DEL COSSA, Francesco
Figlio di Cristoforo, muratore, e di Fiordelisia Mastria, nacque a Ferrara, probabilmente nel 1436 essendo morto di peste a 42 anni (Venturi, 1888) intorno al 1478 (Frati, 1900; Chiappini, 1955; cfr. anche Varignana, 1985, p. 94).
È da tempo riconosciuto come uno dei più grandi pittori ferraresi del Quattrocento insieme con Cosmè Tura e Ercole de' Roberti.
Documentato a Ferrara come pittore nel 1456 e 147.0, tutti gli altri documenti lo ricordano a Bologna. Nel 1456 fu pagato per lavori di pittura e forse anche di scultura intorno all'altar maggiore della cattedrale di Ferrara (distrutti); il contratto era stato stipulato con il padre, dato che il D. fu emancipato solo nel 1460 (Chiappini, 1955, pp. 109, 111). Dal 1462 sono documentati suoi contatti con Bologna; infatti in quell'anno fu padrino del figlio di Bartolomeo Garganelli (ibid., pp. 112 s.). Senza dubbio il documento più noto relativo al D. è la lettera che egli scrisse da Ferrara a Borso d'Este, duca di Ferrara, il 25 marzo 1470 (Venturi, 1885; ristampato in Ruhmer, 1959, p. 48; Padovani, 1954, pp. 489 s.; Varignana, 1985, pp. 45 s. nota); in essa egli chiedeva compensi maggiori per il pagamento degli affreschi raffiguranti Marzo, Aprile e Maggio che aveva appena portato a termine nella sala dei mesi del palazzo Schifanoia a Ferrara.
Rosenberg (1977) ha dimostrato che nelle argomentazioni del D. alle richieste tradizionali basate sulla buona qualità dei materiali e sull'abilità tecnica nella pittura a fresco si unisce una più aggiornata consapevolezza della maggiore retribuzione spettante ad un artista già di fama rispetto ai lavoratori manuali, agli assistenti e a coloro che non erano impegnati in uno studio continuo: purtroppo la risposta di Borso fu negativa e il D. ritornò a Bologna.
Attraverso documenti e opere datate, si può stabilire una successione delle attività del D. a Bologna. Tradizionalmente si ritiene che la data 1467 fosse apposta a un frammento di vetro dipinto già appartenente alla Madonna in trono con Bambino e angeli eseguita per S. Giovanni in Monte dai fratelli Domenico e Giacomo Cabrini su disegni del D. (oggi nella vetrata di destra della facciata; Zucchini, 1917; Volpe, 1958); ma questa data compare oggi in una iscrizione con la firma di Giacomo e Domenico Cabrini sottoposta ad un'Aquila, frammento dei numerosi tasselli vitrei provenienti dalle vetrate Gozzadini oggi propr. Da Schio (cfr. Varignana, 1985., pp. 47, 45-62 passim). Nel 1472 fu pagato per il restauro e il completamento di un affresco con Madonna con Bambino in S. Maria del Baraccano, nel 1473 per il cartone con mezza figura di S. Petronio che fu tradotto in tarsia da Agostino de Marchi da Crema per il coro di S. Petronio (Chiappini, 1955, pp. 113 s.); e dello stesso periodo è il S. Ambrogio sempre nello stesso coro. Nello stesso 1473, l'intarsiatore reclamava il pagamento della cornice di un polittico per la cappella Griffoni in S. Petronio, i cui pannelli smembrati sono stati attribuiti al Del Cossa. Questi nel 1474 firmava la pala per il foro dei mercanti (Bologna, Pinacot. naz.) che gli era stata commissionata dal giudice Alberto de' Cattanei e dal notaio Domenico degli Amorini. L'anno seguente, con Bartolomeo Garganelli fu compare di Marco Antonio degli Arloggi e l'anno dopo fece da padrino a un altro figlio di Bartolomeo Garganelli; sempre nel 1476 il suo nome compare in un contratto di affari con due nipoti a Ferrara. Alla fine della sua vita stava lavorando agli affreschi sulla volta della cappella Garganelli nella cattedrale di Bologna, oltre che a una scultura non identificata per la stessa cappella; tali opere sono menzionate nella corrispondenza del 1478 tra Angelo Michele Salimbeni e Sebastiano Aldrovandi (Frati, 1900; Chiappini, 1955; Ruhmer, 1959, p. 49), nella quale il D. è dato come morto.
