MERIANO, Francesco
– Nacque a Torino il 21 sett. 1896, figlio unico di Ernesto, impiegato delle ferrovie, e di Carolina Capello, casalinga con studi magistrali.
A soli 7 anni, in seguito al trasferimento del padre a Napoli, lasciò la regione d’origine che rimase, per lui e per la sua famiglia, luogo mitico le cui radici saranno volutamente mantenute integre. Il M., distintosi fin da bambino per ottimi risultati scolastici, manifestò una precocissima vocazione poetica, tanto da pubblicare, già nel 1914 e con il sostegno dei genitori, la prima raccolta di versi Gli epicedi ed altre poesie (Teramo).
Il libro, impreziosito da una copertina di Tommaso Cascella, riscosse ampio interesse, come attestano le numerose recensioni tra cui una significativa segnalazione di A. Palazzeschi nell’articolo Primavera (Lacerba, III [1915], 12, pp. 93-95). Segnati da un gusto liberty, che risente della temperie crepuscolare, gli Epicedi rappresentarono comunque, nel cammino del M., una stagione presto superata – ma mai rinnegata –, in nome della conquista di un nuovo linguaggio idoneo a esprimere il mutamento di una società in crisi.
Fin da adolescente «accorto gestore delle sue fortune letterarie, creando dal nulla una rete di relazioni epistolari di vastità e frequenza sconcertanti» (Appunti per servire alla storia di F. M., p. 9), il M. strinse allora amicizie, non solo letterarie, con animatori di riviste meridionali quali Pickwick di Catania, Humanitas di Bari e La Diana di Napoli. A quegli anni risale anche una piccola antologia di traduzioni da poeti del Belgio, Anime fiamminghe (Bari 1915), che testimonia da un lato una raffinata maturazione stilistica e dall’altro una passione, rimasta poi costante, per modelli culturali d’Oltralpe a seguito dell’insofferenza dei limiti provinciali della società italiana del tempo.
E dai modelli francesi, in particolare da Guillaume Apollinaire – con cui presto entrò in corrispondenza epistolare –, il M. trasse anche il suo personale modo di vivere l’avanguardia, nel rifiuto di ogni dogmatismo totalizzante. Nel 1916 dette alle stampe a Milano (Edizioni futuriste di Poesia) la raccolta Equatore notturno. Parole in libertà, con cui sanciva l’adesione ufficiale al movimento di F.T. Marinetti: in questa raccolta egli affermava che, senza mai rinunciare alla «facoltà di capire e di amare le grandi opere del passato», era insieme convinto della necessità di una «ricerca d’energia, di attività, di fattività, di ottimismo, di volontà» (ibid., rispett. pp. [4], [3]).
Giunto, tra il 1916 e il 1917, con la famiglia a Bologna, in seguito a un nuovo trasferimento del padre, il M., che nel frattempo aveva allargato i propri contatti alla generazione di intellettuali che operavano in area fiorentina, fondò e diresse con l’amico e collega Bino Binazzi la rivista La Brigata, il cui primo numero uscì nel giugno 1916.
Proprio nel secondo fascicolo (luglio 1916) il M. pubblicò il saggio-manifesto Dall’ideogramma al simbolo e più in là (pp. 27-31) in cui, con chiari echi marinettiani, affermava che le parole in libertà devono esprimere «ciò che non è esprimibile con altri mezzi»: «io non propagando le parole in libertà come una specie di esperanto o di volapuk: tutt’altro. Io me ne servo per esprimere un mondo che la grammatica, la sintassi, la logica dei pedoni è inetta a racchiudere: le sigarette Capstan, lo Sleeping-car, la soavità delle nature morte tipografiche, ecc.» (p. 29).
Interventista sin dalla prim’ora, il M. non poté partecipare alla guerra perché, dichiarato una prima volta rivedibile per insufficienza toracica, fu definitivamente riformato nel 1918, in seguito al manifestarsi dei sintomi di una malattia tubercolare. La sofferta esclusione dal conflitto avvenne, tra l’altro, dopo la nomina a sottotenente di fanteria conseguita presso la scuola di applicazione di fanteria di Parma, dove il M. ebbe modo di conoscere E. Montale e S. Solmi. Al 1918 risale anche l’improvvisa scomparsa del padre, morto suicida a Messina dove era stato trasferito dopo la promozione a ispettore delle ferrovie. La disgrazia segnò profondamente il M. e sua madre che continuò, anche attraverso la costante convivenza con il figlio, a perpetuare il ricordo della famiglia d’origine.
