Nel sistema di governo francese il presidente ha assunto, a partire dalla presidenza de Gaulle, un ruolo ben più rilevante di quello attribuitogli dalla carta costituzionale. In particolare, quando la maggioranza presidenziale e quella dell’Assemblea nazionale (unica camera verso la quale l’esecutivo è responsabile) coincidono, il presidente assume, di fatto, il ruolo di vera e propria guida del governo e il primo ministro si trasforma nel suo principale collaboratore (anche se nella storia della Quinta Repubblica non sono mancate tensioni tra presidenti e primi ministri).
Il presidente, in altri termini, si ‘impossessa’ dell’esecutivo, dotato dalla Costituzione del 1958 di notevoli poteri in materia d’iniziativa e di dibattito legislativi e ulteriormente rafforzato dall’affermazione della logica maggioritaria. L’adozione per l’Assemblea nazionale di un sistema elettorale maggioritario a doppio turno con soglia di sbarramento (pari oggi al 12,5% degli aventi diritto al voto) e l’elezione presidenziale a suffragio universale a doppio turno con ballottaggio, infatti, hanno condotto alla bipolarizzazione del sistema partitico e, dunque, alla formazione di solide e coese maggioranze parlamentari. Il fatto che la bipolarizzazione abbia preso forma soprattutto attorno ai due candidati alla presidenza presenti al secondo turno dell’elezione presidenziale ha favorito la sovrapposizione tra maggioranze presidenziali e maggioranze parlamentari e l’assunzione, da parte del presidente, del ruolo di leader effettivo anche delle seconde. La leadership di fatto della maggioranza parlamentare ha dunque consentito al presidente di estendere il suo controllo sull’esecutivo responsabile verso quella stessa maggioranza. Durante le fasi di coabitazione, invece, il presidente è stato costretto ad arretrare e il primo ministro si è riappropriato del ruolo di guida del governo riconosciutogli dalla Costituzione.
La centralità del presidente è stata rafforzata dalla riforma della Costituzione introdotta nel 2000 e divenuta operativa per la prima volta nel 2002, quando le elezioni presidenziali e legislative coincisero. Con quella riforma, il mandato presidenziale è stato ridotto a cinque anni (quinquennato), la stessa durata dell’Assemblea nazionale. La coincidenza dei due mandati (ora altamente probabile) ha reso la maggioranza parlamentare (le elezioni presidenziali precedono in ordine di tempo quelle legislative) ancora più dipendente dalla figura del presidente, la cui elezione ha un effetto di trascinamento sulle consultazioni per l’Assemblea nazionale.
Una seconda revisione della Costituzione è stata approvata nel luglio 2008 su iniziativa di Nicolas Sarkozy. Il processo di riforma aveva come obiettivi, da un lato, quello di fornire un riconoscimento costituzionale, almeno parziale, alle effettive relazioni tra presidente, primo ministro e membri del governo e legislativo; dall’altro, quello di rivalutare il ruolo di quest’ultimo (pur sempre mantenendosi in una prospettiva maggioritaria, ove l’esecutivo mantiene la preminenza sul legislativo). Il primo obiettivo, in realtà, non è stato raggiunto. Non vi è stata alcuna razionalizzazione esplicita dei rapporti tra il presidente e le altre istituzioni (fatta eccezione per la possibilità per il presidente di presentare ogni anno il proprio programma alle camere riunite, in un discorso al quale segue un dibattito senza voto e in assenza del presidente), e i pochi limiti posti all’esercizio del potere presidenziale hanno riguardato non tanto il ruolo di leader della maggioranza e reale guida del governo, quanto quello di capo dello stato (va segnalata la limitazione dei mandati presidenziali a due). Risultati più significativi, invece, sono stati raggiunti in relazione al ruolo e all’operatività del parlamento. Questo è stato dotato di strumenti che gli dovrebbero consentire con più efficacia di contribuire alla scrittura delle leggi e di esercitare la sua funzione di controllo; l’esecutivo, a sua volta, ha visto una relativa attenuazione delle sue possibilità d’intervento.