Francesco Maria Gerardo Vito
Francesco Vito, originario del casertano, dopo tre lauree conseguite all’Università di Napoli e una decina di anni di specializzazione in Italia e all’estero, si stabilì a Milano, dove lavorò fino al giorno della sua morte: qui fu per quasi un quarantennio l’economista più in vista dell’Università cattolica del Sacro cuore. Ricoprì alte cariche all’interno dell’università, del mondo cattolico e di molte istituzioni italiane e internazionali. I suoi contributi teorici spaziano da argomenti metodologici all’analisi delle concentrazioni industriali e dell’arretratezza economica. Si distinse come maestro di diverse generazioni di allievi, alcuni dei quali proseguirono brillantemente la carriera universitaria.
Nato a Pignataro Maggiore (Caserta) il 21 ottobre 1902, da Federico e Rosa de Vita, Francesco Vito conseguì il diploma di maturità presso il liceo di Caserta nel giugno del 1922. Quindi, in un periodo e in un ambiente in cui la cultura della classe dirigente era sostanzialmente quella giuridica, venne anch’egli instradato verso questo tipo di studi, e si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Napoli. Accedere a questa istituzione di altissimo livello significava entrare in una tra le poche realtà accademiche nazionali che, a fronte della complessiva marginalità e perifericità delle università italiane, riusciva ad adeguarsi in molti campi del sapere agli standard dei migliori centri di ricerca europei.
Conseguita la laurea nel 1925, con 110 e lode, decise di proseguire gli studi: la sua intenzione era quella di comporre l’iniziale formazione giuridica con elementi non codificati del sistema sociale concreto, e nel 1926 si laureò in scienze politiche e sociali. A completamento di ciò, gli sembrò indispensabile iscriversi alla facoltà di Filosofia, per risalire a monte nel processo di conoscenza. Si laureò nel 1928, con voto 105/110, con una tesi sulla dottrina della nazionalità in Vincenzo Gioberti, discussa con i professori Antonio Aliotta, Adolfo Omodeo e Francesco Montalto.
Nel 1927, consigliato caldamente dalla dirigenza dell’Azione cattolica napoletana, per le «speciali circostanze» in cui si era trovato nell’affrontare «situazioni delicate» (la sede dell’Associazione giovanile cattolica di Pignataro, di cui era presidente, era stata assalita e devastata da un gruppo di azione fascista), si era iscritto al Partito nazionale fascista.
I docenti che insegnavano le discipline economiche a Napoli, Augusto Graziani, Luigi Amoroso e (fino a poco prima) Francesco Saverio Nitti, erano di indubbia statura internazionale. Graziani, teorico di impronta marshalliana, liberista non dogmatico, con ampie aperture all’intervento dello Stato, ma non in chiave corporativa, insegnava economia politica, contabilità di Stato e scienza delle finanze, ed era pienamente inserito negli ambienti dell’alta cultura napoletana, tra cui il ‘salotto Croce’, culla dell’antifascismo locale. Amoroso si applicava alla dinamicizzazione del sistema di equilibrio generale paretiano, e avrebbe di lì a pochi anni partecipato alla fondazione della nuova disciplina dell’econometria e dell’International econometric society, tra i cui primi fellows fu eletto con altri quattro italiani.
Un’ulteriore impronta venne a Vito dai filosofi della facoltà che egli frequentò: Omodeo, docente di storia del cristianesimo, che alla metà degli anni Venti si avvicinò sensibilmente alle posizioni di Benedetto Croce, diventandone uno dei collaboratori più significativi; Aliotta, filosofo ‘sperimentalista’ – laureato in psicologia sperimentale a Padova –, avverso al neoidealismo e particolarmente attento alle esigenze di rigore metodico, approdato alla filosofia dell’azione.
In questa fase formativa della biografia di Vito, importante fu anche la partecipazione al clima, vivace e propositivo, del cattolicesimo campano, che sosteneva il Partito popolare ed era impegnato per un rinnovamento del Mezzogiorno che sorgesse da quella terra stessa.
In questo periodo, monsignor Pietro Del Prete, il personaggio di maggior spicco del movimento cattolico campano, lo indirizzò verso la specializzazione all’estero, raccomandandolo a padre Agostino Gemelli. Questa opportunità di trasferirsi presso la Cattolica di Milano, per poi procedere verso altri centri di specializzazione, si concretizzò nel 1929, quando Vito ottenne la borsa di studio Francesco Ellero per il perfezionamento in studi economici. Le complesse vicende legate al concorso per questa borsa di studio, che videro Vito competere con il più maturo Giovanni Demaria, laureatosi a Torino, sono documentate nelle carte dell’Archivio storico dell’Università cattolica (ASUC).
