Della Casa, Francesco
Nacque a Firenze il 9 aprile 1461, unico figlio maschio di Iacopo di Giovanni. Dell’infanzia e della giovinezza non si hanno notizie precise, ma certamente D. C. – che apparteneva a una famiglia legata all’attività mercantile e ai più significativi rappresentanti di casa Medici – dovette essere in stretta relazione con i figli di Lorenzo de’ Medici, Piero e Giovanni, e con Angelo Poliziano. Nel 1491, in una lettera a Piero Dovizi, D. C. parla dei suoi rapporti di lavoro a Roma con dipendenti della filiale romana del banco mediceo. Nello stesso anno si recò inoltre due volte in Germania: il viaggio non ebbe soltanto scopi commerciali, ma anche risvolti politici (D. C. era incaricato di indurre il legato pontificio a inviare al papa 20.000 ducati già da tempo richiesti).
In una lettera dell’aprile 1492, scritta a Piero de’ Medici per esprimergli il suo dolore per la morte di Lorenzo, D. C. chiede che gli venga rinnovata la presentazione presso il giovanissimo cardinale Giovanni de’ Medici, poi papa Leone X. Da un’altra missiva dell’agosto dello stesso anno, apprendiamo che la famiglia di D. C. era in conflitto (anche armato) con altri maggiorenti fiorentini.
Nel maggio 1493 Piero de’ Medici lo inviò in Francia presso Carlo VIII, affiancandolo agli ambasciatori fiorentini Giovanni Tosinghi e Francesco Nori. Scopo della missione era verificare la posizione della Francia nei confronti sia di Firenze sia, più in generale, della questione italiana, soprattutto in riferimento al Regno di Napoli. L’ambasceria di D. C. cadeva in un momento assai delicato della situazione internazionale (e non a caso verranno mandati da Firenze altri due ambasciatori straordinari, Gentile Becchi e Piero Soderini) e veniva a coincidere con i preparativi di una solenne ambasciata francese in Italia, allo scopo soprattutto di saggiare le intenzioni politiche e diplomatiche dei principi italiani, proprio in relazione alla questione napoletana. Il minuzioso carteggio di D. C. illustra i suoi rapporti con la commissione deputata da Carlo VIII a trattare gli affari italiani, commissione che, in un primo momento, si era rivelata sostanzialmente favorevole alla persona e alla politica di Piero de’ Medici, soprattutto grazie all’opera svolta al suo interno dallo storico Philippe de Commynes. In una lettera del 13 marzo 1494 D. C. poté rivelare come oramai si stessero attuando gli ultimi preparativi della spedizione italiana. La missione di D. C. terminò con la partenza dell’esercito francese verso l’Italia, ed egli, alla fine di luglio del 1494, rientrò a Firenze, passando per Milano. Nel 1495 sposò Francesca di Schiatta Ridolfi, matrimonio da cui nacquero sei figli: tre maschi e tre femmine.
Non sappiamo quali conseguenze immediate ebbero su D. C., amico di Piero, la caduta dei Medici e l’instaurazione del nuovo regime repubbicano. Sta di fatto che egli ebbe un nuovo incarico diplomatico nell’estate del 1500, quando fu inviato dapprima a Cascina, vicino Pisa, presso il commissario generale fiorentino Lucantonio degli Albizzi (→). D. C. arrivò al campo delle milizie fiorentine il 28 giugno 1500. Quale fosse il suo ruolo nella lunga lotta contro Pisa, nella quale erano impegnati come commissari anche Giovan Battista Ridolfi e Giovan Battista Bartolini, e M. come loro segretario, non ci è dato sapere da testimonianze documentarie dirette, ma conosciamo in parte l’operato di D. C. dalla corrispondenza di Albizzi con la Signoria fiorentina. In particolare, fu in contatto con il comandante delle truppe svizzere, il guascone Ugo de Beaumont che, anche per la sua precedente condotta (aveva ceduto Livorno a Firenze secondo i patti prestabiliti), era l’unico che godesse la fiducia dei fiorentini.
Sicuramente D. C. possedeva una notevole capacità nel trattare con i francesi. Dovettero essere queste le ragioni che spinsero la Signoria a mandarlo, insieme con M., in Francia a metà del luglio dello stesso 1500 (LCSG, 1° t., pp. 256 e segg.). Deliberata il 18 luglio, la legazione aveva lo scopo dichiarato, aggiungendosi ai due ambasciatori fiorentini Francesco Gualterotti e Lorenzo Lenzi (li raggiunse a Lione il 26 luglio), di far luce sugli avvenimenti pisani, in modo che risultassero, da un lato, la lealtà della condotta fiorentina e, dall’altro, le inimicizie e la disorganizzazione dei comandanti alleati responsabili dell’insuccesso dell’impresa. La prima lettera che D. C. e M. spedirono alla Signoria è del 28 luglio, a firma comune (LCSG, 1° t., p. 259), e così fu per quasi tutte le successive fino a quella del 26 settembre, con la quale M. – comunicando la partenza, avvenuta poco prima, di D. C. alla volta di Parigi per curare una malattia – diviene il corrispondente unico della missione (LCSG, 1° t., p. 285). Questa, soprattutto nel periodo iniziale, non fu certamente facile: il re Luigi XII si rendeva irreperibile, costringendo D. C. e M. a una serie di spostamenti e a svolgere la loro opera tramite i dignitari di corte. Da costoro venivano a conoscere lo stato d’animo indeciso e incerto di Luigi XII, anche per problemi di politica più generale (rapporti con l’imperatore, con Milano, con i turchi).
