BUONVISI, Francesco
Nacque a Lucca il 16 maggio 1626 da Vincenzo di Ludovico e da Maria di Alessandro Gabrielli. Compì i primi studi nel seminario cittadino, sotto la direzione di Giuseppe Lorenzi, noto grammatico e antiquario, allievo di Giusto Lipsio. Nel novembre 1644 fu chiamato a Roma dallo zio Girolamo Buonvisi, allora chierico di Camera e prefetto dell'Annona, sotto la guida del quale il B. cominciò ad acquistare qualche pratica degli affari di Curia. Ma caduto Girolamo in disgrazia presso Innocenzo X e ritiratosi a Lucca, il B. lo seguì e nella città natale intraprese la carriera politica, essendo chiamato a far parte della magistratura dei Decemviri. La morte di Innocenzo X e la successiva elezione al pontificato di Fabio Chigi, protettore di Gerolamo Buonvisi, indussero questo e il nipote a fare ritorno a Roma. Alessandro VII dimostrò subito il proprio favore verso i due Lucchesi, concedendo a Girolamo la porpora nella prima creazione cardinalizia del 9 apr. 1657, mentre il B. fu nominato maestro di Camera del cardinale Flavio Chigi, nipote del pontefice. In questo ufficio il B. rimase per dodici anni, "prima con molte persecuzioni, e poi con somma confidenza di Sua Eminenza", come riferisce egli stesso nella nota autobiografica pubblicata dal Trenta (Memorie, I, p. 256).
Nel 1664 il B. partecipò, al seguito di Flavio Chigi, alla missione pontificia inviata a Parigi da Alessandro VII per presentare le scuse formali del governo pontificio a Luigi XIV, come, in seguito agli incidenti del 1662 tra la guardia pontificia e i familiari dell'inviato francese de Créqui, era stato concordato nelle trattative di Pisa del febbraio 1664. Al ritorno da questa missione Alessandro VII indusse il giovane a vestire l'abito ecclesiastico e lo nominò canonico della basilica di S. Giovanni in Laterano.
Negli anni seguenti il B. venne acquistando a fianco dello zio cardinale una notevole esperienza del mondo politico romano, strinse relazioni con influenti personaggi della corte pontificia, come l'agente di Luigi XIV Atto Melani, ed ebbe una parte di primo piano nelle trattative, che le pretese del ministro francese de Lionne fecero fallire, per eleggere al pontificato Girolamo Buonvisi durante il conclave del dicembre 1669-gennaio 1670.
L'influenza di Girolamo Buonvisi rimaneva tuttavia assai grande nella Curia e certo si dovette in notevole misura ad essa la scelta che Clemente X fece del B. il 21 luglio 1670, per l'importante nunziatura di Colonia. In questa occasione Clemente X creò il B. arcivescovo di Tessalonica.
La regione del Reno, negli anni tra la pace di Aquisgrana e la ripresa dell'offensiva francese contro l'Olanda, fu il principale terreno del complesso gioco diplomatico internazionale e alla nunziatura di Colonia, nel periodo in cui essa fu affidata al B., fece capo in notevole misura la laboriosa politica della Chiesa, divisa tra la speranza di un ritorno cattolico nei Paesi Bassi protestanti al seguito degli eserciti di Luigi XIV e la preoccupazione per le conseguenze che una incontrastata egemonia europea del Borbone avrebbe provocato nel mondo cattolico già sconvolto dall'intransigente assolutismo del monarca e dalle contese dottrinali e disciplinari del clero di Francia.
Nell'opera diplomatica del B. prevalse inizialmente questo secondo elemento costitutivo della politica pontificia ed anzi il nunzio a Colonia contribuì largamente, sulla base della diretta esperienza della situazione in una zona nevralgica, a indirizzare le iniziative di Clemente X e del segretario di Stato, cardinale Paluzzi-Altieri, al potenziamento delle forze capaci di opporsi all'espansionismo francese, con la formazione in funzione antiborbonica di una intesa tra gli Stati tedeschi e gli Asburgo d'Austria e di Spagna. Questa politica del B. corrispondeva perfettamente, del resto, alla esigenza di riguadagnare alla S. Sede tutte quelle prerogative giurisdizionali che di fatto venivano annullate dal processo di secolarizzazione dei vescovati renani, largamente sostenuto dal re Luigi XIV.
