MELZI D'ERIL, Francesco
Uomo politico italiano, nato a Milano il 6 ottobre 1753 dal conte Gasparo Melzi e dalla contessa castigliana Teresa d'Eril, morto in una villa presso Bellagio il 17 gennaio 1816. Allievo dei gesuiti a Modena, compì gli studî in Milano alla Palatina e a Brera. A 21 anno fu dei 60 decurioni che componevano la municipalità milanese, tutti patrizî. Insieme col Parini, i Verri, il Beccaria, il Pindemonte, Alfonso Longo, fu uno dei più assidui frequentatori del salotto della marchesa Paola Castiglioni. quando questa lasciò l'Italia, il M. le fu compagno in Francia e in Inghilterra (1776), dove conobbe i cenacoli del filosofismo europeo, l'Alfieri, il Galiani. Spettatore, non lodatore, delle riforme giuseppine, giudicò inefficaci quelle che non avevano saldo fondamento nelle condizioni del tempo. Dal 1783 al 1787 fu in Spagna e poi di nuovo a Londra. Così si veniva modellando il suo liberalismo moderato. Allo scoppio della rivoluzione francese era in Italia: la seguì con simpatia agl'inizî, la deplorò nei suoi estremismi. A Milano gioì della cacciata degli Austriaci e accettò di essere capo di una deputazione che, dopo la battaglia di Lodi, recava a Bonaparte gli omaggi della città liberata. La demagogia cisalpina, nei suoi liberi sfoghi, incarcerò il M. perché funzionario del cessato governo. Uscito dopo 3 settimane (17 giugno 1796) fu confinato a Cuneo, poi a Nizza, donde Bonaparte lo chiamò nella primavera del 1797 a far parte del comitato di Finanza. Nel congresso di Rastadt, quale rappresentante della Cisalpina, tentò indarno d'impedire all'Italia "una triturazione di stati sotto la speciosa forma di una catena di repubbliche separate". Fu a Parigi per invocare mitezza di politica tributaria e freni al fanatismo giacobino. Deluso, si ritirò ne i suoi possessi di Spagna; ma da Saragozza, imperando a Milano gli Austro-Russi, aiutava i profughi della reazione e i giovani studiosi, privati dei sussidî governativi. E di là, il 16 novembre 1799, scriveva a Bonaparte, tornato dall'Egitto, una lettera rimasta famosa per chiarezza di visione politica e vigore d'italianità. Con Marengo rinasce la Repubblica Cisalpina. Bonaparte invita il M. a Parigi per conferire sull'assetto italiano. I colloquî si svolsero nell'aprile 1801. Il M. avverso al regime repubblicano, persuaso che la Cisalpina, sorretta dalle armi francesi, era un "mostro incompatibile col sistema d'Europa" e perenne motivo di contrasti, sognando in Italia "una bilancia di stati monarchici" avviamento alla fusione unitaria, chiese che dalle Alpi all'Adige si costituisse un solo corpo, equilibratore tra Francia e Austria; ma sotto un principe indipendente, non già con Bonaparte "infeudato al bene di Francia"; e con leggi proprie e di sua libera fattura. Il M. preparò i comizî di Lione, donde uscì una ben diversa realtà politica, e della repubblica italiana fu il vice-presidente (26 gennaio 1802), sebbene gli spettasse la carica maggiore per votazione quasi unanime. Il 18 maggio 1802 si accinse all'opera di riordinamento dello stato. Prime cure: calmare l'agitazione politica combattere il particolarismo dipartimentale, uccidere il germe federalista, promuovere "quell'unità che ogni giorno doveva mettere più fitte radici". Quindi rinnovò la burocrazia mediante funzionarî uscenti da scuole diverse e da tutte le antiche suddivisioni; svegliò spiriti militari; preparò la difesa nazionale, spronò Bonaparte, ma invano, verso una politica annessionista, mirando a Parma e a Piacenza; restaurò le finanze e il credito; aprì strade; favorì la sericoltura e l'edilizia, l'istruzione industriale e classica; cooperò al concordato del 1803.
Con l'avvento del regno cessò ogni potere del M., divenuto cancelliere guardasigilli della corona. Nel 1807 Bonaparte lo nominò duca di Lodi con la dote di lire 200.000.
Fu accusato di soverchia docilità ai voleri del Bonaparte. Difese però sempre con fermezza gl'interessi d'Italia anche di fronte al Murat. La sua debolezza era nella condizione della repubblica priva di una propria possibilità d'iniziativa e di una base internazionale su cui poggia:e un'azione indipendente. Fu scrittore chiaro come il suo ingegno. Il nipote Giovanni ne pubblicò le pagine più notevoli.
Bibl.: G. Melzi, Memorie-Documenti su F. M. d'E., Milano 1865; A. Manzi, Scritti biografici, I, Firenze 1878; A. Pinaud, Les hommes d'État de la république italienne, Parigi 1914; Jehan d'Ivray, La Lombardie au temps de Bonaparte, ivi 1919; A. Solmi, L'idea dell'unità ital., ecc., in La lettura, 1° dicembre 1921; C. Morandi, Idee e formaz. polit. in Lomb. dal 1748 al 1814, Torino 1927.