FERRARA, Franco
FERRARA, Franco (all’anagrafe Francesco)
Nacque a Palermo il 4 luglio 1911 da Giovanni e Marianna Pagano, entrambi di origine siciliana, terzo di quattro figli. Il padre, funzionario della guardia di finanza, suonava da dilettante molti strumenti, e la madre il pianoforte, così che anche i figli, fin da piccoli, furono avviati alla musica.
Cresciuto in un ambiente particolarmente favorevole a valorizzarne il precoce talento, a cinque anni cominciò a studiare pianoforte e violino, potendo così partecipare alle serate musicali in famiglia con i genitori e i fratelli maggiori, Giovanni e Annunziata, che suonavano rispettivamente il violino e il pianoforte. Allo studio regolare dei due strumenti nell’istituto musicale “Vincenzo Bellini” della sua città, presto affiancò quello della composizione con Cesare Nordio, cominciando anche a presentarsi in vari concerti come violinista e pianista, talvolta in duo con la sorella. Nel 1924, trasferitosi Nordio a Bologna, decise di seguirlo per completare la propria formazione nel liceo musicale “Giovanni Battista Martini”, dove studiò anche violino con Angelo Consolini, pianoforte con Filippo Ivaldi, organo e composizione organistica con Antonio Belletti. Fra il 1928 e il 1931 si diplomò brillantemente in tutte queste discipline e talvolta nei saggi scolastici salì sul podio di un’orchestra di allievi per dirigere le proprie composizioni.
Fin dal 1925 iniziò a collaborare come violino di fila col teatro Comunale di Bologna, dove poté suonare sotto la direzione di Antonio Guarnieri, Gaetano Bavagnoli e Arturo Toscanini, ma proseguì anche l’attività concertistica in varie città italiane, spesso presentandosi nel corso della stessa serata come pianista e violinista. Nel 1931, trasferitosi a Roma, entrò nella sezione dei violini primi dell’orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia mantenendo l’incarico per due stagioni. Nell’autunno 1933, su invito di Vittorio Gui, divenne violino di spalla della Stabile orchestrale fiorentina, che proprio quell’anno assunse il nome dal festival del Maggio musicale. A Firenze fino al 1940 collaborò come primo violino con molti celebri direttori, da Victor de Sabata a Bruno Walter, da Erich Kleiber a Willem Mengelberg. Il 21 dicembre 1934 suonò nel Pauvre matelot di Milhaud e nell’Histoire du soldat di Stravinskij diretti da Hermann Scherchen in palazzo Pitti per l’associazione degli Amici della musica e nell’aprile 1936 eseguì come solista la Sinfonia concertante di Mozart sotto la direzione di Gui. Continuò però a dedicarsi alla composizione, come testimoniano varie sue opere di quegli anni: Preludio (1932), Burlesca (1932), Sonata in La minore per violino e pianoforte e Sonata in Do minore per violoncello e pianoforte (1935), Capriccio sinfonico (1935), Notte di tempesta (1936), Scherzo brillante (1938) per orchestra. Lavorò anche a un’opera in tre atti, La sagra del fuoco, libretto di Carlo Zangarini, rimasta inedita e ineseguita. Nel 1935 e nel 1936 tornò per due stagioni a suonare nell’orchestra del Comunale a Bologna, dove all’epoca risiedeva la famiglia, e vi strinse amicizia con Pietro Grossi, il futuro pioniere della musica elettronica in Italia, che, divenuto nel 1936 primo violoncello nell’orchestra del Maggio, suonò spesso con lui a Firenze anche in formazione di quartetto.