Con particolare urgenza tale questione si poneva nei confronti dell'elettore di Colonia, Massimiliano Enrico di Wittelsbach, il quale respingeva ogni legame disciplinare con Roma e, nella prospettiva di un ingrandimento territoriale, si legava sempre più strettamente alla politica di Luigi XIV. In questa situazione l'energica difesa che il B. si assunse dei diritti giurisdizionali della nunziatura sulle abbazie di Marienrode, Siegburg ed Essen contro le pretese che su di esse avanzava il Wittelsbach veniva a coincidere con le rivendicazioni autonomistiche del Senato di Colonia, che infatti il nunzio sostenne apertamente contro la politica dell'arcivescovo elettore.
Le responsabilità diplomatiche del B. aumentarono quando, al principio del 1672, mentre la situazione andava rapidamente evolvendo verso il conflitto armato, si fece da parte della S. Sede un tentativo di mediazione tra la Spagna e la Francia "per la conservazione della pace tra le due corone, che porta seco i vantaggi della religione cattolica", come scriveva al B. il Paluzzi-Altieri il 6 febbr. 1672 (Nunziatura di Colonia, II, p. 99).Tale tentativo di mediazione venne affidato dalla S. Sede al nunzio del Reno, che fu autorizzato a dirigere in questo senso l'opera della rappresentanza diplomatica pontificia a Madrid e a Parigi. Il B. dovette però rendersi conto assai presto che la situazione politica non permetteva un accordo separato tra la Spagna e la Francia che lasciasse quest'ultima libera di intervenire contro l'Olanda, giacché a Madrid ci si regolava ormai "con la massima di Stato che perduta l'Olanda sia perduta la Fiandra" (ibid., pp. 116-117). La sua controproposta, di notevole spregiudicatezza nei confronti della tradizione diplomatica pontificia, fu quindi quella di comprendere nella mediazione anche gli Olandesi eretici; neanche in questi termini, tuttavia, la mediazione ebbe fortuna giacché sia gli Spagnoli sia gli Olandesi temevano in ogni trattativa con la Francia la possibilità che l'alleato realizzasse un accordo separato, che avrebbe permesso a Luigi XIV di agire contro una sola delle due zone dei Paesi Bassi.
Del resto, quanto più l'azione diplomatica e poi quella militare dei Francesi sembrava rivolgere la situazione a danno degli Olandesi, tanto più il B. andò modificando il proprio atteggiamento e riconsiderando l'opportunità che "gl'Olandesi fossero un poco mortificati, perché con la necessità di accordarsi, si potrebbe sperare che il Re di Francia ottenesse la libertà di coscienza" (ibid., p. 214). E più tardi giungeva a proporre una linea di completa astensione della S. Sede nei riguardi del contrasto franco-olandese ormai chiaramente avviato alla guerra, "parendo che tutte le linee vadano solamente a ferire gli Olandesi" (ibid., pp. 228 s.).
Quando poi le armate francesi travolsero gli Olandesi, il B. si prodigò presso il nunzio straordinario di Francia, Francesco Nerli, esortandolo a intervenire sulla corte francese perché nelle condizioni della futura pace fossero anche "l'essercitio libbero della religione cattolica nel paese che restasse a gl'Olandesi e la restituzione dei beni ecclesiastici" (ibid., p. 256);poi egli stesso si accinse a raggiungere Luigi XIV presso l'esercito "per insinuare destramente a Sua Maestà et a' ministri questi concetti" (ibid., pp. 256-257).Questa missione del B. non ebbe però luogo a causa dei continui spostamenti di Luigi XIV e poi del suo ritorno in Francia; tuttavia il B. poteva ugualmente rallegrarsi "di haver già Sua Maestà consegnato a i cattolici molte chiese ne' luoghi conquistati e che sperava quando le cose si stabilissero che li assegnerebbe ancora le entrate per mantenerle, sicché Iddio ha colmato la Maestà Sua di vittorie a proportione della sua pietà" (ibid., p. 313).
