PROVENZALE, Francesco Antonio
PROVENZALE, Francesco Antonio. – Nacque a Napoli da Ferrante (Ferdinando) e da Santella Garofano; fu battezzato il 25 settembre 1632.
Fu uno dei maggiori compositori d’opera e musica sacra del Seicento e tra i maestri più influenti nella catena didattica napoletana. I genitori, «coniugi more uxorio», avevano già avuto un figlio battezzato con gli stessi nomi il 15 settembre 1624, che doveva essere morto prematuramente. Nello stesso registro dei battesimi della chiesa dell’Incoronatella alla Pietà dei Turchini figurano anche i battesimi di due fratelli maggiori, Isabella (21 agosto 1622) e Giuseppe (16 marzo 1629; copiosa documentazione biografica e socioeconomica su familiari e congiunti del musicista in D’Alessandro, in corso di stampa). I primi documenti certi sulla sua vita lo danno ancora residente nella stessa parrocchia quando, il 13 gennaio 1660, sposò Chiara Basile, anch’ella figlia di concubini, vedova ventiquattrenne di Donato Lombardo (l’aveva sposato nel 1655, era morto nella peste del 1656, probabilmente come i genitori stessi di Provenzale). Oltre al Conservatorio della Pietà dei Turchini, a pochi passi si trovava il teatro di S. Bartolomeo, dal 1654 adibito ai melodrammi, dove Francesco esordì come arrangiatore e compositore; e poco distante era il Palazzo reale, sede della cappella reale e della sala delle commedie di corte.
Non vi sono notizie sul periodo giovanile e la formazione musicale di Provenzale. Il suo nome compare per la prima volta negli anni Cinquanta associato alle opere rappresentate a Napoli dalla compagnia dei Febi Armonici. Se infatti, da un lato, il libretto del Ciro di Giulio Cesare Sorrentino, musicato da Francesco Cavalli (Venezia, gennaio 1654), dice che «questo drama ha sortito i suoi natali in Napoli, sotto felice influsso di servire alle scene di Venetia», per converso il libretto del Theseo overo L’incostanza trionfante (Napoli 1658) specifica che «il compositore della musica, che fu il sig. Francesco Provenzale, tuo napolitano, […] se ti seppe allettare nel Ciro, Xerse et Artemisia, molto più lo farà in questo, dove ha procurato di mostrare meglio la vivacità del suo spirito». In assenza di un libretto e di una partitura, il Ciro napoletano viene putativamente datato al 1653 (impossibile accertare se la partitura di Cavalli, conservata nella Biblioteca Marciana di Venezia, contenga, e in che misura, parti riconducibili al giovanissimo Provenzale). D’altro canto, dopo una pausa di circa tre anni (dovuta forse anch’essa alla peste del 1656), il musicista sarà stato incaricato di adattare alle esigenze della compagnia di stanza a Napoli le partiture delle altre due opere di Cavalli, il Xerse nel 1657 (probabilmente autunno) e l’Artemisia nel 1658 (probabilmente Carnevale), mentre in novembre andò in scena il citato Theseo, che a Venezia era stato dato a Carnevale con musica di Pietro Andrea Ziani. Le stesse quattro opere furono poi riprese a Palermo dal 1657 al 1660: nell’ipotesi che Provenzale sia stato implicato in questo circuito siciliano, si può presumere un coinvolgimento tramite uno dei suoi testimoni di nozze, Lorenzo Colli, cantante romano che nel 1653 era iscritto all’Unione dei musici di Palermo e poi negli anni dal 1657 al 1662 è variamente attestato nella compagnia operistica di stanza a Napoli.