Vito, catapultato a Milano dal suo vescovo, entrò alla Cattolica nell’Istituto di scienze economiche diretto dal torinese Angelo Mauri. Questi, specializzatosi in ambiente tedesco, con Gustav von Schmoller, Adolf H.G. Wagner e Wilhelm Endemann, aveva introdotto nell’Istituto (in cui lavoravano in quegli anni Albino Uggè, Serafino Maierotto, Guido Menegazzi, Marcello Boldrini, il torinese Giuseppe Prato e Federico Marconcini – laureato della Bocconi e già funzionario a Ginevra della Società delle nazioni) Enrico Ferri, tra questi economisti il più vicino al fascismo. L’Istituto era un ambiente decisamente aperto alla modernità, e Vito fu instradato verso la specializzazione all’estero, in Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti.
Parallelamente – nei brevi periodi trascorsi in Italia – Vito iniziò la carriera universitaria: alla Cattolica ebbe la nomina ad assistente volontario per il biennio 1931-33 nell’Istituto di scienze economiche, nel dicembre 1932 ottenne la libera docenza in economia politica, nel 1933-34 ricoprì la cattedra di economia industriale; tenne poi i corsi fondamentali di economia e di politica economica. Dal 1940 al 18 marzo 1968 impartì anche i corsi di economia generale e di economia politica e industriale presso il Politecnico di Milano; l’ultima sua lezione riguardò «la combinazione dei fattori produttivi».
Durante i suoi soggiorni di studio all’estero aveva conosciuto e frequentato molti economisti; continuò a coltivare questi legami, come testimoniano le lezioni che tenne in molte università europee (Parigi, Strasburgo, Nancy, Grenoble, Monaco di Baviera, Münster, Friburgo, Ginevra, Leida, Santander) e americane (Québec e Chicago). Negli anni 1949-50 ottenne un finanziamento dalla Rockefeller foundation (RF) per un lungo soggiorno statunitense, riguardo al quale è conservata una fitta corrispondenza tra Vito, Joseph H. Willits e Norman S. Buchanan (rispettivamente director e associate director for the social sciences della RF).
Se gli anni di guerra misero tra parentesi la possibilità di realizzare progetti, contribuirono però a creare alla Cattolica le risorse per l’apertura nel dopoguerra di nuovi fronti: Vito fu membro del comitato permanente dell’Istituto Toniolo, dal 1943 al 1945 fu prorettore e dal 1959 al 1965 rettore; fu anche impegnato direttamente per la fondazione della facoltà di Medicina a Roma; fu direttore dell’Istituto di scienze economiche, direttore (dal 1945) della «Rivista internazionale di scienze sociali», direttore della collana Problemi economici d’oggi, direttore (dal 1963) di «Studi di sociologia». Ricoprì inoltre la carica di presidente dell’Associazione italiana di scienze politiche, di consigliere della Società degli economisti nel primo triennio dalla sua fondazione (1951-54), di presidente del Comitato delle scienze sociali della commissione italiana dell’UNESCO; fu membro dell’Accademia nazionale dei Lincei, dell’Istituto lombardo di scienze e lettere, dell’Accademia pugliese delle scienze e dell’Accademia mediterranea, organizzando in questi ambiti convegni nazionali e internazionali, e curando pubblicazioni scientifiche.
Fu membro di molte associazioni internazionali, tra cui la Federazione internazionale delle università cattoliche, l’International association of university professors di Londra (di cui fu anche presidente), l’Union internationale d’études sociales di Malines, l’Association internationale des universités; fu consigliere dal 1952 al 1967 e vicepresidente dal 1958 al 1964 dell’International political science association.
In ambito ecclesiale fu vicepresidente del comitato permanente delle Settimane sociali dei cattolici d’Italia; fu l’unico laico consultore della Pontificia commissione dei seminari e delle università degli studi per la preparazione del Concilio ecumenico vaticano II, e fu tra gli uditores laici del Concilio stesso; fu membro della Commissione pontificia per lo studio dei problemi della popolazione, della famiglia e della natalità e, per soli tre giorni, della Consulta dei laici per lo Stato della Città del Vaticano.