Ma già il B. era alla fine della sua missione renana, poiché le sua qualità diplomatiche lo indicavano alla S. Sede come il miglior rappresentante possibile, al momento, in un altro settore assai delicato dello scacchiere politico europeo, il Regno di Polonia. Qui, in seguito alla disastrosa pace conclusa con i Turchi il 18 sett. 1672, erano andate divampando le discordie intestine e l'ostilità dei magnati al re Michele Korybut Wisńiowiecki, aggravando così anche il pericolo di un ritorno offensivo dei Turchi. Clemente X decise pertanto di inviare il B. a Varsavia come nunzio straordinario per "procurar con efficacia la riunione degli animi alienatisi dal Re in quel regno" (ibid., pp. 364 s.). Il B. abbandonava così Colonia, il 10 dic. 1672.
La missione ebbe inizio, durante il viaggio alla volta di Varsavia, con una serie di incontri con gli arcivescovi elettori di Treviri e Magonza, per indurli a intervenire a sostegno dei Polacchi in caso di una ripresa della guerra con i Turchi; ma i due arcivescovi si giustificarono con gli impegni della guerra in Occidente. Il B. si recò quindi a Vienna dove svolse un'analoga missione presso la corte imperiale, affiancando il nunzio pontificio Mario Albrizio nel sottolineare all'imperatore la necessità di rivolgersi completamente a sostegno dei Polacchi per evitare le gravi conseguenze "che a se trarrebbe la perdita della Polonia, se soggetta o tributaria della Porta divenisse" (ibid., p. 369).
Giunto a Varsavia il 27 genn. 1673, il B. si prodigò subito per mostrare agli esponenti delle due opposte fazioni che le divisioni del regno ne preparavano la rovina di fronte a una prevedibile ripresa dell'offensiva ottomana e riuscì a indurre Giovanni Sobieski, il più autorevole dei magnati ribelli, a un compromesso, facilitato anche dall'arrivo, nell'aprile, di un aiuto ai Polacchi di 10.000 fiorini, inviato da Clemente X per la ripresa della lotta contro il Turco. La Dieta votò così contro la pace dell'anno precedente e Clemente X premiò il B., per il successo conseguito, attribuendogli la carica di nunzio ordinario in sostituzione di Angelo Mafia Ranuzzi, il 15 luglio del 1673. Nella nuova carica il B. dette un grande impulso ai preparativi dell'offensiva contro gli Ottomani, coronata dalla grande vittoria del Sobieski a Chocim, l'11 novembre successivo.
La morte del re Michele, che avvenne alla vigilia della battaglia, aprì subito dopo la questione della successione, a risolvere la quale in un senso favorevole alla S. Sede, con la scelta cioè di un candidato cattolico, il B. ebbe un ruolo determinante: egli fu prodigo di promesse di soccorsi in danaro da parte della S. Sede nel caso di una elezione ad essa bene accetta, minacciò per contro la rottura delle relazioni diplomatiche tra Roma e Varsavia quando si manifestò la possibilità della elezione del calvinista elettore di Brandeburgo, impiegò tutta la propria influenza e quella dei vescovi polacchi nelle lunghissime trattative, si comportò anche con notevole indipendenza nei confronti della Curia romana, della quale respinse, perché priva di possibilità di successo, la proposta di una candidatura del nipote di Clemente X, Gaspare Altieri; finalmente gli sforzi del nunzio vennero premiati con l'elezione, il 21 maggio dell'anno 1674, del cattolico Giovanni Sobieski.
