Franciageografia umana ed economica
di Berardo Cori
Stato dell'Europa centro-occidentale. La popolazione è risultata di 58.518.395 ab. al censimento del 1999 e di 61.044.000 circa secondo stime ufficiali del 2006; il confronto con il censimento del 1990 evidenzia un aumento del 7,8% in 16 anni, uno dei più alti d'Europa. Quest'ultimo è dovuto soprattutto a un elevato coefficiente di incremento naturale; è infatti in sensibile calo l'immigrazione, il cui tasso era sceso nel 2005 allo 0,66‰. I principali Paesi di provenienza degli immigrati e dei residenti stranieri sono nell'ordine (secondo il censimento del 1999) il Portogallo, il Marocco, l'Algeria, la Turchia, l'Italia, la Spagna, la Tunisia. Questa composizione etnica delle minoranze si riflette nell'elevata percentuale (quasi il 6%) dei francesi che si dichiarano di religione musulmana. Positivi tutti gli indicatori sociali, come la speranza di vita alla nascita e il tasso di scolarizzazione (entrambi in costante aumento) o la mortalità infantile (in diminuzione).
La densità di popolazione (110,7 ab./km2nel 2006) continua a essere relativamente bassa rispetto a quella degli altri Stati dell'Europa centro-occidentale, e permangono i consueti forti squilibri interni: quasi un quinto dei francesi vive su poco più del 2% del territorio nazionale, nella regione dell'Ile-de-France che racchiude la capitale. Forti addensamenti si hanno peraltro anche in alcune regioni periferiche come il Nord-Pas-de-Calais, l'Alsazia e la Provenza, mentre i minimi di popolamento rimangono in Corsica, dove si arriva a stento ai 30 ab./km2. Il mito di 'Parigi nel deserto francese' si ridimensiona di fronte alla sostanziale tenuta demografica di Marsiglia, Lione e Lilla, agglomerati urbani al di sopra del milione di abitanti ciascuno (Lilla è divenuta tale solo a fine millennio, nella prospettiva della nomina a 'capitale europea della cultura', che si è realizzata nel 2004, attirando nella città consistenti investimenti europei). Quanto all'abitato urbano francese nel suo insieme, esso si espande molto rapidamente (+16% nel decennio 1992-2002), sull'esempio dei Paesi più densamente popolati d'Europa.
Se la ripartizione percentuale della popolazione attiva e del PIL riserva ormai quote assai ridotte (rispettivamente il 3,8% e il 2,5% nel 2004) al settore primario, la F. resta il maggior Paese agricolo d'Europa, fornendo oltre un quinto della produzione dell'UE (a 15) in tale comparto. Nel commercio estero, l'economia rurale incide fra il 10 e il 15% del valore complessivo degli scambi. La superficie agricola utilizzata misurava nel 2001 quasi 30 milioni di ettari, corrispondenti a più della metà della superficie totale del Paese. Vi lavoravano circa 900.000 persone, meno della metà di quanto avveniva vent'anni prima, distribuite su poco meno di 700.000 aziende, dalla superficie media di 42 ettari. La meccanizzazione agricola sembra in apparenza ridursi, ma in realtà, se pure il numero dei trattori diminuisce, la loro potenza complessiva è in costante aumento e il loro impiego si realizza largamente in forma cooperativa. La superficie agricola utilizzata è dominata per quasi i due terzi da seminativi a rotazione (la sola area coltivata a grano supera costantemente i 5 milioni di ettari); il resto è tenuto soprattutto a pascolo, ma è rilevante quel 4% che è coltivato a vigneto (quasi un milione di ettari) e ad altre colture arboree permanenti. Le principali produzioni agricole francesi sono state nel 2004 anzitutto i cereali: la F. si è classificata in quell'anno come il quinto Paese nel mondo produttore di frumento (39,6 milioni di t), di mais (15,7) e di orzo (11). Non è però stata trascurata la produzione delle patate (decimo Paese produttore) né quella delle barbabietole da zucchero (ottavo produttore di zucchero, con 4,4 milioni di t). Per le colture arboree, la F. fa parte, con la Spagna e l'Italia, del terzetto dei massimi produttori mondiali di vino, grazie alle tradizionali regioni della Champagne, del bacino della Loira, della Borgogna, del Sud-Ovest (Bordeaux, Médoc) e naturalmente del Midi mediterraneo. Sempre nel 2004, prati e pascoli hanno alimentato, con allevamenti di bestiame bovino (19,2 milioni di capi), suino (15,2) e di volatili (quasi 260), la 6° produzione mondiale di latte e di burro, la 5° di carne e la 3° di formaggi (ampia, tradizionale e rinomata, com'è noto, la gamma di questi ultimi). Quanto alle fibre tessili, va notato il secondo posto al mondo per la produzione del lino (dopo la Cina).