A partire dal 1660 Provenzale, messa su famiglia, cercò un impiego più stabile e sicuro. Nel 1661 compare per la prima volta come insegnante nel Conservatorio di S. Maria di Loreto. Nel 1663 fu eletto maestro di cappella nello stesso conservatorio; nel novembre del 1664 fu «rappresentata in Palazzo la tragedia del Martirio di san Gennaro in musica dalli figlioli del Conservatorio di S. Maria di Loreto» (cronaca del Fuidoro; cit. in Bianconi, 1979, p. 54); il dramma sacro, testo di Gennaro Paolella, era già stato dato al Conservatorio di Loreto nel maggio del 1663. Lo spettacolo inaugurava il nuovo corso imposto dal viceré cardinale Pascual de Aragón. Non a caso negli anni successivi furono rappresentate a Palazzo reale altre opere sacre con i ‘figlioli’ di Loreto, tutte musicate da Provenzale o da musicisti a lui vicini su testi attribuiti a Giuseppe Castaldo: La colomba ferita, opera sacra di santa Rosalia (1670 e 1672); La fenice d’Avila Teresa di Giesù (1672); La vittoria fuggitiva (1672); La vita di santa Rosa (1679; altri titoli furono poi attribuiti a Provenzale dalla prosopografia ottocentesca). Quest’uso coinvolse anche il Conservatorio dei Turchini quando, nel 1673, Provenzale ne divenne maestro pur mantenendo il suo lavoro anche a Loreto fino al 1675. Il magistero didattico ai Turchini, proseguito fino al 1702, consacrò Provenzale come il più importante maestro napoletano del secondo Seicento. Nel 1665 divenne maestro della Fidelissima Città di Napoli e fu nominato maestro del Tesoro di S. Gennaro; ma quest’ultima decisione «non ha avuto effetto», riporta un documento del 3 agosto 1678 (Fabris, 2007, p. 227): Filippo Coppola, eletto maestro del Tesoro fin dal 1660 e protetto dal viceré, restò in carica fino alla morte (1680), e neppure allora Provenzale gli poté subentrare nella carica, assegnata all’organista Giovanni Cesare Netti, che morì nel 1686. Soltanto a questo punto Provenzale assunse la funzione, e la celebrò con la prima e unica sua edizione musicale, i Motetti a due voci diverse del 1689.
Negli anni 1671-75 il compositore era peraltro tornato a produrre «melodrami» per la corte e per il teatro di S. Bartolomeo, essendo impresaria la cantante Giulia De Caro, protagonista nelle due opere di Provenzale Il schiavo di sua moglie (libretto di Francesco Antonio Paolella; fu data a corte nel 1672, ma l’unico manoscritto, copiato dall’allievo Gaetano Veneziano, riporta la data 1671) e Difendere l’offensore, overo La Stellidaura vendicante (libretto di Andrea Perrucci, data in casa del principe di Cursi a Mergellina nel 1674 e poi nel Carnevale successivo al S. Bartolomeo): si conoscono esecuzioni di queste opere anche in ville private e nei conservatori di Loreto e dei Turchini. Giunto al vertice delle maggiori istituzioni musicali napoletane, restava ancora da conquistare la meta più ambita, la Real Cappella di palazzo. Ma anche qui la strada era sbarrata dalla presenza di Coppola come maestro, e solo nel 1680 Provenzale fu assunto come «maestro de capilla onorario», sotto la direzione dell’anziano Pietro Andrea Ziani. Alla morte di costui (1684) arrivò Alessandro Scarlatti a precludere per sempre a Provenzale l’agognata nomina: l’aveva chiamato a Napoli da Roma il viceré marchese del Carpio, che imponendolo alla direzione della Real Cappella provocò una violenta reazione di protesta da parte di Provenzale e di sei altri musici a lui fedeli, puniti con il licenziamento. Riassunto come maestro di camera del viceré dal gennaio al marzo del 1688, Provenzale fu poi reintegrato ufficialmente dal 1690 alla morte come maestro onorario. In realtà, per le numerose assenze di Scarlatti, fu lui a condurre la maggior parte delle esecuzioni musicali ordinarie nell’ultimo decennio del secolo e fino al 1704. Oltre alle cariche menzionate, Provenzale tenne inoltre rapporti con l’oratorio dei filippini (chiamati a Napoli girolamini), dei quali fu affittuario almeno dal 1668 al 1674; nel loro archivio si conservano diverse sue partiture.
Veniva inoltre chiamato come maestro nelle festività «delle più cospicue chiese di Napoli», tra cui S. Domenico Maggiore (1667-89), S. Angelo a Nilo (1669), S. Chiara, S. Maria Ancillarum (1679), S. Lorenzo Maggiore (1686-95), e infine il Pio Monte della Misericordia, dove fu maestro negli ultimi anni di vita, sostituito poi da Domenico Sarro (Veneziano, 2013, p. 39; nuovi dati sui servizi nelle chiese di Napoli in D’Alessandro, in corso di stampa).
