BRUNELLESCHI, Francesco
Era figlio di Betto, famoso esponente dell'oligarchia fiorentina negli anni compresi tra il 1301 e il 1311.Se ne ignora l'anno di nascita; tuttavia quando fu preso prigioniero da Castruccio, Castracani nel settembre 1325 era, secondo Giovanni Villani, "cavaliere novello", in grado cioè di portare le armi, e si può dunque supporre che fosse nato alla fine del sec. XIII o ai primi del XIV.
La battaglia di Altopascio del settembre 1325 - o, meglio, lo scontro di Porcari che ne fu un preliminare - fu comunque il suo poco felice esordio di cavaliere e di uomo destinato, alla vita pubblica. Per tutta la vita dovette pesargli il ricordo di quella prima umiliazione, che i suoi avversari non perdevano occasione di rinfacciargli: un sonetto del Passera della Gherminella, ricordandogli appunto lo smacco subito, avrebbe più tardi alluso alle sue scarse virtù eroiche in genere ("alle guagnele che ttu se' più codardo / che non è un coniglio a ppetto un veltro").
Catturato insieme con Giovanni di Rosso della Tosa, il B. fu condotto a Lucca e imprigionato in attesa di riscatto. Poiché il Comune di Firenze aveva in un primo momento stabilito che non si dovesse versare a Castruccio alcun riscatto, egli restò certo in Lucca, ma dopo che nel gennaio 1326 la norma fu abolita, il suo rientro in patria non dovette tardare.
Da allora il B. si deve considerare come il principale rappresentante della famiglia Brunelleschi nella vita pubblica cittadina. Nel 1330 fu capitano del Popolo a San Gimignano. Nello stesso anno, insieme con Nepo di Bandino e altri membri della sua famiglia, fu assalito e ferito da Piero di Caro degli Agli, nel quadro di una vecchia catena di odi e di vendette fra Brunelleschi e Agli, vicini di sesto, che durava da tempo. In quel periodo i Brunelleschi e i Tosinghi lottavano, insieme con altre famiglie magnatizie guelfonere, per riconquistare all'ombra del protettorato angioino l'egemonia sulla città. Nel 1332 il B., insieme con Gerozzo Bardi, Bindo di Oddone Altoviti e il giurista Orlando di Marino, era incaricato di organizzare e coordinare le forze militari che, nell'ambito della lega contro Giovanni di Boemia, avrebbero dovuto entrare in campo. È questo il suo primo incarico di rilievo, e dovette condurlo con accortezza, a giudicare dalle numerose altre mansioni politico-diplomatiche che fu chiamato in seguito ad assolvere.
Nella serie di continue guerre per il predominio in Toscana che caratterizzavano questo periodo, e soprattutto nell'intricata questione lucchese, i Brunelleschi dovettero schierarsi con i loro tradizionali alleati, i della Tosa del ramo di Rosso, per opporsi all'acquisto di Lucca; poi, nel 1340, erano probabilmente implicati nella congiura capitanata da Bardi e Frescobaldi, con la quale i magnati cercarono di ribellarsi al governo popolano e furono sconfitti nel giorno di Ognissanti. Pare che il B. sia caduto in mano ai Pisani nel corso di uno scontro, il 2 ottobre 1340, anche se le fonti sono abbastanza vaghe a questo proposito. La sua prigionia tuttavia non dovette protrarsi oltre l'ottobre del 1342, quando la pace conclusa tra Fiorentini e Pisani liberò tutti i prigionieri.
Il B. dovette vedere con soddisfazione l'insediarsidel nuovo "conservatore e protettore" della città, il duca Gualtieri di Brienne che i Fiorentini ricordavano come uno dei migliori collaboratori di Carlo d'Angiò duca di Calabria durante la sua signoria nel 1326-27. Quando poi, l'8 sett. 1342, i partigiani del duca chiesero che gli venisse affidata la Balìa, un amico del B., Giovanni della Tosa, cavalcava al fianco del nuovo signore. Durante la breve signoria del Brienne il B. fu mandato ambasciatore a Volterra e in Romagna.
Gualtieri di Brienne era giunto al potere assoluto appoggiandosi a tutti gli scontenti: famiglie magnatizie, popolani esclusi dal potere al tempo dei Venti e lesi nei loro interessi dalla guerra di Lucca, popolo minuto. Ma appena a contatto con la dura logica della realtà signorile, i Fiorentini non tardarono a sentirsi a disagio, non per ultimi i magnati che avevano appoggiato il duca prima degli altri.
Si ebbe un generale scontento, le cui punte più significative stavano proprio nei medesimi casati magnatizi e popolani grassi che pochi mesi prima avevano favorito la Balìa. I cronisti riferiscono che si crearono tre distinte congiure, non prive peraltro, verosimilmente, di contatti reciproci: di questi tre gruppi il più radicale faceva capo ad Antonio di Baldinaccio Adimari. Fu appunto questo gruppo che cercò di attirare nella congiura anche il B.: egli però, non sappiamo se per paura di compromettersi, per lealismo verso il signore o per semplice inimicizia nei confronti di qualcuno dei congiurati, svelò tutto. Era comunque troppo tardi: il popolo, guidato dalle grandi famiglie, insorse e il duca fu scacciato.
