivolta dei cattolici irlandesi e degli Scozzesi, sostenitori di Carlo II, che riparò in Francia.
In tal modo furono poste le basi della duratura unione dell’Irlanda e della Scozia all’Inghilterra. Nel 1653 Cromwell sciolse il Parlamento, dove era andata maturando un’opposizione composta da quanti temevano un’eccessiva concentrazione dei poteri nelle sue mani e assunse le vesti di Lord Protettore del Commonwealth d’Inghilterra, Scozia e Irlanda. Il suo potere non fu più sfidato fino alla sua morte, nel settembre 1658.
Due anni dopo la morte di Cromwell si crearono le condizioni per la restaurazione della monarchia. A Cromwell era succeduto il figlio Richard, che non aveva alcuna delle doti del padre e si dimostrò del tutto inadeguato. Nel febbraio 1660 il generale George Monck marciò su Londra in sostegno della restaurazione della monarchia.
Un nuovo Parlamento, dominato da monarchici e presbiteriani moderati, invitò in maggio il figlio del re giustiziato, Carlo II, ad assumere il trono. Questi si impegnò a rispettare le libertà inglesi e a non esercitare vendette. Divenuto re, in un primo tempo, nonostante le sue tendenze assolutistiche, tenne una linea di compromesso; ma in un secondo tempo il conflitto con il Parlamento si riaccese, specie in relazione alla questione cattolica. Il re non poté evitare che i cattolici fossero esclusi dalla Camera dei lord e che si formasse un potente partito parlamentare che invocava con forza l’esclusione di suo fratello Giacomo, cattolico, dalla successione. Nel 1679 la Camera dei comuni approvò sia una legge a tal scopo sia l’Habeas corpus act, volto a proteggere i sudditi dagli arbitri giudiziari. A questo punto, esplose un conflitto tra la corona e il Parlamento che durò alcuni anni. Nel 1681 Carlo II, dopo aver sciolto il Parlamento, imboccò la via dell’assolutismo.
Alla morte del re nel 1685, convertitosi in punto di morte al cattolicesimo, gli succedette il fratello Giacomo II, il quale mostrò la chiara intenzione di restaurare l’assolutismo e di imporre il cattolicesimo quale religione di Stato.
La maggioranza del Parlamento reagì al tentativo di Giacomo II di restaurare il potere assoluto della corona. Il re nel 1688 aveva avuto un erede maschio che era stato battezzato cattolico, cosa che escludeva dalla successione la figlia Maria, di fede anglicana; sulla base di questo fatto, in un clima di generale avversione alla monarchia degli Stuart e di accordo fra tutti i partiti, con una decisione priva di legittimità dal punto di vista formale, la maggioranza del Parlamento compì il passo di offrire la corona inglese al marito di Maria, Guglielmo III d’Orange, capo (statolder) delle Province Unite. Questi, dopo aver accettato l’offerta, anche perché vedeva nel trono inglese il mezzo per saldare la Gran Bretagna all’Olanda in un’alleanza volta a contrastare le ambizioni espansionistiche della Francia di Luigi XIV, sbarcò sulla costa inglese con un esercito i primi giorni di novembre del 1688. Le forze di Giacomo II sbandarono, e il sovrano deposto si rifugiò presso il re francese. Guglielmo III fece un ingresso trionfale a Londra. Nell’aprile 1689 assunse il trono con la moglie Maria.
La nuova dinastia si impegnò a rispettare i diritti del Parlamento e in generale, con l’approvazione nel 1689 del Bill of rights, le libertà degli Inglesi, tra cui la tolleranza religiosa (salvo che per i cattolici giudicati sudditi sleali). Nel 1701 l’Act of settlement stabilì che soltanto un protestante poteva accedere al trono e che giudici e ministri erano responsabili di fronte al Parlamento. La pagina dell’assolutismo era così definitivamente chiusa in Inghilterra, che dopo di allora si configurò come un paese liberale e una monarchia costituzionale.