La somma delle cariche cittadine più importanti non basta a spiegare l’elevato tenore di vita di Provenzale, che già nel processo matrimoniale dichiarava di «vivere del suo». La prima svolta era avvenuta proprio con il matrimonio nel 1660: la sposa aveva portato una dote di 1000 ducati, trasformata in capitale pagato al figlio Giuseppe, battezzato il 5 marzo 1665, che sarebbe divenuto dottore in utroque jure e sacerdote. Provenzale ebbe anche altri figli: tra questi Grazia Nicoletta, la primogenita (nata il 17 aprile 1661, poi detta Giulia), sposò dodicenne il dottore in legge Ignazio Palumbo, portando 3000 ducati di dote in gran parte in contanti; mentre Anna Maria (nata prima del 1668) era entrata nel monastero di S. Teresa a Massa Lubrense, dove nel 1684, già professa con il nome di suor Eletta dello Spirito Santo, avviava il pagamento di 600 ducati di dote (la giovane si smonacò nel 1692; per notizie su questi e su altri quattro figli, nati tra il 1668 e il 1672, cfr. D’Alessandro, in corso di stampa). Il totale dei redditi percepiti dalle varie istituzioni musicali sarebbe stato insufficiente per tali esborsi: 120 ducati annui dal Conservatorio dei Turchini, 30 dal Tesoro di S. Gennaro (la Fidelissima Città e le altre cappelle cittadine pagavano solo gli sporadici servizi nelle solennità) e un massimo di 38 ducati solo negli ultimi anni del servizio nella Real Cappella, iniziato con soli 2-4 ducati. Eppure nel 1686, l’anno dell’ammissione alla direzione del Tesoro, Provenzale comprò gioielli alla moglie per una cifra di 265 ducati, e nel 1691 teneva in casa una schiava bianca (musulmana bosniaca battezzata). Anche i frequenti cambi di abitazione, ricordati dai documenti (cfr. Fabris, 2002), sono indizi di una vita agiata, che consentiva di scegliere di volta in volta la situazione abitativa più vicina ai principali posti di lavoro.
Nell’ultima parte della vita, dopo essere rientrato dal 1695 nella ‘casa palaziata’ presso S. Giuseppe Maggiore (in precedenza occupata dal genero Palumbo) e aver abitato a Monteoliveto, si era stabilito a Chiaia, in una casa con vista sul mare di Mergellina. Il vorticoso giro di danaro che assicurava il benessere della famiglia Provenzale era alimentato da un ‘sistema’ di potere musicale da lui instaurato a Napoli.
Il successo dei quattro conservatori attivi nella capitale, che dalla metà del Seicento accoglievano annualmente centinaia di giovani, aveva spinto numerose famiglie ad affidare i figli ai maestri più in vista, in maniera da agevolarne l’ingresso negli istituti diretti da quegli stessi maestri. Il sistema prevedeva un vero contratto, che consentiva al maestro di riscuotere una percentuale su tutti i futuri guadagni del proprio allievo: per questo i maestri erano invogliati a seguirne il percorso di studi e a favorirne poi l’ingresso nel mondo del lavoro (per Provenzale si calcola una media non inferiore al 10% sui guadagni di decine e decine di ex allievi).
Per la stessa ragione, in tutte le istituzioni da lui dirette Provenzale si circondò di discepoli fedeli, che ne presero poi il posto dopo il suo ritiro: nell’anno della sua morte, Gaetano Veneziano fu eletto maestro della Real Cappella, Nicola Fago al Conservatorio dei Turchini, mentre Gaetano Greco, che dal 1691 lo aveva affiancato alla testa della musica della Fidelissima Città e gli subentrò nel 1701, aveva continuato a pagare al maestro un decimo dei suoi proventi.
Morì a Napoli il 6 settembre 1704.