Fu Guarnieri a incoraggiare Ferrara a dedicarsi alla direzione affidandogli la preparazione dell’orchestra fiorentina per un concerto estivo decentrato a Montecatini Terme che poi gli cedette. Il debutto ufficiale sul podio, egualmente propiziato da Guarnieri, avvenne il 20 gennaio 1938 al Comunale di Firenze in un concerto popolare con musiche di Wolf-Ferrari, Beethoven, Mulè, Verdi, Debussy, Rimskij-Korsakov e Wagner che segnò il vero inizio della sua carriera, consacrata l’anno seguente il 22 gennaio ancora a Firenze e il 24 luglio a Roma nella basilica di Massenzio con l’orchestra di Santa Cecilia in un programma comprendente l’ouverture delle Nozze di Figaro, la sinfonia Dal nuovo mondo di Dvořák, il poema sinfonico Il vincitore di Lino Liviabella, la suite dall’Uccello di fuoco di Stravinskij e l’ouverture della Sposa venduta di Smetana. Lo stesso mese tornò a dirigere l’orchestra del Maggio a Montecatini e il 29 dicembre esordì a Torino con l’orchestra dell’EIAR in un concerto con la partecipazione del pianista Claudio Arrau. I programmi dei suoi concerti, dedicati in prevalenza all’Ottocento, con in primo piano Beethoven, Verdi, Wagner, Brahms, Martucci e Musorgskij, in ambito novecentesco privilegiarono Debussy e Ravel, Kodály e Respighi ma anche, in ossequio alle direttive del MinCulPop (Ministero della cultura popolare), contemporanei italiani come Antonio Cece, Ezio Carabella, Pietro Ferro, Arnaldo Furlotti, Felice Lattuada, Liviabella, Giuseppe Mulè, Mario Pilati, Carlo Alberto Pizzini, Ennio Porrino, Gianluca Tocchi.
Nel marzo 1940 diresse un concerto a Venezia su invito di Goffredo Petrassi, all’epoca sovrintendente della Fenice. Il 3 aprile al teatro Adriano di Roma si manifestò per la prima volta il singolare malore che lo avrebbe costretto ad abbandonare precocemente la carriera: mentre dirigeva la sinfonia Dal nuovo mondo di Dvořák, pur rimanendo cosciente, cadde dal podio, e il concerto fu interrotto. L’incidente lo costrinse a rinunciare a dirigere Turandot di Puccini, prevista nel VI Maggio musicale fiorentino e poi affidata a Ettore Panizza, ma dopo un periodo di riposo ad Assisi in autunno riprese l’attività tenendo concerti anche all’estero: il 20 ottobre a Berlino diresse musiche di Smetana, Richard Strauss, Kodály, Beethoven e Carabella con i Berliner Philharmoniker, il 30 ottobre fu a Dresda con la Dresdner Philharmonie e il 29 novembre a Königsberg con lo Städtisches Orchester. Negli anni della guerra, esentato dall’arruolamento per motivi di salute, diresse nei maggiori teatri italiani ma anche ad Aquisgrana, Bucarest e Budapest, ovunque riscuotendo consensi entusiastici, e fra il 1942 e il 1943 registrò a Milano i suoi primi dischi con l’orchestra della Scala, dove aveva debuttato con un concerto nel 1941. Si ripeterono però con sempre maggior frequenza anche gli inspiegabili malori, come nel suo ultimo concerto fiorentino del 29 marzo 1942, che comunque portò in fondo dopo una temporanea interruzione, escludendo soltanto la conclusiva sinfonia della Forza del destino, e in quello romano del 2 maggio 1943, quando fu invece costretto a ritirarsi dopo il Boléro di Ravel che apriva il programma.
Nei teatri cominciarono a diffondersi voci sulla sua incapacità di sostenere gli impegni assunti, e nel giugno seguente, in un concerto che avrebbe dovuto dirigere alla Fenice di Venezia per la stagione dell’EIAR, venne preventivamente sostituito da Francesco Molinari Pradelli. Nonostante l’aggravarsi inesorabile della malattia, continuò a tenere concerti a Bologna, Palermo e Roma, intensificando soprattutto il rapporto con l’orchestra di Santa Cecilia, della quale, dopo il ritiro di Bernardino Molinari, divenne direttore stabile fra il novembre 1944 e il settembre 1945. Trascorse gli ultimi anni della guerra a Roma consolidando l’amicizia, nata nel 1939, con Franco Mannino, che dopo la Liberazione figurò come solista al pianoforte nel suo concerto del 22 giugno 1944 per la riapertura del teatro Adriano. Nel dopoguerra strinse amicizia anche con Guido Cantelli; per un mese fu suo ospite a Milano, e insieme frequentarono assiduamente Toscanini. Diresse gli ultimi due concerti in pubblico nel febbraio e nel maggio 1946 a Napoli con l’orchestra del conservatorio di S. Pietro a Majella. A chiarire e risolvere il suo male oscuro, di probabile natura psicosomatica, a nulla valsero negli anni seguenti i pareri discordanti dei molti specialisti consultati, né i diversi trattamenti ai quali si sottopose, comprese la cura del sonno e la terapia elettroconvulsivante, che in realtà ebbero effetti devastanti sulla sua salute.