In quegli anni nacque nel M. l’interesse per la politica e più in generale per l’azione che lo accompagnò, in contrapposizione a innate tentazioni intimistiche, lungo l’intero arco della sua breve esistenza. In effetti la vicenda dell’avanguardia costituì per lui molto più che una semplice esperienza creativa, portandolo verso una personalissima aspirazione a risolvere la poesia nella vita: «Prima di esser scrittori, i poeti sono esemplari di anime [...]; la loro vita è tutt’una con la loro espressione; essi nascono con questo compito, e la bellezza che essi creano, è come il fiore, più vicina del resto alla finalità del cosmo [...]. La bellezza è la trascendenza d’una passione, che deve esser prima passata attraverso la carne e lo spirito» (F. Meriano, Umane lettere. Arte e vita, in Humanitas, 4-11 ag. 1918, p. 148).
Fin dal 1916 in corrispondenza epistolare con Tristan Tzara, fondatore del movimento dadaista, il M., laureatosi l’8 dic. 1918 a Bologna con una tesi filologica successivamente pubblicata come premessa all’edizione delle Lettere di frate Guittone d’Arezzo (Bologna 1922), ancora studente universitario aveva iniziato a insegnare nella scuola tecnica di Savignano sul Rubicone, dove riordinò anche la biblioteca dell’antica Accademia dei Filopatridi. Dalla parallela e proficua attenzione rivolta ora alla filologia ora all’avanguardia scaturì, fin dai primi anni di attività, una elegante combinazione culturale che al desiderio di evasione dalla provincia italiana univa il gusto per la parodia della stessa avanguardia e per un originale umorismo dell’assurdo. Nel 1919, anno del matrimonio con la compagna di studi Gemma Pieri, figlia del glottologo e poeta Silvio, pubblicò a Firenze il suo ultimo libro propriamente letterario Croci di legno: 1916-1919, raccolta di frammenti in versi e prosa. Nell’estate dello stesso anno, sempre più impegnato in una intensa attività giornalistica, fondò a Savignano il primo fascio di combattimento della Romagna sulla scia dell’originaria passione nazionalistica e dell’esperienza futurista: «Non è senza significato che Marinetti, nel diciannove, sia stato tra i fondatori dei Fasci di combattimento; ed oggi ancora la rivoluzione futurista mi sembra assai più vicina allo spirito del fascismo di quelle forme artefatte di reazione intellettuale, le quali somigliano tipicamente al classicismo austriacante dell’ottocento» (Bilancio del futurismo, in Il Resto del carlino, 20 genn. 1927, p. 1).
Nel 1921 si trasferì a Cesena. Già da quell’anno collaborò assiduamente al Popolo d’Italia. Nel luglio 1922, insieme con due amici fascisti, Luigi Costa e Giuseppe Ricci, fu ferito durante un conflitto a fuoco con avversari politici. L’episodio probabilmente contribuì a favorire la sua elezione a sindaco di Cesena nel luglio 1923, quando già dirigeva con Dino Grandi la casa editrice Imperio. Il 24 maggio 1924 fu eletto deputato nella Lista nazionale. In quegli anni, che lo videro anche vicedirettore del Resto del carlino (1923-25), vennero a delinearsi interessi che poi caratterizzarono l’impegno parlamentare del M., incentrati sulla politica coloniale e la riforma scolastica.
A quest’ultimo tema, fedele a una convinzione di tradizione positivistica in dissenso con l’ispirazione idealistica della riforma Gentile, il M. dedicò vari contributi, fra cui il discorso pronunciato alla Camera nella seconda tornata del 17 dic. 1924, La cultura italiana e la riforma scolastica (Roma 1924). Parimenti numerosi furono gli interventi sulla questione coloniale (in particolare La riconquista della Tripolitania, Milano 1923; La questione di Giarabub, Bologna 1925), affrontata, secondo il modello francese, nello spirito di una civile assimilazione della cultura e delle tradizioni locali. In questo periodo scrisse la biografia, apprezzata da G. D’Annunzio, L’aviatore Locatelli (ibid. 1926), dove nella figura di A. Locatelli, «poeta perché uomo d’azione», il M. identificò una poetica del volo quale sfida decisiva rivolta dalla modernità alla poesia.
