DELLA CASA, Francesco
Nacque a Firenze il 9 apr. 1461, unico figlio maschio di Iacopo di Giovanni. Dell'infanzia e della giovinezza non si hanno notizie precise, ma certamente il D. dovette essere in stretta relazione con i figli di Lorenzo de' Medici, Piero e Giovanni, e con Angelo Poliziano.
Il D. apparteneva ad una famiglia legata all'attività mercantile e ai più significativi rappresentanti di casa Medici. Uno zio, Antonio di ser Ludovico, fu direttore del banco dei Medici a Roma negli anni 1435-1438, e successivamente fondò una filiale propria in concorrenza, ma non in contrasto, con quella dei Medici; ed è possibile che il D. sia stato anch'egli a Roma fin dalla giovane età.
In una lettera a Piero Dovizi del 1491, infatti, il D. parla dei suoi rapporti di lavoro a Roma con Nofri Tornabuoni e Leonardo Bartolini, rispettivamente direttore e impiegato della filiale romana del banco mediceo. Tale attività dovette impegnare il D. in frequenti viaggi. Nel 1491 si recò due volte in Germania, e la seconda sicuramente nel novembre per incarico del Tornabuoni, come testimonia anche una lettera scritta dal D. al cugino Pandolfo da Lubecca. Il viaggio non ebbe soltanto scopi commerciali, ma pure risvolti politici, in quanto il D. era incaricato di indurre il legato pontificio a inviare al papa 20.000 ducati già da tempo richiesti.
Sempre dalla lettera al Dovizi veniamo a conoscenza del particolare legame che univa il D. ai Medici: infatti, chiede l'intervento di Lorenzo per la risoluzione di alcuni problemi personali non meglio precisabili. E in una successiva lettera dell'aprile 1492, scritta a Piero de' Medici per esprimergli il suo dolore per la morte di Lorenzo, il D. non solo ne ricorda la lunga consuetudine ed amicizia, ma prega Piero di non dimenticare l'"antica servitù et ardente affectione" che gli aveva portato fino dall'adolescenza. Contemporaneamente il D. chiede che gli venga rinnovata da parte di Piero la presentazione" per servitore et familiare" (già fattagli da Lorenzo) presso il giovanissimo cardinale Giovanni de' Medici, poi papa Leone X, col quale, quindi, il D. dovette avere buoni rapporti. Altri aiuti il D. chiede a Piero con un'ulteriore lettera da Roma dell'agosto 1492, dalla quale veniamo a sapere che da diverso tempo la famiglia del D. era fatta oggetto di persecuzioni, forse per ragioni politiche o commerciali, e che, nonostante l'intervento di Lorenzo, di Piero e dello stesso Giovanni, i suoi avversari non erano sgominati; vi era stato addirittura un conflitto armato proprio sotto le mura del palazzo dei Della Casa a Firenze ed emissari erano stati arruolati a Roma per uccidere il D.; questi pensava anche di ritornare per qualche tempo a Firenze per cercare di ridurre all'impotenza i suoi nemici col ricorso alla legge.
Tra le altre poche notizie che conosciamo sulla vita privata del D., sappiamo che nel 1495 sposò Francesca di Schiatta Ridolfi e che da questo matrimonio nacquero sei figli: tre maschi - Iacopo nel 1501, Francesco nel 1504 (che sposò nel 1530 Susanna di Carlo Gondi e nel 1531 partecipò allo squittinio per il quartiere di S. Giovanni gonfalone Drago), Ridolfo, forse nato nel 1513 - e tre femmine: Dianora sposata nel 1522 a Niccolò Ambrogi, Lisabetta sposata nel 1535 a Piero Mazzinghi, Ludovica moglie di Mariano Tempi.
La lunga amicizia fra Piero de' Medici e il D. ebbe una nuova manifestazione quando Piero lo inviò in Francia presso Carlo VIII, affiancandolo agli ambasciatori ufficiali fiorentini, Giovanni Tosinghi e Francesco Nori. Il D. arrivò a Lione a metà maggio del 1493 e da lì incominciò un ricco carteggio con Piero, nel quale espose con dovizia di particolari la sua azione presso il re di Francia.