Ormai ridotta a modeste dimensioni la produzione mineraria - l'ultima miniera di carbone, in Mosella, è stata chiusa nel 2004, ed è prevista per il 2013 anche la chiusura del pur recente giacimento gassifero di Lacq - la F. resta un buon produttore di ghisa e di acciaio, nonché di zinco, piombo, stagno di fonderia (attorno al decimo posto nel mondo per ciascuno di questi metalli). L'area siderurgica principale resta quella tradizionale della Lorena, mentre le altre metallurgie sono distribuite in varie regioni del Paese; per es., quella dell'alluminio si localizza prevalentemente nelle vallate alpine e pirenaiche. L'industria chimica vede la F. tra i primi produttori mondiali di soda caustica, e su buoni livelli per quanto riguarda l'acido cloridrico, l'acido solforico e, tra i prodotti finiti, le benzine. Se per i prodotti finiti di maggior uso si colloca in genere fra il quinto e il decimo posto nella classifica mondiale (pneumatici, biciclette, trattori, radio, televisori ecc.), per le autovetture la F. è risultata nel 2004 addirittura il quarto produttore mondiale (dopo il Giappone, la Germania e gli Stati Uniti). Questa colonna dell'industria francese, che alimenta la prima voce delle esportazioni, si distribuisce in maniera piuttosto equilibrata in diverse regioni, dall'Ile-de-France alla Franca Contea, dalla Bretagna alla Normandia, dal Nord-Pas-de-Calais al Pays-de-la-Loire. Dal punto di vista energetico, la F. continua a caratterizzarsi, nonostante qualche isolata chiusura di impianti e le proteste e i timori di ambientalisti locali e stranieri, per la prevalenza dell'energia elettrica di origine nucleare (75% nel 2004). Anzi, nello stesso 2004 è stato lanciato un nuovo programma per una terza generazione di reattori nucleari ad acqua pressurizzata. Da ricordare però che è sempre in funzione l'ultra-ecologica centrale della Rance, in Bretagna, alimentata da un fenomeno completamente naturale come quello delle maree.
Anche l'industria tessile e quella dell'abbigliamento producono in larga misura per l'esportazione. La lavorazione del cotone e quella del lino si distribuiscono su tutta la F. settentrionale, orientale e occidentale, quella della lana ancora nel Nord, ma anche nella regione pirenaica; le fibre tessili artificiali e sintetiche si lavorano invece soprattutto nell'area parigina e nel Sud-Est. La concia del cuoio e la fabbricazione delle calzature, così come quella della carta, sono relativamente diffuse in tutto il territorio. Per quanto riguarda il trasporto pubblico, la F. è stata uno dei Paesi europei che ha maggiormente cercato di riequilibrare il rapporto tra la ferrovia e la strada. Ma, nonostante gli enormi investimenti profusi nei treni ad alta velocità (TGV) - 2200 km di linee nel 2002, che dovrebbero essere quasi triplicati entro il 2015 - e l'impulso dato a quelli regionali (TER), il modello della circolazione automobilistica privata rimane dominante: nel 2002 l'aliquota del movimento viaggiatori dovuta alle ferrovie è risultata meno del 10% del totale, contro il 12% del 1985. Neppure l'entrata in funzione della linea tra F. e Gran Bretagna sotto il Canale della Manica, e la costruzione di altre linee ad alta velocità, come quella fra Parigi e Strasburgo, si sono rivelati capaci di rovesciare questa tendenza. Non per niente la F. ha la rete stradale più lunga (893.000 km) fra quelle dei Paesi dell'Unione Europea, e anche l'aliquota del movimento merci su ferrovia non supera il 10% del totale.
