TRAINI, Francesco
Pittore e probabilmente miniatore attivo a Pisa nella prima metà del Trecento.
La scarna documentazione biografica del pittore è stata arricchita di recente da nuove testimonianze, tra cui un atto del 1315 che riferisce dell'attività di T. per il duomo pisano per la dipintura di aste per le candele (Caleca, 1996, p. 43). Questo consente di anticipare di alcuni anni il presunto esordio che finora era documentato nel 1321, (Crowe, Cavalcaselle, 1883), peraltro sulla base di documenti di dubbia autenticità. La prima importante opera accertata di T. è relativa al 1322, quando gli Anziani di Pisa gli corrisposero pagamenti per le perdute decorazioni pittoriche realizzate "in sala Antianorum pisani populi" e poi ancora poiché "pinsit nostram Virginem Mariam et salam ubi moratur notarius Antianorum" (Simoneschi, 1895, p. 75). Seppure siano ipotizzabili una notevole fama acquisita e una nutrita attività di T., che nel 1337 accettò di assumere come apprendista Giovanni del Masseo, fratello dell'ignoto fiorentino "Cristofanus pictor di Bondio di Pietrasanta" (Simoneschi, 1898), soltanto nel 1340 è nuovamente documentata un'altra sua opera "per occasione et causa gonfalonis dicte Fraternitatis" (Bacci, 1930, p. 164), ultimata l'anno successivo, per la quale è attestato un ulteriore pagamento, e che è probabilmente da identificare con la tavola conservata in Vaticano (Roma, Mus. Vaticani, Pinacoteca). Sempre nel 1340, mentre risulta abitare presso S. Paolo all'Orto, T. riceve pagamenti per pitture murali realizzate nel chiostro del convento di S. Francesco sopra il sepolcro di Bacciameo da Caprona (Fanucci Lovitch, 1991-1995), andate anche queste perdute. Nel 1344 il pittore venne saldato dall'operaio Giovanni Coco dell'Opera del duomo "per dipintura una taula la quale doveva essere collocata alautare di messere Albiso dele statee" (Bonaini, 1846, p. 123), corrispondente al grande polittico di S. Domenico (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo), unica opera firmata. Un altro recente ritrovamento documentario consente di avallare l'ipotesi, più volte adombrata dalla critica, di una precoce scomparsa di T. in coincidenza della peste del 1348: mentre un atto del 3 marzo di quell'anno riguardante un credito concesso lo testimonia in vita (Fanucci Lovitch, 1991-1995, II), un secondo del 16 luglio dell'anno successivo ne ricorda la vedova Bartola (Fanucci Lovitch, 1991-1995, I).Già Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 226) considerava T. come un artista eccellente, seppure erroneamente riconducendolo alla scuola di Andrea di Cione, ma soltanto alla fine dell'Ottocento tornavano alla ribalta la figura e l'attività del pittore (Crowe, Cavalcaselle, 1883; Supino, 1894), individuato come la personalità emergente della pittura pisana della prima metà del Trecento. In particolare venne assegnato a T. il ruolo di protagonista del cantiere attivo nel Camposanto monumentale con la realizzazione del celebre affresco del Trionfo della morte e di tutti gli altri dipinti stilisticamente correlati. Questa ipotesi venne sostenuta soprattutto da Meiss (1933), il quale, oltre a formulare il primo tentativo critico di sistematizzazione della figura storica del pittore, indicava nuove accessioni al suo catalogo di opere, tra cui il pannello della S. Anna Metterza di Princeton (NJ; Art Mus.). Nell'esame della decorazione del Camposanto lo studioso distingueva anche le parti da assegnare ai collaboratori, respingendo l'ipotesi di Longhi (1928-1929), il quale attribuiva gli affreschi a un maestro padano. La lunga e complessa vicenda critica che ha accompagnato l'analisi della decorazione pittorica del Camposanto ha tuttavia ben presto rivolto a diversi ambiti e ad altre proposte l'identificazione dell'autore delle storie affrescate che, se per il Trionfo della Morte e per il Giudizio hanno raggiunto una convergenza nell'assegnazione a Buonamico Buffalmacco (v.; Bellosi, 1974), mancano ancora oggi di un'analoga convergenza critica per quella parte della decorazione riguardante la Crocifissione, in