Lo scopo specifico della missione del D. era quello di verificare la posizione della Francia sia nei confronti di Firenze, sia più in generale della questione italiana, soprattutto in riferimento al Regno di Napoli. L'ambasceria del D. cadeva infatti in un momento assai delicato della politica internazionale (e non a caso verranno mandati da Firenze altri due ambasciatori straordinari, Gentile Becchi e Piero Soderini), e veniva a coincidere con i preparativi di una solenne ambasciata francese in Italia, allo scopo soprattutto di saggiare le intenzioni politiche e diplomatiche dei principi italiani, proprio in relazione alla questione napoletana.Il minuzioso carteggio del D. illustra i suoi rapporti con la commissione deputata da Carlo VIII a trattare gli affari italiani, che, in un primo momento, si era rivelata sostanzialmente favorevole alla persona e alla politica di Piero de' Medici, soprattutto grazie all'opera svolta al suo interno dallo storico Philippe de Commines. È interessante notare che, fino dai primi rapporti diretti, il D. dimostrò una notevole sfiducia nei confronti di Carlo VIII, arrivando a qualificarlo come incapace e del tutto disinteressato ai problemi che invece avrebbe dovuto affrontare. Il D., comunque, cercò sempre di difendere la posizione e la politica estera di Firenze, alleata di Napoli, finché in una lettera del 13 marzo 1494 poté rivelare come oramai si stessero attuando gli ultimi preparativi della spedizione contro l'Italia che, voluta da Carlo VIII, trovava ostili gli stessi dignitari del Regno.
Il D. rimase presso il re anche quando il Becchi e il Soderini lasciarono la Francia e vi arrivarono, come nuovi ambasciatori, Guidoantonio Vespucci e Piero Capponi, continuando a riferire con la consueta puntualità l'evolversi della situazione. Ma, poco dopo, la missione del D. terminò con la partenza dell'esercito francese verso l'Italia, ed egli alla fine di luglio del 1494 rientrò a Firenze, passando per Milano. Mancano notizie su quanto il D. abbia fatto nel successivo e drammatico evolversi degli avvenimenti, ma il suo nome è citato in due lettere del 27 e 29 ott. 1494, scritte da Piero de' Medici, col quale quindi doveva trovarsi, a Piero Dovizi, rispettivamente da Pisa e da Pietrasanta, cioè sulla via dell'incontro con Carlo VIII.
Non sappiamo quali conseguenze immediate ebbero sul D., amico di Piero, la caduta dei Medici e l'istaurazione di un governo oligarchico che modificava la precedente struttura politica. Sta di fatto che il D. ebbe un nuovo incarico diplomatico nell'estate del 1500, quando fu inviato dapprima a Cascina, vicino Pisa, presso il commissario generale fiorentino Luca di Antonio Albizzi, e poi, poco dopo, in Francia presso il re Luigi XII.
Atteso dall'Albizzi, il D. arrivò al campo delle milizie fiorentine il 28 giugno 1500. Quale fosse il suo ruolo nella lunga lotta contro Pisa, nella quale erano impegnati come commissari anche Giovan Battista Ridolfi, Giovan Battista Bartolini e Niccolò Machiavelli come loro segretario, non ci è dato sapere da testimonianze documentarie dirette, ma conosciamo in parte l'operato del D. dalla corrispondenza dell'Albizzi con la Signoria fiorentina preparazione dei fanti venuti da Roma, moralizzazione circa il pagamento delle truppe mercenarie, nuovi reclutamenti e alloggiamenti di armati nei paesi vicini. In particolare, fu in contatto col comandante delle truppe svizzere e guascone, Ugo de Beaumont, che anche per la sua precedente condotta (aveva ceduto Livorno a Firenze secondo i patti prestabiliti), era l'unico che godesse la fiducia dei Fiorentini. Sicuramente il D. svolse una preziosa opera di consigliere dell'Albizzi, come è più volte attestato nelle sue lettere, dalle quali risulta che il D., pratico anche nella lingua, doveva avere una notevole capacità nel trattare con i Francesi.
Dovettero essere queste le ragioni che spinsero la Signoria a mandare il D., insieme con Niccolò Machiavelli, in Francia a metà del luglio dello stesso 1500. Nella scelta della Signoria vi era anche la certezza che i due inviati, essendosi entrambi trovati sul campo pisano partecipi dei problemi e della situazione verificatasi, avrebbero potuto meglio informarne il re Luigi XII, anche per smentire le accuse che venivano rivolte al comportamento dei Fiorentini.
