oggettive, frasi
Le frasi oggettive (dette anche semplicemente oggettive) sono frasi subordinate di tipo argomentale (➔ sintassi, ➔ subordinate, frasi) corrispondenti al complemento oggetto (1) del verbo della frase reggente (detta anche frase matrice). Possono presentarsi sia in forma esplicita, cioè con verbo di modo finito (2) sia in forma implicita, col verbo all’infinito, con o senza un complementatore (3):
(1) Mario capisce [ogni cosa] oggetto
(2) Mario capisce [che la sua vita è giunta alla fine] frase
(3) a. Mario vede [la vita sfuggirgli] frase
b. Mario pensa [di partire] frase
Insieme alle frasi soggettive (➔ soggettive, frasi) e alle ➔ interrogative indirette, le oggettive formano la classe delle frasi completive (➔ completive, frasi), così denominate perché sono subordinate che ‘completano’ la valenza del verbo della frase matrice, cioè si comportano come ➔ complementi.
La loro realizzazione è normalmente richiesta per completare la semantica del verbo reggente: se sono omesse, l’insieme può risultare incompleto e inaccettabile, oppure il verbo reggente può avere un significato peculiare: ad es., se da (2) si cancella il complemento oggetto, l’enunciato (4):
(4) Mario capisce
significa che «Mario è una persona in grado di capire, una persona intelligente»; analogamente se in (3 a.) si elimina il complemento, abbiamo (5):
(5) Mario vede
che significa che «Mario è vedente» (invece che non vedente), oppure, in un uso tipico del gioco del poker, che «Mario fa una mossa specifica del gioco» (la richiesta a un altro giocatore di dichiarare quali carte ha in mano).
Le frasi oggettive possono anche trovarsi in dipendenza da nomi (6-7) e aggettivi (8-9):
(6) l’idea di non trovarli a casa mi spaventa
(7) aveva la sensazione che tutto fosse inutile
(8) Mario è contento che tu sia arrivato
(9) Mario è ansioso di partire.
Quanto alla griglia argomentale, i verbi della frase matrice hanno per soggetto un costituente rappresentante un essere umano e per oggetto un costituente rappresentante un processo:
(10) il bambino teme di essere rimproverato
La maggior parte delle frasi oggettive è retta da verbi che appartengono alla sfera delle attività percettive, cognitive e in genere psicologiche (➔ psicologici, verbi), in senso tanto letterale (come dire, pensare, immaginare, ritenere, temere, ecc.) quanto metaforico (brontolare, sibilare, grugnire, ecc.). È possibile classificare tali verbi in gruppi come i seguenti:
(a) verbi che denotano attività enunciative (i cosiddetti ➔ verba dicendi: dire, affermare, proclamare, comunicare, informare, raccontare, negare, scrivere):
(11) Giovanni racconta che sua sorella si è sposata
(b) verbi di opinione, giudizio e conoscenza (i cosiddetti verba putandi o sentiendi: supporre, ipotizzare, giudicare, credere, pensare, ritenere, immaginare, essere consapevole, sapere, apprendere, imparare, ecc.):
(12) Giovanni prevede che sarà promosso
(c) verbi di percezione (vedere, sentire, udire, percepire, accorgersi, ricordare, dimenticare, ecc.):
(13) Giovanni si accorse che lo odiavano tutti
(d) verbi di stato d’animo, denotanti emozioni e sentimenti (rallegrarsi, rammaricarsi, vergognarsi, gioire, dolersi, spaventarsi, temere, desiderare, augurarsi, meravigliarsi, preoccuparsi, ecc.):
(14) Giovanni si rallegra di rivedermi
(e) verbi di volontà e comando (detti anche volitivi e iussivi: volere, comandare, ordinare, proibire, esigere, concedere, consentire, vietare, proibire, permettere, imporre, ingiungere, suggerire, intimare, ecc.):
(15) Giovanni ordina che tutti escano dalla stanza
(f) verbi che indicano tentativo o inizio e conclusione (si costruiscono solo con l’infinitiva: cercare, provare, tentare, iniziare, cominciare, finire, terminare, sforzarsi, impegnarsi; ➔ fraseologici, verbi):
(16) Giovanni cerca [o si offre] di convincermi
Un gruppo a parte è costituito dai verbi cosiddetti performativi, che hanno una particolarità importante (➔ verbi): nel momento in cui vengono enunciati, non descrivono bensì realizzano l’evento: prometto, ordino, intimo, proibisco, incito, consiglio, suggerisco.