Le opere giovanili del D. appaiono dominate dall'influsso di Cosmè Tura e di Piero della Francesca. Tra il 1460 e il 1463 Cosmè Tura stava dipingendo per Borso d'Este, nello studiolo della villa distrutta di Beffiore, una serie di Muse; uno dei pannelli della serie, Polymnia (o Autunno; Berlino, Staatliche Museen), è stato spesso attribuito al D. giovane (Ruhmer, 1959, con attribuzioni precedenti); infatti le qualità scultoree e i colori pallidi e freddi ricordano Piero, e la prospettiva di sotto in su e la tipologia del volto ricompaiono nella Madonnaintrono su vetro del 1467 in S. Giovanni in Monte a Bologna; il paesaggio è una versione più morbida delle vedute negli affreschi di Schifanoia, degli ultimi anni del settimo decennio. L'iconografia della decorazione di Belfiore è riconducibile, secondo Baxandall (1965), agli scritti di Guarino Guarini da Verona.
Altra opera generalmente accettata come di mano del D. all'inizio degli anni Sessanta è la Madonna con Bambino dormientee angeli, della National Gallery di Washington, benché Shapely (1966, p. 84) abbia avanzato al riguardo dubbi non infondati.
La testa della Madonna presenta una forma geometrica e una colorazione luminosa di stampo pierfrancescano, ma le figure in generale presentano una rigidità estranea al Del Cossa. Al contrario, la Madonna su vetro in S. Giovanni in Monte è una composizione mirabilmente vivace, nella quale il magistrale lavoro in vetro dei fratelli Cabrini si integra al disegno del Del Cossa. Le linee contorte delle vesti degli angeli sono controbilanciate dagli occhi con pesanti palpebre abbassate; l'azzurro brillante del manto della Vergine contrasta in modo stridente con il bianco dell'esedra classicheggiante del trono.
I pochi lavori giovanili del D. non lasciano quasi prevedere le stupefacenti composizioni, così innovative e fantasiose, eseguite nel palazzo Schifanoia alla fine del settimo decennio. L'analisi dei documcnti (Rosenberg, 1974) ha sottolineato l'importanza della sala dei mesi nel più ampio contesto del patronato artistico di Borso d'Este ed ha anche stabilito la data d'esecuzione tra il 1466 e il 1469.
Le quattro pareti affrescate del grandioso ambiente erano originariamente divise in dodici sezioni, ognuna dedicata a un diverso mese (Bargellesi, 1945; D'Ancona, 1954). Si sono sostanzialmente conservate solo le pareti orientali (Marzo, Aprile, Maggio) e settentrionali (Giugno, Luglio, Agosto e Settembre). Ogni sezione è divisa a sua volta in tre registri: in quello superiore divinità maschili e femminili avanzano su carri trionfali accompagnati da gruppi di figure in qualche modo connesse; in quello centrale, su un fondo neutro, sono dipinte le figure che rappresentano i segni dello Zodiaco e dei decani (Warburg, 1912); in quello inferiore sono raffigurate le attività di "buon sovrano" di Borso (Ruhmer, 1959). Rosenberg (1974) riesamina gli argomenti che servono ad attribuire il programma iconografico all'umanista e astrologo Pellegrino Prisciani e inoltre fornisce l'identificazione di specifici avvenimenti storici del regno di Borso a cui le scene inferiori possono riferirsi.
