Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Complessa figura di virtuoso della tastiera, compositore e intellettuale aperto agli stimoli culturali più disparati, Liszt fa del virtuosismo strumentale il mezzo privilegiato per attingere a una sfera di superiore poeticità, puntando all’ideale convergenza dei diversi linguaggi artistici. L’originale poetica, fondata sulla fusione di musica e poesia, conduce Liszt a reinterpretare le forme tradizionali, ma anche a sperimentare nuovi generi, quali il poema sinfonico e la sinfonia a programma.
Il virtuosismo “trascendentale” lisztiano
Franz Liszt si forma all’interno della tradizione viennese (nella capitale asburgica è allievo di Carl Czerny per il pianoforte e di Antonio Salieri per il contrappunto) e come Chopin è la figura perfetta di virtuoso compositore. A differenza del compositore polacco, però, Liszt si dedica a un’attività internazionale più diversificata e mostra, soprattutto, una grande apertura intellettuale, una volontà di superare i confini artistici tradizionali, accogliendo stimoli dalla natura più disparata. Tutto ciò si traduce in una maggiore varietà di interessi e in una concezione “aperta” della forma e dell’arte musicale stessa.
Nel 1823, quando ha già avviato una brillante carriera di virtuoso del pianoforte, Liszt entra in contatto col mondo parigino (nel 1824 si stabilisce nella capitale francese), dal quale ricava vivaci stimoli intellettuali. A Parigi studia composizione con Ferdinando Paër e Antonín Reicha, frequenta il mondo del teatro musicale (Rossini, Bellini, Meyerbeer) e gli esponenti di punta del romanticismo letterario (Hugo), ed è profondamente impressionato da Paganini e dalla Symphonie fantastique di Berlioz.
Prendendo le mosse dal pianismo brillante di Czerny, Liszt elabora uno stile altamente virtuosistico; nel 1831 assiste alle esibizioni parigine di Paganini e, fortemente affascinato, tenta di trasportarne l’arte e il magistero tecnico sulla tastiera.
I frutti più maturi di questa ricerca, tesa ad ampliare le possibilità sonore ed espressive del pianoforte, appaiono con i sei Studi d’esecuzione trascendente (Études d’exécution transcendante d’après Paganini, 1838), basate su altrettanti capricci del violinista italiano (nel 1851 seguiranno altri 12 Études d’exécution transcendante).
Gli Studi, alla portata di pochi virtuosi della tastiera, esercitano un influsso fondamentale sull’arte pianistica europea, superando largamente i confini della tecnica coeva. Liszt fa un uso sistematico delle ottave, anche in rapidissima successione, per enfatizzare la melodia, per ottenere poderosi effetti di crescendo dinamico e per attingere una pienezza orchestrale. Egli sfrutta inoltre la tecnica dei salti per valorizzare timbricamente i diversi registri del pianoforte e impiega indifferentemente ogni zona della tastiera per esporre la melodia, per l’accompagnamento o per passi ornamentali d’agilità. Liszt fa fiorire liberamente la melodia in ogni punto, senza limitarsi alle zone cadenzali, con figurazioni di scale e arpeggi, con rapide progressioni melodiche, passi in terze o seste e accordi a piene mani.
Culmine dell’arte pianistica lisztiana, gli Studi vengono definiti “trascendentali” perché destinati a un virtuosismo che esprime la tensione a “trascendere” i limiti della materia – cioè i limiti imposti dallo strumento e dalla tecnica pianistica – attingendo alla sfera di una superiore poeticità. Liszt aspira dunque a convertire il virtuosismo, da semplice elemento esteriore ed esibizionistico, in espressione di forza demiurgica, capace di superare tutto ciò che è meccanico e di plasmare la materia travalicando i tradizionali schemi formali. In quest’ottica, il virtuosismo trascendentale lisztiano è il mezzo che permette di superare le barriere tra musica e poesia e di cogliere le corrispondenze nascoste tra i due linguaggi, promuovendo una più ampia esperienza estetica.
Altri pezzi pianistici, che in genere richiedono doti virtuosistiche non comuni, sono le Années de pèlerinage (Anni di pellegrinaggio), tre raccolte elaborate tra il 1837 e il 1877, che costituiscono la trasposizione musicale delle esperienze di soggiorno in Italia e in Svizzera. Per queste raccolte, Liszt trae spunto dalle arti figurative (ad esempio i quadri di Raffaello), letterarie (i sonetti del Petrarca) e dalle bellezze paesaggistiche. A Pisa, contemplando il Trionfo della morte di Orcagna al Camposanto, Liszt ha l’idea di parafrasare l’antica sequenza del Dies irae: nasce così Totentanz, la Danza macabra per pianoforte e orchestra.