Anche se la scelta del nuovo sovrano corrispondeva perfettamente alle speranze del pontefice, il B., che pure se ne compiacque assai, non poté fare a meno di esprimere a Roma, subito dopo l'elezione, una parziale riserva, manifestando il timore che il re potesse essere distolto dalla guerra contro i Turchi e dalla alleanza imperiale ad opera della diplomazia francese. In effetti le preoccupazioni del B. erano tutt'altro che ingiustificate: l'avvicinamento del Sobieski a Luigi XIV sancito con la convenzione del 13 giugno 1675 compromise una intesa austro-polacca che rimaneva la migliore prospettiva per un'azione decisiva contro il Turco. Al nunzio toccò, in definitiva con poca fortuna, tentare di bilanciare l'azione degli agenti francesi in Polonia, tesa a paralizzare lo sforzo bellico del regno e a distogliere quindi verso la frontiera turca un notevole contingente delle forze imperiali. Né mancarono altri motivi di contrasto tra il nunzio pontificio e il Sobieski, specialmente a proposito del diritto, rivendicato dal sovrano polacco, di designare il titolare della abbazia Cornoviense e del rifiuto del Sobieski di accettare lo stocco benedetto inviatogli da Clemente X, perché non accompagnato dall'omaggio della "rosa d'oro" alla regina Maria Casimira.
Nel settembre 1675, "come premio di haver pacificato l'intestine discordie della Polonia", secondo quanto egli stesso scrisse nella sua autobiografia (Trivellini, p. 4), il B. fu nominato nunzio alla corte imperiale. Questa nomina non fu inizialmente gradita a Leopoldo I, il quale lamentava che il B. avesse avversato l'elezione al trono polacco del duca di Lorena, nel momento in cui sembrava che potesse realizzarsi il matrimonio dello stesso duca con Eleonora d'Austria. Fu però la stessa Eleonora a smentire l'accusa, e il B. poté prendere possesso della nunziatura viennese nell'ottobre dello stesso anno.
Al centro dell'attività viennese del B. fu il problema di una ripresa della lotta contro i Turchi di cui il nunzio lucchese fu sempre presso Leopoldo il più convinto assertore. A questo fine sostenne sin dal principio della sua nunziatura la necessità di un accordo con i ribelli ungheresi, giacché l'alleanza di questi con i Turchi esponeva l'Impero e tutta la cristianità al pericolo di una massiccia offensiva ottomana. Perciò il B. si mostrava disposto ad accantonare per il momento ogni controversia relativa ai rapporti tra i riformati e i cattolici ungheresi, tanto più che tali rapporti avrebbero potuto essere risolti in un senso favorevole alla S. Sede una volta che fosse stata convocata la Dieta del regno, nella quale i magnati fedeli a Roma avevano la maggioranza. Le proposte del nunzio furono sostanzialmente accettate dall'imperatore, che si indusse alle più ampie concessioni ai magnati ribelli, tra cui la restituzione dei beni che erano stati loro confiscati, ma l'opposizione a questo provvedimento di alcuni importanti esponenti della corte imperiale, interessati all'amministrazione di tali beni, fece sì che ogni trattativa fallisse e alla fine del 1678 la rivolta ricominciava in tutta l'Ungheria nord-orientale.
Fortuna non migliore ebbero i progetti del B. per la costituzione di una lega antiturca con gli Stati cristiani dell'Europa orientale. Dapprima, sin dal 1675, egli tentò di ottenere dall'imperatore che inviasse aiuti ai Polacchi in guerra contro i Turchi, per evitare che Giovanni III Sobieski si inducesse a un accordo con gli avversari, che avrebbe reso liberi gli Ottomani di rivolgersi contro l'Austria, secondo quello che si sforzavano di ottenere a Varsavia gli agenti di Luigi XIV; ma, d'altra parte, Leopoldo "trovandosi forzato dai Francesi e dalli Svezzesi alla difesa dell'Impero - come scriveva lo stesso B. al Paluzzi-Altieri - non poteva dividere le sue forze, quando i Francesi avevano unite le proprie all'offesa" (ibid., p. 17).