Intrapresa, alla fine del 1927, la carriera diplomatico-consolare, nel gennaio 1928 ebbe un figlio, Carlo. Console generale a Odessa, da dove il M. continuò a inviare corrispondenze al Resto del carlino, dopo una breve parentesi a Lussemburgo, tra il 1931 e il 1932 fu console a Rabat, dove fondò il quindicinale L’Ala italiana, rivolto alla comunità locale italiana. Rientrato in Italia a metà del 1932 sempre più provato dalla malattia, nell’agosto fu ricoverato nel sanatorio dell’Abetina di Sondalo in Valtellina dove, tuttavia, non volle trattenersi per più di due mesi. Inviato nuovamente all’estero, nel 1933 il M. si recò a Spalato per affrontare, peraltro senza successo, un difficile contenzioso territoriale in nome della promozione della cultura italiana in Dalmazia.
Nel 1934 ebbe l’incarico di ministro plenipotenziario presso la sede, da tempo ambita, di Kābul, che raggiunse con i familiari per via di terra attraverso le Repubbliche sovietiche dell’Asia centrale. Fu un viaggio avventuroso, conclusosi alla fine di aprile con un volo, l’ultimo di tante esperienze aviatorie, a 6000 m di quota sopra l’Hindū Kush, a bordo di un aereo messo a disposizione dalle autorità sovietiche.
Sopraffatto dalla malattia, il M. morì a Kābul il 21 maggio 1934. È oggi sepolto nel cimitero di Settignano (Firenze).
Per un elenco completo delle opere si rimanda alla Bibliografia degli scritti di F. M., a cura di G. Manghetti, in F. Meriano, Arte e vita, con tre carteggi di U. Saba, E. Montale, G. D’Annunzio, a cura di G. Manghetti - C.E. Meriano- V. Scheiwiller, Milano 1982 (nuova ed., Roma 2005), pp. 169-180.
Fonti e Bibl.: L’archivio del M. è conservato a Fiesole, Fondazione Primo Conti (inventario a cura di G. Manghetti, in Futurismo e avanguardie. Documenti conservati dalla Fondazione Primo Conti di Fiesole. Inventario, a cura di P. Bagnoli - M.R. Gerini - G. Manghetti, Milano 1992, pp. 107-290). La biblioteca personale si trova presso la famiglia, mentre l’emeroteca è stata donata alla Fondazione Spadolini-Nuova Antologia di Firenze. C.E. Meriano, Appunti per servire alla storia di F. M., in F. Meriano, Arte e vita…, cit., pp. 9-17. La bibliografia sul M. fino al 1981, a cura di G. Manghetti, ibid., pp. 180-185. Per i contributi successivi: G. Tellini, La «seria gaiezza» di una rivista postfuturista, in La Brigata (1916-1919), a cura di G. Tellini, Parma 1983, pp. V-XXXVI; A.T. Ossani, «Si cerca una critica»: F. M. e la collaborazione ad «Humanitas» (1913-1918), in Otto/Novecento, XII (1988), 3-4, pp. 25-41; Id., Il «fauno senza voluttà». Note sulla poesia e la poetica di F. M., in Studi per Eliana Cardone, a cura di G. Arbizzone - M. Bruscia, Urbino 1989, pp. 129-154; G. Costa, M. e Prezzolini: un incontro mancato, in Di selva in selva, Studi e testi offerti a Pio Fontana, a cura di P. Di Stefano - G. Fontana, Bellinzona 1993, pp. 69-76; G. Manghetti, So la tua magia: è la poesia. Diego Valeri: prime esperienze poetiche 1908-1919, con lettere inedite a F. M. e una scelta di testi rari, Milano 1994, pp. 49-107; Guida agli archivi delle personalità della cultura in Toscana tra ’800 e ’900. L’area fiorentina, a cura di E. Capannelli - E. Insabato, Firenze 1996, pp. 390 s.; A. Castronuovo, F. M.: uno scrittore di avanguardia nella Romagna del primo Novecento, in Studi romagnoli, LI (2000), pp. 583-600; Il dizionario del futurismo, a cura di E. Godoli, II, Firenze 2001, p. 733; A. Castronuovo, Anacleto Margotti e F. M. nella traccia di un epistolario, in Studi romagnoli, LIII (2002), pp. 685-692; Id., Repertorio dei futuristi di Romagna, Imola 2005, pp. 73-76; L’Archivio della Fondazione Primo Conti. Guida, premessa di G. Manghetti, Firenze 2007, pp. 35 s.
G. Manghetti