Dell'impero coloniale francese di un tempo rimangono, per scelta esplicita delle loro popolazioni, alcuni residui non insignificanti, sotto un blando controllo della madrepatria e con vari status amministrativi (collettività territoriali o dipartimenti, territori o Paesi d'oltremare): le isole di Mayotte e della Riunione sul versante africano dell'Oceano Indiano, quelle della Guadalupa e della Martinica nei Caraibi, e quelle di Saint-Pierre e Miquelon presso la costa atlantica del Canada; la Guiana francese nel lembo settentrionale dell'America del Sud; la Nuova Caledonia, la Polinesia francese e le isole di Wallis e Futuna in Oceania; le pressoché spopolate Terre australi e antartiche francesi. Tali territori hanno in totale una superficie di 507.000 km2, che però si riducono a 112.000 se non si considerano le Terre australi e antartiche. La loro popolazione è di 2.436.000 ab. circa secondo stime del 2004, con densità elevate nelle isole caraibiche e in quelle dell'Oceano Indiano.bibliografia
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Politica economica e finanziaria
di Giulia Nunziante
Dal 1997 e fino alla prima metà del 2001, la F. ha conosciuto un periodo di crescita economica particolarmente sostenuta, grazie alla diffusa fiducia degli operatori nazionali e internazionali, alla disponibilità di finanziamenti per gli investimenti e alla contenuta pressione inflazionistica. (v. tab) In quel periodo le famiglie hanno beneficiato di un buon potere d'acquisto, lo Stato ha potuto contare su un cospicuo volume di raccolta fiscale (nonostante la minore pressione tributaria), le imprese hanno fatto registrare una crescita della loro redditività. Le riforme strutturali realizzate a partire dall'inizio degli anni Novanta del 20° sec., con l'intento di contenere l'aumento dei salari e di promuovere una maggiore flessibilità sul mercato del lavoro, accompagnate da una congiuntura favorevole, hanno determinato un incremento dell'occupazione. La ripresa vigorosa del commercio con l'estero, favorita dal deprezzamento dell'euro nei confronti del dollaro e dello yen, ha rafforzato la competitività dei prodotti francesi sui mercati mondiali, contribuendo al consolidamento dei saldi correnti positivi nella bilancia dei pagamenti. A partire dalla seconda metà del 2001 si è cominciato tuttavia a manifestare un deterioramento della situazione economica del Paese, causato principalmente dal rallentamento dell'economia statunitense e poi di quella nipponica. La disoccupazione è tornata pertanto a crescere, il PIL ha subito una battuta d'arresto e i conti con l'estero hanno registrato un drastico peggioramento. Questa situazione di incertezza ha portato a un veloce aggravarsi dei conti pubblici, con il conseguente richiamo formale da parte della Commissione europea nel 2002.