Deliberata il 18 luglio, la legazione in Francia dei due inviati aveva lo scopo dichiarato, aggiungendosi essi ai due ambasciatori fiorentini Francesco Gualterotti e Lorenzo Lenzi (li raggiunsero a Lione il 26 luglio), di far luce sugli avvenimenti pisani, in modo che risultassero da un lato la lealtà della condotta fiorentina e dall'altro le inimicizie e la disorganizzazione dei comandanti alleati responsabili dell'insuccesso dell'impresa contro Pisa. La prima lettera che il D. e il Machiavelli spedirono alla Signoria è del 28 luglio, a firma comune: e così sarà per quasi tutte le successive fino a quella del 26 settembre, con la quale il Machiavelli - comunicando la partenza, avvenuta poco prima, del D. per Parigi per curare una malattia - diviene il corrispondente unico della missione. Questa, soprattutto nel periodo iniziale, non fu certamente facile: il re Luigi XII si rendeva irreperibile, costringendo il D. e il Machiavelli ad una serie di spostamenti (di cui è data puntuale notizia ai governanti fiorentini, insieme col lamento per le spese che ne derivavano ad entrambi, stipendiati - il D. con otto lire al giorno e il Machiavelli con quattro-) e a svolgere la loro opera tramite i dignitari di corte. Da questi venivano a conoscere lo stato d'animo, indeciso ed incerto, di Luigi XII, talvolta amico, talaltra ostile alla Repubblica di Firenze, in conseguenza delle vicende pisane, ma anche per problemi di politica più generale (rapporti con l'imperatore, con Milano, con i Turchi).
La corrispondenza con la Signoria è fitta e minuziosa, ma non è possibile distinguervi il ruolo del D. da quello del Machiavelli, sia per le loro firme comuni nelle lettere, sia per il carattere particolare della missione. La malattia fece uscire di scena il D.: in una lettera di Francesco Machiavelli a Niccolò Machiavelli del 5 nov. 1500 se ne chiedono notizie, ma manca la documentazione relativa - si sa che rientrò a Firenze il 2 marzo 1501 - e niente è dato sapere fino al 14 sett. 1502, quando al D. viene affidato l'incarico di recarsi a Milano presso G. de Gramont, diretto rappresentante del re di Francia, per due mesi, con la possibilità di rinnovo e col salario di otto lire al giorno. Il D. partì il 24 settembre e tornò a Firenze il 24 ag. 1503.
Fu questa di Milano una nuova, non meno delicata e molto lunga missione. Ne rimane un ampio carteggio (manca la lettera di istruzione) quasi esclusivamente con i Dieci di balia. A tale documentazione è da aggiungere anche un copialettere di Alessandro Nasi, oratore fiorentino presso Luigi XII, dove si conservano molte lettere al D. a Milano, che danno un più ampio quadro della situazione in cui il D. si trovò ad operare.
La principale ragione dell'invio del D. a Milano era quella di sollecitare la spedizione di armati francesi in aiuto a Firenze in caso di necessità, dal momento che la situazione generale (il Valentino si accingeva all'impresa di Bologna, vi era stato da poco il convegno alla Magione, gli Orsini avevano rotto col papa e col Valentino, l'attacco iniziale di Vitellozzo Vitelli e Giovan Paolo Baglioni era previsto su Urbino o Roma o Firenze) appariva di una gravità tale che non si riteneva possibile aspettare, nel caso, l'autorizzazione regia dalla Francia. Nella prima lettera scritta dal D. (il 6 ottobre, due giorni dopo l'arrivo a Milano), egli riferisce in primo luogo le festose accoglienze riservategli dal Gramont e l'esito di quel primo incontro.
Nell'ambito di questa missione il D. andò anche a Parma, come risulta dalle sue lettere (novembre-dicembre 1502), e poi, nel luglio 1503, passò da Firenzuola e ancora si fermò a Parma (primi di agosto), ricevendo altre incombenze sulla via del ritorno: dovette sostare a Pontremoli, a Aulla, Pietrasanta e Lucca (qui, ad esempio, fu incaricato di fare ricerche di alcune lettere degli ambasciatori fiorentini da Lione, non ancora arrivate a Firenze).
Le capacità del D., le benemerenze che si era acquistato in questa lunga missione milanese (lo si deduce oltre che dagli elogi dei Dieci di balia anche da una lettera di apprezzamento scritta ai Dieci da Francesco Soderini l'11 nov. 1502), gli procurarono un nuovo incarico, l'invio a Bologna, presso Giovanni Bentivoglio, stabilito il 9 nov. 1503.
Tale missione fu determinata dagli avvenimenti che si erano susseguiti poco prima in Romagna e soprattutto intorno a Faenza (il 4 novembre, Firenze aveva mandato come inviato in Romagna Antonio Giacomini) anche a causa della vacanza della Sede apostolica, conseguente alla morte nel mese di agosto di Alessandro VI. A Bologna il D. arrivò l'11 novembre e subito cercò il Bentivoglio, al quale espose la posizione fiorentina. Assolto il suo incarico, ne dette notizia ai Dieci con lettera del 14, scritta da Firenzuola, dove si era recato "per starmi", dice, "con la mia brigata".
