Mao Zedong
Il rivoluzionario che fece vincere il comunismo in Cina
Mao Zedong è una delle figure dominanti della storia del Novecento. Nel 1949 portò al potere i comunisti in Cina. Marxista, vide in Lenin un maestro di azione rivoluzionaria. Mao non fu, però, un passivo seguace delle teorie di Marx e Lenin. Reinterpretò la loro lezione rivoluzionaria adattandola alle condizioni economiche e sociali del suo Paese. Dopo l’ascesa al potere, fu il leader incontrastato della Cina
Mao nacque nello Hunan nel 1893 in una famiglia contadina di modesta agiatezza. Durante i suoi studi da maestro, abbracciò le idee rivoluzionarie, ansioso di liberare la Cina dalla subordinazione alle potenze straniere e i lavoratori agricoli e industriali dallo sfruttamento dei loro padroni. Nel 1921 fu tra i fondatori del Partito comunista cinese. Dopo la sanguinosa repressione subita dai comunisti nelle città a opera delle forze nazionaliste, Mao nel 1926-27 teorizzò che in Cina, data la debolezza dei nuclei operai, la rivoluzione comunista non avrebbe potuto seguire lo schema classico dell’insegnamento di Marx; ma avrebbe potuto vincere solo facendo leva sulle grandi masse dei contadini poveri e scatenando la lotta di classe nelle campagne. Agli inizi degli anni Trenta, diventò il capo riconosciuto del partito.
Nel 1934, per sfuggire all’esercito del nazionalista Chiang Kai-shek, guidò il trasferimento delle forze comuniste, nel corso della cosiddetta Lunga marcia, nella Cina (v. anche Cina, storia della) di nord-ovest, creando a Yan’an uno Stato comunista autonomo. Quando nel 1937 il Giappone invase la Cina, Mao stabilì un’alleanza con i nazionalisti, la quale però non sopravvisse alla fine della Seconda guerra mondiale e sfociò nella guerra civile.
Forte del consenso di grandi masse popolari, l’esercito comunista sconfisse quello nazionalista, e nell’ottobre 1949 Mao salì al potere. All’inizio si legò strettamente all’Unione Sovietica, ma, dopo la morte di Stalin nel 1953, respingendo la linea politica del nuovo leader sovietico Nikita S. Chruščcëv, considerato sostenitore di un’inaccettabile subordinazione della Cina all’URSS, egli procedette per la propria strada. Dapprima promosse una collettivizzazione generalizzata delle terre, per assicurare al paese un rigoroso egualitarismo, che a suo avviso i sovietici avevano abbandonato; quindi, nel 1958, impose ai contadini quanto mai riluttanti il loro raggruppamento in comuni popolari, organismi in grado di provvedere a tutti i rami essenziali della produzione, con lo scopo di dar vita a un «Grande balzo in avanti» dell’economia cinese. Ma il risultato fu disastroso. La produzione, in primo luogo agricola, andò incontro a un’enorme contrazione, tanto da provocare una terribile carestia che causò la morte di circa 30 milioni di persone. Mao fu oggetto di critiche severe e conobbe un periodo di isolamento, a cui reagì però con forza prevalendo alla fine sui suoi avversari.
Mao riprese saldamente le redini del potere, nel 1966, intenzionato a impedire che la Cina venisse contagiata dalle influenze sia del cosiddetto revisionismo dei leader sovietici (accusati di aver tradito gli ideali comunisti) sia del capitalismo, lanciò allora la Rivoluzione culturale: così chiamata perché il suo intento era di far trionfare nelle masse il giusto orientamento spirituale favorevole a un egualitarismo radicale (eguaglianza).
Strumenti di Mao, che venne idolatrato dai suoi seguaci esaltati, divennero le Guardie rosse, composte soprattutto da giovani studenti animati dal Libretto rosso (una raccolta di piccolo formato che conteneva i pensieri del capo). La rivoluzione provocò successive ondate di enorme violenza, che colpirono in primo luogo quanti erano accusati di revisionismo e paralizzarono il paese. Dopo acute lotte intestine in seno al gruppo dirigente, nel 1973 essa si era esaurita e Mao aveva dovuto infine sconfessare i gruppi più radicali. Quando morì a Pechino nel 1976, la sua linea rivoluzionaria era fortemente indebolita, tanto da preparare l’avvento al potere nel 1978 di un revisionista come Deng Xiaoping.