Nel 1948, dopo essere stato costretto a interrompere una prova della Giara di Casella con l’orchestra RAI di Roma, comunicò la decisione di abbandonare definitivamente l’attività pubblica. Da allora si dedicò alla realizzazione di colonne sonore per film e soprattutto all’insegnamento. Solo in poche occasioni tornò a dirigere in studio per registrazioni radiofoniche o discografiche. Fra le prime, nel 1950 l’opera I due timidi di Nino Rota (libretto di Suso Cecchi d’Amico), vincitrice del Premio Italia, e nel 1965 l’edizione televisiva di Faust a Manhattan di Mario Nascimbene filmata a Napoli con la regìa di Sandro Bolchi; fra le seconde, alcune incisioni pubblicate in microsolco da RCA: le tre suites Antiche arie e danze per liuto di Respighi (1958), un album di canzoni napoletane arrangiate da Ennio Morricone e cantate da Mario Lanza (1959), l’antologia I canti che hanno fatto l’Italia (1961) con arrangiamenti di Raffaele Gervasio cantati da Mario Del Monaco, Virginia Zeani, Nicola Rossi-Lemeni, Angelica Tuccari e Giulio Fioravanti, un’antologia di arie verdiane interpretate da Anna Moffo (1962), le opere complete La serva padrona di Pergolesi (1958), La scala di seta di Rossini (1962) e L’ajo nell’imbarazzo di Donizetti (1963). Nel 1954 sposò Maria Letizia Carini, di tredici anni più giovane di lui (non ebbero figli). Nel 1958 fu nominato accademico di Santa Cecilia.
Il primo contatto di Ferrara col cinema avvenne nel 1944 quando accettò di dirigere le musiche di Enzo Masetti per La porta del cielo di Vittorio De Sica, l’ultimo nel 1967 con la registrazione della colonna sonora di Carlo Savina per il documentario Vietnam guerra senza fronte di Alessandro Perrone. In quel ventennio legò il proprio nome alla realizzazione di oltre settanta film, in sei casi anche come compositore: Penne nere di Oreste Biancoli (1952), Il sacco di Roma di Ferruccio Cerio (1953), La principessa delle Canarie di Paolo Moffa e Carlos Serrano de Osma (1954), Arrivederici, Dimas (titolo originale Los jueves, milagro) di Luis García Berlanga (1957), Revak lo schiavo di Cartagine di Rudolph Maté (1960); nel 1961 infine compose Fantasia tragica per I sequestrati di Altona di Vittorio De Sica, ch’egli modellò sul terzo tempo dell’Undecima Sinfonia di Šostakovič (op. 103), originariamente scelta dal regista ma al momento indisponibile: la colonna sonora di Ferrara in realtà non fu mai utilizzata, essendo nel frattempo arrivata dall’Unione Sovietica la partitura di Šostakovič; è stata eseguita in concerto e registrata in disco solo dopo la sua morte.
Collaborò come direttore con molti importanti autori di musica per film come Rota, Mannino, Armando Trovajoli, Carlo Rustichelli, Morricone, Piero Umiliani, Toshirō Mayuzumi, registrando le colonne sonore per celebri film come Luci del varietà di Alberto Lattuada (1950), Guerra e pace di King Vidor (1956), Il ferroviere di Pietro Germi (1956), Fortunella di Eduardo De Filippo (1957), La grande guerra di Mario Monicelli (1959), Kapò di Gillo Pontecorvo (1960), Stazione Termini (1953) e Il giudizio universale (1961) di Vittorio De Sica, I vitelloni (1953), La strada (1954), Il bidone (1955), Le notti di Cabiria (1957) e La dolce vita (1960) di Federico Fellini, La bella di Roma (1955) e La ragazza di Bube (1963) di Luigi Comencini, Bellissima (1951), Senso (1954), Rocco e i suoi fratelli (1960) e Il Gattopardo (1963) di Luchino Visconti, l’episodio Il lavoro, sempre di Visconti, in Boccaccio ’70 (Monicelli, Fellini, Visconti e De Sica, 1962), Jovanka e le altre di Martin Ritt (1960), La viaccia di Mauro Bolognini (1962), La Bibbia di John Houston (1966). Lo si può vedere dirigere per pochi minuti il coro Saria possibile dall’Elisir d’amore, nell’arrangiamento di Mannino, mentre scorrono i titoli di testa di Bellissima.