Benché, come si è detto, la frase oggettiva corrisponda al complemento oggetto della frase nucleare (➔ frasi nucleari) equivalente, tra i verbi che introducono una frase oggettiva ci possono anche essere verbi intransitivi, come accorgersi (13), rallegrarsi (14) e offrirsi (16). Alcuni hanno pertanto proposto di analizzare i verbi che reggono l’oggettiva secondo la transitività e la compatibilità con il modo esplicito o implicito.
Avremmo così oggettive introdotte da verbi causativi (fare, lasciare: lascia che entri), oggettive introdotte da verbi transitivi con costrutto sia esplicito sia implicito, da verbi intransitivi seguiti da costrutto sia esplicito sia implicito, da verbi transitivi seguiti solo dal costrutto implicito e da verbi intransitivi seguiti solo dal costrutto implicito.
2.3.1 Oggettive esplicite. I modi della frase oggettiva esplicita sono l’➔indicativo, il ➔ congiuntivo e il ➔ condizionale. La scelta del modo serve soprattutto a mettere in relazione l’evento della subordinata con quello della frase matrice secondo diverse possibilità: relazioni di contemporaneità al presente (17) o al passato (18), anteriorità al presente (19) o al passato (20), posteriorità al presente (21) o al passato (22):
(17) vedo che sei felice
(18) capivo che eri felice
(19) vedo che sei stato al mare
(20) non capivo se avessi visto la partita in TV
(21) penso che partirò domani
(22) pensavo che avresti detto la verità
La scelta del modo serve anche a presentare il contenuto della subordinata come certo o reale (indicativo) (23; sull’accettabilità dell’indicativo dopo i verba putandi si veda oltre), ipotetico o non reale (congiuntivo) (24), possibile o eventuale (condizionale) (25):
(23) Mario è convinto che tu sei un ottimo cuoco
(24) Mario è convinto che tu sia un ottimo cuoco
(25) Mario è convinto che tu saresti un ottimo cuoco
In italiano contemporaneo, però, nelle oggettive che ricorrono dopo i verbi di opinione la scelta dell’indicativo (26 a.) invece del congiuntivo (26 b.) segnala che siamo in un registro più colloquiale (➔ colloquiale, lingua):
(26) a. mi pare che avete fame
b. mi pare che abbiate fame
Secondo Serianni (1989: 555), l’uso dell’indicativo al posto del congiuntivo dipenderebbe anche dall’omonimia delle tre forme singolari del congiuntivo presente, per evitare la quale il congiuntivo si specializzerebbe per la terza persona e l’indicativo per la seconda, sia per evitare l’ambiguità delle tre forme sia per evitare di esprimere il pronome soggetto. In altri termini, le frasi in (27):
(27) a. credo che abbia ragione
b. credo che sappia tutto
sono usate per la terza persona, mentre per la seconda si preferisce l’indicativo:
(28) a. credo che (tu) hai
b. credo che (tu) sai
Tra le oggettive esplicite, quelle al congiuntivo sono più strettamente legate alla frase matrice, come appare dal fatto che è possibile omettere il complementatore (29), cosa invece interdetta con le oggettive all’indicativo e al condizionale (30):
(29) Mario crede (che) tu sia un ottimo cuoco
(30) *Mario crede tu sei / tu saresti un ottimo cuoco
In molti casi, però, la scelta tra indicativo e congiuntivo è determinata dal significato del verbo reggente. Alcuni verbi selezionano solo l’indicativo, altri solo il congiuntivo; con altri infine, che possono alternare i due modi, la scelta dell’uno o dell’altro comporta differenze nel significato del verbo. In particolare:
(a) i verbi seguiti preferibilmente dal congiuntivo sono i verbi di volontà, di giudizio, di stato d’animo e di aspettativa (desidero, spero, temo, sospetto, ecc.):
(31) spero che tu ottenga quel che desideri
(b) i verbi di percezione sono preferibilmente seguiti dall’indicativo:
(32) vedo che siete arrivati bene
(c) tra quelli che possono selezionare entrambi i modi ci sono verbi come decidere, pensare, badare, ammettere, considerare, credere, ecc.:
(33) credo che Mario è dei nostri [= «sono certo»]
(34) credo che a quell’ora tu non sia in casa [= «suppongo, ipotizzo»].
