FRANCESCANESIMO
Movimento religioso originato dalla testimonianza spirituale di s. Francesco d'Assisi.La maturazione della 'conversione' di Francesco tra il 1206 e il 1209 resta per molti aspetti oscura, anche se i suoi esiti risultano con chiarezza dagli scritti dello stesso Francesco. La vita evangelii che egli e i suoi primi fratres si proposero di adottare consisteva nella scelta della 'povertà volontaria', che corrispondeva tuttavia anche a una scelta di campo sociale, nel senso che la povertà venne realizzata assumendo la condizione di tutti gli altri poveri. L'itineranza, la precarietà giuridica, la rinuncia alla cultura, il lavoro manuale per vivere e il ricorso alla mendicità qualora il lavoro non avesse offerto sufficienti mezzi di sussistenza, il rifiuto del denaro - salvo che per le necessità degli ospizi presso cui i frati prestavano servizio - e di qualsiasi forma di possesso, la sottomissione omnibus creaturis propter Deum, costituirono in effetti i connotati salienti della loro povertà. L'appellativo stesso di minores, che Francesco scelse per sé e i suoi fratres, corrispondeva a queste prospettive.Tale scelta rappresentava una radicale innovazione rispetto alle esperienze di 'povertà volontaria' della tradizione monastica. La rinuncia dei monaci a possedere beni propri non implicava infatti nessuna conseguenza per ciò che riguardava la loro collocazione nella scala delle gerarchie sociali. Per Francesco e i suoi fratres invece divenire poveri per abbracciare la vita evangelii comportava la scelta di porsi al gradino più basso della società. La volontà di 'seguire il Cristo', che costituisce il fine della vita evangelii, impose di assumere i modi di essere che gli furono propri; tali modi risultavano per Francesco dalla riflessione sull'incarnazione e sulla passione e morte. Il Cristo dell'incarnazione e il Cristo sofferente della passione costituiscono dunque due punti di riferimento essenziali dell'esperienza religiosa francescana fin dal suo iniziale delinearsi.La forma istituzionale assunta dal primo gruppo di uomini raccoltisi intorno a Francesco corrispondeva a quella propria di una fraternitas fatta di chierici e di laici. Nei primi tempi della loro esperienza, tuttavia, anche donne furono accolte ad obedientiam - con Chiara d'Assisi, nel 1212, avvenne certamente così - e sistemate ben presto presso la chiesetta di S. Damiano, poco fuori le mura della città. Progressivamente Francesco e i fratres stabilirono una netta separazione con il gruppo femminile e in genere rispetto alle donne che aspiravano ad penitentiam: le difficoltà di condividere concretamente il medesimo propositum e preoccupazioni di ortodossia stavano molto probabilmente alla base di tale processo.La scelta della forma istituzionale della fraternitas si ispirava a esperienze largamente diffuse nella società medievale e particolarmente in quel mondo cittadino dal quale i primi fratres per lo più provenivano. Ciò comportava la redazione di uno statuto, la primitiva regola, la possibilità di rivederlo periodicamente alla luce delle diverse evenienze e la periodicità degli incontri dei suoi membri.Francesco e i primi compagni ritennero tuttavia di dover sottoporre la loro regola all'approvazione papale. Le ragioni di tale decisione restano oscure, poiché non si trattava di un passo ovvio per una fraternitas. Si può ipotizzare che la volontà di ortodossia e di piena sottomissione alla Chiesa di Roma abbia spinto Francesco a questo passo. Innocenzo III, probabilmente nell'inverno 1209-1210, concesse un'approvazione orale dopo esitazioni e perplessità di cui restano evidenti tracce nelle fonti. Già tale approvazione conferiva alla fraternitas un carattere tutto particolare, determinando una sorta di fluidità e di incertezza sulla natura istituzionale del gruppo: lo attesta la varietà dei termini (societas, religio) usati nei primi documenti della cancelleria pontificia rivolti a Francesco e ai suoi compagni alla fine degli anni dieci del secolo.Originariamente i