Per quanto riguarda la politica economica adottata dalla F. durante il periodo 1999-2005, i suoi principali obiettivi sono stati la crescita della produzione fino al raggiungimento del potenziale massimo, e la contestuale riduzione della disoccupazione. Dopo aver assicurato nel corso degli anni Novanta una sensibile diminuzione del deficit pubblico, a partire dal 1999 le autorità di governo hanno privilegiato l'obiettivo di contenere l'ingente pressione fiscale. Il controllo della spesa pubblica è diventato quindi elemento centrale della politica macroeconomica francese, in quanto strumento necessario per prevenire tensioni inflazionistiche e assicurare il risanamento del bilancio. In particolare, la spesa pubblica reale del governo centrale è stata mantenuta fissa per il periodo 2003-2006, ed è stato avviato un processo di decentramento fiscale che ha portato ad attribuire alle autorità locali maggiori responsabilità in ordine alla gestione e al controllo dei fondi per la realizzazione dei programmi deliberati dallo Stato. È stata inoltre promossa una maggiore trasparenza nelle modalità di gestione della finanza pubblica, al fine di rendere più immediata la valutazione dell'efficacia delle politiche economiche attuate. Importanti riforme strutturali sono state realizzate per contenere i flussi di spesa pubblica. In un Paese segnato da un progressivo invecchiamento medio della popolazione, la revisione e la semplificazione del sistema previdenziale sono divenute prioritarie. Fra i numerosi mutamenti introdotti in questo periodo i principali hanno riguardato l'innalzamento dell'età pensionabile, in linea con l'incremento della speranza di vita della popolazione, e la graduale rimozione delle disparità di trattamento previdenziale tra il settore pubblico e quello privato. È stata altresì rivista la regolamentazione sul pensionamento anticipato. La riforma della sanità è stata rivolta soprattutto al contenimento delle spese. Le misure adottate in precedenza avevano difatti reso possibili contenuti risparmi, senza riuscire tuttavia a incidere stabilmente sulle abitudini dei francesi in materia di consumo di medicinali e di ricorso al sistema sanitario. Le autorità di governo sono intervenute pertanto con più rigore a partire dal 2004, e l'anno successivo ha portato i suoi primi frutti il richiamo (sia alle amministrazioni sia agli stessi utenti del servizio) a una maggiore responsabilità nella gestione della spesa. Il processo di privatizzazione avviato negli anni Novanta del secolo scorso è proseguito (soprattutto in seguito all'insediamento del governo di J.-P. Raffarin nel 2002) con la vendita di diverse imprese commerciali pubbliche. Tuttavia, benché nel corso del precedente ventennio fossero state registrate cessioni di partecipazioni statali di oltre 2000 società, alle soglie del terzo millennio lo Stato francese è rimasto azionista in circa 1500 aziende. Consapevoli del ruolo assai rilevante che alcune di queste aziende hanno nell'ambito del contesto produttivo, le autorità di governo hanno costituito l'Agence des participations de l'Etat (APE), cui è stato affidato il compito di assicurare una gestione più efficace delle imprese pubbliche.
Riguardo al mercato del lavoro, inoltre, l'intervento maggiormente significativo ha riguardato la riduzione da 39 a 35 ore settimanali della durata legale dell'attività lavorativa (ossia del limite di durata oltre il quale le ore lavorate devono essere considerate ore supplementari), attuata dal governo di L. Jospin nel 1998. Il passaggio obbligatorio alle 35 ore nel settore privato (dal 2000 per le imprese con più di 20 addetti e dal 2002 per le altre) è stato accompagnato dall'erogazione di sostegni statali volti ad alleviarne gli effetti sui costi della manodopera sostenuti dalle imprese, e contestualmente a consentire ai lavoratori di mantenere il livello di stipendio anteriore alla riforma. Tuttavia nel 2005 la legge sulle 35 ore è stata profondamente modificata dal governo di Raffarin, che introdusse la possibilità per i lavoratori di siglare accordi con le aziende per lavorare fino a 13 ore in più. Altri interventi sul mercato del lavoro sono stati rivolti al contenimento della disoccupazione strutturale; tra essi la riduzione dei contributi sociali a carico dei lavoratori con bassi salari, l'introduzione di nuove forme contrattuali, la semplificazione della regolamentazione amministrativa. Per promuovere l'inserimento nel mondo del lavoro, sono stati proposti alla manodopera meno qualificata, in cambio di un salario minore, i contratti di apprendistato e di qualificazione professionale, mentre altri interventi sono stati discussi nel 2006 dal governo di D. de Villepin per diminuire la disoccupazione giovanile.