Le complesse composizioni e le dozzine di figure eseguite dal D. per i mesi di Marzo, Aprile e Maggio costituiscono un'antologia delle concezioni artistiche e degli interessi del periodo. Il fascino del Quattrocento per l'antichità classica è evidente non solo nel programma iconografico ma anche in specifici motivi formali, quali le tre Grazie (Aprile), e nelle forme classiche dei nudi maschili tra i decani (Aprile, Maggio). Lo studio della prospettiva e delle forme architettoniche albertiane si rivela nei porticati riccamente articolati e ben proporzionati dei registri inferiori (Marzo, Aprile). La particolare cura per la resa del paesaggio assume due aspetti: nei registri superiori i paesaggi slontananti contengono surreali formazioni rocciose e città immaginarie; nei registri inferiori, invece, appaiono scene più delicate e naturalistiche ambientate in campagna e vedute urbane eccezionalmente verosimili. Il D. mostra anche un altissimo grado di realismo nella rappresentazione di uomini e di donne al lavoro; in base a queste immagini si potrebbero virtualmente ricostruire il telaio delle tessitrici accanto a Minerva nel registro superiore del Marzo, e gli strumenti musicali degli amanti alla destra di Venere nell'Aprile. I costumi dai raffinati particolari sottolineano le pose aggraziate di cortigiani, mercanti e studiosi. Accanto a queste caratteristiche tipiche del Rinascimento, vi sono immagini ancora imbevute di un ideale, aristocratico, tardogotico. La caccia con i cani e quella con il falco erano i passatempi della nobiltà feudale; attività quali la vendenunia derivano dall'antica tradizione dei "lavori dei Mesi". Contraddizioni intenzionali di scala e di prospettiva fanno pensare che i modi medievali di comporre appartengano a un passato non troppo lontano. L'effetto generale di questi affreschi del D. è stupendo; sono animati in ogni parte da un colore splendente e da un movimento vibrante. Gli affreschi si collocano indubbiamente tra le più belle pitture a soggetto profano del Quattrocento.
Le opere rimaste, sicuramente attribuibili al D., sono quasi tutte pitture di soggetto religioso tradizionale eseguite a Bologna tra il 1470 e il 1478. La Pala dell'Osservanza si compone di un pannello principale con l'Annunciazione, una predella con la Natività (entrambe a Dresda, Gemâldegalerie) e di due piccole figure di Sante entro nicchie che Longhi ([1934] 1956, p. 31) ipotizzava si trovassero alle due estremità della predella: S. Chiara e S. Caterina d'Alessandria (Castagnola, Lugano, coll. Thyssen-Bornemisza).
La stupenda architettura e i misurati effetti spaziali dell'Annunciazione si collegano, per la composizione, alle zone inferiori degli affreschi di Schifanoia. La Vergine è un po' più statica e meno vivace delle figure femminili in piedi, ad essa paragonabili, della sala dei mesi, ad esempio la donna della prima decade di Aprile. La meticolosa esecuzione a tempera produce un effetto più asciutto di quanto non si riscontri negli affreschi. Alcuni dubbi sono stati talora avanzati, a suggerire la possibilità di un aiuto nella predella, ma l'atteggiamento ritmico e danzante dei pastori nella Natività è tipico del D. degli inizi dell'ottavo decennio.
Il D. firmò e datò 1472 una elaborata aggiunta a fresco alla Madonna del Baraccano, nella omonima chiesa di Bologna: (cfr. Varignana, 1985, pp. 71 s., 82). Gli angeli scultorei, visti di sotto in su, richiamano la giovanile Polymnia ma il panneggio più solido, compresso, aderente sulle gambe degli angeli, è più vicino alla Madonna dell'Osservanza. Le forme architettoniche sono meno rigidamente classiche rispetto a Schifanoia e alla pala dell'Osservanza, specialmente i bizzarri capitelli "doppi" delle colonne sulla fronte della volta a botte. Le rocce e le forme architettoniche, tra di loro commiste, del paesaggio in lontananza, sono ancor più fantastiche di quelle delle zone superiori della sala dei mesi.