2.3.2 Oggettive implicite. Il modo implicito dell’oggettiva è l’infinito. L’infinito presente è usato per designare eventi contemporanei o posteriori all’evento espresso dalla principale (35), l’infinito passato esprime anteriorità dell’evento della frase oggettiva rispetto a quello della frase matrice (36):
(35) Mario sa di arrivare in ritardo
(36) Mario sa di aver sbagliato
L’alternanza tra oggettiva esplicita e oggettiva implicita è regolata da diversi criteri. In genere il costrutto implicito (37) è (come sempre nella sintassi della subordinazione) preferito a quello esplicito (38) quando c’è coincidenza di soggetti tra frase principale e oggettiva:
(37) Mario teme che arriverà in ritardo
(38) Mario teme di arrivare in ritardo
Se in questo contesto si rileva l’uso dei modi espliciti, ciò può servire a dare maggiore rilievo informativo all’oggettiva:
(39) io le dico che ho bisogno d’attaccarmi con l’immaginazione alla vita altrui (Luigi Pirandello, L’uomo dal fiore in bocca, III, 12, cit. in Serianni 1989: 549)
Il modo esplicito e quello implicito possono anche alternarsi nella coordinazione di due oggettive:
(40) temo di essere in ritardo e che la festa sia già iniziata
Nel caso in cui il soggetto della subordinata sia diverso da quella della principale, alcuni verbi bloccano la formazione dell’infinitiva (➔ infinitive, frasi). L’infinitiva che si forma (41 b.) è grammaticale, ma non costituisce adeguata parafrasi della corrispondente frase esplicita (41 a.), bensì ha la stessa interpretazione di (37):
(41) a. Mario teme che tu arriverai in ritardo
b. *Mario teme di arrivare in ritardo
I verbi volitivi al contrario ammettono la formazione dell’infinitiva solo se il soggetto di questa è diverso da quello della frase matrice. Le restrizioni sulla realizzazione della frase infinitiva dipendono dalla semantica del verbo, dato che verbi di ordinare, permettere, proibire, ecc., richiedono un partecipante esterno a cui il soggetto ordina, permette, proibisce qualcosa:
(42) Mario ordina che tutti escano → Mario ordina a tutti di uscire
(43) *Mario ordina che Mario esca → *Mario ordina (a sé stesso) di uscire
Infine, con i verbi di percezione è possibile solo l’infinitiva col soggetto identico all’oggetto della frase matrice:
(44) vedo Gianni saltare di gioia [cioè, è Gianni che salta]
(45) sento gli uccellini cantare [cioè, sono gli uccellini che cantano]
Casi come sento di farcela, in cui il soggetto dell’infinitiva coincide col soggetto della frase matrice, non costituiscono un contresempio a quanto detto, perché si tratta di un uso di verbo percettivo che denota un processo cognitivo: sento in questo caso significa infatti «capisco, mi accorgo».
2.3.3 Aspetti diacronici. L’infinitiva dopo i verbi di percezione (➔ percezione, verbi di) rispecchia il costrutto latino dell’➔accusativo con l’infinito. Il costrutto italiano si usa solo per denotare stati percettivi concernenti processi in corso (46), mentre per la percezione di fatti questo costrutto non è utilizzato (47-48):
(46) ho visto Mario venire via di corsa da casa tua
(47) *ho sentito molti italiani non andare a votare
(48) ho sentito che molti italiani non andranno a votare
Nel contesto di percezione di processi in corso, come nell’oggettiva di (46), in latino non si sarebbe avuta un’infinitiva con l’accusativo bensì il participio presente (49), in cui la percezione va intesa come percezione diretta (e non riportata) dell’evento da parte dell’esperiente (48, cit. da Salvi & Vanelli 2004):
(49) hinc ex hisce aedibus paulo prius vidi exeuntem mulierem «ho visto una donna uscire [lett. «una donna uscente»] poco fa da questo tempio» (Plauto, Cistellaria, 546)
Il costrutto di percezione italiano non dà luogo a un costituente unico (accusativo + infinito) come in latino: il costituente oggetto è l’oggetto del verbo di percezione rispetto a cui l’infinito resta una frase subordinata predicativa che può anche essere sostituita da una frase di modo finito (50) (vedi oltre per altri aspetti della costruzione percettiva):
(50) vedo Mario che viene di corsa da casa tua
Il costrutto italiano dell’infinito con verbi percettivi, dunque, più che costituire una continuazione dell’accusativo con infinito latino, è un esempio di estensione dell’uso dell’infinito romanzo a un contesto in cui il latino aveva invece il participio presente. Nella lingua antica e letteraria si registra un uso più esteso dell’accusativo con infinito in frase oggettiva, cioè anche dopo verbi che non siano di percezione (51):
(51) non dubitando esser la faccenda ormai sistemata (Elsa Morante, Menzogna e sortilegio, cit. in Skytte 1978: 287)
(52) sappiamo esserci un diffuso malcontento
(53) affermano non sapere nulla di quel che è successo.