Nel periodo considerato è proseguito l'impegno del governo, su impulso delle direttive europee, per favorire l'aumento del livello di concorrenza nel mercato interno, con l'obiettivo di ridurre i prezzi e migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi. Nei primi anni del terzo millennio sono stati difatti gradualmente aperti a nuovi operatori i settori delle telecomunicazioni, dei trasporti aerei e dell'elettricità, ma non è stata intaccata la tradizionale posizione monopolistica dello Stato in alcuni comparti, quali le ferrovie, il gas naturale e i servizi postali. Tra le iniziative volte a promuovere la competitività delle imprese nazionali, emerge quella intrapresa nel 2003 dal governo di Raffarin e diretta a ridurre la complessità amministrativa del quadro normativo e rafforzare gli stimoli all'innovazione. In particolare, il governo ha promosso la realizzazione di reti industriali e di laboratori di ricerca in grado di individuare tecnologie d'avanguardia che potrebbero essere oggetto di aiuti statali. Tuttavia l'auspicata maggiore integrazione fra imprese e Stato nel finanziamento alla ricerca non si è realizzato appieno, ed è rimasto prevalente il finanziamento pubblico. Lo Stato ha rinnovato inoltre il proprio impegno per una crescita ecologicamente sostenibile, pur denunciando difficoltà nell'adottare una vera strategia di tutela ambientale e operando prevalentemente con interventi mirati, quali l'adozione di misure riguardanti la fiscalità nel settore petrolifero. Infine, sul fronte monetario, l'introduzione dell'euro ha contribuito al rafforzamento del sistema finanziario nazionale, riducendo la fragilità dell'economia rispetto alle perturbazioni legate all'andamento dei mercati valutari.
Storia
di Francesca Socrate
Sul finire del 20° sec. la scena politica francese attraversava una fase di solida stabilità governativa. Nel quadro di un'Europa a maggioranza progressista, dal 1997 anche in F. era alla guida del Paese una coalizione di centro-sinistra, la quale nell'arco di due anni aveva consolidato i propri consensi grazie a una politica che era incentrata prevalentemente su misure sociali quali, per es., la regolarizzazione degli immigrati clandestini e la legge che fissava in 35 ore la durata legale della settimana lavorativa (aprile e maggio 1998). A fronte del rafforzamento della sinistra, e soprattutto del Parti socialiste (PS) del primo ministro L. Jospin, la destra moderata dell'Union pour la démocratie française (UDF) e del partito del presidente J. Chirac, il Rassemblement pour la république (RPR), risultava invece indebolita dalla concorrenza del Front national (FN), partito di estrema destra ideologicamente connotato da una forte componente razzista e xenofoba. Nonostante questa sostanziale stabilità, rimanevano tuttavia irrisolte alcune questioni di fondo che, comuni alle democrazie dell'Occidente postindustriale, si sarebbero di lì a poco manifestate in F. con rinnovata forza: da un lato le gravi tensioni sociali alimentate dalla crescente immigrazione e, dall'altro, la progressiva diffusione di una sfiducia nell'establishment e, più in generale, di un forte sentimento antipolitico.
