temporali, frasi
Le frasi temporali (dette anche, semplicemente, temporali) sono frasi subordinate (➔ subordinate, frasi) che permettono di collocare nel tempo il processo espresso dalla frase principale, instaurando un rapporto temporale tra questo e l’evento che esse esprimono. I rapporti che si possono stabilire tra il tempo indicato dalla principale e quello indicato dalla subordinata sono di tre tipi: anteriorità, simultaneità, posteriorità.
A seconda della forma del verbo della frase temporale (➔ modi del verbo) possiamo distinguere frasi temporali esplicite (con verbo di modo finito) e implicite (con verbo di modo non finito).
Quando codificano la contemporaneità (l’azione espressa dalla subordinata è contemporanea a quella della principale), le temporali esplicite sono introdotte dalle ➔ congiunzioni mentre, quando, come o da locuzioni congiuntive come nel momento in cui, al tempo in cui; la forma verbale è all’➔indicativo:
(1) ancor non era sua bocca richiusa,
quando una donna apparve (Dante, Purg. XIX, 25-26)
(2) come libero fui da tutte quante
quell’ombre, io cominciai (ibid. VI, 25-26)
(3) Un pomeriggio di marzo, mentre ero impegnato a studiare un ricorso che avrei dovuto discutere il giorno dopo in cassazione, Sabino Fornelli mi chiamò (Gianrico Carofiglio, Le perfezioni provvisorie, Palermo, Sellerio, 2010, p. 9)
(4) Mi accingevo a fare ricorso per cassazione contro questa bislacca interpretazione della legge penale, quando i genitori vennero a trovarmi (ivi, pp. 102-103)
Letteraria e desueta è la forma allorché (in antico anche in due parole: allor che), nell’➔italiano antico allotta che:
(5) [...] com’è nostro uso
di fare allor che fori alcun si mette (Dante, Inf. XXII, 104-105)
(6) allotta che eo mi partivi […] la bella guardò inver mevi (Giacomino Pugliese, La dolce ciera piagente)
Se introdotte da mentre o quando, le frasi temporali possono avere valore avversativo, soluzione che si trova già in italiano antico (8):
(7) suo figlio ha interrotto gli studi, quando / mentre tutti gli dicevano di continuare
(8) Deh! Perché non prendo io del piacer quando io ne posso avere? (Boccaccio, Dec. I, 4, 15)
In quest’ultimo caso, la forma verbale può essere anche al condizionale:
(9) Giuseppe vuole che ci mettiamo in ghingheri, mentre /quando io mi vestirei sempre come capita
Frasi temporali esprimenti contemporaneità possono anch’essere introdotte da che, sia nel registro informale (10; nel qual caso rappresenta uno degli usi del ➔ che polivalente) sia nella lingua letteraria (11):
(10) siamo rientrati a casa che ancora nevicava
(11) la luna è nata che le stelle in cielo declinano (Umberto Saba, “Meditazioni”, in Canzoniere, Torino, Einaudi, 2004)
Tale uso si trova già in Dante, ove il che temporale ha due significati: «quando» (12) e «quand’ecco che, ed ecco che» (13):
(12) Di poco era di me la carne nuda,
ch’ella [«da quando»] mi fece intrar dentr’a quel muro (Dante, Inf. IX, 25-26)
(13) Quant’è che tu venisti a piè del monte
per le lontane acque? (Dante, Purg. VIII, 56-57)
La contemporaneità può anche esser parziale (Salvi & Vanelli 2004): le frasi temporali introdotte da finché, fino a che, fin quando, fino a quando, fin tanto che in forma esplicita e da fino a in forma implicita indicano contemporaneità tra la fine dell’azione espressa dalla frase principale e il momento o la fine dell’azione espressa dalla frase temporale:
(14) Questi la caccerà per ogne villa,
fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno,
là onde ’nvidia prima dipartilla (Dante, Inf. I, 109-111)