La produzione di Provenzale appare esigua in rapporto alla lunga carriera e alla media dei contemporanei (catalogo analitico in Fabris, 2007, pp. 250-261): appena 35 composizioni attribuite con certezza, di cui nove melodrammi tra sacri e profani (comprese le quattro opere ‘veneziane’ da lui arrangiate per Napoli negli anni 1653-58), tre cantate da camera, e per il resto musiche da chiesa e mottetti, in gran parte confluiti nella stampa del 1689. Espunto dal catalogo Chi tal nasce tal vive, o vero L’Alessandro Bala (Napoli 1678; restituito a Ziani da Bianconi, 1979, p. 22; Fabris, 1993, p. 325), sopravvivono oggi soltanto due partiture di melodrammi interamente scritti da Provenzale: Il schiavo di sua moglie e La stellidaura vendicante, entrambe copiate da «Gaetano Venetiano, allievo di S. Maria di Loreto» (Roma, Conservatorio di S. Cecilia, G.Mss., 28-29; facsimile dello Schiavo a cura di H.M. Brown, New York 1979). Prime composizioni di Provenzale riscoperte modernamente, queste due opere rivelano la mano sicura di un continuatore di Cavalli. Ma il capolavoro teatrale resta La colomba ferita (ms. adespoto a Napoli, Biblioteca del Conservatorio, Sala riviste, Scaff. 35, corn. 20), «opera sacra» dove non mancano esilaranti personaggi comici che cantano in napoletano e calabrese, né i consueti travestimenti e duelli tra demoni e angeli. Nei melodrammi i momenti lirici sono concepiti come arie su basso ostinato (soprattutto lamenti su passacaglia) oppure ariette dalla scansione ritmica più accentuata; la maestria del compositore rifulge nel trattamento dei bassi, non senza intrecci armonici densi e difficili, gli stessi che si riscontrano poi nei mottetti a stampa o manoscritti e nelle restanti composizioni da chiesa, in particolare il Vespero breve custodito nell’Archivio musicale dei girolamini (Mss., 431.3), mentre la Missa defunctorum a 4 voci (Mss., 432.4‑1, composta forse per i funerali di Filippo IV nel 1666) si conclude addirittura con un Kyrie di sapore rinascimentale. Per queste caratteristiche di scrittura è possibile attribuire a Provenzale due adespoti «Dialoghi per la Passione di Cristo», copiati entrambi da un tal Vitus, un allievo di conservatorio, negli anni 1685 e 1686 (Mss., olim 432.2 e 698.10; ed. moderna del primo a cura di D. Fabris - A. Florio, Napoli 2005). Le numerose arie e cantate profane un tempo attribuite a Provenzale, tramandate in manoscritti napoletani, sono invece per la maggior parte di altri compositori di scuola romana o anonimi. Quelle certamente sue – le due cantate nel Fondo Noseda del Conservatorio di Milano recano l’indicazione «del Sig. D. Ciccio Provenzale» e dovrebbero essere tarde, per la scrittura elaborata con due violini – esibiscono una spiccata competenza contrappuntistica ma ancora una volta un gusto piuttosto retrospettivo.
Anche dai documenti coevi traspare la percezione di un torpido rinnovamento stilistico nel compositore. Nel 1699, al posto di Provenzale, cui si rimproverava l’uso di «antichissime compositioni, in ogni musica sempre replicate da molt’anni a questa parte» (cit. in Fabris, 2007, p. 231 n. 27), il Tesoro di S. Gennaro nominò per maestro Cristofaro Caresana, suo collega nella Real Cappella. Una sorte più duratura rispetto alle altre sue composizioni, cadute in disuso anche perché attorno ad Alessandro Scarlatti presto fiorì una nuova generazione di compositori napoletani assai dotati, toccò al Pange lingua in Do minore, di cui sopravvivono versioni a 9 voci con o senza ripieni corali, a 8 voci, e poi a 4, 3 e fino a 2 voci: è probabile che in origine Provenzale lo avesse composto a 9 voci semplici per le funzioni in S. Domenico Maggiore, dove il brano, più volte manipolato, rimase in uso fino almeno al 1770 (in quest’anno Giuseppe Sigismondo lo annotò dal vivo; Napoli, Biblioteca del Conservatorio, ms. MR.1799). A tutt’altro autore appartiene invece il Pange lingua in Re minore a due voci e violini (ibid., ms. MR.1798), attribuzione tardiva che riflette la fama del vero Pange lingua a 9 voci: si tratta di un’elaborazione ispirata allo Stabat mater di Pergolesi (1736), di cui ricalca l’organico e la movenza d’avvio per scontri di seconde (cfr. Fabris, 2007, pp. 240-242).