cui Longhi (1962) individuava un maestro dipendente da T., per il quale anche recentemente (Bellosi, 1986) è stata ribadita l'esistenza di un catalogo di opere. L'altro diverso orientamento, sostenuto soprattutto da Carli (1958), assegnava a T. sia le opere del Maestro della Crocifissione del Camposanto sia la tavola del Trionfo di s. Tommaso d'Aquino della chiesa di S. Caterina a Pisa. Tale posizione, che ha acquisito di recente sempre più numerose adesioni, ha condotto a riconsiderare la formazione del pittore, ancorandola direttamente alla bottega di Lippo Memmi (v.), e a valutarne l'importanza insieme all'altro fondamentale polo della pittura pisana della prima metà del Trecento quale fu Buonamico Buffalmacco.Perdute le opere documentate del 1321, il primo importante segno dell'attività di T. è stato individuato nella grande pala del Trionfo di s. Tommaso d'Aquino conservata nella chiesa pisana di S. Caterina, assegnata al pittore già da Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 226). L'opera è rimasta a lungo legata a un documento del 1363 che, citando la commissione a un Franciscus pictor - riconosciuto come T. - per l'esecuzione di una pala per tale chiesa, consentiva anche di riaffermare la ricostruzione biografica vasariana che legava il pittore pisano ad Andrea di Cione. La concettualmente complessa trama del dipinto e soprattutto i diversi correlati stilistici hanno fatto in seguito supporre tuttavia soltanto una compresenza di T. (Caleca, 1986, p. 665), attivo nella bottega martiniana di Lippo Memmi, indicato come responsabile principale della realizzazione della pala, individuabile nelle figure degli scrittori sacri che coronano la figura centrale del santo, per le quali già Toesca (1951, p. 659) aveva sottolineato "l'enfasi gotica" derivata da Ambrogio Lorenzetti. Questa ipotesi proponeva inoltre una datazione vicina al 1323, in prossimità della canonizzazione del santo, costituendo così anche uno degli esordi del pittore pisano. Altre più recenti tesi sostengono invece l'esclusiva paternità di T. per questo dipinto (Volpe, 1983; Chelazzi Dini, 1988), che Longhi (1962, p. 43) aveva invece definito "tutto senese e barnesco", in ripresa di una proposta di Carli (1958) che aveva formulato per T. l'epiteto di pittore domenicano, in relazione alla commissione di questa pala e agli affreschi del Camposanto.Alla prima fase di attività del pittore Caleca (1986) ha legato anche gli esordi di un maestro strettamente affine a T., autore nel 1326 di un breviario (Firenze, Laur., Stroz. 11) per Eufrasia dei Lanfranchi, badessa del monastero di S. Stefano Oltròzzeri (o extra moenia) a Pisa, le cui decorazioni attestano il grado di influenza che a quella data esercitava l'opera di T. in ambito locale. Sempre agli inizi dell'attività del pittore, Meiss (1933) aveva posto il polittico smembrato, forse proveniente dalla chiesa pisana del Carmine, composto dalla S. Anna Metterza di Princeton, a cui successivamente venivano legati il S. Paolo di Nancy (Mus. des Beaux-Arts) e un S. Gregorio (già Londra, Wildenstein Coll.; Polzer, 1971); ancora da ricondurre agli esordi del pittore sono il S. Michele di Lucca (Mus. Naz. di Villa Guinigi; Bucci, 1962), proveniente dal convento dell'Angelo di Brancoli, e la Madonna con il Bambino di S. Giusto a Cannicci presso Pisa (Meiss, 1960), che presentano riferimenti sia al Maestro di S. Torpè sia alla coeva attività di Pietro Lorenzetti, del quale T. rielaborò la gestualità drammatica delle figure e l'intensità delle espressioni. Secondo le ipotesi di Longhi invece all'attività giovanile del maestro era possibile riferire esclusivamente una Madonna con il Bambino (già Pisa, Coll. Schiff), connessa a un Cristo benedicente (Chapel Hill, NC, The Ackland Art Mus.), definita come opera "in area ancora memmiana" (Longhi, 1962, p. 43), da ricongiungere a una S. Caterina (Chapel Hill, NC, The Ackland Art Mus.; Caleca, 1986), e i quattro santi provenienti dalla Coll. Zucchetti (Pisa, Mus. Naz. di S. Matteo) ricomposti in un polittico insieme a una Madonna con il Bambino