La corrispondenza con la Signoria è fitta e minuziosa, ma non è possibile distinguervi il ruolo di D. C. da quello di Machiavelli. La malattia, comunque, fece uscire di scena D. C.: in una lettera di Francesco Machiavelli a Niccolò del 5 novembre 1500 se ne chiedono notizie, ma mancano altri documenti. D. C. rientrò a Firenze il 2 marzo 1501; in seguito, il 14 settembre 1502, venne inviato a Milano presso Roger de Gramont, rappresentante del re di Francia, tornando a Firenze il 24 agosto 1503.
Fu questa di Milano una nuova, non meno delicata missione. Ne rimane un ampio carteggio (manca la lettera di istruzione) quasi esclusivamente con i Dieci di Balìa. A tale documentazione è da aggiungere anche un copialettere di Alessandro Nasi, oratore fiorentino presso Luigi XII, in cui si conservano molte lettere inviate a D. C. a Milano, che danno un più ampio quadro della situazione in cui egli si trovò a operare. L’obiettivo era sollecitare la spedizione di armati francesi in aiuto a Firenze in caso di necessità, dal momento che la situazione generale (il duca Valentino si accingeva all’impresa di Bologna, vi era stato da poco il convegno alla Magione, gli Orsini avevano rotto con il papa e con il Valentino, l’attacco iniziale di Vitellozzo Vitelli e Giovan Paolo Baglioni era previsto su Urbino o Roma o Firenze) appariva di una gravità tale che non si riteneva possibile aspettare, nel caso, l’autorizzazione regia dalla Francia. Nella prima lettera scritta da D. C. (il 6 ottobre, due giorni dopo l’arrivo a Milano), egli riferisce in primo luogo le festose accoglienze riservategli da Gramont e l’esito di quel primo incontro.
Nell’ambito di questa missione D. C. andò anche a Parma e, nel luglio 1503, passò da Firenzuola; quindi si fermò ancora a Parma (primi di agosto), ricevendo altre incombenze sulla via del ritorno: dovette sostare a Pontremoli, Aulla, Pietrasanta e Lucca.
Le capacità di D. C., le benemerenze che si era acquistato (lo si deduce oltre che dagli elogi dei Dieci di Balìa anche da una lettera di apprezzamento scritta ai Dieci da Francesco Soderini l’11 novembre 1502), gli procurarono un nuovo incarico a Bologna, stabilito il 9 novembre 1503, presso Giovanni Bentivoglio. Tale missione fu determinata dagli avvenimenti che si erano susseguiti poco prima in Romagna, anche a causa della vacanza della sede apostolica conseguente alla morte, in agosto, di Alessandro VI. A Bologna, D. C. arrivò l’11 novembre e subito cercò Bentivoglio, al quale espose la posizione fiorentina. Assolto il suo incarico, ne dette notizia ai Dieci con lettera del 14, scritta da Firenzuola.
Dopo questa notizia si perdono le tracce di D. C.; non conosciamo neppure l’anno della morte, ma nel 1507 era ancora vivo, perché Filippo da Casavecchia, commissario fiorentino a Fivizzano, scrivendo a M. chiedeva di essere ricordato, fra gli altri, anche a Della Casa. Il suo cenotafio fu posto nella basilica di S. Lorenzo, sotto le volte fuori delle cappelle, e poiché si sa che nel 1513 fu aggiunto un nuovo sepolcro si può pensare che D. C. sia morto prima di quell’anno.
Bibliografia: La documentazione archivistica riguardante D. C. è conservata, quasi interamente, presso l’ASF, mentre presso la BNCF, ms. II, IV, 551 (già Magliabechiano VIII 1408), viene custodito il copialettere di D. C. durante la sua missione a Milano; ancora nell’ASF (Signori. Otto e Dieci, 68) si trova il copialettere di Alessandro Nasi, ambasciatore in Francia, con molte lettere a D. C. relative agli anni 1502-03. Ulteriori precisazioni sui fondi archivistici in R. Zaccaria, Della Casa Francesco, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 36° vol., Roma 1988, ad vocem.
Per gli studi critici si vedano: R. Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli, Roma 1954, Firenze 19787, pp. 53, 58-67, 443-44; G. Sasso, Niccolò Machiavelli. Storia del suo pensiero politico, Napoli 1958, Bologna 19933, pp. 60-64, 79; P.O. Kristeller, Iter italicum, I, London 1963, ad indices; S. Bertelli, Carteggi machiavelliani, «Clio», 1966, 2, p. 215; M. Martelli, Il libro delle epistole di Angelo Poliziano, «Interpres», 1979, 1, p. 250; C. Bec, Cultura e società a Firenze nell’età della Rinascenza, Roma 1981, pp. 252, 254; R. Zaccaria, Censimento delle lettere di Francesco Della Casa, «Archivio storico italiano», 1986, 144, pp. 333-46, poi in Id., Studi sulla trasmissione archivistica. Secoli XV-XVI, Lecce 2002, pp. 209-17.