STABILI, Francesco (Cecco d’Ascoli)
– Nacque nella seconda metà del Duecento, forse ad Ancarano, da Simone degli Stabili.
Scarsissime le notizie biografiche sugli anni ascolani, affidate perlopiù a cronache tarde e presto confluite nella leggenda. La nascita nel 1269 ad Ancarano si ricava dagli appunti di Angelo Colocci (Castelli, 1892, pp. 255-259; Atti del I Convegno..., 1976, pp. 42-64), secondo il quale Cecco fu partorito sotto auspici miracolosi, mentre sua madre prendeva parte ai riti in onore della dea Ancaria della seconda metà di ottobre. Si deve invece far risalire a un’altra tradizione quanto riportato da Giovanni Nicolò Pasquali Alidosi e da Paolo Antonio Appiani sulla morte di Stabili all’età di settant’anni, cosa che indurrebbe ad arretrarne la nascita al 1257. Su questa scia si è mosso Giuseppe Bartocci che, identificando forzatamente Cecco con un «Franciscus Simeonis», peraltro di «Castrum Ceresie», menzionato in un documento del 1297, ha proposto di collocare l’anno di nascita nel triennio 1254-1257 (Atti del I Convegno..., 1976, p. 135). Poiché, secondo la rubrica del De principiis astrologiae, Cecco sarebbe giunto a Bologna come lettore «dum iuvenis erat», ovvero al massimo entro i quarantacinque anni di età (Vat. Lat. 2366, c. 133r), Francesco Filippini ha infine individuato la possibilità che egli fosse nato tra il 1280 e il 1285, ipotesi che sembra a oggi la più plausibile e che sarebbe conciliabile con le scarne testimonianze sul soggiorno bolognese (Filippini, 1930, pp. 9 s.).
L’origine ascolana è attestata dagli stessi scritti di Cecco, in cui egli si riferì a sé stesso sempre con gli appellativi «Franciscus de Esculo» o «Cicchus de Esculo» (De excentricis et epicyclis, in Federici Vescovini, 1988, p. 383; Sphera, in Thorndike, 1949, p. 344) e sovente fece menzione della sua città natale (De principiis astrologiae, in Boffito, 1904-1905, p. 123; L’Acerba, a cura di M. Albertazzi, 2002, II, xvi, 1735-1758; IV, iv, 3721-3723), ma deve ritenersi senza riscontro la leggenda che ne colloca la dimora presso il quartiere di Porta Romana (Castelli, 1892, p. 46; Atti del I Convegno..., 1976, pp. 145-148).
Cecco è indicato come «filius quondam Magistri Simonis Stabilis de Esculo» nel tardo compendio latino delle due condanne inquisitoriali (Ricc. 673, c. 111rv) e tale denominazione è riproposta anche nei numerosi volgarizzamenti seriori, diventando abituale a partire da Appiani. Quest’ultimo definì Cecco «honestissimi civis filius» (Bernini, 1707, p. 450), malgrado sia ignota la professione di Simone degli Stabili, talvolta considerato medico o addirittura notaio sulla base dell’appellativo magister (Castelli, 1892, pp. 26-28; Beccaria, 1908, p. 56). Devono ritenersi prive di riscontro sia le notizie su eventuali fratelli e discendenti, che giungono fino al XVII secolo (Beccaria, 1908, p. 40), sia quelle riguardanti l’amore per una monaca di nome Lucia, riportate in un’epistola latina certamente apocrifa e da attribuire piuttosto ai detrattori bolognesi di Cecco (Novati, 1883; Cecco d’Ascoli..., 2007, pp. 251 s.).
Le uniche fonti relative al periodo pre-bolognese consistono in due pergamene: nella prima, rinvenuta da Martina Cameli nell’Archivio storico del Comune di Ascoli, si attesta che un «dompnus Franciscus Stabilis» il 16 settembre 1296 fu investito dal vescovo Bongiovanno di Ascoli del chiericato e prebendato delle chiese di S. Maria e S. Massimo di Lanciacuta a Castorano, con tutti i diritti connessi (Archivio segreto anzianale, cass. V, f. IV, n. 5; Cecco d’Ascoli..., 2007, pp. 203-216). Il secondo documento proviene dall’Archivio del Comune di Amandola e presenta la querela sporta in data 6 agosto 1297 da «dompnus Beneventus», priore del monastero di S. Leonardo al Volubrio, nei confronti di un «Franciscus Stabilis, laycus et non oblatus nec conversus» del suddetto monastero, per delle offese contro un tale Brocardino; il priore dichiara inoltre che qualsiasi documento che dimostri la sua oblazione deve essere considerato falso (Paoletti, 1905b). L’identificazione dei personaggi menzionati con Cecco risulta problematica in quanto la prima pergamena rappresenta l’unica attestazione dello stato di chierico, in contrasto con la seconda, dove inoltre manca la necessaria indicazione de Esculo (Beccaria, 1908, p. 39; Filippini, 1930, pp. 10 s.).