Interessante è la locuzione fine ad tenpu co, che si ritrova già nella Carta Fabrianese (➔ origini, lingua delle):
(15) post abeatis et teneatis et lugratis ad uso de bonu pingnu, fine ad tenpu co isto pingnu arcoltum fuis
Le temporali introdotte da da, da che (più spesso dacché), da quando esprimono coincidenza tra il momento d’inizio dell’azione della principale e quello dell’azione della temporale:
(16) [...] tanto Amor m’avvezza
con un martiro e con una dolcezza,
quanto è quel tempo che spesso mi pugne,
che dura da ch’io perdo la sua vista
in fino al tempo ch’ella si racquista (Dante, Rime XCI, 76-80)
Nelle forme implicite invece, il verbo, all’infinito, è preceduto dalla preposizione nel o dalla locuzione al momento di; ancora, le temporali implicite possono essere espresse con il ➔ gerundio:
(17) «Ce n’è tanto nella padella, tesoruccio» disse zia Petunia, posando uno sguardo [«mentre posava uno sguardo»] tenero sul suo grasso figliolo (Joanne K. Rowling, Harry Potter e la camera dei segreti, trad. it. di M. Astrologo, Milano, Salani, 1999, p. 5)
Si tratta di un costrutto diffuso anche in altre lingue romanze:
(18) francese Il n’y en a dans la poêle, mon trésor adoré, dit la tante Pétunia en tournant un regard embué vers son énorme fils (Harry Potter et la chambre des secrets, Paris, Gallimard Jeunesse, 1999, p. 6)
(19) portoghese Há mais na frigideira, fofinho – disse a tia Petúnia, lançando um olhar vago ao seu filho compacto (Harry Potter e a câmara dos segredos, Lisboa, Presença, 2000, p. 9)
(20) spagnolo Queda más en la sartén, ricura – dijo tía Petunia, volviendo los ojos a su robusto hijo (Harry Potter y la cámara secreta, Barcelona, Salamandra, 2007, p. 9)
(21) catalano N’hi ha més a la paella, rei – va dir la tieta Petúnia mirant-se el seu immens fill amb ulls plorosos (Harry Potter i la cambra secreta, Barcelona, Salamandra, 2006, p. 7)
Il tempo del ➔ gerundio è legato al tempo del verbo della principale; il gerundio semplice esprime contemporaneità, il gerundio composto anteriorità:
(22) Uscendo per strada, con movimento studiato, mi tirai su il bavero dell’impermeabile, anche se non ce n’era nessun bisogno (Carofiglio, cit., p. 75)
(23) Uno mercatante che recava berette, sì li si bagnaro; e avendole tese, sì v’aparìo molte scimie, e catuna si ne mise una in capo (Novellino XCVIII)
Tuttavia, in particolari contesti, dipendenti da valori aspettuali e azionali, il gerundio semplice può indicare posteriorità rispetto alla principale:
(24) Il ladro ha rubato i gioielli scappando poi dalla finestra
In (24) la frase gerundiva può essere resa con una frase coordinata (ed è scappato dalla finestra). Tale costrutto si trovava già nell’italiano antico:
(25) Solo messer Goccia e messer Bindo Adimari, e loro fratelli e figliuoli, vennono al palagio; e non venendo altra gente, ritornorono alle loro case, rimanendo la piaza abandonata (Dino Compagni, Cronica II, 19, p. 169, rr. 24-26).
Il primo gerundio di (25) (venendo) ha valore causale, il secondo (rimanendo) temporale. Solarino (1996) parla di gerundio di coordinazione (cfr. già Renzi, Salvi & Cardinaletti 1991).
Per quanto riguarda l’espressione della posteriorità (l’azione espressa dalla subordinata è posteriore a quella della reggente), nelle temporali esplicite si utilizza la locuzione congiuntiva prima che; il verbo è al congiuntivo presente se nella principale c’è un tempo presente o futuro, al congiuntivo imperfetto se nella principale c’è un tempo passato (➔ concordanza dei tempi).
