Roosevelt, Franklin Delano
Un grande presidente alla guida di un paese sempre più potente
Presidente degli Stati Uniti dal 1933 al 1945, Franklin Delano Roosevelt governò il proprio paese in due dei più difficili periodi della sua storia: la grande crisi economica successiva al 1929 e la Seconda guerra mondiale. Si rivelò un grande leader che portò l’America alla posizione di superpotenza e di guida dell’Occidente
Nato nel 1882 a Hyde Park, nello Stato di New York, da una famiglia assai agiata, Franklin Delano Roosevelt era cugino del presidente Theodor Roosevelt, il quale influì sulla sua decisione di dedicarsi alla vita politica, iniziata quando nel 1910 fu eletto senatore nelle file del Partito democratico. Nel 1913 fu nominato dal presidente Woodrow T. Wilson segretario aggiunto alla Marina. Un attacco di poliomielite (1921), che lo avrebbe privato dell’uso delle gambe, non piegò la sua volontà di affermazione. Nel 1928 diventò governatore dello Stato di New York, dimostrando capacità di amministratore e – dopo che la crisi economica scoppiata nel 1929 ebbe messo in ginocchio il paese – una notevole sensibilità verso gli strati sociali più deboli.
Nel 1932 sfidò il presidente repubblicano Herbert C. Hoover, accusandolo di non aver saputo affrontare la gravissima crisi economica, e fu eletto presidente. Entrato in carica nel 1933, lanciò allora la politica del New Deal («nuovo patto»), il cui duplice scopo era sia di far riacquistare fiducia in sé stesso a un popolo demoralizzato sia di avviare misure di vasto respiro per rilanciare l’economia. Ebbe maggior successo nel primo che nel secondo obiettivo.
L’iniziativa di Roosevelt in campo economico fu caratterizzata dall’intervento del governo federale, che varò misure dirette a combattere la disoccupazione, promosse imponenti lavori pubblici, pose sotto controllo i prezzi, diede sostegno ai salari degli strati più bassi, regolamentò i rapporti tra imprenditori e sindacati salvaguardando i diritti dei lavoratori, avviò una significativa legislazione sociale e limitò lo strapotere delle grandi società, le corporations. Fortemente osteggiato dai repubblicani – che giunsero ad accusarlo di portare il paese verso il socialismo, la dittatura e persino il fascismo – ma sostenuto dal consenso popolare, Roosevelt, rieletto trionfalmente nel 1936, non si lasciò intimidire. Le misure da lui prese ebbero un importante effetto di contenimento della crisi scoppiata nel 1929. Ma il superamento di questa fu reso possibile solo dalla Seconda guerra mondiale, che diede un impulso enorme alla macchina produttiva americana.
Di fronte ai conflitti che negli anni Trenta fecero precipitare in Europa e Asia il già tanto precario ordine internazionale, dapprima Roosevelt rinnovò la tradizionale linea di isolazionismo, tipica della politica estera statunitense (interrotta solo da Wilson tra il 1917 e il 1919); ma, dopo l’inizio del secondo conflitto mondiale, eletto nel 1940 presidente per la terza volta, diede un sostegno deciso e sempre più aperto alla Gran Bretagna e all’Unione Sovietica, facendo varare nel 1941 dal Congresso un vasto programma di aiuti economici e militari. In quello stesso anno firmò con il leader britannico Winston Churchill la Carta Atlantica, in cui furono fissate le basi di quella che sarebbe diventata nel 1945 l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU).
Nel dicembre 1941 l’attacco giapponese alla base di Pearl Harbor indusse gli Stati Uniti a entrare in guerra a fianco della Gran Bretagna e dell’Unione Sovietica. La gigantesca mobilitazione economica al servizio dello sforzo bellico creò le condizioni perché gli Stati Uniti uscissero definitivamente dagli effetti della crisi del 1929. Durante la guerra Roosevelt guidò il suo paese con fermezza e prese parte a importanti conferenze delle potenze alleate per definire lo stato del mondo dopo la fine del conflitto. Rieletto nel 1944, il suo fisico indebolito cedette poco prima della fine della guerra. Morì a Warm Spring, in Georgia, nel 1945, lasciando un’America in ascesa verso il ruolo di maggiore superpotenza mondiale.