Fra i generi pianistici coltivati con assiduità maggiore da Liszt vi sono le trascrizioni e le fantasie (o parafrasi): Liszt ne elabora oltre 200, a partire da opere teatrali, sinfoniche o liederistiche. Si tratta di un genere alla moda, destinato all’intrattenimento brillante nei salotti aristocratici e borghesi, ma la costanza con la quale Liszt vi si applica testimonia un approccio diverso. La motivazione profonda che spinge Liszt alla frequentazione del genere, infatti, non è tanto la ricerca di un facile successo, quanto la possibilità di un esercizio creativo stimolante, volto all’esplorazione di aspetti inediti della tecnica pianistica, di nuovi effetti timbrici e di nuove leggi di organizzazione formale.
Le sue fantasie d’opera prendono spunto dai temi delle “arie favorite” per studi di bravura o per parafrasi molto libere, nelle quali il materiale di partenza non è che un semplice suggerimento (tra i compositori più frequentati, Bellini, Donizetti, Verdi e Wagner). L’intervento di Liszt sulle opere prescelte è quanto mai creativo, lontano dal gusto per l’ornamentazione frivola ed elegante in voga nei salotti, e nelle fantasie d’opera, più che in altre composizioni, Liszt esplora aspetti inediti della tecnica pianistica: ricerca effetti timbrici allusivi delle sonorità orchestrali e tenta di ricreare col pianoforte le impressioni prodotte dall’opera originale, cogliendone la tinta e il carattere dominante. Stimolante è anche l’aspetto formale: organizzare vaste composizioni secondo leggi estranee a quelle del sonatismo classico significa risolvere il problema della coerenza formale, significa ottenere organicità e coesione da materiale eterogeneo, predisponendo un accurato piano costruttivo.
A partire dal 1838 la carriera del pianista virtuoso acquista un respiro internazionale: Liszt tiene acclamati concerti in tutta Europa, ripercorrendo i successi di Paganini nelle capitali della musica. Abbandonata l’attività concertistica nel 1848, Liszt si ritira nella piccola Weimar, dove resta fino al 1861, assumendo l’incarico di maestro della cappella locale e dedicandosi soprattutto alla composizione. A Weimar, Liszt ha a disposizione un’orchestra che gli permette di sperimentare ciò che compone: sviluppa così nuove idee e nuovi generi musicali, quali la sinfonia a programma e il poema sinfonico. In questi anni, inoltre, Liszt svolge un ruolo attivo nella diffusione della musica moderna, eseguendo le opere di Schumann, Berlioz, Wagner; grazie a Liszt e ai suoi allievi, Weimar diviene il centro della cosiddetta “nuova scuola tedesca”.
L’ultima fase della vita di Liszt vede il riaccendersi dell’inclinazione religiosa: il compositore si trasferisce a Roma, dove nel 1865 prende gli ordini minori; si apre allora la stagione dei grandi brani sinfonico-corali d’ispirazione religiosa, fra i quali spiccano gli oratori La leggenda di Santa Elisabetta (Die Legende der heiligen Elisabeth, 1862) e Christus (1867). Contemporaneamente, Liszt volge i propri interessi alla storia, al canto gregoriano e in particolare a Giovanni da Palestrina. Negli oratori, nella Missa choralis, nelle composizioni religiose in generale, lo sperimentalismo e l’audace complessità armonica del linguaggio sinfonico elaborato da Liszt si coniugano con un’aspirazione nuova alla rigorosa purezza polifonica dei tempi remoti del cristianesimo.
La musica a programma e il poema sinfonico
Liszt espone le sue idee sulla musica a programma in un ampio saggio sull’Aroldo in Italia di Berlioz, pubblicato nel 1855 nella “Neue Zeitschrift für Musik”. Condividendo le idee di Schumann, che pone motivazioni poetiche alla base della creazione musicale, Liszt teorizza anzi la necessità di un “riscatto” poetico della musica strumentale che da un’idea centrale dovrebbe nascere e svilupparsi.
Da questo stretto collegamento – o meglio, da questa fusione tra musica e parola poetica – dovrebbe nascere quel rinnovamento dell’arte musicale che Liszt cerca idealmente di realizzare nei poemi sinfonici.
