Borromini, Francesco
Il grande innovatore dell'architettura barocca
Considerato il più innovatore tra gli architetti del barocco romano, sperimentò forme e spazi nuovi contrapponendosi alla visione più classicista di Gian Lorenzo Bernini e Pietro da Cortona. La sua architettura è caratterizzata da soluzioni spaziali raffinate e dalla forte illusione prospettica; sia negli interni sia nelle facciate emerge come carattere principale l'ondulazione delle pareti, resa più evidente dall'uso dell'ordine architettonico.
Figlio dell'architetto Giovanni Domenico Castelli, Francesco Borromini nacque nel 1599 a Bissone, nel Canton Ticino, e iniziò giovanissimo a frequentare importanti cantieri: a Milano, dove lavorò come scalpellino della Fabbrica del Duomo e poi a Roma, dove arrivò nel 1619 al seguito del suo lontano parente Carlo Maderno, l'architetto autore della facciata della basilica di S. Pietro. Non assunse il cognome del padre, e si fece chiamare 'Borromino', riprendendo un soprannome di famiglia. Maderno lo fece lavorare come intagliatore di pietre a S. Pietro, in Palazzo Barberini e nella chiesa di S. Andrea della Valle: il giovane Borromini così, nei primi dieci anni passati a Roma, fece una lunga esperienza, imparando direttamente nei cantieri le tecniche costruttive che in seguito gli avrebbero permesso di realizzare strutture ardite e innovative.
Se lo paragoniamo al Bernini, l'altro grande esponente del Barocco, ci accorgiamo delle notevoli differenze tra i due: Bernini all'età di trent'anni era già artista affermato, si cimentava in tutte le arti ed era personaggio aperto e affabile, mentre Borromini, alla stessa età, già denunciava il suo carattere chiuso e scontroso, concentrandosi su un lungo lavoro di preparazione tecnica alla professione di architetto. I due ebbero anche modo di lavorare insieme: Borromini disegnò infatti le volute (ossia la parte terminale) del baldacchino di S. Pietro, progettato da Bernini; ma dopo questi brevi contatti le carriere dei due architetti si divisero.
Cerchiamo di comprendere la genialità di Borromini rivisitando in ordine cronologico alcune delle sue opere più importanti, tutte ubicate nella città di Roma.
La realizzazione della chiesa di S. Carlo alle Quattro Fontane, detta anche di S. Carlino, e del convento annesso rappresenta l'impegno più lungo nel tempo per Borromini: egli infatti nel 1634 iniziò con tale progetto la sua carriera indipendente e qui la concluse, dal momento che la facciata venne ultimata nel 1667, anno della sua morte. L'architetto, avendo a disposizione un lotto di terreno molto piccolo, dovette 'inventare' una pianta per la chiesa cercando di creare uno spazio continuo: realizzò così una pianta di forma ottagonale allungata lungo l'asse dell'entrata e con i muri interni ondulati e scanditi da colonne. Lo spazio è chiuso da una cupola ovale raccordata da quattro pennacchi, con cassettoni di forma ottagonale, esagonale e a croce la cui dimensione diminuisce verso l'alto, creando l'illusionismo ottico di uno spazio più grande che non in realtà.
La facciata si estende su due piani: in quello inferiore, un settore centrale convesso, corrispondente all'entrata, è racchiuso da due ali concave, mentre in quello superiore i tre settori sono concavi, forma riportata chiaramente nel cornicione, che presenta incastonato nella parte centrale l'ampio medaglione ovale sorretto da due angeli. Il continuo ondulamento del muro di questa facciata, che pur nella sua limitata estensione è scandito da colonne, nicchie, sculture, tutte perfettamente inserite negli elementi architettonici, resta come testimonianza del genio e dell'inventiva di Borromini.
L'edificio dell'oratorio di S. Filippo Neri, adiacente alla chiesa di S. Maria in Vallicella, fu progettato a seguito di un concorso, che Borromini si aggiudicò nel 1637, e venne ultimato nel 1650. La particolarità dell'ampia facciata concava, completamente realizzata in mattoncini, risiede nel fatto di avere caratteristiche sia del prospetto di una chiesa, sia del prospetto di un edificio d'abitazione, con finestre allungate e balconcino centrale. Inoltre la simmetria ad asse centrale non corrisponde effettivamente alla disposizione dell'oratorio interno; questo si sviluppa in posizione decentrata rispetto all'ingresso esterno, caratterizzato da un complicato portale che si apre sull'unica porzione convessa della facciata.