L’uso del congiuntivo si spiega con il fatto che la frase temporale, indicando un evento successivo a quello codificato dalla principale, ne è condizionata e ha un valore di mera ipotesi:
(26) Prima che riuscissi a intercettarla, una sensazione di purissima e imbecille vanità mi attraversò tutto (Carofiglio, cit., p. 111)
In italiano antico tali temporali potevano essere introdotte da avanti che, pria che:
(27) avanti che la proda ti si lasci veder,
tu sarai sazio (Dante, Inf. VIII, 55-56)
(28) pria […]
che venisse colui che la gran preda
levò a Dite (ibid. XII, 37-39)
La posteriorità nelle frasi temporali implicite è invece espressa attraverso la locuzione prima di con infinito presente:
(29) Avevo bisogno di far svaporare gli umori cattivi e tristi, prima di andare a dormire (Carofiglio, cit., p. 47).
Nel caso dell’espressione dell’anteriorità (l’azione espressa dalla subordinata è anteriore a quella della reggente), le frasi temporali esplicite sono introdotte da dopo che e il verbo è generalmente all’indicativo, tranne quando si voglia esprimere una sfumatura di eventualità, nel qual caso si usa il congiuntivo.
In italiano antico si possono incontrare le forme poiché e poscia che:
(30) Poscia che fummo al quarto dì venuti,
Gaddo mi si gettò disteso a’ piedi (Dante, Inf. XXXIII, 67-68)
In forma implicita le frasi temporali esprimenti anteriorità possono avere la struttura dopo + infinito passato, o una volta + participio passato, oppure servirsi della costruzione, di origine latina, del participio assoluto (➔ assolute, strutture):
(31) Dopo averli accompagnati alla porta rientrai nella mia stanza, attraversando lo studio buio e deserto (Carofiglio, cit., p. 46)
(32) Terminata l’udienza preliminare per le truffe INPS, sgomberata l’aula, riposti gli auricolari, arrivò il nostro turno (ivi, p. 105)
Va ricordata anche la costruzione participio passato + che + verbo ausiliare, che rappresenta una sorta di compromesso tra la costruzione assoluta e la subordinata esplicita:
(33) Noi la troveremo per certo, per ciò che io la conosco; e trovata che noi l’avremo, che avrem noi a fare altro se non mettercela nella scarsella (Boccaccio, Dec. VIII, 3, 29)
Tale costrutto, oggi tipico del registro colto, era molto frequente nella prosa di ➔ Niccolò Machiavelli:
(34)
a. privato che ne fia ... (Il Principe III, 3, 8)
b. superati che gli hanno ... (ibid. VI, 25, 37)
c. presa che ebbe il duca la Romagna ... (ibid. VII, 24, 45)
L’anteriorità può anche essere espressa da appena (35), in italiano antico anche da tosto che, ratto che (36-37):
(35) appena la raggiungerò, la informerò
(36) tosto che questo mio signor
mi disse parole (Dante, Inf. XVI, 55-56)
(37) si levò ratto ch’ella ci vide
passarsi davante (ibid. VI, 38-39).
Le relazioni temporali possono anche essere codificate da relative con testa nominale (➔ relative, frasi); anche in questo caso si distinguono rapporti di contemporaneità, anteriorità e posteriorità.
La contemporaneità è espressa da relative la cui testa è un elemento indicante misura di tempo, come giorno, momento, attimo, ecc.:
(38) Voglio chiederle invece: nel momento in cui ha aperto il gas, lei era intenzionato a uccidere qualcun altro? (Carofiglio, cit., p. 107)
Hanno valore temporale anche le frasi introdotte da che preceduto, per la contemporaneità, da espressioni come adesso, ora, tutte le volte/ogni volta, per l’anteriorità da il giorno dopo, per la posteriorità da il giorno prima, ecc. Questo costrutto è diffuso in tutte le lingue romanze (Herman 1963: 145 segg.):
(39) L’ora ch’io vidi voi, donna sovrana,
innamorato sono sì feramente (Chiaro Davanzati)
Si può notare come la citata congiunzione allorché (§2) possa essere considerata l’esito di un processo di ➔ grammaticalizzazione di una struttura del tipo di: all’ora che.