Già nel 1947 Ferrara intraprese l’attività didattica al conservatorio di Santa Cecilia come docente di esercitazioni orchestrali e poi di lettura della partitura, materia della quale divenne insegnante di ruolo vincendo il concorso nel 1959. Dal 1961 iniziò come incaricato a insegnare direzione d’orchestra e nel 1964, vinto il concorso, ne occupò ufficialmente la cattedra fino al 1975. Nel 1958, su invito di Valentino Bucchi, tenne i primi corsi di perfezionamento in direzione d’orchestra al liceo musicale di Perugia, poi dal 1961 per dieci anni alle “Vacanze musicali” organizzate a Venezia da Renato Fasano (nel 1965 fra i suoi allievi figurò anche Riccardo Muti) e dal 1975 al 1981 all’Accademia di Santa Cecilia, dove già dal 1973 aveva iniziato a tenere dei corsi liberi. Segnalato fin dal febbraio 1957 da Giorgio Favaretto a Guido Chigi Saracini come possibile docente per i corsi di direzione d’orchestra dell’Accademia Chigiana di Siena, ottenne l’incarico solo nel 1966 dopo la morte del conte, chiamato da Mario Fabbri; lo mantenne con i successivi direttori artistici Luciano Alberti e Guido Turchi fino al 1985, a parte due interruzioni nelle estati 1968 e 1977. Un impegno proseguito anche dopo l’ictus che lo colpì a Copenaghen nel 1977 compromettendogli l’uso della mano destra. Fra gli altri corsi tenuti in Italia si ricordano quello del 1974 a Bologna e, su invito di Piero Farulli, i seminari alla Scuola di musica di Fiesole fra il 1981 e il 1985.
All’estero l’attività didattica lo impegnò dal 1958 al 1973 a Hilversum per le Radio unite olandesi, nel 1974 e nel 1975 a Manila, dal 1971 al Curtis Institute of Music di Philadelphia e alla Juilliard School di New York, dal 1975 al Berkshire Music Centre di Tanglewood, nel 1976 su invito di Seiji Ozawa all’accademia Tōhō di Tōkyō e dal 1981 al 1985 al Conservatoire national supérieur de musique di Parigi. Partecipò come giurato o presidente di giuria ad alcuni dei maggiori concorsi internazionali di direzione d’orchestra, fra i quali il “Guido Cantelli” di Novara e il “Vittorio Gui” di Firenze, rispettivamente dal 1961 e dal 1978, il concorso della Radio olandese dal 1958 al 1973, il “Dimitri Mitropoulos” di New York nel 1964 e nel 1967, il primo concorso “Herbert von Karajan” di Berlino nel 1969 e quello istituito nel 1976 dalla Min-On Concert Association di Tōkyō.
Agli inizi del 1982 fu colpito da una forma non grave di ischemia cardiaca, che gli consentì comunque di proseguire l’intensa attività didattica, e il 19 giugno dello stesso anno la RAI gli rese omaggio con un concerto diretto da alcuni suoi allievi al Foro italico di Roma. Si riprese anche dall’infarto che lo colpì nella primavera di tre anni dopo mentre teneva un corso al conservatorio di Parigi. Il 1° settembre 1985 a Venezia ricevette, insieme a Gianandrea Gavazzeni, il premio “Una vita per la musica”, ma la forte emozione ne aggravò le già precarie condizioni.
Cinque giorni dopo a Firenze, dove si era recato per far parte della giuria nel concorso di direzione d’orchestra intitolato a Gui, venne di nuovo còlto da infarto mentre si trovava in albergo; prontamente soccorso da un allievo, fu trasportato all’ospedale di S. Maria Nuova.
Morì la mattina del 7 settembre 1985. Fu sepolto a Roma nel cimitero monumentale del Verano.