La quota sempre maggiore di lavoratori extraeuropei all'interno della popolazione attiva contribuiva infatti, nel quadro della più generale evoluzione del modello economico-produttivo e del mercato del lavoro, a ridisegnare la mappa sociale del Paese e, soprattutto, le nuove forme e aree di esclusione: le periferie urbane a forte concentrazione di immigrati (soprattutto donne e giovani), i lavoratori poveri (impegnati in attività precarie dal basso livello retributivo), le famiglie monoparentali, gli anziani, i senza tetto. Già affacciatosi nel decennio precedente, prendeva sempre più corpo l'altro fenomeno che avrebbe significativamente inciso sulla sfera pubblica francese e sulla sorte dei partiti tradizionali, ovvero quella crescente disaffezione verso la politica prodotta in tanta parte dell'elettorato dalla percezione che, al di là delle diverse appartenenze partitiche, il ceto politico tradizionale fosse sempre meno differenziato dal punto di vista dei programmi, sempre più autoreferenziale, in larga misura corrotto, e soprattutto incapace di rispondere a uno dei temi più sentiti, quello della sicurezza. A tali questioni si aggiungevano, sul piano nazionale più specifico, gli accesi contrasti sorti all'interno dell'alleanza di governo e nell'opinione pubblica sulla partecipazione alla guerra contro la Iugoslavia (marzo-giugno 1999), mentre si riproponevano le violenze del separatismo corso. Il successo di Jospin e del suo partito nelle elezioni europee del giugno 1999 (risultato unico tra quelli ottenuti dai governi di centro-sinistra di Paesi europei appartenenti alla NATO) sembrava aver premiato la linea politica adottata dal gabinetto nei suoi primi due anni di vita, e peraltro fortemente rivendicata in campagna elettorale: una linea che, pur tesa a coniugare un'apertura all'economia di mercato con la riaffermazione del ruolo dello Stato, sottolineava la centralità della politica sociale, distinguendosi in tal modo dalla scelta social-liberale del britannico T. Blair e del tedesco G. Schröder. Sul piano interno, mentre la partecipazione all'intervento delle truppe della NATO in Kosovo divideva entrambi gli schieramenti, il progetto di legge governativo sul Pacte civil de solidarité (PACS) riproponeva una polarizzazione dello scontro tra centro-sinistra e centro-destra. Il progetto, che estendeva alle coppie non sposate e a quelle omosessuali i diritti legali e fiscali delle coppie regolarizzate attraverso il matrimonio, venne presentato nell'autunno del 1998, ma fu approvato soltanto nell'ottobre 1999, dopo un lungo e difficile iter parlamentare, a causa della presa di posizione contraria di Chirac e di parti del mondo cattolico e della destra, che nel gennaio di quell'anno avevano dato vita a una manifestazione di quasi 100.000 persone. Nel settembre 2000 si tenne un referendum popolare sulla proposta, sostenuta dallo stesso Chirac, di ridurre da 7 a 5 anni il mandato presidenziale; nonostante l'esito positivo, il referendum sembrò confermare, con il suo alto tasso di astensionismo, il disinteresse dell'elettorato verso la politica nazionale. In questa seconda fase del mandato, di conseguenza, il governo Jospin si caratterizzava per una più marcata attenzione ai temi delle libertà civili: fra le altre misure, nel giugno 1999 venne approvata una legge che stabiliva pari opportunità per uomini e donne in ambito elettorale, e nel 2001 fu abolita l'obbligatorietà del servizio militare. La questione corsa si riproponeva nel frattempo con nuova urgenza. Nonostante la tregua proclamata nel gennaio 1999 (ma per la sola isola) dal gruppo indipendentista Front de libération nationale de la Corse (FLNC), gli attentati si susseguirono infatti per tutto l'anno fino a che, in dicembre, furono avviati a Parigi negoziati tra i rappresentanti del governo centrale e dell'amministrazione corsa e quelli dei nazionalisti. Il progetto di riforma istituzionale presentato da Jospin in luglio (che prevedeva un'estensione dei poteri legislativi dell'assemblea regionale della Corsica entro quattro anni, l'obbligatorietà dell'insegnamento della lingua corsa fin dalla scuola materna ed elementare, e l'autonomia in materia fiscale ed economica) provocò tuttavia spaccature tra le forze politiche e all'interno della stessa compagine governativa (in agosto, in disaccordo con il progetto, il ministro dell'Interno J.-P. Chevènement si dimise), mentre l'ala più estrema del nazionalismo corso proseguiva nell'attività terroristica. Le difficoltà incontrate portarono a un ridimensionamento del progetto che, in una versione moderata, fu varato dal Parlamento nel dicembre 2001. Nel novembre 1998 un referendum popolare nella Nuova Caledonia approvò il passaggio graduale dei poteri alle istituzioni locali, e nell'ottobre dell'anno successivo una nuova legge attribuì alla Polinesia francese il nuovo status di Paese d'oltremare.