Alcuni degli elementi che introducono le frasi temporali (congiunzioni, locuzioni congiuntive, ecc.) possono assumere significato avversativo, causale, concessivo. In particolare è spesso attestato, anche in altre lingue, lo slittamento da valore temporale a valore causale: infatti, due eventi che sono menzionati insieme come simultanei o vicini nel tempo sono spesso considerati connessi causalmente (principio denominato post hoc ergo propter hoc «dopo di ciò, dunque a causa di ciò»).
Un caso emblematico di questi slittamenti semantici è rappresentato dalla congiunzione causale poiché, il cui originario valore temporale (poi che) è oggi andato perduto:
(40) poi che la carità del natio loco mi strinse, radunai … (Dante, Inf. XIV, 1-2)
Tale uso si trova solo come preziosismo arcaicizzante in testi letterari:
(41) Ella, poi che fu libera, adunò tutti i vasi sparsi per la casa (Gabriele D’Annunzio, Il piacere, Milano, Principato, p. 123)
In alcuni casi è possibile individuare una certa somiglianza tra relazioni temporali e condizionali. In (42) la frase si può parafrasare così: «se anche tu lo vuoi, io voglio porre fine alle tue angosce»:
(42) Io voglio alle tue angosce, quando tu medesimo vogli, porre fine (Boccaccio, Dec. II, 6, 50)
In (43) quando potrebbe essere facilmente sostituito da se o poiché:
(43) Salabaetto mio, ben conosco che il tuo è vero e perfetto amore verso di me, quando, senza aspettar d’esser richiesto di così gran quantità di moneta, in così fatto bisogno liberamente mi sovvieni (Boccaccio, Dec. VIII, 10, 35)
Da un punto di vista diacronico, il sistema delle congiunzioni temporali italiano è più ridotto di quello latino: in italiano sono scomparse le congiunzioni polivalenti cum, ut, ubi, ma anche quelle più specifiche, come donec, quoad, quousque.
Quando è una delle poche congiunzioni che l’italiano (come le altre lingue romanze in generale, tranne il romancio, che usa cura < lat. qua hora) abbia ereditato direttamente dal latino. Tale congiunzione aveva, nel latino classico, valore causale. La congiunzione come viene usata, poco frequentemente prima di Dante, col valore di quando. Etimologicamente deriva dal latino quomo(do) + et, con un’evoluzione che, non seguita dai dialetti meridionali (commo, comu) e settentrionali (com; co nel veneziano e friulano), si trova anche in francese (comme).
La connessione tra frasi può realizzarsi in tre modi diversi: la subordinazione, la coordinazione e la giustapposizione (➔ paratassi). Fin qui abbiamo considerato esempi di subordinazione temporale; le relazioni temporali possono però anche essere inferite attraverso costruzioni coordinate o giustapposte (Simone 1995):
(44) Il giudice relatore in pochi minuti raccontò la storia del processo, spiegò le ragioni per cui il mio cliente era stato condannato e infine illustrò i motivi del mio ricorso (Carofiglio, cit., p. 23)
(45) Uscivo, come quella sera, dopo le dieci, mangiavo velocemente un panino, una fetta di pizza o del sushi e poi mi incamminavo, con il passo di chi ha un posto preciso da raggiungere e non ha tempo da perdere (ivi, p. 47)
(46) El greco la prese, e miselasi nella palma, e strinse lo Pugno, e puoselasi all’orecchie, e poi parlò, e disse ... (Novellino III)
(47) Richiamo ne fue. Lo Schiavo di Bari ne fu giudice. Udio le parti. Formoe la quistione. Onde nacque questa sentenzia, e disse così a colui che ritenne i bisanti ... (ivi X).
L’espressione della temporalità riveste un ruolo molto importante all’interno dei testi, in particolare in quelli di carattere narrativo (➔ testo, struttura del; ➔ testi narrativi).
Una delle funzioni principali delle frasi temporali in un testo è quella di distinguere lo sfondo (in ingl. background) e il primo piano (foreground) degli eventi. Generalmente, i tempi più spesso usati per la costruzione linguistica dello sfondo hanno ➔ aspetto imperfettivo, quelli impiegati nella codifica del primo piano hanno aspetto perfettivo: in italiano, infatti, le temporali, che tipicamente codificano lo sfondo, presentano spesso forme verbali all’➔imperfetto. Inoltre, anche le forme gerundiali si prestano a rivestire la funzione di sfondo (➔ temporalità, espressione della).