Fu istituita una Balìa di quattordici cittadini fra magnati e popolani votata il 28 luglio 1343, a capo della quale era il vescovo Angelo Acciaioli. Compito dei Quattordici era di "riformare" la Repubblica fino al settembre successivo, e loro primo atto fu l'elezione di sei cittadini, tre magnati e tre popolani, che facessero ad interim le veci del nuovo podestà Giovanni di Varliano finchè egli non fosse giunto in città. Dei Sei era anche il B., la cui delazione di pochi giorni prima non aveva avuto quindi alcun valore pregiudiziale nel nuovo assetto cittadino: del resto, il più leale sostenitore del duca, Giannozzo Cavalcanti, sedeva tra i Quattordici. Se formalmente questa nuova forma di governo era il risultato dell'accordo tra le varie forze che avevano contribuito alla cacciata del duca, in realtà il potere effettivo stava nelle mani di alcuni magnati, soprattutto Bardi, Rossi, Frescobaldi, che si atteggiavano a liberatori della patria.
L'equivoco cadde quasi immediatamente: il 4 agosto i Quattordici abolirono gli Ordinamenti di giustizia, che nemmeno il duca aveva osato toccare. Ciò provocò un vasto moto di reazione popolana, cui si accodarono i magnati lasciati fuori dalla "spartizione" del potere avvenuta in luglio. Il 22 settembre scoppiò un tumulto contro i Quattordici che, vicini allo scadere del loro mandato, davano segni di non voler deporre la Balìa. Alla testa della ribellione si posero due magnati: Giovanni della Tosa, uno dei principali sostenitori del duca, e il congiurato Antonio Adimari. Gli Ordinamenti di giustizia furono ripristinati: ma il compromesso assunse un'altra forma, giacché si permise ad alcuni grandi ("de' meno rei", dice Marchionne di Coppo Stefani) di continuare a far politica facendoli "di popolo" in omaggio alle loro benemerenze degli ultimi mesi. Fra i privilegiati vi erano anche i Brunelleschi.
Troviamo il B. stesso - tra ottobre e novembre - impegnato nelle trattative di pace e di alleanza con Pisa e Lucca che si conducevano a San Miniato. Due anni dopo si recò ad Avignone ambasciatore a papa Clemente VI per una grossa questione: il conflitto di autorità e di competenze sorto tra la Signoria e l'inquisitore Pietro dell'Aquila in conseguenza del quale quest'ultimo, costretto a rifugiarsi a Siena, aveva lanciato l'interdetto contro Firenze. L'ambasceria non ebbe però risultati troppo brillanti, anche perché tra gli ambasciatori vi era disaccordo. Successivamente, altre due volte il B. fu insignito di cariche pubbliche: andò ambasciatore a Siena nel 1347, podestà a Ferrara nel 1352.
Aveva sposato monna Andrea di Guglielmo Oricellari; dei suoi figli, Pino si era unito nel 1354 in matrimonio con Petruccia, figlia di Petruccio di Pietro conte di Montemarti, nella diocesi di Orvieto. Aveva inoltre tre figlie: Mea, Antonia, Lisa.
Secondo il necrologio di S. Maria Novella, il B. morì il 10 ott. 1355.
Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl. Naz. Centrale, Carte Passerini, nn. 186, 215; Ibidem, Poligrafo Gargani, n. 379; Giovanni Villani, Cronica, II, Firenze 1845, passim;Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, in Rerum Italic. Script., XXX, 1, a cura di N. Rodolico, ad Indicem; E.Gamurrini, Istoria geneal. delle famiglie nobili toscane,et umbre, V, Firenze 1685, ad nomen; D. Tiribilli-Giuliani, Sommario storico delle famiglie celebri toscane, I, Firenze 1855, n. 38; Annales minorum seu trium ordinum a Sancto Francisco institutorum, VII, Ad Clara Aquas 1932, p. 390; C. Paoli, Della Signoria di Gualtieri duca d'Atene..., in Giorn. stor. degli archivi toscani, VI (1862), pp. 81-121, 169-286; F-T. Perrens, Histoire de Florence, IV, Paris 1879, passim;R. Davidsohn, Forschungen zur Gesch. von Florenz, II, Berlin 1900, n. 2277; R. Caggese, Firenze dalla decadenza di Roma al risorg. d'Italia, II, Firenze 1913, passim;Th. Mommsen, Ital. Analekten zur Reichsgesch. des 14.Jahrhunderts, Stuttgart 1952, n. 211, p. 93; M. B. Becker, Florence in transition, Baltimore 1967, p. 173.