Fonti e Bibl.: In D. Fabris, Music in seventeenth-century Naples. The case of F. P. (1624-1704), diss., Royal Holloway, University of London, 2002, si riporta in Appendice il regesto dei documenti utilizzati (oltre 600) dall’Archivio storico del Banco di Napoli e dagli archivi degli antichi conservatori (a Napoli presso il Conservatorio, l’Archivio di Stato, la Biblioteca nazionale, l’Archivio diocesano), insieme alle dediche e prefazioni di libretti o libri a stampa; altri documenti biografici sono in D’Alessandro, in corso di stampa.
Della bibliografia su Provenzale (vedi Fabris, 2007), si riportano qui soltanto i titoli principali e i recentissimi. R. Rolland, Les origines du théâtre lyrique moderne: l’histoire de l’opéra en Europe avant Lully et Scarlatti, Paris 1895, pp. 154, 188, 190, 194 (Supplément musical, pp. 1-15); S. Di Giacomo, I quattro conservatori di musica a Napoli, I-II, Milano-Palermo 1924-1928, passim; U. Prota-Giurleo, Breve storia del Teatro di corte e della musica a Napoli nei secoli XVII e XVIII, in R. De Filippis - U. Prota-Giurleo, Il Teatro di corte del Palazzo reale di Napoli, Napoli 1952, passim; Id., F. P., in Archivi, XXV (1958), pp. 53-79; M.F. Robinson, The governors’ minutes of the conservatory S. Maria di Loreto, Naples, in Royal Musical Association research chronicle, X (1972), pp. 40, 45, 49, 63 s.; L. Bianconi, Funktionen des Operntheaters in Neapel bis 1700 und die Rolle Alessandro Scarlattis, in Colloquium Alessandro Scarlatti Würzburg 1975, a cura di W. Osthoff - J. Ruile-Dronke, Tutzing 1979, pp. 13-111; D.A. D’Alessandro, L’opera in musica a Napoli dal 1650 al 1670, in Seicento napoletano. Arte, costume e ambiente, a cura di R. Pane, Milano 1984, pp. 416, 420 s., 428, 430, 545-549; La musica a Napoli durante il Seicento, a cura di D.A. D’Alessandro - A. Ziino, Roma 1987, ad ind.; D. Fabris, La musica sacra di F. P., in Analecta musicologica, XXX (1993), 1, pp. 323-372; U. Prota-Giurleo, I teatri di Napoli nel secolo XVII, a cura di E. Bellucci - G. Mancini, I, III, Napoli 2002, ad ind.; D. Fabris, Music in seventeenth-century Naples, diss., cit.; P. Maione, Il mondo musicale seicentesco e le sue istituzioni: la Cappella Reale di Napoli (1650-1700), in Francesco Cavalli. La circolazione dell’opera veneziana nel Seicento, a cura di D. Fabris, Napoli 2005, pp. 310 s., 313, 314-317; Die Musik in Geschichte und Gegenwart [...] Personenteil, XIII, Kassel 2005, coll. 1002-1006; D. Fabris, Music in seventeenth-century Naples: F. P. (1624-1704), Aldershot 2007; M. Columbro - P. Maione, La cappella musicale del Tesoro di San Gennaro di Napoli tra Sei e Settecento, Napoli 2008, ad ind.; A. Magaudda - D. Costantini, Musica e spettacolo nel Regno di Napoli attraverso lo spoglio della Gazzetta (1675-1768), Roma 2009, con CD-Rom, ad ind.; G. Veneziano, «Napoli è tutto il mondo»: la cappella musicale del Pio Monte della Misericordia di Napoli (1616-1749), in PART[h]Enope. Naples et les arts, a cura di C. Faverzani, Bern 2013, p. 39; D. Fabris, Spettacoli e opera in musica alla corte di Napoli fino all’arrivo di Alessandro Scarlatti (1649-1683), in La scena del re. Il teatro di corte del Palaz-zo Reale di Napoli, a cura di P. Di Maggio - P. Maione, Napoli 2014, pp. 108-115; C. Bacciagaluppi, Musica contro i terremoti: sulle celebrazioni per sant’Emidio, in Studi pergolesiani, 9, a cura di F. Cotticelli - P. Maione, Bern 2015, pp. 303-335 (in partic. pp. 304 s., 320); D.A. D’Alessandro, Mecenati e mecenatismo nella vita musicale napoletana del Seicento e condizione sociale del musicista. I casi di Giovanni Maria Trabaci e F. P., in Storia della musica e dello spettacolo a Napoli. Il Seicento, a cura di F. Cotticelli - P. Maione, Napoli, in corso di stampa.