Il poema sinfonico, che nasce da questi presupposti, si ripropone infatti il rinnovamento del linguaggio sinfonico tradizionale: l’idea poetica – che non è semplice indicazione descrittiva – chiarisce all’ascoltatore immagini e pensieri espressi dal compositore, impedendogli interpretazioni fuorvianti, ed è il nucleo generatore, l’idea dalla quale scaturisce la composizione, ed è, al tempo stesso, il mezzo per travalicare i limiti angusti rappresentati dalle forme della tradizione. Nel poema sinfonico, perciò, gli stessi processi di ripetizione, variazione, alternanza dei motivi sono determinati dall’idea poetica e non da leggi puramente musicali.
Tramite l’unione di musica e letteratura, il poema sinfonico si ripropone di raggiungere una sfera espressiva più alta e di attuare l’idea romantica della convergenza delle arti.
A partire dall’ouverture per il Tasso (1849), Liszt chiama questo nuovo genere musicale symphonische Dichtung (poema sinfonico). In un tempo unico, ampio e con sezioni ben differenziate all’interno, il poema sinfonico si fonda su un programma letterario, teatrale o poetico, su uno spunto pittorico, su esperienze di vita personali – come le impressioni di viaggio – e presenta una serie di temi in continua trasformazione, assemblati in una forma libera, simile alla fantasia; diverso è invece il grado con cui la musica abbraccia il programma: si va dalla descrizione minuziosa a un’adesione molto generale.
Nella maggior parte dei casi, il programma è suggerito da un’opera letteraria: un’ode di Hugo per Quel che si ascolta sulla montagna (Ce qu’on entend sur la montagne, 1848-1849), il dramma di Goethe e la poesia di Byron per Tasso (1849), La furia di Prometeo (Der entfesselte Prometheus) di Herder per Prometheus (1850), di nuovo una poesia di Hugo per Mazeppa (1851), le Nuove meditazioni di Lamartine per I preludi (1854), il dramma di Shakespeare per Hamlet (1858).
Su questa strada, Liszt sperimenta anche il nuovo genere della sinfonia a programma: Eine Faust-Symphonie in drei Charakterbilden (1854-1857) è costituita da tre poemi sinfonici, tematicamente collegati, ognuno dei quali pone al centro uno dei personaggi del dramma di Goethe (Faust, Margherita, Mefistofele); Eine Symphonie zu Dantes Divina Commedia (1855-1856) è articolata in due movimenti (Inferno e Purgatorio) ed è conclusa da un coro di voci femminili che intonano il testo del Magnificat.
Le idee che spingono Liszt a sperimentare nuove forme musicali producono esiti notevolmente originali anche sul terreno delle forme tradizionali. Il superamento dei vecchi schemi passa di frequente per il principio della ciclicità, grazie al quale un unico tema circola attraverso tutti i movimenti della composizione, conferendole una superiore unità; la Sonata in Si minore per pianoforte (1852-1853) si ricollega idealmente alla Wandererphantasie (Fantasia del viandante) di Schubert, che nel finale riprende ciclicamente i temi dei movimenti precedenti. Come avviene nei poemi sinfonici, la Sonata lisztiana è articolata in quattro movimenti dal diverso carattere espressivo, fusi però in un unico movimento nel quale si può leggere il canone formale della forma-sonata; in questo schema convergono dunque sia la tradizionale ripartizione del singolo movimento di sonata (articolato in esposizione, sviluppo e ripresa), sia la suddivisione più ampia della composizione in tre o quattro movimenti. Inoltre, i temi principali – che assimilano modi teatrali e una vistosa gestualità drammatica – vengono combinati, sviluppati e ripresi in varie forme per tutta l’estensione della Sonata, in modo da stabilire una fitta rete di relazioni reciproche.
La forma ciclica tradisce la volontà di superare la forma-sonata (che è il modello più autorevole della tradizione classica), assumendone in linea di massima lo schema ma rinnovandolo su nuove basi. La continuità e l’organicità del discorso, infatti, in questo caso non sono assicurate dall’armonia cadenzale o dalla dialettica delle funzioni tonali, bensì dai processi di trasformazione e di metamorfosi, grazie ai quali un tema si può ripresentare in forme mutate per carattere, fisionomia, funzione strutturale.
Il rinnovamento delle strutture formali ereditate dalla tradizione classico-romantica non è il meno importante degli aspetti che rivelano, in Liszt, il seguace di quella tendenza “progressiva” che aveva avuto in Schumann uno dei suoi alfieri principali. Ma sono soprattutto l’ampiezza e l’importanza della sua produzione artistica, l’attività di critico militante, la personalità spiccata che sa imporre idee e scelte artistiche innovative a spiegare l’influsso enorme – paragonabile solo a quello wagneriano – esercitato da Liszt sull’arte e la cultura europee del secondo Ottocento.