fratres presero dimora provvisoria in una casetta a Rivotorto, nei pressi di Assisi. In questi primi anni peraltro la loro vita si svolse prevalentemente nell'itineranza a due a due, nel dare testimonianza evangelica servendo i malati nei lebbrosari e vivendo del proprio lavoro precario, in un'area limitata sostanzialmente alle regioni dell'Italia centrale; periodicamente essi rifluivano su Assisi per incontri comuni. A questi primi anni probabilmente va riferita la concessione alla fraternitas, da parte dei monaci di S. Benedetto al Subasio, di una chiesetta semidistrutta nella piana di Assisi, detta la Porziuncola (od. S. Maria degli Angeli), che divenne sede degli incontri periodici e dimora abituale dei fratres che non erano in viaggio. Nella memoria posteriore la Porziuncola divenne la culla dell'Ordine e, in quanto simbolo della scelta di umiltà e povertà, insegna degli 'zelatori della regola', in contrapposizione alla basilica e al Sacro Convento costruiti da frate Elia da Cortona.La scelta evangelica venne messa alla prova nella quotidianità della vita di lavoro e di itineranza. Nacquero del tutto naturalmente le domande sul modo migliore in cui tradurre il propositum e sui termini richiesti per restare a esso fedeli; nel corso dei periodici incontri la forma vitae approvata da Innocenzo III subì aggiunte e modificazioni che miravano a rispondere ai problemi che via via i fratres avevano dovuto affrontare. Il punto d'arrivo di tale evoluzione normativa è costituito dalla c.d. Regula non bullata, la cui ultima redazione è databile al 1221.Il progressivo e probabilmente inaspettato crescere delle reclute determinò un allargamento dell'area di presenza dei fratres, prima in direzione dell'Italia settentrionale e meridionale, poi Oltralpe e verso la Terra Santa. Tale crescita numerica determinò anche profondi mutamenti interni negli orientamenti e negli equilibri del gruppo, attirando l'attenzione e suscitando l'interesse della Curia romana. Le tendenze, che allora cominciarono a farsi luce, a uniformare la fraternitas alle tradizioni e alle norme della vita regolare ebbero in questa nuova situazione la loro radice, e l'arrivo di personaggi culturalmente già formati (magistri, chierici) accentuò tali tendenze. La trasformazione della fraternitas in ordine regolare - per l'ingresso nel quale venne previsto un anno di noviziato -, l'acquisizione di sedi stabili, l'articolarsi delle gerarchie interne con la lenta formazione di un vero e proprio gruppo dirigente, la divisione in 'province', l'esigenza di dotarsi di una regola fissata una volta per tutte ne furono le prime inevitabili conseguenze; si determinarono così forti tensioni interne tra chi intendeva avviare l'Ordine sulla via dell'impegno pastorale, attrezzandolo perciò allo scopo sul modello del coevo Ordine dei Predicatori, e quanti con Francesco intendevano, nonostante tutto, restare fedeli al modello originario.Francesco abbandonò la direzione dell'Ordine, probabilmente nell'autunno del 1220, dopo lo scoppio dei primi contrasti verificatisi durante il suo viaggio in Oriente. La richiesta al pontefice di un cardinale che fosse corrector et protector dell'Ordine ebbe origine in questo contesto: Onorio III affidò tale incarico a Ugolino di Ostia, che era già in relazione con i Minori.Il cardinale ammirava Francesco ed era anche persuaso che i Minori potessero costituire uno straordinario strumento per supplire alle carenze del clero in fatto di cura delle anime, per rinnovare la vita cristiana nella società e per fronteggiare la penetrazione ereticale; l'aspirazione di Roma di indirizzare i Minori in questa direzione si incontrò con le tendenze che emergevano al loro interno: una nuova stesura della regola, alla quale accanto a Francesco collaborarono esperti canonisti e lo stesso Ugolino, costituì un precario compromesso fra tali diversi orientamenti. Approvata da Onorio III nel novembre 1223, essa offrì all'Ordine il testo definitivo su cui modellarsi, chiudendo così la prassi precedente