Fu nel 1959 tra i primi componenti del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), in rappresentanza del Comitato del credito e del risparmio; fu presidente del comitato scientifico del Comitato nazionale della produttività presso la Presidenza del consiglio dei ministri; fu insignito della medaglia d’oro dei Benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte. Dal 1953 fu consigliere del Credito italiano, dal 1954 vicepresidente (sotto la presidenza di Alfredo Pizzini) e poi presidente dal 1966.
Ma la formazione degli allievi e la solidità della Cattolica come istituzione furono sempre per lui obiettivi prioritari. Non pochi tra i suoi studenti si specializzarono all’estero e diventarono a loro volta docenti universitari.
Vito morì il 6 aprile 1968, durante una riunione del consiglio di amministrazione della Cattolica.
Vito utilizzò i fondi della sua prima borsa di studio (la Francesco Ellero) per perfezionarsi in economia a Monaco, sotto la guida di Alfred Weber, studioso della teoria della localizzazione industriale e di sociologia culturale. Il tema attorno a cui iniziò la propria ricerca fu quello dei sindacati industriali, con specifica attenzione per i rapporti tra concentrazioni industriali e progresso tecnico. Certamente le sue basi giuridiche lo aiutarono nell’approccio a queste tematiche, che erano in Germania allora molto dibattute, in vista della promulgazione di una legge sui cartelli industriali. Egli conosceva le teorie elaborate su questi temi dagli autori italiani (Carlo Cassola, Maffeo Pantaleoni, Enrico Barone), le opere di Alfred Marshall e la prima teorizzazione di Piero Sraffa sul monopolio come forma realistica di mercato.
Percepì immediatamente che la letteratura tedesca stava avanzando su questo fronte e gli fu facile accostarsi alle opere di Herbert von Beckerath, Heinrich von Stackelberg e Robert Liefmann – del quale nel 1934 tradusse Kartelle, Konzerne und Trust (1905, 19302), come 7° volume della Nuova collana di economisti stranieri e italiani. Vito era incuriosito, da un lato dal ruolo dello Stato quando il mercato diventa oligopolistico, con un vero e proprio trasformarsi del sistema da liberale a regolato, dall’altro dall’evoluzione del mercato, evoluzione da cui derivava l’esigenza di stabilire intese industriali. I ragionamenti vitiani sui grandi mutamenti nel settore industriale e sull’evoluzione del sistema concorrenziale risentivano anche delle preoccupazioni espresse da Joseph A. Schumpeter – autore, negli anni in cui insegnava a Bonn (1923-32), dei primi lavori sulla teoria dello sviluppo economico – e sottolineavano l’importanza di considerare l’efficacia, in fase di depressione, delle restrizioni alla concorrenza tramite accordi; ciò permetteva di evitare la caduta dei prezzi e della produzione, e la conseguente uscita dal mercato di molte imprese.
Vito prolungò il suo soggiorno in Germania grazie a un finanziamento ottenuto dalla Alexander von Humboldt-Stiftung, e si trasferì a Berlino, dove iniziò un lungo rapporto di lavoro con Edgar Salin, cementato anche dal comune interesse per la storia del pensiero economico.
Nel 1932, grazie a una nuova borsa di studio della RF, si recò presso la London school of economics (LSE), dove affinò il proprio progetto di ricerca su trust, cartelli e accordi industriali, sotto la supervisione di Friedrich A. von Hayek e a contatto con lo storico internazionalista Charles K. Webster, l’antropologo Bronisław Malinowski e lo storico economico Richard H. Tawney. Rimase a Londra fino alla fine di luglio del 1932, quando – a suo dire – il soggiorno iniziava a diventare veramente proficuo.
Nel frattempo aveva pubblicato le sue prime ricerche su cartelli e intese industriali e commerciali, collegando questo fenomeno al tema dell’innovazione. I mutamenti sopravvenuti in campo industriale non impedivano, infatti, alle imprese di innovare: anzi, i cartelli e le intese permettevano di abbassare il rischio degli investimenti in innovazioni, agevolando il passaggio delle informazioni e la collaborazione tra esperti che in piccole imprese non troverebbero posto; consentivano inoltre alle piccole imprese di aderire ai cartelli per non tracollare dopo una fase di ristagno. L’aspetto più interessante dell’analisi di Vito è la netta distinzione tra cartelli e fusioni. Molti altri interrogativi in merito si erano aperti nella sua mente. Egli, fin dal 1930, aveva notato che non vi era una differenza sostanziale tra l’azione delle trade associations statunitensi e quella dei cartelli europei, dato che in ogni caso essa era guidata da interessi economici, cioè prevalentemente dal desiderio di adeguarsi alle variazioni della domanda per evitarne gli effetti disastrosi in termini di calo della produzione.