Conclusa così il 27 ottobre di quell'anno la pace di Żurawno, con grave pregiudizio dei Polacchi che erano costretti a riconoscere ai Turchi il possesso di gran parte della Podolia, il progetto di una lega tra Leopoldo I e Giovanni III Sobieski non venne tuttavia abbandonato dal B., che si sforzò di superare quello che ora costituiva il principale ostacolo a un'intesa: i legami del re polacco con il partito francese, nel quale convergevano alcuni dei maggiori esponenti della nobiltà del regno, e il massiccio appoggio che ai ribelli ungheresi dava da Varsavia l'inviato francese, marchese di Chabris. Il progetto si allargò poi, nel 1677, sino a comprendere nelle trattative anche lo zar Teodoro III che nel marzo era sceso in guerra contro i Turchi, e, su indicazione del nuovo pontefice Innocenzo XI, il B. propose all'imperatore il matrimonio di una principessa austriaca con il sovrano moscovita; la trattativa si rivelò tuttavia prematura, giacché Leopoldo I non era disposto a nuove alleanze che lo impegnassero contro i Turchi prima di essersi garantito contro la minaccia francese sul Reno e ogni cosa fu rimandata a dopo la conclusione delle trattative in corso a Nimega.
Sebbene il B. non fosse direttamente impegnato nei negoziati svoltisi nella città olandese, il suo ruolo fu di primo piano sia nelle trattative per la partecipazione al congresso della rappresentanza romana e per la questione della mediazione pontificia, sia, soprattutto, nell'influenzare l'atteggiamento imperiale nei negoziati stessi.
La questione della partecipazione pontificia alle trattative di pace, sollecitata nel 1676 dall'imperatore, sollevò da parte di Clemente X una serie di difficoltà che impegnarono a lungo il B. in una difficile opera diplomatica. La pretesa del pontefice di associare alla mediazione anche la Repubblica di Venezia incontrava l'opposizione dell'Impero e della Spagna sia a causa del contrasto sorto nel 1674, allorché la Repubblica si era opposta al transito nell'Adriatico di truppe austriache inviate contro Messina, sia per la scelta, come rappresentante veneto nelle trattative, di Giovan Battista Nani, la cui Historia della Repubblica Veneta era giudicata a Vienna e a Madrid lesiva degli interessi della casa d'Austria. Sulla prima questione il B. riuscì a ottenere un accordo provvisorio tra la Repubblica, la Spagna e l'Impero, ma Venezia non acconsentì a revocare la designazione del Nani; tuttavia il B. ottenne che la corte pontificia non insistesse sulla partecipazione veneziana. Un'altra difficoltà era stata sollevata dalla Curia a proposito della sede del congresso, giacché la protestante Nimega non sembrava offrire sufficienti garanzie per la dignità e la sicurezza della rappresentanza pontificia, ma neppure su questa questione il B. riuscì a ottenere soddisfazione: la sua proposta di scegliere Clèves o Aquisgrana non fu accolta e soltanto la morte di Clemente X e l'elezione del più accomodante Innocenzo XI permisero l'accettazione da parte di Roma della sede scelta dalle potenze.
In una memoria inviata durante le trattative di Nimega alla corte d'Inghilterra (pubblicata dal Trenta, I, pp. 194-205) il B. chiarisce le linee di una concezione politica e diplomatica in cui appare già chiaramente presente l'esigenza della costituzione di un sistema di equilibrio delle potenze europee.
Nella memoria il B. consigliava il sovrano inglese di "ovviare in tempo alla crescente grandezza della Francia, che tende alla Monarchia universale. Mentre è certo che abbattute le altre Potenze, le quali malamente possono resisterle, non sarà sicura l'Inghilterra dai suoi vasti disegni...". Contro questa minaccia sembrava essenziale al B., non meno nell'interesse dell'Inghilterra che in quello delle potenze asburgiche e in quello universale della pace, la conservazione all'Impero dell'Alsazia, alla Spagna delle Fiandre e all'Inghilterra della supremazia navale.