che implicava l'impegno di riadeguare costantemente la propria fedeltà al vangelo alle nuove condizioni e alle nuove evenienze che venivano quotidianamente proponendosi.Francesco visse allora anni difficili: minato dalle malattie, per lo più con pochi compagni, attraversò momenti dolorosi, di cui restano alcune tracce nella sapiente sistemazione offerta da Tommaso da Celano (Vita prima, II). Le stimmate della Verna e le Laudes Domini Dei altissimi segnarono il culmine di tali sofferenze e insieme il suo pacificato abbandonarsi alla volontà di Dio. Con il Testamentum, dettato all'approssimarsi della morte, Francesco riaffermò intera la specificità del suo percorso e della sua proposta cristiana: ordinando di affiancarne la lettura a quella della Regula bullata, egli intese supplire alle ambiguità e alle reticenze di questa, per mantenere l'Ordine nel primitivo propositum.Francesco morì il 3 ottobre 1226. La sua rapidissima canonizzazione - meno di due anni dopo - promossa da Ugolino, divenuto nel frattempo papa Gregorio IX, volle additare a tutta la cristianità la grandezza della sua santità, letta in termini di scelta apostolica, ma segnò anche il prestigio raggiunto a Roma dal nuovo Ordine. Frate Elia, che Francesco aveva voluto alla testa dell'Ordine dopo la morte del suo primo successore, Pietro Cattani, si assunse il compito di costruire la grandiosa basilica che doveva custodirne le spoglie: il processo di modifica degli orientamenti dei Minori trovò in quella basilica e nel Sacro Convento che le fu affiancato uno dei suoi simboli più significativi.Nel 1230 una delegazione di frati - designata dal Capitolo generale riunitosi ad Assisi in occasione della traslazione del corpo di Francesco nel nuovo sepolcro - ottenne da Gregorio IX, con la bolla Quo elongati, la dichiarazione che le disposizioni del Testamentum non avevano valore normativo e una prima interpretazione su alcuni punti controversi della regola. Si apriva così un processo che doveva permettere all'Ordine di disporre di chiese, conventi e beni mobili, pur riservandone la proprietà alla Chiesa di Roma o ai rispettivi donatori. Parallelamente frate Elia, divenuto ministro generale nel 1232, favorì lo sviluppo degli studi teologici tra i Minori e il loro conseguente ingresso nelle Università; egli mantenne però nell'Ordine una forte presenza di laici, con la possibilità per essi di accedere a uffici dirigenti, secondo una prassi che aveva le sue radici nell'originaria composizione della fraternitas.Tali orientamenti, insieme allo stile autoritario del suo governo e alle pesanti esazioni chieste alle province per poter condurre a termine la fabbrica del complesso basilicale di Assisi, gli sollevarono contro l'opposizione dei magistri e dei chierici, ma anche degli 'zelatori della regola' che si opponevano alla linea di impegno pastorale e di inserimento nella vita cittadina che l'Ordine veniva assumendo. Decisiva fu l'azione svolta da alcuni ministri delle province oltremontane: nel Capitolo di Roma del 1239, riunitosi alla presenza di Gregorio IX, essi riuscirono a convincere il papa, a lungo riluttante, circa l'opportunità di costringere frate Elia alle dimissioni.L'elezione di Alberto da Pisa, prete egli stesso, segnò il trionfo dei chierici e dei magistri all'interno dell'Ordine. Una disposizione, approvata già allora o negli anni immediatamente successivi, limitava l'ingresso soltanto a quei laici che per il loro rango potessero recare onore all'Ordine ed edificazione al popolo, anche se restava la possibilità di accettarne qualcuno propter familiaria officia exercenda. Coloro che aspiravano a essere ammessi dovevano, salvo eccezioni particolari, avere almeno diciotto anni, essere chierici o diventarlo ed essere istruiti nella grammatica e nella logica; i laici, che pure restavano numerosi grazie al reclutamento precedente, furono messi ai margini. Il successore di Alberto, Aimone di Faversham (1243-1244), vietò loro di esercitare quegli uffici dell'Ordine che fino allora