Un ulteriore campo di indagine aveva attratto l’attenzione di Vito nel periodo londinese, perché era consonante con le problematiche dibattute in Italia sul rapporto tra scienza e filosofia. Per Vito, come per Marshall, la scienza economica assume significato solo in base a tre postulati: in quanto è scienza umana, in quanto è scienza sociale e in quanto è guida all’azione. Il contatto con Lionel Robbins alla LSE lo riportò a questo tema dei fondamenti metodologici della scienza economica e a rifiutare che la scienza economica fosse assimilabile alle scienze naturali, che si basasse sulla concezione individualistica della società e che fosse astratta rispetto ai fini che la società si dava. La sua posizione prevedeva la non indifferenza degli economisti nei confronti della realtà. Se dagli schemi teorici si volevano dedurre delle indicazioni utili per raggiungere fini di politica economica, strumentali all’elevamento della persona, non si poteva non tener conto in sede teorica delle trasformazioni nei modi di vita e nelle tendenze culturali, cioè delle società, che sono formate da idee e da azioni di persone portatrici di valori e di imprese concrete. Questo lo condusse a considerare positivamente il lavoro interdisciplinare e anche a tenersi a stretto contatto con l’elaborazione filosofica dei filosofi personalisti, in particolare con il personalismo comunitario di Emmanuel Mounier.
Ma era dagli Stati Uniti che la sua attenzione veniva maggiormente attratta: lì, con l’inaugurazione delle politiche del New deal, venivano concesse deroghe alle collusioni tra imprese, fino all’istituzione di una vera e propria agenzia, la National industrial recovery administration (NIRA), per favorire la collaborazione tra organismi privati e pubblici. Su questi temi era indirizzata l’attenzione di Vito quando il 26 gennaio 1933 salpò da Genova sulla nave Conte di Savoia; sbarcò a New York il 2 febbraio. Cosa significasse per un italiano salpare per gli Stati Uniti lo sappiamo bene: moltissimi italiani in cerca di lavoro, qualsiasi lavoro, avevano viaggiato oltreoceano a partire dalla seconda metà del 19° sec., attratti dal sogno di ‘fiumi di latte e miele’, anche negli anni in cui la crisi svelava le contraddizioni del capitalismo. Tra i 3845 aspiranti lavoratori e i 36 rifugiati politici italiani sbarcati nel 1933 a New York, Vito fu l’unico privilegiato, dato che si preparava a frequentare le migliori università statunitensi per specializzarsi in economia.
Si fermò sei mesi al Department of economics della Columbia University di New York, dove lavorò a contatto con Wesley C. Mitchell, la cui Introduction al 1° volume di Business cycles (The problem and its setting, 1927) era stata già tradotta in italiano da Paolo Baffi nel 1932 (con il titolo Fenomeni e fattori dei cicli economici, in Cicli economici, a cura di G. Mortara, 6° vol., pp. 5-58). Quest’esperienza sviluppò tra i due un rapporto di stima reciproca: Vito presentò una relazione sull’economia marshalliana nell’ambito del Seminar in economic theory organizzato da Mitchell con James W. Angell e John M. Clark. Alla Columbia frequentò inoltre i corsi di Henry P. Willis su moneta, banca e credito, e fu ospite della Casa italiana, diretta in quegli anni da Giuseppe Prezzolini.
Si recò poi presso l’Università di Yale per conoscere Irving Fisher, e presso quella di Princeton per presentarsi a Edwin W. Kemmerer e a Frank A. Fetter. Il frutto immediato di queste esperienze fu la traduzione del saggio di Fisher The debt-deflation theory of great depressions («Econometrica», 1933, 1, pp. 337-57), pubblicata nella «Rivista internazionale di scienze sociali» (1933, 6, pp. 735-56; ristampata nel 1935 nel vol. 8°, Mercato monetario, della Nuova collana degli economisti, pp. 795-813).