Anche le notizie sulla formazione culturale di Cecco sono irrimediabilmente affidate alla leggenda. Secondo Colocci, si allontanò da Ascoli all’età di quindici anni (ovvero intorno al 1284, seguendo la sua cronologia) e, prima di giungere a Bologna, si recò presso la scuola medica di Salerno e successivamente a Parigi (Castelli, 1892, p. 257), città pressoché mai menzionate nelle sue opere. Incerta anche l’eventuale formazione in medicina, disciplina in cui egli rivelò notevoli competenze, ma da cui sembra distaccarsi esplicitamente in L’Acerba, cit., III, lvi, 3314-3316; devono dunque ritenersi arbitrarie sia la tesi di Appiani, che lo volle medico di corte di Giovanni XXII ad Avignone (Bernini, 1707, p. 451; Tiraboschi, 1789, p. 206; Bariola, 1879, pp. 13 s.), sia l’ipotesi di Filippini, che lo iscrisse tra gli allievi di Liuzzo de’ Liuzzi in quanto Cecco fu collega del nipote Mondino (Filippini, 1930, pp. 21 s.; Giansante, 1997, pp. 12 s.; La filosofia in Italia..., 2016, pp. 109-113).
Stabili fu a Bologna almeno a partire dal 1318: «ser Çechus de Marcha», titolo forse distintivo o indicante una maggiore anzianità negli studi, poi menzionato come «Cechus de Ascullo», compare infatti, in un documento datato 17 luglio, in qualità di testimone in un processo per rissa che coinvolse gli studenti della città (Filippini, 1930, pp. 29-31; Cecco d’Ascoli..., 2007, p. 242). Dalle indicazioni astronomiche del De excentricis et epicyclis si ricava inoltre che Cecco divenne lettore almeno dal 1321, un insegnamento che potrebbe aver avuto inizio già nella natia Ascoli, stando ad alcuni accenni del commento alla Sphera alle questioni astrologiche sottopostegli dai concittadini (Thorndike, 1946, p. 294; Sphera, in Thorndike, 1949, pp. 358 s.). Infine, da un documento del 18 marzo 1324 si ricava che viveva nella cappella di San Barbaziano, mentre in una petizione del 23 gennaio 1324 in cui Cecco e il collega Angelo d’Arezzo chiesero il pagamento degli arretrati allo studium, egli risulta stipendiato «ad legendum dictis artibus et maxime in arte astrologie» con un salario di 60 lire, poi divenuto di 100 lire in un documento del 18 maggio (Colini Baldeschi, 1921, pp. 69-72; Filippini, 1930, pp. 33-35; Cecco d’Ascoli..., 2007, pp. 243 s.).
La prima opera composta durante gli anni bolognesi è il commento alla Sphera Mundi di Giovanni Sacrobosco, databile intorno al 1322, tramandatoci quasi sicuramente in forma emendata in seguito alla condanna inquisitoriale (Federici Vescovini, 2008, pp. 282-288). Cecco vi menzionò i titoli di alcune opere composte precedentemente: un commento non pervenutoci agli Aforismi o ai Pronostici di Ippocrate (Sphera, in Thorndike, 1949, p. 345; Thorndike, 1946, p. 298), probabilmente da identificarsi con l’opera conosciuta con il titolo De morbis cognoscendis ex aspectu astrorum (Andreantonelli, 1673, p. 143; Boffito, 1903, p. 45); un commento alla Logica di Aristotele che, stando alla testimonianza di Pasquali Alidosi, fu visionata da Pico della Mirandola nella biblioteca del duca di Urbino (Pasquali Alidosi, 1623, p. 17; Beccaria, 1908, p. 50); alcune profezie, oggi ritenute apocrife (Allen Paton, 1913, pp. 129-139; Sphera, in Thorndike, 1949, p. 386; Atti del I Convegno..., 1976, pp. 31-41) e, infine, un’Epistola seu tractatu de qualitate planetarum (Sphera, in Thorndike, 1949, p. 355) indirizzata al cancelliere della città di Bologna, ovvero il commentatore dantesco Graziolo Bambaglioli (Ferrilli, 2014, pp. 181-188). Nel commento alla Sphera Cecco dichiara inoltre di avere in progetto una glossa al Centiloquio di Tolomeo (in Thorndike, 1949, pp. 371, 381), mai realizzata, e menziona un prossimo scritto «super librum de principiis» (pp. 405 s.), ovvero il commento al De principiis astrologiae di Alcabizio, opera che fu letta e glossata intorno al 1324 (Colini Baldeschi, 1921, pp. 70-72; Filippini, 1930, pp. 33-35). L’ultima opera latina di cui ci resta traccia è il De excentricis et epicyclis, una quaestio astronomica composta a Bologna tra il 1322 e il 1324 (Thorndike, 1946, p. 305; Federici Vescovini, 1988), mentre dubbia rimane l’attribuzione del trattato De quodam modo physionomiae, assegnato a Cecco unicamente perché posto a chiusura del Laur. Plut. 40.52, prezioso testimone dell’Acerba (Boffito, 1903, pp. 65-73; Paoletti, 1905a, pp. 60-68). La produzione latina, strutturata come supporto all’insegnamento universitario, evidenzia una prima elaborazione del determinismo su base astrologica, che sarà oggetto di dibattito specialmente tra Umanesimo e Rinascimento, ma anche il rilievo della figura di Stabili nell’ambiente culturale e accademico del primo Trecento.