esercitavano come i chierici.Con la clericalizzazione dei Minori trionfò la linea che vedeva nell'impegno pastorale e nell'assunzione di compiti di governo nell'ambito dell'istituzione ecclesiastica la principale funzione dell'Ordine. La Chiesa di Roma, concedendo loro l'esenzione in forma sempre più ampia, ne appoggiò lo sviluppo contro l'ostilità e le diffidenze di vescovi e clero, che vedevano nei Minori, come del resto nei Predicatori, una seria minaccia alla loro autorità e alle loro prerogative.Anche all'interno dell'Ordine tuttavia si fece strada un'opposizione sempre più forte a tale linea di sviluppo: attorno ai compagni di Francesco ancora in vita si raggrupparono quegli 'zelatori della regola' che vedevano nei comportamenti e nella prassi invalsi una sistematica violazione delle sue norme. Incapaci ormai di pensare se non in termini di ordine religioso 'separato', all'impegno pastorale essi opposero, come modello di fedeltà alle origini, la vita umile e nascosta condotta negli eremi lontani dalle città; per corroborare tale tendenza fu addotta tutta una serie di episodi della vita di Francesco.L'iniziativa di promuovere la stesura di una nuova vita di Francesco, basata sulla raccolta di nuove testimonianze fra quanti erano in grado di darle, era partita dal Capitolo di Genova del 1244. Tommaso da Celano, che fu ancora una volta incaricato della sua compilazione, diede spazio agli orientamenti di rimpianto delle origini e di critica al presente dell'Ordine; ma fu soprattutto con il generalato di Giovanni da Parma (1247-1257) che tali tendenze sembrarono potere ottenere un nuovo spazio nella vita dei Minori, anche se in realtà il cammino imboccato non ammetteva ritorni. L'Ordine era divenuto uno strumento essenziale per la cura e il governo del popolo cristiano e l'impossibilità di operare efficacemente in senso contrario aprì la strada alla penetrazione tra i Minori di idee e di attese palingenetiche, fondate sia sugli scritti autentici sia soprattutto su alcuni apocrifi di Gioacchino da Fiore.Il disagio per la situazione dell'Ordine e il fatto stesso che Roma incoraggiasse e appoggiasse tale evoluzione spiegano la penetrazione al suo interno delle idee gioachimite, incentrate sull'attesa dell'avvento di una nuova età di radicale rinnovamento della Chiesa. Alcuni scritti apocrifi, attribuiti a Gioacchino, individuavano nei nuovi ordini, Minori e Predicatori, coloro che dovevano diffondere l'annuncio della nuova età ed essere i campioni nella lotta scatenata dall'Anticristo. Nelle opere di Gioacchino i Minori lessero preannunciata con chiarezza la comparsa di Francesco, identificato nell'angelo cui era stato dato in mano il vangelo eterno che procede dal vangelo di Cristo (Ap. 14, 6). La sottomissione a Roma, unitamente alla consapevolezza dell'originalità delle proprie origini e della propria vocazione accentuarono tra i Minori le aspettative di un rinnovamento che fosse opera della Provvidenza. Un francescano, Gerardo da Borgo San Donnino, lettore a Parigi e legato a Giovanni da Parma, compose nei primi anni cinquanta l'Introductorius in evangelium aeternum, che, oltre a identificare nelle tre opere principali di Gioacchino il 'vangelo eterno', indicava nel 1260 l'avvento dell'età dello Spirito, che avrebbe segnato il superamento della Chiesa carnale e l'inizio di un'epoca di perfetta carità.I maestri di Parigi, già ostili alla presenza dei Mendicanti nell'Università, approfittarono dell'occasione per denunciare lo scritto di Gerardo a Roma e per coinvolgere nell'attacco l'Ordine intero. Il loro capo, Guglielmo di Saint-Amour, convocato a Roma per rispondere a Innocenzo IV degli attacchi che i maestri avevano mosso contro i Mendicanti, riuscì molto probabilmente a convincere il papa della correttezza delle proprie posizioni: con decisione del tutto inaspettata, Innocenzo IV confermò il 4 luglio 1254 gli statuti emanati dai maestri contro i Mendicanti e il 20 novembre, con la bolla Etsi animarum, prese nettamente posizione contro i loro