proveniente dall'Opera del duomo, la cui pertinenza con le quattro tavole dei santi non è sicura; infine, ancora degli anni venti, data l'affinità con le tavole di Princeton e Lucca, è la Madonna con il Bambino di Madrid (Mus. del Prado; Laclotte, 1964). A questo periodo viene fatto risalire anche il codice dantesco dotato del commento alla Commedia di Guido da Siena (Chantilly, Mus. Condé, 597), la cui decorazione è stata recentemente anticipata al 1327-1328 (Chelazzi Dini, 1988). L'analisi delle storie miniate, in particolare di alcune scene dell'Inferno, conduce a rintracciare stringenti riferimenti con i particolari più drammatici della Crocifissione del Camposanto e consente di costituire un punto fermo per quella revisione critica che ha anticipato di alcuni decenni importanti avvenimenti pittorici toscani, tra i quali anche gli affreschi del Camposanto pisano (Volpe, 1983, p. 286).Una seconda fase dell'attività di T., individuabile all'inizio degli anni trenta, denuncia un graduale distacco dalla cultura martiniana e un sostanziale approfondimento del realismo drammatico dei Lorenzetti sostenuto dalle coeve tendenze della scultura dei giovanneschi e di Tino di Camaino in particolare, con esiti analoghi alla cultura pittorica padana, come di recente ha ribadito Carli (1994). A questo periodo è connessa la grande Crocifissione del Camposanto. L'artefice di tale affresco fu considerato da Longhi (1962) l'unico importante seguace di T., già scomparso alla data ipotizzata, che superava la metà del secolo. A questo autore, ormai quasi unanimemente riconosciuto in T., è stato nel tempo assegnato il catalogo seguente: un polittico smembrato composto da una S. Caterina (Pisa, Mus. Naz. di S. Matteo), da un S. Paolo (Siena, Coll. Chigi Saracini), da una S. Barbara (di ubicazione ignota; Polzer, 1971) e da una S. Agnese (ubicazione ignota; Meiss, 1971); la Madonna con il Bambino della chiesa pisana di S. Nicola (Carli, 1971); un polittichino con la Crocifissione (Firenze, coll. privata; Meiss, 1971), una Crocifissione già a Roma (Coll. Sterbini). Di recente è stata ipotizzata (Caleca, 1996) anche la commissione della Crocifissione del Camposanto, individuabile nell'operaio Giovanni Rossi (m. nel 1334); questi aveva avviato la decorazione di quella parte del monumento in cui il pittore aveva tracciato le cornici anche per le vicende successive relative al Cristo post mortem e al Trionfo della Morte, prima che queste venissero affidate ad altre maestranze. Ulteriore e forse estremo episodio di tale fase, che potrebbe riferirsi agli ultimi anni del quarto decennio del Trecento, è il notevole S. Pietro in trono (Palermo, Coll. Chiaromonte-Bordonaro).Le incertezze nella classificazione delle opere di T. trovano una relativa sicurezza per la bandinella con la Flagellazione (Roma, Mus. Vaticani, Pinacoteca) e una stabile determinazione documentaria per l'unica opera firmata, il polittico di S. Domenico. Per la prima è stato ipotizzato (Caleca, 1986) che possa corrispondere al documento di pagamento relativo al 1340 sottoscritto dalla Confraternita delle Laudi di Pisa. Il secondo costituisce invece l'unico riferimento certo sia per la datazione (1344-1345) sia per l'attribuzione. Celebrata come manifesto della pittura pisana del Trecento (Carli, 1994), l'opera è divisa nella grande pala centrale con l'effigie del santo a figura intera, cuspidata con l'immagine del Redentore benedicente, e nelle otto tavolette con cornice quadriloba, che raffigurano il più ampio ciclo illustrativo sulla Vita di s. Domenico realizzato nel Medioevo, con figure di quattro profeti nelle cimase. A quest'opera è connessa anche la decorazione a mosaico dei due catini posti sulle testate del transetto del duomo di Pisa, con l'Annunciazione e l'Assunzione. Sofferenti di un pesante restauro, i due mosaici sono stati anche assegnati alla bottega di Simone Martini (Bellosi, 1992), ma più verosimilmente vanno ricondotti all'ambito di T. (Il duomo di Pisa, 1995) intorno agli anni quaranta.
Bibl.:
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