ANGUILLARA, Francesco
Nacque nella prima metà del secolo XV da Everso, barone dello Stato della Chiesa e accanito avversario dei papi, e da Francesca Orsini. Nel 1464, alla morte di Everso, ereditò la metà dei possessi paterni, e precisamente Vetralla, Giove, Viano, Ischia di Castro e altre minori località, mentre la metà rimanente era riservata al fratello Deifobo. Insieme con lui l'A. fece atto di sottomissione al pontefice Paolo II; ciononostante, sempre insieme con Deifobo, assalì e conquistò subito dopo (all'inizio del 1465?) Caprarola, allora tornata momentaneamente in possesso della famiglia dei prefetti di Vico, nemica ereditaria degli Anguillara. Invano Paolo II tentò di indurre i due fratelli a restituire la rocca; essi pensavano di poter resistere al pontefice e magari di poter ripetere le gesta del padre loro, con l'aiuto di Niccolò Piccinino, già alleato di Everso e allora impegnato contro Ferrante d'Aragona nel Regno di Napoli. Ma nel giugno del 1465 il Piccinino fu imprigionato e ucciso. Paolo II colse prontamente l'occasione favorevole per sbarazzarsi dei due baroni ribelli e, dopo averli scomunicati il 28 giugno, inviò contro di loro ai primi di luglio un esercito guidato dal cardinale Niccolò Forteguerri. Le truppe pontificie colsero di sorpresa i castelli degli Anguillara e se ne impossessarono in pochi giorni. Il 9 luglio Francesco era a Bieda, e vi fu fatto prigioniero col figlio Dolce, mentre Deifobo riusciva a fuggire. Liberato il 24 luglio per intercessione di Stefano Colonna, Francesco fu in seguito rinchiuso di nuovo in Castel Sant'Angelo, in una angusta cella sotterranea, e vi rimase parecchi anni. A lui nel 1468 vennero a tenere compagnia gli umanisti dell'Accademia Platonica di Pomponio Leto, e fra essi il Platina, che gli indirizzò una lettera incitandolo alla sopportazione. L'A. a sua volta tentò di ottenere la libertà con una lettera diretta al castellano Roderico Sancio de Arevalo (cod. Vat. Lat. 939, cc. 289 r-v); costui rispose con un'altra epistola assai elegante nel tono ed evasiva nella sostanza, ma, naturalmente, non poté che negargli la grazia. L'A., la cui moglie, Lucrezia Farnese, era rimasta libera ed indisturbata, poté finalmente uscire da Castello il 13 ag. 1471.
Morì nel 1473 e il suo corpo venne seppellito nella chiesa di S. Francesco a Ripa.
Fonti e Bibl.: Cronache di Fiterbo e di altre città scritte da Niccolò Della Tuccia,in Cronache e Statuti della città di Viterbo,a cura di I. Ciampi, Firenze 1872, pp. 269 s.; G. Levi, Diario nepesino di Antonio di Lotieri de Pisano,in Arch. d. soc. romana di storia patria, VII(1884), pp. 149 ss., 179-182; Diario della città di Roma di Stefano Infessura,a cura di O. Tommasini, in Fonti per la storia d'Italia, V,Roma 1890, pp. 69, 219; U. Gnoli, La famiglia ed il Palazzo dell'Anguillara in Roma,in Cosmos catholicus, III(1901), pp. 674 s.; V. Zabughin, Giulio Pomponio Leto,I, Roma 1909, pp. 128, 137-139; V. Sora, I conti di Anguillara,in Arch. d. soc. romana di storia patria, XXX(1907), pp. 87-95; L. v. Pastor, Storia dei Papi, II, Roma 1925, p. 392.