Le altre due importanti pale d'altare del D. sono in genere datate allo stesso anno, e tuttavia sono di stile contrastante. La Madonna in trono con i ss. Petronio e Giovanni Evangelista (Bologna, Pinacoteca nazionale) per il foro dei mercanti è datata, su un'iscrizione, al 1474.
Uno dei donatori, Alberto de' Cattanei, è ritratto di profilo in ginocchio dietro al S. Petronio seduto, rivolto verso la Vergine. Figure più piccole dell'arcangelo Gabriele e della Vergine annunciata, appaiono in ginocchio sul muro che delimita lo spazio dietro i santi. Sopra la Madonna s'inarca una volta a botte il cui estradosso è decorato da una cornice "rovinata" a ovoli e dardi analoga a quella del trono della Vergine. Le tre figure principali sono le più monumentali dell'opera del Del Cossa. Le teste sono viste da sotto e sembrano incise in larghi piani; le espressioni sono solenni e distaccate. Panneggi voluminosi avvolgono i santi contribuendo all'effetto monumentale. La tempera su tela rende la superficie opaca, ma ciò nonostante i colori sono luminosi. Delicate zone di luce riflessa intorno alle mani e ai volti dei santi richiamano ancora Piero. La consumata abilità dell'artista si rivela nel mondo razionalmente ordinato di quest'opera.
I pannelli principali della Pala Griffoni mostrano un altro aspetto dello stile del Del Cossa. Certamente provenienti da una pala vista dal Vasari (1568) nella cappella di famiglia dedicata a s. Vincenzo Ferrer in S. Petronio sono: S. Vincenzo Ferrer (Londra, National Gallery; Davies, 1961); S. Pietro e S. Giovanni Battista (Milano, Brera); e la predella con i Miracoli di s. Vincenzo Ferrer (Pinacoteca Vaticana).
I pannelli non sono datati e non è detto che il documento del 1473 relativo al pagamento della cornice debba riferirsi anche alla data finale dell'esecuzione: infatti le comici spesso venivano ultimate prima che il pittore iniziasse il lavoro (cfr. C. Gilbert, Peintres et menuisiers..., in Revue de l'art., 1977, 37, p. 16). La composizione mostra alcune delle contraddizioni spaziali e degli effetti illusionistici già presenti a Schifanoia. I santi laterali poggiano su strette piattaforme rocciose, mentre il S. Vincenzo Ferrer sta su un basso tavolo che copre stranamente la base di una colonna. Il piano anteriore, in cui ciascuna figura è contenuta, è limitato da un pilastro classicamente articolato, dal quale partono arcate. Il panneggio ha un'angolosità aspra, del tutto nuova; le carni sono rese con particolari asciutti al massimo. L'effetto della luce che scintilla dalle gocce di cristallo e corallo pendenti dalle sbarre dorate di collegamento delle arcate è una reminiscenza della pittura fiamminga. Contrastano nettamente con le forme ampie dei primi piani le figurazioni architettoniche e geologiche nei brevi scorci paesistici che si intravedono ai lati dei pilastri. Ancora più bizzarri del fondale della Madonna del Baraccano sono i ponti di roccia che sostengono sequenze di costruzioni, amate ancor oggi dagli urbanisti. Gli eventuali pannelli secondari della Pala Griffoni sono stati oggetto di controversie e critiche: gli studiosi si sono divisi nell'attribuire la predella al D. o a Ercole de' Roberti o a entrambi (per un corretto riepilogo delle diverse opinioni si vedano Molaioli, 1974, p. 973 e Neppi, 1958, p. 28). Gli episodi si svolgono in una narrazione continua attraverso uno spazio in cui si alternano strutture architettoniche classicheggianti e bizzarre forme rocciose consuete in altre opere del Del Cossa. Numerose figure e