Ma nell'aprile 2002, al primo turno delle elezioni presidenziali, le persistenti tensioni sociali, la questione della sicurezza (tema centrale per tanta parte dell'opinione pubblica, impaurita dai crescenti flussi migratori), nonché la scelta da parte di Jospin di incentrare la campagna elettorale su una linea moderata che attutiva le differenze rispetto a Chirac (ritenuto, insieme a Jospin, il vero protagonista del duello elettorale, al di là delle altre numerose candidature), portarono a una dura e inaspettata sconfitta del premier socialista, superato in numero di voti da J.-M. Le Pen, leader del FN. In una consultazione che vide un alto tasso di astensioni e una frammentazione delle forze di sinistra, Jospin ottenne infatti solo il 16,2% dei suffragi, Chirac il 19,9% e Le Pen il 16,9%; quest'ultimo poté così candidarsi al ballottaggio del secondo turno. In seguito a una mobiltazione contro il pericolo di una vittoria del candidato del FN che vide uniti centro-destra (il cui partito principale era diventato l'Union pour la majorité présidentielle, UMP, nato alla vigilia delle elezioni dalla confluenza della maggior parte del RPR, di Démocratie libérale, DL, e dell'UDF) e gran parte della sinistra, nel secondo turno Chirac ottenne una vittoria quasi plebiscitaria (82,2% dei voti). Le successive elezioni politiche del giugno 2002 confermarono peraltro la scelta dell'elettorato a favore della destra moderata: l'UMP conquistava 355 seggi su 577, mentre il PS ne ottenne solo 140, il Parti communiste français (PCF) 21 e i Verdi 3, e al FN non venne assegnato neanche un seggio. Tuttavia, l'astensionismo che si era manifestatonelle due consultazioni elettorali (il 28,4% nel primo turno delle elezioni presidenziali, il 35,6% nel primo turno di quelle legislative e il 39,3% nel secondo) ribadì ancora una volta la sfiducia dell'elettorato verso la politica e i politici tradizionali e la crisi profonda della sinistra che, d'altronde non soltanto in F., sembrava penalizzata da una progressiva perdita dei suoi tratti identitari distintivi. La destra moderata, invece, si consolidò attorno a un nuovo partito, l'Union pour un mouvement populaire (UMP), che nel novembre 2002 assorbì DL, RPR e parti dell'UDF e del Rassemblement pour la France (gruppo parlamentare di ispirazione gollista, nato nel 1999 a opera di Ch. Pasqua).
Il nuovo governo di centro-destra, guidato dall'esponente di DL J.-P. Raffarin, che da maggio aveva sostituito Jospin (dimessosi in seguito alla sconfitta nella corsa presidenziale), si trovò a dover affrontare in una prima fase una serie di scandali che coinvolsero esponenti politici di grande rilievo: tra questi A. Juppé, 'delfino' di Chirac ed ex primo ministro, che nel 2004 fu condannato in primo grado a 18 mesi di detenzione e all'interdizione per dieci anni dagli incarichi pubblici per avere finanziato l'attività del proprio partito con contratti illegali a compagnie private all'epoca in cui era vicesindaco di Parigi e segretario del RPR. La sua condanna, seppure non applicata in attesa della sentenza d'appello, inferse un grave colpo al prestigio politico dello stesso Chirac, sindaco di Parigi all'epoca dei fatti contestati. Nell'aprile 2003 furono introdotte una serie di riforme costituzionali che avviarono, contro una solida tradizione di statalismo e centralismo, un processo di decentramento. Esplodeva poi, tra il 2003 e il 2004, la questione del chador, ossia della legittimità o meno per le ragazze musulmane di indossare il velo tradizionale nelle scuole pubbliche. Sul problema, che materialmente e simbolicamente era un banco di prova del modello di integrazione francese, e nel quale si misuravano i due valori peraltro contraddittori dell'universalismo della tradizione laica e del relativismo implicito nel rispetto delle diversità culturali, un aspro dibattito coinvolse l'opinione pubblica, fino alla legge del marzo 2004 che vietò esplicitamente l'uso di simboli religiosi nelle scuole pubbliche.