Il prematuro abbandono dell’attività non limitò la fama internazionale di Ferrara, da molti considerato come uno dei direttori più dotati e autorevoli della sua epoca. Anche la misteriosa malattia e il precoce allontanamento dal podio, dopo la breve e folgorante carriera, contribuirono a circondarlo di un’aura leggendaria alimentata da tanti aneddoti sulle sue eccezionali capacità di orecchio e memoria, il carisma magnetico, l’eloquenza e la chiarezza del gesto, l’efficacia del lavoro svolto durante le prove, per lo più frutto di indicazioni essenziali in un’instancabile rifinitura dei dettagli. Totalmente immerso nella musica, istintivo e ipersensibile, gli difettò semmai la riflessione speculativa sulle partiture pur tanto meticolosamente studiate sotto il profilo tecnico. Nelle scelte di repertorio dei suoi concerti è impossibile individuare una direttiva estetica se non la dichiarata avversione per la musica seriale e le avanguardie del dopoguerra.
Altrettanto difficile e contraddittoria appare la ricostruzione della sua personalità di interprete attraverso la scarsa discografia. Più interessanti e indicative restano le incisioni a 78 giri degli anni Quaranta con l’orchestra della Scala e le registrazioni con l’orchestra sinfonica di Roma della RAI dei primi anni Cinquanta, che sono però condizionate da riprese del suono assai scadenti. Una notte sul Monte Calvo di Musorgskij e la sinfonia della Forza del destino di Verdi, il Waldweben dal Siegfried di Wagner, Ein Heldenleben di Strauss e la seconda suite da Daphnis et Chloé di Ravel mostrano un’eccitazione virtuosistica, un’accentuazione dei contrasti e una fantasiosa libertà di tempi e fraseggi senz’altro impressionanti. L’Ottava di Beethoven energica ed elegante registrata nel 1951 con l’orchestra di Santa Cecilia può ricordare il modello toscaniniano nonostante una scelta di tempi meno veloci, mentre le successive registrazioni in microsolco, sempre molto accurate sotto l’aspetto formale, appaiono decisamente meno personali.
A comprovarne il singolare talento di direttore e di interprete, oltre alle recensioni entusiastiche sui quotidiani dell’epoca, valgono le testimonianze di ammirazione incondizionata che gli tributarono celebri colleghi come Cantelli e Sergiu Celibidache, Karajan e Leonard Bernstein, Carlo Maria Giulini e Lorin Maazel. Allo stesso modo il suo magistero didattico fu sempre ricordato con sincera devozione dai moltissimi allievi che più o meno regolarmente frequentarono i suoi corsi, alcuni diventati famosi come Roberto Abbado, Oleg Caetani, Riccardo Chailly, Myung-Whun Chung, Massimo De Bernart, Gabriele Ferro, Andrew Davis, Gianluigi Gelmetti, Eliahu Inbal, Jesús López Cobos, Daniel Oren, Zoltán Peskó, Donato Renzetti, Claudio Scimone, Edo de Waart, Bruno Weil. Il suo insegnamento, basato sulla conoscenza profonda e sul più assoluto rispetto delle partiture, seppur privo di sistematicità metodologica, si concentrò essenzialmente sugli aspetti tecnici della direzione, alla ricerca di una perfezione avulsa da formulazioni teoriche come da indicazioni di carattere formale e stilistico. Inflessibilmente esigente, sempre disponibile e generoso quanto intollerante nei confronti dell’impreparazione e dell’approssimazione, evitò di imporre agli allievi una propria visione interpretativa, tendendo piuttosto a fare emergere la specifica natura musicale di ognuno di loro, come d’altra parte testimoniano le personalità diversissime dei tanti direttori che si sono formati alla sua scuola.
V. De Vivo, F. F.: l’attività, in Omaggio a F. F. per i suoi settanta anni, Roma 1982; L. Bellingardi, F. F. “la bacchetta magica”, in Il mondo della musica, XX, n. 3 (1982), pp. 3-7; F. Mannino, Genii... vip e gente comune, Roma 1987, pp. 31-35; A.M. Mori, Io, la vita, la musica, in La Repubblica, 31 agosto 1985; M. Mila, F. F., la bacchetta spezzata, in La Stampa, 8 settembre 1985; L. Bentivoglio, Riccardo Chailly – F. F. L’uomo fermato dal destino,in La Repubblica, 14 agosto 1997; S. Tosi, F. F. Una vita nella musica, Firenze 2005; R. Liso, F. F. Genio, dolore, ricerca, Milano 2014, con CD allegato.
Foto: collezione privata Franco Ferrara.