Chiamato a realizzare la chiesa di S. Ivo (1642-66), annessa al Palazzo della Sapienza, sede storica dell'università romana, Borromini realizzò il suo capolavoro: nell'interno disegnò una pianta stellare, costituita da una complessa intersezione geometrica di due triangoli che formano un esagono, delimitato da porzioni di muro di forma alternativamente concava e convessa.
All'esterno, sulla parete inferiore concava, già esistente, Borromini realizzò il tiburio lobato contenente la cupola e su questo eresse una struttura a gradoni, coronata da una lanterna fortemente modellata da coppie di colonne e rientranze concave; un quarto elemento a forma di spirale 'a pungiglione' regge un leggero sostegno metallico su cui poggia il globo terrestre sormontato dalla croce: si passa così da elementi pesanti e statici, via via salendo verso l'alto, a figure sempre più leggere, dinamiche e in tensione.
Nel campo dell'architettura dei palazzi, il Collegio di Propaganda Fide (1646-64) è l'opera di maggior livello realizzata da Borromini: è caratteristica la facciata principale scandita da pilastri giganti a tutta altezza che terminano sotto un pesante cornicione che segue l'andamento della facciata, incurvandosi in una concavità in prossimità dell'ingresso centrale. Le finestre del piano nobile sono caratterizzate da cornici e frontoni ondulati che sembrano spingere all'interno la superficie muraria; unica eccezione la finestra del settore centrale, che sporge in fuori con una forma convessa per controbilanciare la concavità della parete: questa alternanza di rientranze e sporgenze è tipica di Borromini e la troviamo applicata in buona parte delle sue opere.
Papa Innocenzo X, volendo restituire alla cattedrale di Roma il suo antico splendore in occasione dell'anno santo del 1650, incaricò nel 1646 Borromini di restaurare e ristrutturare l'interno della basilica, conservandone però la struttura originaria a cinque navate. L'architetto risolse brillantemente il difficile compito: nella navata centrale aprì cinque arcate per lato sostenute da pilastri giganti, nei quali ricavò profonde nicchie a tabernacolo in marmo colorato che ospitarono in seguito le statue degli apostoli; le navate laterali vennero risistemate mantenendo le vecchie tombe papali, inquadrate da decorazioni naturalistiche in stucco.
La chiesa di S. Agnese in Agone, situata in piazza Navona, non è stata progettata interamente da Borromini: egli intervenne nel 1653 a costruzione già iniziata e fu perciò obbligato a mantenere l'impianto planimetrico a croce greca. Modificò però la facciata, arretrata con una concavità nella parte centrale, con l'effetto di far risaltare la grande cupola che, con il suo imponente tamburo cilindrico, sembra incombere sul muro sottostante. Borromini fece poi allungare le ali laterali della facciata, dove vennero realizzati due alti campanili: questa chiesa divenne l'elemento architettonico principale della piazza, contrapponendosi alla Fontana dei Fiumi del Bernini, realizzata negli stessi anni.
Ancora una volta Borromini venne incaricato (1653) del completamento di un edificio già iniziato: S. Andrea delle Fratte. Qui si dedicò alla realizzazione della parte terminale della chiesa, con transetto, abside e cupola, riprogettata e inglobata in un tiburio, come in S. Ivo, ma dalle forme plastiche più movimentate, con grandi porzioni di muro convesse alternate a più piccoli contrafforti concavi: incompiuta, perché non venne realizzata, la lanterna, e lasciata al 'rustico' (in mattoni senza intonaco); questa struttura si contrappone alla torre campanaria, dove sculture di erme e cherubini sostengono una bizzarra figura culminante in una corona a punte aguzze, apice della creazione e dell'inventiva di Borromini.
Dell'età del Barocco Borromini è il simbolo della libertà compositiva, espressa sia nelle complesse geometrie delle piante sia nelle soluzioni spaziali e decorative. Questo lo portò anche a staccarsi dalla tradizione rinascimentale facendo di lui uno dei più importanti innovatori della storia dell'architettura.