Tale criterio politico era nello stesso tempo proposto dal nunzio all'imperatore, al quale mostrava come fosse vantaggioso per l'Impero evitare un indebolimento della Svezia a vantaggio del re di Danimarca e dell'elettore di Brandeburgo; questi sovrani, infatti, anche se momentaneamente alleati, costituivano un potenziale pericolo, contro il quale sarebbe stata di grande aiuto la minaccia di una forte presenza svedese; quanto ai rapporti con la Francia, il B. consigliava l'imperatore a cercare di contenere, in cambio di adeguati compensi territoriali, le pretese di Luigi XIV nella regione del Reno. Queste indicazioni, sostanzialmente accolte dall'imperatore, il B. rivolgeva anche al nunzio pontificio a Nimega, monsignor Luigi Bevilacqua, del quale cercava intanto di affiancare a Vienna il tentativo, che non ebbe apprezzabili risultati, di ottenere dagli Stati Generali e dalle potenze del Nord alcuni vantaggi per il culto cattolico.
I trattati conclusi il 5 febbr. 1679 lasciarono il B. assai insoddisfatto, poiché gli sembrava che la minaccia francese contro l'Impero rimanesse, pur dopo la stipulazione degli accordi, sempre viva e tale da ostacolare un'iniziativa diplomatica e militare contro i Turchi. Ciò nondimeno, appena concluse le trattative di Nimega, il B. ripropose all'imperatore la lega contro i Turchi che, con Innocenzo XI, era divenuta la massima preoccupazione politica della corte romana, moltiplicando per quattro anni il suo lavorio diplomatico prima di riuscire a superare la reciproca diffidenza delle potenze. Sostenne così presso l'imperatore, nel 1678, la missione a Parigi del gran tesoriere di Polonia G. A. Mornstein, sperando che ne risultasse, se non un improbabile impegno di Luigi XIV contro i Turchi, almeno una sua dichiarazione di neutralità; tornò incessantemente a caldeggiare a Leopoldo I la lega con i Polacchi e con i Moscoviti; sostenne la necessità di un accordo con i ribelli ungheresi, con vista sempre al pericolo che essi avrebbero rappresentato in un conflitto con i Turchi, ottenendo la convocazione della Dieta di Sopron nella primavera del 1681, alla quale partecipò attivamente. Al compromesso che sembrò risolvere la crisi contribuì approvando di fatto le larghissime concessioni fatte dall'imperatore in materia religiosa, sebbene ufficialmente non mancasse di protestare. I nuovi accordi raggiunti dai ribelli con i Turchi resero però vana tutta l'opera del B.: nella primavera dell'anno successivo la rivolta divampava nuovamente in tutta l'Ungheria superiore. Sembrava sempre più irrealizzabile il grande progetto di Innocenzo XI per la crociata contro l'Impero ottomano, al quale il B. dedicava ormai tutte le proprie energie: anche le trattative per una alleanza tra la Polonia e lo zar erano frattanto fallite, mentre l'ambasciatore francese a Varsavia era riuscito ad evitare nel 1681 che la Dieta polacca si pronunziasse a favore dell'alleanza con l'imperatore.
Ciò nondimeno i meriti diplomatici del B. erano indiscutibili e la sua attività intelligente, anche se fino ad allora sfortunata, otteneva a Roma un altissimo riconoscimento: Innocenzo XI infatti, il 1º sett. 1681, lo creò cardinale, assegnandogli il titolo di S. Stefano al Monte Celio, senza richiamarlo tuttavia dalla nunziatura, come pure era l'uso, nuova conferma di quanto fossero apprezzati dalla S. Sede i suoi servizi diplomatici.