tipologie fisionomiche sono le stesse di altre opere precedenti, ma qui c'è in più un andamento animato e a volte un senso di frenetica attività. Sembra molto probabile che il D. abbia preparato il disegno e abbia eseguito la maggior parte della predella con alcuni interventi del suo allievo Ercole. La ricostruzione della Pala Griffoni proposta da Longhi ([1934] 1956, pp. 33 ss.; [1940] 1956, pp. 128-31) comprende ancora tre pannelli oggi a Washington (National Gallery): S. Floriano, S. Lucia e il tondo con la Crocifissione; due tondi con Gabriele e la Annunciata della collezione Cagnola a Gazzada, tutti attribuibili al D.; e una serie di sette piccoli Santi entro nicchie (due al Louvre, uno nel Museo Boymans van Beuningen di Rotterdam, uno nella Pinacoteca naz. di Ferrara, e tre nella coll. Cini a Venezia), opera di Ercole. Molti studiosi successivamente si sono trovati d'accordo con la tesi del Longhi riguardante i tondi con L'Annunciazione e la collocazione dei piccoli Santi in piedi. I pannelli di Washington, invece, potrebbero provenire da un'altra pala non ancora identificata. S. Floriano e S. Lucia sono monumentali figure viste di sotto in su per una lunghezza di tre quarti contro uno sfondo neutro dorato. 1 loro nimbi sono tutt'altra cosa dai dischi illusionistici dei pannelli maggiori. E i loro manti e i loro volti non presentano l'angolosità spigolosa di quelli del S. Pietro o del S. Giovanni Battista. Queste discrepanze rendono difficile considerarli elementi della Pala Griffoni.
Il nome del D. è stato associato ad alcune parti della grande pala ferrarese con la Madonna in trono e santi dell'altar maggiore di S. Lazzaro fuori le mura (già a Berlino, Kaiser Friedrich Museum). Il Ruhmer (1959, pp. 92 s.), osservando che alcune figure sono molto vicine al D., ne deduce che questi potrebbe aver iniziato l'opera poi terminata da Ercole. Certamente il gusto per le insolite forme architettoniche suggerisce il nome dei D., ma la partecipazione di Ercole deve essere stata assai ampia.
Sono stati attribuiti al D. diversi ritratti, ma il solo convincente è il Giovane con anello della collezione Thyssen-Bornemisza di Lugano. La plasticità dei lineamenti, il modellato della mano che tiene l'anello e il modo di comporre le rocce sono a favore dell'autografia del Del Cossa. Spesso i critici hanno dato eccessivo peso alla molteplicità e diversità delle attività del D., tanto da attribuirgli sculture (Filippini, 1913; Ruhmer, 1959 e 1968). Oltre ai documentati disegni per tarsie e vetrate già menzionati, va ricordato il disegno per la magnifica vetrata circolare di S. Giovanni in Monte con S. Giovanni a Patmos, eseguita dai fratelli Cabrini nel 1482 circa: attribuito dal Volpe (1958) a Lorenzo Costa, è ora assegnato al D. con sicurezza (Varignana, 1985, pp. 76 s.).
Sono stati riferiti al D. anche alcuni disegni: il più convincente è Venere e Cupido sopra la fucina di Vulcano della collezione Robert Lehmann (New York, Metropolitan Museum). Pit insolita Fattribuzione al D. di otto disegni di danzatori comici e buffoni negli Uffizi (Meller, 1965). Le teste di queste figure danzanti sono state paragonate in modo convincente dal Meller con quelle del D. negli affreschi di Schifanoia, ma il possente senso di movimento appare molto distante dal Del Cossa. Infine, Ruhmer (1959) ha suggerito una connessione del D. con disegni per stampe (quali i cosiddetti "Tarocchi del Mantegna"), per maioliche e anche per illustrazioni di libri.
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