Più in generale la lingua letteraria e formale (per es., il linguaggio giuridico e amministrativo; ➔ giuridico-amministrativo, linguaggio) ammette l’espressione del soggetto nell’infinitiva oggettiva (54), che è comunque sentita come burocratica e artificiosa:
(54) ribadiva essere essenziale in Marx “una concezione volontaristica e critico-pratica della storia” (Eugenio Garin, cit. in Salvi & Vanelli 2004: 242).
La possibilità di formare un’infinitiva oggettiva con soggetto espresso e diverso da quello della frase matrice è anche collegata alla ➔ variazione diatopica. Infatti nell’➔italiano regionale, soprattutto delle aree meridionali, si registra un’infinitiva con soggetto espresso diverso da quello della frase matrice e con verbi che non siano verbi di percezione o di volizione, come nell’es. (55), di area campana (Rohlfs 1969: 98, nota 1):
(55) lo stesso autore opina di potersi spiegare [= che si possa spiegare] il moto moleculare mediante la materia grigia (Romanelli, 38) (Rohlfs 1969: 98, nota 1)
Le oggettive introdotte dai verbi fare e lasciare (con i quali formano le costruzioni causative; ➔ causativa, costruzione) sono compatibili sia con la forma implicita sia con quella esplicita. In qualche caso però si è cristallizzata solo una delle due possibilità: ad es., dopo lasciare si ha spesso l’infinito e l’intera formazione risultante ha un valore semantico specifico: lasciar stare o lasciar perdere «non dare importanza a qualcosa»; con fare talvolta il costrutto esplicito ha una semantica consecutiva (56; ➔ consecutive, frasi):
(56) ancora paghi Internet? Fai che sia Internet a pagare te!
La frase oggettiva esplicita è introdotta dal complementatore generico che (57; che ha equivalenti in tutte le lingue romanze); l’implicita all’infinito può essere introdotta sia da di (58) sia da una marca zero (59):
(57) Mario crede che la vita sia un gioco
(58) Mario pensa di essere felice
(59) Mario desidera [o preferisce, ecc.] andare al mare
L’omissione del complementatore è possibile anche nella frase esplicita, come in (60):
(60) penso tu sia in grado di pensare con la tua testa
L’omissione del complementatore che sembra favorita quando la frase reggente è a sua volta una subordinata introdotta da che (61) oppure quando l’oggettiva a sua volta regge una subordinata (anche una relativa) introdotta da che (62). Nei casi di omissione del complementatore si trova spesso il congiuntivo:
(61) Giovanni, che non crede (che) tu sia sincera, ha verificato le tue dichiarazioni
(62) Giovanni teme (che) sia inutile la lotta che stiamo mettendo in atto
L’omissione del complementatore nelle oggettive è un tratto condiviso con altre lingue europee come l’inglese e il tedesco (si veda ad es. l’ingl. I wish (that) you were here «vorrei che fossi qui»). Tale uso è ben attestato anche in ➔ italiano antico:
(63) pensando tanto m’amava (Anonimo, cit. in Dardano 1969: 272, n. 375)
Se all’omissione del complementatore si aggiunge l’ellissi dell’ausiliare, si crea un tipico costrutto di frase oggettiva al ➔ participio passato (si tratta delle cosiddette frasi ridotte, ingl. small clauses). Tale uso ancora una volta ricorre tipicamente in registri alti:
(64) a. dichiaro aperta la seduta
b. considero la questione chiusa
c. ritengo bocciata la proposta
La presenza del di come marca dell’infinito dopo il verbo è stata variamente spiegata. Secondo Rohlfs (1969: 98), essa è collegata alla possibilità propria dell’italiano antico di introdurre il complemento oggetto anche con la preposizione di: decideva della partenza, bramava del titolo, sperava della vittoria. «Il significato di di par dunque essere “quanto a”, cfr. lo favellatore restò di favolare “s’arrestò quanto al raccontare” (Novellino, 31)» (Rohlfs 1969: 99).
Nei dialetti meridionali l’infinitiva retta dai verbi di percezione può essere introdotta da di, a differenza di quanto avviene in italiano. Si veda il seguente es. barese:
(65) [məˈsɛnd dəˈfɔtːə] lett. «mi sento di fottere» cioè «mi sento fottere, preso in giro»
Nell’evoluzione storica della lingua italiana la presenza o assenza della marca di può aver subito dei cambiamenti, sicché verbi che in italiano antico non erano seguiti da di oggi hanno obbligatoriamente la preposizione:
(66) tanto che me parve allora vedere tutti li termini [«toccare l’estremo»] de la beatitudine (Dante, Vita nova III, 1)
Nello stile burocratico (➔ burocratese), del resto, l’omissione di di non è infrequente:
(67) pregasi restituire prontamente il modulo firmato.