Finalmente, dopo che un nuovo progetto per stringere i legami tra Varsavia e Vienna era fallito nel 1682, con l'interruzione delle trattative. nelle quali fu impegnato anche il B., per un matrimonio tra una arciduchessa d'Austria e il primogenito di Giovanni III Sobieski, la situazione precipitò per la scoperta casuale a Varsavia di una corrispondenza segreta tra l'ambasciatore polacco a Parigi, Mornstein, e l'ambasciatore francese a Varsavia: da essa risultarono chiaramente le linee di un complotto per sciogliere la Dieta polacca e per dichiarare decaduto lo stesso Giovanni III Sobieski, sostituendolo con un principe francese. Questo episodio fu decisivo per rompere tutte le perplessità del Sobieski; il B. e il nuovo nunzio a Varsavia, Opizio Pallavicini, lavorando di comune accordo seppero eliminare le ultime difficoltà e il trattato di alleanza austro-polacco, approvato il 1º apr. 1683 dalla Dieta e sottoscritto il 2 maggio dall'imperatore, era coronato il 12 settembre dalla vittoria del Sobieski su Maometto IV, davanti alle mura di Vienna.
Un altro notevole successo personale il B. conseguì ottenendo, in laboriose trattative svoltesi a Vienna tra il gennaio e il marzo del 1684, l'adesione all'alleanza austro-polacca della Repubblica veneta che garantì alla ripresa della lotta antiturca l'importante contributo della sua flotta e gli unici veri successi dei collegati nella campagna del 1684, con la conquista di Santa Maura e di Prevesa: i Polacchi, infatti, rimasero pressocché inattivi, limitandosi a un infruttuoso assedio di Chocim, e gli Imperiali, dopo essere entrati a Visegrad ed a Pest, furono arrestati inopinatamente dalla resistenza di Buda. La situazione della lega fu inoltre complicata dall'inizio del conflitto ispano-francese, che ripropose agli Imperiali il problema della difesa della regione renana, sino al punto che si pensò seriamente alla corte di Vienna di aprire trattative di pace con la Porta, mentre d'altra parte la diplomazia francese premeva instancabilmente sulla Polonia per ottenere lo sganciamento dall'alleanza austriaca. Il grande disegno pontificio della lotta ad oltranza contro il Turco sembrava così nuovamente compromesso ed il B., contro cui i Francesi levavano del tutto ingiustamente raccusa di concertare con l'ambasciatore di Spagna a Vienna, Carlo Emanuele di Borgomanero, un'offensiva austriaca sul Reno, dovette invece nuovamente prodigarsi per evitare l'interruzione della lotta contro l'Impero ottomano. A questo fine il B. fuuno dei più ostinati sostenitori presso l'imperatore della tregua con la Francia, stipulata a Ratisbona nell'agosto 1684, cosa che gli fu più tardi assai rimproverata dalla corte viennese. Ma la ripresa dell'offensiva era resa problematica anche dalle difficoltà finanziarie in cui versava l'imperatore e il B., che nelle spese di guerra giunse a impegnare largamente il proprio patrimonio, non si stancava di chiedere nuovi soccorsi a Roma: di fronte alle limitate disponibilità della Santa Sede, tuttavia, l'abilità diplomatica del B. a ben poco poteva giovare ed egli giunse più volte a offrire a Roma le proprie dimissioni, sempre fermamente respinte.
La decisione, infine, di vendere un terzo dei beni ecclesiastici di più recente acquisto nei paesi austriaci diede più favorevoli prospettive alla campagna del 1685. Poiché era in definitiva largamente responsabile dell'amministrazione della guerra, il B. si riservava larghi margini di controllo nel suo settore più propriamente politico-militare: così fece sostituire nella carica di commissario generale il conte Sigfrido Breuner con Rodolfo Rabatta, respinse il progetto del Sobieski di unire nuovamente l'esercito imperiale a quello polacco, nel timore che potessero sorgere questioni d'autorità e di prestigio, propose ancora l'alleanza con lo zar e infine, quando Maometto IV chiese la pace, dopo le vittorie dei collegati a Gran, a Esseg, a Coron e nell'Ungheria superiore, indusse l'imperatore a respingere ogni trattativa e così pure quando la richiesta di pace fu avanzata una seconda volta da Costantinopoli, nell'estate del 1686, dopo che i collegati avevano liberato Buda.