Mentre si acuivano le difficoltà economiche e sociali, a cominciare dalla disoccupazione e dalla povertà crescenti, i risultati delle elezioni regionali e cantonali tenutesi nel marzo 2004 riflessero un significativo calo di consensi attorno al governo diretto da Raffarin: questi si dimise, ma subito dopo fu incaricato da Chirac di formare un nuovo governo. Nel marzo 2005 la maggioranza di centrodestra approvò in Parlamento una profonda modifica della legge sulle 35 ore, introducendo una maggiore flessibilità nella gestione dell'orario da parte delle aziende, e lanciando così un segnale politico deciso contro una legge che era diventata un simbolo della sinistra. Nel mese di maggio si tenne il referendum di ratifica del Trattato costituzionale europeo, preceduto da una campagna elettorale in cui si scontrarono due schieramenti politicamente e socialmente trasversali: contro il primo schieramento, che era costituito da un ampio ventaglio di forze politiche (dai neogollisti ai socialisti, ai verdi) ed era fautore dell'Unione Europea nonché del suo consolidamento, si mosse un fronte altrettanto composito, costituito dal FN, dal PCF, da importanti frange dissidenti del PS e degli ecologisti, dai trotskisti e dai movimenti no global.
Le motivazioni del 'partito del no', nella loro diversità, riflettevano le paure e le istanze di un Paese segnato da fratture sociali, ideologiche e culturali profonde: nel partito confluirono infatti un'estrema destra sostanzialmente antieuropeista, la quale si poneva come paladina della sovranità e della specificità nazionali, una sinistra 'militante', per cui la nuova Europa avrebbe imposto un modello sempre più liberista a scapito delle politiche sociali basate sull'impegno pubblico, e infine un insieme di categorie sociali (agricoltori, operai, dipendenti pubblici, immigrati, piccoli imprenditori) accomunate dalla convinzione che l'Europa allargata a est aprisse la strada a una concorrenza pericolosa.
La sconfitta preannunciata del 'sì' (i voti contrari raggiunsero il 54,87% del totale), che investiva una classe dirigente a cominciare dal presidente Chirac, portò nel maggio alle dimissioni di Raffarin, sostituito dall'ex ministro dell'Interno, il gollista D. de Villepin, e acuì anche le lacerazioni in campo socialista. Primo tra i governi europei a sospendere il trattato di Schengen dopo gli attentati di matrice islamica del 7 luglio 2005 a Londra, sul diritto del lavoro il governo Villepin si trovò ad affrontare momenti di tensione sociale. Nell'autunno 2005 nelle periferie parigine la collera per le condizioni di esclusione dei giovani maghrebini e africani esplodeva in manifestazioni e scontri con la polizia. Pochi mesi dopo un diverso disagio, ancora una volta giovanile, si imponeva sulla scena: studenti liceali e universitari ottenevano, con manifestazioni di piazza, il ritiro di fatto della legge di Villepin che, in nome di una maggiore flessibilità del mercato del lavoro consentiva il licenziamento senza giusta causa dei minori di 26 anni nei primi due anni di lavoro (apr. 2006). In campo internazionale, in seguito agli attentati a New York e Washington dell'11 settembre 2001, la F. partecipò all'intervento militare in Afghānistān guidato dagli Stati Uniti (febbr. 2002), manifestando tuttavia a più riprese forti critiche verso la politica estera seguita dall'amministrazione di G.W. Bush. Così, sulla questione dell'Irāq, pur sottoscrivendo la risoluzione 1441 del Consiglio di sicurezza dell'ONU (nov. 2002), nella quale veniva richiesto di consentire agli ispettori delle Nazioni Unite i controlli sugli armamenti presenti nel Paese, nel marzo 2003 Chirac ribadì il veto francese a ogni risoluzione che legittimasse un intervento militare, e dall'inizio delle ostilità, nel mese successivo, si schierò decisamente contro di esso.
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