privilegi.Fu un successo del tutto effimero. Innocenzo IV morì poco dopo e il suo successore, Alessandro IV, già il 22 dicembre dello stesso anno annullò l'Etsi animarum. Nei mesi e negli anni successivi egli procedette duramente contro Guglielmo di Saint-Amour e i maestri di Parigi, confermando e allargando i privilegi dei Mendicanti sia nella cura d'anime sia nell'insegnamento, mentre non poteva ignorare il problema posto dall'Introductorius, tanto che una commissione cardinalizia da lui nominata ne estrasse numerose proposizioni giudicate eretiche. Alessandro IV, scrivendo al vescovo di Parigi, ordinò la distruzione del libretto, pur raccomandando significativamente di procedere con grande prudenza per evitare che i Minori ne ricevessero un qualche discredito; Gerardo da Borgo San Donnino fu privato dell'ufficio di lettore e della facoltà di predicare e confessare e rinviato in Sicilia.Il problema maggiore era costituito da Giovanni da Parma, amico di Gerardo e gioachimita egli stesso, e dalla penetrazione di tali idee all'interno dell'Ordine. Alessandro IV agì con grande prudenza: nonostante le notizie offerte dalle fonti siano scarse e reticenti, fu lui quasi certamente a convincere Giovanni a dimettersi dalla carica nel Capitolo generale di Roma riunitosi nel febbraio 1257. Fu invece al successore di Giovanni, Bonaventura da Bagnoregio, che spettò il compito di condurre la repressione contro il gruppo gioachimita: Gerardo venne processato e condannato come eretico alla prigione perpetua e solo l'intervento del cardinale Ottobono Fieschi riuscì a evitare a Giovanni la fine di Gerardo.Bonaventura, tuttavia, ritenne di dovere tentare anche di eliminare i contrasti che dividevano l'Ordine, le radici dei quali potevano essere individuate nelle memorie derivate dalle vite e dagli scritti relativi a Francesco e alle origini dei Minori. Il ministro generale perciò scrisse una nuova vita di Francesco, da proporre come comune punto di riferimento all'Ordine intero. Significativamente, a indiretta conferma dei fini che tale opera si proponeva, il Capitolo di Parigi del 1266 non solo approvò la compilazione di Bonaventura, ma ordinò anche la distruzione di tutti gli esemplari delle precedenti 'leggende' dentro e fuori dell'Ordine: una deliberazione assolutamente eccezionale, che dà piena misura dell'impegno posto dal nuovo generale nel tentativo di eliminare i contrasti interni e di orientare unitariamente l'Ordine secondo quell'impegno pastorale che egli individuava come suo compito precipuo. L'analogia che Bonaventura propose tra lo sviluppo della Chiesa e quello dei Minori offriva un indizio significativo dell'ottica con cui guardava alla nuova situazione. Egli riconobbe la presenza di abusi e di deviazioni dalla regola che cercò di correggere; più volte insistette sulla necessità di restare fedeli alla propria professione e alle proprie origini, ma con una fedeltà intelligente, cosciente delle nuove esigenze e situazioni, che delle origini cercava di conservare lo spirito e l'atteggiamento interiore di fondo, rifiutando come deprecabile il mito di un impossibile ritorno a esse.Il tentativo di normalizzazione messo in atto da Bonaventura non riuscì. Tra quanti vedevano solo nella scelta della povertà l'attuazione dell'ideale evangelico troppo viva e operante era la catena dei ricordi che reclamavano un'altra situazione per l'Ordine e troppo forte era divenuta la domanda di una riforma della Chiesa, condizione necessaria ormai per poter realizzare quella dei Minori, perché tale tentativo potesse avere successo. L'agitazione riprese nel 1274 in alcuni conventi delle Marche quando si diffuse la notizia, poi rivelatasi falsa, che il secondo concilio di Lione aveva concesso all'Ordine la proprietà indivisa dei beni, conformemente alla tradizione monastica, e numerosi frati furono imprigionati. Nel 1276 il Capitolo di Padova autorizzò una nuova raccolta di memorie sulla vita di Francesco.Le tensioni e gli scontri tra i Minori divennero sempre più acuti