Questa autorità del B. fu anche riconosciuta ufficialmente dall'imperatore, che nominò il nunzio membro del Consiglio di guerra: in questa qualità il B. partecipò alla direzione delle vittoriose campagne dei due anni seguenti, che videro il completo annientamento della ribellione in Ungheria, la conquista veneziana di Corinto e Atene e la caduta di Maometto IV e di Kara Mustafà, provocata dalla clamorosa sconfitta ottomana presso il monte Horsan.
La ripresa della minaccia francese sul Reno e le pretese polacche sulla Valacchia riproposero al nunzio le solite preoccupazioni, cui pose fine però questa volta la morte di Innocenzo XI il 12 ag. 1689: il B. chiese e ottenne che con il suo ritorno a Roma per il conclave coincidesse la fine della sua nunziatura.
A Roma il B. fu chiamato da Alessandro VIII a far parte della Congregazione del Concili e della Consulta sopra lo Stato ecclesiastico, poi delle congregazioni straordinarie convocate per decidere la politica pontificia nel conflitto franco-asburgico e sulla questione ungherese: in quest'ultima sede intervenne sempre per consigliare a non impegnare eccessivamente la S. Sede nella questione, dal momento che era impossibile apportare un consistente aiuto finanziario agli Imperiali. La Repubblica di Lucca si valse in questo periodo dei buoni uffici del B. nella controversia giurisdizionale che la oppose al vescovo Giulio Spinola a proposito del contrasto tra gli abitanti di Diecimo, sottoposti al governo vescovile, e quelli di Vetriano, sudditi della Repubblica. Quando poi lo Spinola, stanco dei difficili rapporti con le autorità repubblicane, fece spontaneamente rinunzia alla propria diocesi, il B. accolse di buon grado l'offerta che Alessandro VIII gli fece nel 1690 di assumere il vescovato lucchese, cosa che del resto era stata sollecitata anche dalla Repubblica.
Durante il conclave del 1691, successivo alla morte di Alessandro VIII, fu fatto dal Sacro Collegio anche il nome del B. nelle trattative per l'elezione del nuovo pontefice. La sua candidatura non ebbe però seguito per l'opposizione del governo di Parigi e di quello imperiale. I Francesi rimproveravano infatti al B. la sua costante opposizione ai disegni egemonici di Luigi XIV; e l'imperatore, nonostante il lungo servizio prestato dal B. alla corte viennese, continuava a rimproverargli le pressioni che avevano indotto l'Impero alla tregua di Ratisbona.
Poco dopo il conclave, nel nov. 1691, il B. abbandonò definitivamente l'attività di Curia e si trasferì nella propria diocesi, dove si dedicò tutto alle normali attività episcopali: controllò assiduamente la disciplina degli ecclesiastici e intensificò le pratiche del culto, introducendo le Quarantore; fece ripetutamente la visita della diocesi e nell'aprile del 1700 convocò il sinodo diocesano. Si prodigò anche, a sostegno del governo lucchese, in alcune occasioni che misero a frutto la sua esperienza e abilità diplomatica, sostenendo la Repubblica nelle controversie sorte tra essa e gli Estensi per questioni di confine, contro la pretesa di una forte contribuzione avanzata dal generale imperiale Antonio Carafa per il mantenimento dell'esercito sceso in Italia nel 1691 e contro l'intenzione di Cosimo III di elevare a diocesi la prepositura di Pescia.
Nel 1700, allorché la malattia di Innocenzo XII lasciava presagire una sua prossima morte, tra le trattative che sin da allora si avviarono per la successione, la corte francese, che aveva evidentemente cambiato parere sul B., gli promise il proprio appoggio nel prossimo conclave se egli si fosse impegnato a scegliere, una volta eletto papa, il nunzio a Parigi, cardinale Delfino, come titolare della Segreteria di Stato. Ma la tarda età aveva ormai spento ogni ambizione nel vescovo di Lucca, il quale rifiutò la proposta.
Morì a Lucca il 25 ag. 1700.
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