Dopo questa notizia si perdono le tracce del D.; non conosciamo neppure l'anno della morte, ma nel 1507 era ancora vivo, perché Filippo Casavecchia, commissario fiorentino a Fivizzano, scrivendo al Machiavelli, incaricava il destinatario della lettera di ricordarlo, fra gli altri, anche al Della Casa. Il suo sepolcro fu posto nella basilica di S. Lorenzo, sotto le volte fuori delle cappelle: e poiché si sa che nel 1513fu aggiunto un nuovo sepolcro, si puo pensare che il D. sia morto prima di quell'anno.
Fonti e Bibl.: La document. archivistica riguardante il D. è conservata, quasi interamente, presso l'Archivio di Stato di Firenze: per notizie sulla famiglia cfr. Ibid., Carte Pucci, IV, 26; Ibid., Manoscritti 380, 34; Ibid., Carte Ceramelli Papiani 1268; Ibid., Carte Sebregondi 1760; Ibid., Priorista Mariani V, 1236. Per i dati anagrafici relativi al D. e ai membri della sua famiglia cfr.: Ibid., Tratte 40 c. 263r; Tratte 43, cc. 319r, 336r; Tratte 443 bis, c. 186v; Ibid., Manoscritti 348, cc. 809r-813r; Manoscritti 354, c. 710v; Manoscritti 754, c. 808v; Manoscritti 625, p. 1206. L'attività e i carteggi diplom., in Mediceo avanti il principato, inventario a cura di F. Morandini-A. D'Addario, Roma 1952-1963, ad Indices; Arch. di Stato di Firenze, Signori. Legazioni e commissarie. Elezioni, istruzioni, lettere 26, cc. 22r-25r, 97r, 135v-136v; Ibid., Signori. Carteggi. Responsive originali 18, passim; Ibid., Dieci di Balia. Carteggi. Responsive originali 69-74, 76 passim; le "missive" indirizzate dalle due suddette magistrature al D. si trovano nei relativi registri ad annos, mentre nella Biblioteca nazionale di Firenze, ms. II, IV, 551 (già Magliabechiano VIII, 1408) viene conservato il copialettere del D. durante la sua missione a Milano; ancora nell'Arch. di Stato di Firenze (Signori. Otto e Dieci 68) si trova il copialettere di Alessandro Nasi, ambasciatore in Francia, con molte lettere al D. relative agli anni 1502-1503. Alcune lettere diplomatiche del D. sono state pubblicate in Négociations diplom. de la France avec la Toscane a cura di A. Desjardins-G. Canestrini, Paris 1869, I, pp. 221-591 passim; II, pp. 34-64 passim (lettere della prima ambasceria in Francia, ma il breve profilo del D. è gravemente erroneo); N. Machiavelli, Opere, a cura di L. Passerini - G. Milanesi, III, Firenze-Roma 1875, pp. 87-189; e Id., Legazioni e Commissarie, a cura di S. Bertelli, I, Milano 1970, pp. 91-174 (ma cfr. anche Id., Opere, a cura di M. Martelli, Firenze 1971, ad Indices: lettere della seconda ambasceria in Francia); P. Villari, N. Machiavelli e i suoi tempi, I, Firenze 1877, pp. 249, 350-356, 556 s., B. Buser, Die Beziehungen der Mediceer zu Frankreich. 1434-1494, Leipzig 1879, pp. 316-322, 538-544; G. B. Picotti, La giovinezza di Leone X, Milano 1928, pp. 525, 601; R. Ridolfi, Vita di N. Machiavelli, Roma 1954, pp. 50-61, 398; F.Catalano, Il ducato di Milano nella politica dell'equilibrio, in Storia di Milano, VII, Milano 1956, p. 451; G. Sasso, N. Machiavelli. Storia del suo pensiero politico, Napoli 1968, pp. 23-31, 79; S. Bertelli, Carteggi machiavelliani, in Clio, II (1966), p. 215; M. Martelli, Il "libro delle epistole" di Angelo Poliziano, in Interpres, I (1979), p. 250; C. Bec, Cultura e società a Firenze nell'età della Rinascenza, Roma 1981, pp. 252, 254; R. Zaccaria, Censimento delle lettere di F. D., in Archivio storico italiano, CXLIV (1986), pp. 333-46; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, adIndices.