Occorre ora riflettere sui rapporti tra frasi temporali e struttura dato/nuovo (➔ dato/nuovo, struttura). Lombardi Vallauri (2000) riporta gli esempi seguenti:
(48) quando è partito ho perso ogni speranza
(49) ho perso ogni speranza quando è partito
(50) ho perso ogni speranza, quando è partito
(51) avevo perso ogni speranza, quando improvvisamente lui è partito
Le temporali in (48-50) sono chiamate circostanziali, la temporale in (51) è chiamata avverbiale di frase (Giusti 1991). Le avverbiali di frase non possono essere anteposte alla principale: (48-50) hanno un’articolazione dell’enunciato in tema e rema (➔ tematica, struttura), mentre in (51) sono presenti due elementi rematici e la frase risulta equivalente a una struttura coordinata come:
(52) avevo perso ogni speranza, e improvvisamente lui è partito
Alle frasi temporali può essere associata una presupposizione di verità (➔ pragmatica), che si instaura o no a seconda di alcuni parametri (Lombardi Vallauri 2000):
(a) il tempo del verbo: la presupposizione è più probabile con un tempo passato e quando l’evento espresso nella temporale è anteriore rispetto a quello della principale (53), mentre è poco probabile con un tempo futuro e quando l’evento espresso nella temporale è posteriore rispetto a quello della principale (54):
(53) quando raggiunsi la cima mi mangiai un panino
(54) prima di raggiungere la cima mi mangerò un panino
(b) il modo del verbo: la presupposizione è più probabile con il modo indicativo (55), mentre poco probabile con il modo congiuntivo (quando sarebbe ammesso anche l’indicativo) (56):
(55) quando raggiunsi la cima mi mangiai un panino
(56) quando raggiungessi la cima mi mangerei un panino
(c) il carattere, definito o no, dei sintagmi nominali: la presupposizione è più probabile con descrizioni definite (57), meno probabile con descrizioni indefinite (58):
(57) quando raggiungi la cima mangiati il panino
(58) quando raggiungi una cima mangiati un panino
(d) riduzione della subordinata: la presupposizione è più probabile se la subordinata è ridotta a costituente nominale (59), meno probabile se la subordinata ha verbo esplicito (60):
(59) sulla cima mi mangerò un panino
(60) quando raggiungerò la cima mi mangerò un panino
(e) contesto semantico: la presupposizione è più probabile se il contesto lascia supporre che l’evento della temporale si sia verificato o debba verificarsi sicuramente, è meno probabile se il contesto rende improbabile o addirittura impossibile l’evento della temporale;
(f) statuto informativo: la presupposizione è più probabile se la temporale ha valore tematico (61), è meno probabile se la temporale ha valore rematico (62):
(61) quando raggiungerò la cima mi mangerò un panino
(62) mi mangerò un panino quando raggiungerò la cima.
Giusti, Giuliana (1991), Frasi avverbiali: temporali, causali e consecutive, in Renzi, Salvi & Cardinaletti 1991, pp. 720-738.
Herman, Jozsef (1963), La formation du système roman des conjonctions de subordination, Berlin, Akademie.
Lombardi Vallauri, Edoardo (2000), Grammatica funzionale delle avverbiali italiane, Roma, Carocci.
Renzi, Lorenzo, Salvi, Giampaolo & Cardinaletti, Anna (a cura di) (1991), Grande grammatica italiana di consultazione, Bologna, il Mulino, 1988-1995, 3 voll., vol. 2º (I sintagmi verbale, aggettivale, avverbiale. La subordinazione).
Salvi, Giampaolo & Vanelli, Laura (2004), Nuova grammatica italiana, Bologna, il Mulino.
Solarino, Rosaria (1996), I tempi possibili. Le dimensioni temporali del gerundio italiano, Padova, Unipress.
Simone, Raffaele (1995), Iconic aspects of syntax, in Id. (edited by), Iconicity in language, Amsterdam - Philadelphia, John Benjamins, pp. 153-170.