L’ambiente scientifico statunitense affascinò sicuramente Vito, perché la scienza economica veniva considerata un campo di studi che elabora strumenti applicabili, una scienza da cui far derivare pragmaticamente regole di politica economica. Qui Vito sperimentò in modo diretto quello che era echeggiato a Napoli negli anni del dibattito sul pragmatismo. E se la Cattolica voleva essere il centro di formazione di una nuova classe dirigente, allora questo aspetto della cultura statunitense non poteva non costituire di per sé un’attrattiva.
Dal giugno al dicembre del 1933 Vito si spostò alla Harvard University per incontrare Frank W. Taussig e Sumner H. Slichter, e poi all’Università di Chicago, dove fu a contatto principalmente con Henry Schultz, Frank Knight, Charles O. Hardy, Lloyd W. Mints e Jacob Viner. Assistette al primo congresso della Econometric society (28-30 giugno 1933), partecipando alla sessione dedicata a Business cycle theory, tema del suo primo libro.
Concluse il suo soggiorno con visite a industrie e istituti finanziari e, infine, con tre settimane a New York, dove ebbe contatti di nuovo con Clark (la cui opera Studies in the economics of overhead costs, 1923, era stata tradotta in italiano nel 1932 in Dinamica economica, a cura di G. Demaria) e con Frederick C. Mills.
Infine si imbarcò per l’Italia; arrivato a Napoli, salì «a Milano in tutta fretta»: la sua mente dovette essere piena di riflessioni importanti su quello che aveva visto, letto e sentito negli Stati Uniti in quei mesi. A Milano gli venne affidato un corso di istituzioni di economia politica per l’anno accademico 1934-35; nel 1934 pubblicò il saggio I nuovi indirizzi di politica economica negli Stati Uniti («Rivista internazionale di scienze sociali», 5, pp. 370-91) e su questo argomento tenne una conferenza a Firenze nell’aprile dell’anno seguente.
Sempre più ansioso di tornare all’estero, nel 1936 ricevette dalla RF un ulteriore finanziamento di quattro mesi per svolgere A study of business, cycle theory in connection with the theory of saving and capital; egli decise di trascorrere questi mesi a Ginevra e a Vienna. Prima di partire, ottenuto l’ordinariato, tenne la prolusione, in cui pronunciò una frase che riflette il carattere della sua attività:
Quando io penso a tutto il bene che dalla scienza economica può venire alla umanità sofferente nell’indigenza e anelante ad una più alta giustizia sociale, io ringrazio Iddio di avermi fatto diventare economista.
L’esperienza di questo quinto periodo di studi all’estero lo portò a completare i saggi Risparmio forzato, cicli economici ed economia regolata («Giornale degli economisti e Rivista di statistica», dicembre 1936, pp. 861-73) e Risparmio forzato e cicli economici (in Cicli economici: contributi dell’Istituto di studi economici, serie seconda, 1937, pp. 13-115).
Esiste, secondo Vito, una fattispecie di risparmio forzato che, pur non essendo monetario, è in grado di causare il ciclo economico: esso è generato dalle imprese e nelle stesse viene investito; è indipendente dall’azione delle banche e dalle variazioni del valore della moneta: si sottrae al mercato dei capitali, e in questo senso fa mancare le condizioni perché l’offerta di risparmio si incontri sul mercato con la domanda di capitali. Questo avviene in modo rilevante nel sistema contemporaneo, compresi gli Stati Uniti, dove raggiunge la percentuale del 40% del risparmio delle imprese. Questa tendenza può essere anche accentuata dall’impoverimento delle classi sociali medie e dall’ingigantirsi delle imprese industriali. A quest’ultimo fenomeno si aggiunge quello dell’accentramento della direzione e del controllo delle imprese nelle mani degli stessi pochi individui, che così prendono decisioni su capitali maggiori di quelli che possiedono.
Sicuramente queste analisi di Vito risentono della sua prossimità con Mitchell, Oskar Anderson e Wilhelm Röpke, e anche della conoscenza delle distinzioni operate da John M. Keynes tra risparmio offerto dagli individui e quello accumulato e investito dalle imprese, e tra i diversi motivi alla base delle decisioni imprenditoriali. Vito non tralasciò di considerare che in alcuni casi l’autofinanziamento, come per Alvin H. Hansen, può essere indotto dalla diminuita opportunità di nuovi investimenti, ma era convinto che questo risparmio forzato, causato dall’autofinanziamento delle imprese, rompesse l’equilibrio fra risparmio e investimento e di conseguenza causasse le fluttuazioni cicliche.