Di Cecco ci resta un esiguo numero di sonetti, variamente tramandati dai codici, di cui un paio in corrispondenza con Cino da Pistoia, pure citato in L’Acerba (cit., III, i, 1974-1976) e in De principiis astrologiae (in Boffito, 1904-1905, p. 123). L’opera certamente più celebrata è L’Acerba, un poema volgare in sestine a cui Cecco lavorò a più riprese, rimasta incompiuta al principio del quinto libro e corredata da un commento latino di paternità di Stabili, anch’esso incompiuto (Peri, 1939; Ciociola, 1994).
Forse concepita con un apparato figurativo, L’Acerba rappresenta un’anti-Commedia in cui Cecco oppose alla fictio dantesca nozioni enciclopediche riguardanti questioni di etica, astronomia, astrologia, medicina, meteorologia, fisiognomica, nonché un bestiario moralizzato e un lapidario. Dell’Acerba possediamo una vastissima tradizione manoscritta e a stampa che ne attesta la precoce fortuna, in parte dovuta anche ai palesi attacchi a Dante e alla Commedia (Peri, 1939; Ciociola, 1978a e 1978b; Ferrilli, 2017b). Celebri la contestazione di Donna me prega dell’Acerba (cit., III, i, 1938-1952), i versi che accennano a una disputa con Dante sulla nobiltà durante il suo soggiorno a Ravenna (L’Acerba, cit., II, xii, 1439-1444) e il palese attacco dell’Acerba (cit., IV, xiii) alla materia della Commedia che fecero di Cecco da subito uno degli esponenti di spicco dell’antidantismo, nonché un testimone indiretto della fortuna di Dante e Cavalcanti tra i contemporanei.
Il 16 dicembre 1324 Cecco fu condannato dall’inquisitore domenicano Lamberto da Cingoli a causa delle teorie demonologiche e deterministiche del commento alla Sphera. Egli venne rimosso dal suo ruolo di professore, fu costretto a consegnare tutti i suoi libri di astrologia, a pagare un’indennità in denaro e a espiare la colpa con la preghiera (Beccaria, 1908, pp. 58 s.). Non si hanno fonti sul periodo intercorso tra la condanna bolognese e il soggiorno fiorentino ma, dagli accenni dell’Acerba (cit., II, vi, 1091-1096), non è da escludere che egli abbia intrattenuto rapporti con la famiglia romana dei Colonna (Ciociola, 1995, p. 431; Santagata, 1990, pp. 223-227).
Secondo i registri della Cancelleria angioina Cecco fu stipendiato come phisicus et familiaris di Carlo di Calabria da marzo a maggio del 1327 con una paga mensile di 3 once d’oro (Barone, 1885, pp. 419 s.; P. Rosario, in L’Acerba, 1916, pp. 33 s.); a luglio dello stesso anno venne imprigionato e trattenuto per due mesi nelle carceri del S. Uffizio di Firenze, prima della pubblica esecuzione. Tuttora ignote e avvolte nella leggenda le cause della condanna: dai libri contabili dell’inquisitore francescano Accursio Bonfantini si ricava che questi richiese le copie della sentenza del 1324 e del commento alla Sphera, confiscò gli averi di Cecco a Firenze e, dopo la sua morte, requisì anche i suoi beni ad Ascoli e Macerata, ricavando ben poco dalla loro vendita. Secondo le redazioni volgari delle sentenze, Cecco fu condannato per recidività nel professare le teorie demonologiche della Sphera dopo il divieto bolognese; tale motivazione viene riferita anche da Giovanni Villani nella Nuova Cronica (XI, 41-42), dove si accenna anche ai contrasti tra Cecco e i francescani, nonché alla rivalità con Dino del Garbo, forse da identificarsi con il «Gualfridinus» più volte attaccato nel De principiis astrologiae. Nonostante il pullulare di aneddoti sulle ragioni della condanna, attribuita talvolta a un oroscopo funesto ai danni della futura regina Giovanna (Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, anno 1327, rubrica 345), talvolta alla vendetta delle famiglie Alighieri e Cavalcanti, l’ipotesi più plausibile per la sua esecuzione resta legata ai contenuti della Sphera, che potrebbe aver in qualche modo fomentato la vendetta dei francescani su Cecco, specialmente se si osserva la politica inquisitoriale di Giovanni XXII e Accursio Bonfantini, volta a colpire personaggi illustri con confische e condanne (Parmeggiani, 2013).
La sentenza, pronunciata il 15 settembre del 1327, fu redatta da sei giudici, tra cui figurano Gherardo da Castelfiorentino e Francesco da Barberino. Cecco venne arso sul rogo a Firenze, insieme ai suoi libri, il giorno seguente.
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