e si formarono praticamente due gruppi. Agli 'zelatori della regola' ben presto definiti Spirituali, con un singolare slittamento polemico, si contrapposero i frati detti della 'comunità', convinti sostenitori del carattere provvidenziale dello sviluppo dell'Ordine e del suo allargamento a ogni ambito della cura animarum, e perciò anche dell'inevitabilità di un'interpretazione sempre più permissiva della regola, quale i pontefici avevano dato e continuavano a dare.Gli Spirituali si arroccarono con tenacia intorno ad alcuni punti fermi: l'assoluta perfezione della scelta di povertà, che doveva implicare anche l'uso 'povero' del necessario; l'intangibilità della regola di s. Francesco, assimilata al vangelo e consacrata dalle stimmate; la piena obbligatorietà del Testamentum. La visione della storia di Gioacchino, ripresa e rielaborata da Pietro di Giovanni Olivo, continuò a offrire l'impalcatura mistico-concettuale che permetteva di ritrovare un senso per le proprie sofferenze di minoranza perseguitata e insieme dava ragione del persistere di una fiduciosa attesa di rinnovamento della Chiesa che non poteva mancare; la tenace fedeltà di una parte dell'Ordine al messaggio di povertà di Francesco divenne il mezzo per garantire, nella Terza età, l'avvento di una Chiesa radicalmente rinnovata.Operativamente tuttavia gli Spirituali scelsero strade diverse. Alcuni, come Pietro di Macerata e Angelo di Fossombrone (detto poi Angelo Clareno), cercarono di costituirsi in congregazione separata, approfittando degli spazi offerti dall'effimero pontificato di Celestino V; altri imboccarono la strada della ribellione politica, unendosi ai Colonna nella lotta contro Bonifacio VIII; altri teorizzarono la resistenza all'interno dell'Ordine, avviando un discorso iniziatico di cauta mascheratura. I contrasti tra Spirituali e 'comunità', portati al concilio di Vienne (1312), non trovarono una soluzione da parte di papa Clemente V e anzi la situazione precipitò con il suo successore, Giovanni XXII; la linea e le prospettive stesse degli Spirituali erano infatti troppo incompatibili con l'intera situazione dell'istituzione ecclesiastica per poter evitare a lungo andare la loro condanna da parte della gerarchia. Tra l'ottobre 1317 e il gennaio 1318 Giovanni XXII, dopo aver imposto la piena sottomissione di tutti i frati ai loro superiori legittimi, invitò i potentati laici a colpire o a espellere i dissidenti, e condannò gli Spirituali, si chiamassero 'fraticelli' o 'frati della povera vita', malgrado le concessioni che potessero aver ottenuto: con tali misure essi venivano considerati eretici e affidati all'Inquisizione.Giovanni XXII non si limitò a questo: rendendosi evidentemente conto che le discussioni sulla povertà avevano una precisa rilevanza per l'intera istituzione ecclesiastica, nel novembre 1323 condannò come eretica l'opinione che Cristo e gli apostoli non avevano avuto proprietà né individuale né collettiva, contrariamente a quanto il Capitolo generale di Perugia aveva dichiarato l'anno prima. La crisi all'interno della comunità fu drammatica: una parte, con alla testa il ministro generale Michele da Cesena, si ribellò, cercando appoggio nelle aspirazioni imperiali di Ludovico il Bavaro.Solo lentamente, nel corso dei decenni successivi, l'Ordine riuscì a riprendersi secondo la linea che era prevalsa. Ai suoi margini i gruppi dissidenti continuarono a vivere una vita nascosta e stentata, periodicamente soggetti alla repressione inquisitoriale. Ma anche all'interno dei Minori si ripresentò il problema di una più stretta fedeltà alla regola: la nascita e lo sviluppo, tra Trecento e Quattrocento, del movimento dell'Osservanza rispose a questo scopo. Si determinarono così nuove tensioni: la scissione dell'Ordine, che si era voluta evitare con la forza tra gli ultimi anni del Duecento e i primi del Trecento, si ripropose come problema sempre più urgente, che solo nel Cinquecento avrebbe trovato una soluzione.
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