Tali risultati furono giudicati di tale valore che nel febbraio 1938 a Vito fu accordato un sesto finanziamento per studiare The recent developments of business cycle theories of Scandinavian economists. Eccolo quindi a Stoccolma, Oslo e Copenaghen, dove ebbe contatti con Bertil Ohlin, Karl Gunnar Myrdal ed Erik Lundberg; presentò una relazione alla riunione della Swedish economic association ed ebbe incontri anche con Frederik Zeuthen, Carl Iversen, Ragnar A.K. Frisch e Wilhelm Keilhau.
Il risultato complessivo di questo decennio di studi sfociò in una riunione i cui atti uscirono nel volume collettaneo Gli aggruppamenti di imprese nell’economia corporativa (1939), che si apre con un saggio di Vito sulla concorrenza imperfetta e il monopolio collettivo (Mercato imperfetto ed economia corporativa).
Infine, l’interesse per gli argomenti maturati in questi soggiorni spinse Vito a pubblicare nel 1943 la traduzione di Das politische Element in der nationalökonomischen Doktrinbildung (1932) di Myrdal e nel 1946 quella di Die Grundlagen der Nationalökonomie (1940) di Walter Eucken.
L’elenco delle opere di Vito (stilato sulla base di C. Beretta, Bibliografia di Francesco Vito, «Rivista internazionale di scienze sociali», 1993, 4, pp. 811-43) è in D. Parisi, C. Rotondi, Francesco Vito. Attualità di un economista politico, Milano 2003, pp. XXV-LXVI; non vi sono comprese le numerose edizioni dei manuali di economia.
Il materiale contenuto nel Fondo carte personali Francesco Vito (1902-1968) e nel Fondo archivio-professor Vito è conservato nell’Archivio storico dell’Università cattolica del Sacro cuore di Milano (ASUC). Molte informazioni contenute nel presente saggio sono tratte da quel materiale e da materiali conservati negli archivi delle università dove Vito studiò.
G. Gualerni, Mercati imperfetti: il contributo di Francesco Vito al dibattito degli anni Trenta, Milano 1988.
F. Duchini, Aspetti e problemi della cultura economica italiana fra le due guerre, in Benessere, equilibrio e sviluppo. Studi in onore di Siro Lombardini, a cura di T. Cozzi, G. Marseguerra, 2° vol., Milano 1994, pp. 185-240.
F. Duchini, Ethics and economics in Francesco Vito, in Ethics and economics. Catholic thinkers in the 20th century, ed. G. Gaburro, Heidelberg 1997, pp. 15-24.
S. Riccio, Il pensiero economico e sociale di Francesco Vito, Napoli 1997.
A. Caloia, Francesco Vito. L’economia politica di un cristiano economista, Milano 1998.
Napoli e la Campania nel Novecento. Diario di un secolo, sotto la direzione di A. Croce, F. Tessitore, D. Conte, 3° vol., Napoli 2002.
G. Gualerni, Divenire umani: l’evolversi del pensiero di Vito negli anni 1929-1944, in Francesco Vito: attualità di un economista politico, a cura di D. Parisi, C. Rotondi, Milano 2003, pp. 187-200.
A. Quadrio Curzio, C. Rotondi, Sulle ricerche di economia politica in Cattolica: proiezioni specialistiche ed internazionali, in La formazione degli economisti in Italia, a cura di G. Garofano, A. Graziani, Bologna 2004.
D. Parisi, Revealing the connection between the gospel and history: the definition of ‘economics at the service of humankind’ in the analysis of Francesco Vito, in Keeping faith, losing religion: religious belief and political economy, ed. B. Bateman, H.S. Banzhaf, Durham (N.C.)-London 2008, pp. 88-113.
D. Parisi, Francesco Vito at the Catholic University from 1929 to 1968. Forty years in the biography of an economist, «Rivista internazionale di scienze sociali», 2009, 2, pp. 177-98.
D. Parisi, Public and private stances in economic policies. General historical notes on social services and the specific case of Italy in the first half of the XX century, Quaderni dell’Istituto di teoria economica e metodi quantitativi, nr. 56, Milano 2009.
S. Nerozzi, D. Parisi, Introduction, «Rivista internazionale di scienze sociali», 2012, 2, in corso di pubblicazione.