Come si è già visto, la classe semantica del verbo della frase matrice influenza in vario modo la realizzazione dell’oggettiva (➔ verbi). In particolare il verbo reggente può interferire con la scelta del modo (indicativo o congiuntivo) nella forma esplicita e può bloccare o no la formazione di una frase implicita all’infinito.
Nel caso delle oggettive implicite, l’assegnazione del soggetto è regolata da un meccanismo denominato controllo. Questo termine si riferisce al fatto che l’assegnazione del ruolo di soggetto dell’oggettiva implicita può essere controllata (cioè determinata) o dal soggetto o dall’oggetto o da un complemento indiretto del verbo reggente, e che ciò dipende dalla semantica del verbo.
La differenza fondamentale è tra verbi che esprimono atteggiamenti coinvolgenti solo il soggetto (credo, spero, dubito) e verbi che esprimono atteggiamenti che si ripercuotono sugli interlocutori (ordino, proibisco, consiglio, impedisco). Si hanno su questa base i seguenti gruppi:
(a) verbi a controllo del soggetto, con i quali il soggetto della frase reggente coincide con quello dell’infinitiva (68): spero, prometto, minaccio, ecc.:
(68) Mario promette di andarsene [= chi va via è Mario]
(b) verbi a controllo dell’oggetto: è l’oggetto della frase matrice a coincidere col soggetto dell’infinitiva (69). Sono di questo tipo verbi come prego, imploro, ecc., e i verbi percettivi (vedi sotto):
(69) Mario implora Giulia di andarsene [= chi va via è Giulia]
(c) verbi a controllo dell’oggetto indiretto: è l’oggetto indiretto della frase matrice a coincidere col soggetto dell’infinitiva. Sono di questo tipo verbi come ordino, consiglio, suggerisco, ecc.:
(70) Mario intima a Giulia di andarsene [= chi va via è Giulia]
Se si trasformano le oggettive implicite nelle corrispondenti esplicite, il costituente che esercita il controllo può anche apparire nella subordinata oggettiva invece che nella frase matrice:
(71) Mario promette che (egli) se ne andrà
(72) Mario implora che Giulia se ne vada
(73) Mario intima che Giulia se ne vada
La costruzione percettiva (74), costituita dal verbo di percezione (➔ percezione, verbi di) e dall’infinitiva, rientra tra i casi in cui il controllo è esercitato dall’oggetto. Le costruzioni introdotte da verbi di percezione possono anche essere realizzate in forma esplicita, nel qual caso prendono il nome di frasi pseudorelative (75):
(74) Mario vede Paolo arrivare con sua sorella
(75) Mario vede Paolo che arriva con sua sorella
La pronominalizzazione dell’oggetto nel caso delle costruzioni percettive (76-77) evidenzia come il sintagma nominale Paolo sia soltanto l’oggetto diretto del verbo di percezione e come la frase dipendente sia una subordinata a sé stante:
(76) Mario lo vede arrivare con sua sorella
(77) Mario lo vede che arriva con sua sorella
Le pseudorelative non sono vere frasi relative (➔ relative, frasi): infatti con queste ultime la pronominalizzazione ingloba tutto il sintagma nominale complesso modificato dalla relativa:
(78) a. Mario saluta [il ragazzo che arriva con sua sorella]
sintagma nominale complesso
b. Mario lo saluta
c. *Mario lo saluta che arriva con sua sorella
Dardano, Maurizio (1969), Lingua e tecnica narrativa nel Duecento, Roma, Bulzoni.
Rohlfs, Gerhard (1969), Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, 1966-1969, 3 voll., vol. 3º (Sintassi e formazione delle parole; 1a ed. Historische Grammatik der italienischen Sprache und ihrer Mundarten, Bern, Francke, 1949-1954, vol. 3º, Syntax und Wortbildung).
Salvi, Giampaolo & Vanelli, Laura (2004), Nuova grammatica italiana, Bologna, il Mulino.
Serianni, Luca (1989), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.
Skytte, Gunver (1978), Il cosiddetto costrutto dotto di accusativo con l’infinito in italiano moderno, «Studi di grammatica italiana» 7, pp. 281-315.