Meinecke, Friedrich
Tra i maggiori se non il maggiore storico tedesco del Novecento, nacque a Salzwedel nel 1862 e morì a Berlino nel 1954. Secondo Meinecke, M. è una personalità «storico-mondiale» (weltgeschichtlich). Si legge così nell’unico scritto meineckiano monograficamente dedicato a M., la lunga Einführung all’edizione tedesca del Principe, pubblicata nel 1923, insieme con alcuni scritti minori del Segretario fiorentino, tra cui la Vita di Castruccio Castracani, nella serie dei «Klassiker der Politik» diretta dallo stesso Meinecke insieme con Hermann Oncken, il maestro di Gerhard Ritter (→), di lì a poco ‘nemico’ di Meinecke (Einführung, in N. Machiavelli, Der Fürst und kleinere Schriften, 1923, p. 8). Un’introduzione che è ben nota, negli studi su M., anche per l’Appendice (non ripubblicata però nei Werke) dedicata al problema della composizione del Principe, che Meinecke ritiene essere stato scritto non «di getto», e quindi anche successivamente al 1513: una tesi che gli attirò le critiche del suo giovane ex allievo italiano a Berlino, Federico Chabod.
Sancire l’importanza «storico-mondiale» di M., ricorrendo tra l’altro a un termine centrale per la filosofia della storia di uno dei primi grandi estimatori tedeschi del Fiorentino, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, significava per Meinecke dislocarsi sul fronte opposto a quello numeroso di coloro che – proprio il Ritter della Dämonie der Macht (1947) sarà fra questi – rifiutavano M. per motivi di carattere morale. Viceversa, Meinecke rintraccia nell’opera machiavelliana, a fianco, beninteso, del «duro realismo», anche la presenza di un «idealismo appassionato», culminante nella volontà di «rigenerare» l’Italia, calpestata dallo straniero a partire dalla calata di Carlo VIII. Lo storico tedesco suggerisce pertanto di tenere nella debita considerazione non solo i capitoli più aspri e famigerati del Principe (xv-xviii), con la stilizzazione di Cesare Borgia, ma anche quelli eticamente intonati in modo diverso, come il vi (i grandi fondatori virtuosi di Stati armati con armi proprie, cui fa da contraltare il profeta «disarmato» Savonarola) e il xxvi e ultimo, la cui esortazione a liberare l’Italia dalle mani dei barbari non sarebbe assolutamente da considerarsi alla stregua di un orpello retorico, bensì come intrinsecamente legata alla struttura dell’opera, insieme terribile e ammirevole.
Ma già nella Einführung del 1923 la grandezza storico-universale di M. non si esaurisce qui. Poiché ciò che, nella prospettiva di Meinecke, consente davvero al Fiorentino di superare per primo il Medioevo, gettando le fondamenta per un nuovo modo di ragionare intorno alla politica, sancendone l’autonomia, è l’originario delinearsi della dottrina degli «interessi» e della «necessità» dello Stato, fondanti una pratica politica apparentemente immorale o amorale, ma in realtà destinata, con il tempo, a rivelarsi come più morale, perché espressione di una eticità di secondo grado, pubblica e non privata, adatta alle individualità collettive e perciò sovraordinata alla moralità degli individui in senso stretto, che cercano la tutela dei loro diritti in vincoli universalistici e giusnaturalistici, antiquati e superandi.
La ‘modernità’ di M. va però bene intesa, e non forzata in modo anacronistico. Anzi, per taluni aspetti il M. di Meinecke può inaugurare la modernità politica proprio per il fatto di essere decisamente un uomo del passato. Il suo naturalismo accentuatamente monistico, prodromico al superamento del dualismo cristiano caratterizzante il Medioevo, appare infatti a Meinecke radicato in una mentalità «antico-elementare», tipica del Rinascimento italiano, che proprio a causa della semplicità pagana permette all’autore del Principe di affacciarsi senza vertigini sull’abisso del peccato. M., quindi, non è ancora né Amleto né Faust, la cui completa modernità andrebbe invece individuata proprio nelle laceranti e dualistiche contraddizioni del loro animo.
Si è così già sulla linea delle analisi che avrebbero trovato sbocco, subito dopo la Einführung al Principe, nel capolavoro di Meinecke, Die Idee der Staatsräson in der neueren Geschichte (1924), ma che per non pochi aspetti erano prefigurate nel suo primo grande libro, Welt bürgertum und Nationalstaat (1908), che già aveva intorno a M., nel capitolo su Johann Gottlieb Fichte, pagine notevoli. L’opera del 1924 si apre, dopo un’importante introduzione sull’«essenza della ragion di Stato», culminante addirittura nel concetto di «entelechia», proprio con un capitolo su M., che ne domina così in certo modo la struttura, anche essendovi l’autore di gran lunga più citato. E se si riflette sul fatto che Weltbürgertum und Nationalstaat si chiudeva con l’inno, all’epoca ancora quasi festoso (ma non v’erano ancora state le catastrofi) su Hegel, Leopold von Ranke e Otto von Bismarck come «liberatori dello Stato», non si fatica a cogliere il nesso con il primo capitolo di Die Idee der Staatsräson in der neueren Geschichte, con M. nelle vesti di liberatore della politica. Tanto più se si considera il legame strettissimo che qui Meinecke intreccia tra il Segretario fiorentino e la «Germania moderna» (da Hegel a Oswald Spengler nell’ultima pagina citato insieme al Benedetto Croce delle Pagine sulla guerra), dove «finalmente Machiavelli trovava gli uomini che lo comprendevano» (il riconoscimento hegeliano del machiavellismo era equivalso alla «legittimazione di un bastardo»: Die Idee der Staatsräson in der neueren Geschichte, 1924; trad. it. 1970, pp. 377 e 357). Per cui era proprio in Germania che, secondo lo storico di Salzwedel, si era potuti giungere a un’intima connessione di machiavellismo, idealismo e storicismo.
Avendo messo in rilievo questi contatti, non è inopportuno ricordare come, in un saggio del 1922 sulla «politica degli eruditi» (Gelehrtenpolitik) pubblicato nella «Historische Zeitschrift» da lui lungamente diretta, Meinecke operi un suggestivo e nello stesso tempo preoccupato avvicinamento fra M. e Max Weber, uomo «fra i più potenti del nostro tempo» e temperamento «titanico», la cui «oggettività» (Sachlichkeit) ricorderebbe la «freddezza di ghiaccio» del Fiorentino, e la cui concezione «macchinistica» dello Stato si riscalderebbe e palpiterebbe solo nel «Führertum cesaristico», unico luogo dello Stato in cui ancora «vale la pena di essere un uomo» (Drei Generationen deutscher Gelehrtenpolitik. Friedrich Theodor Fischer - Gustav Schmoller - Max Weber, «Historische Zeitschrift», 1922, 125, pp. 136-64). In tema di avvicinamenti e attualizzazioni va ancora ricordata, nella Einführung del 1923 al Principe, la definizione di M. come «repubblicano per intima inclinazione ideale» e «monarchico per ragione e rassegnazione» (in N. Machiavelli, Der Fürst und kleinere Schriften, cit., p. 20), la quale, giocando sui termini, quasi proietta M. nella difficile atmosfera della Germania weimariana, dove proprio Meinecke, insieme con gli amici Weber ed Ernst Troeltsch, era il «monarchico del cuore» costretto a trasformarsi in «repubblicano della ragione».
Die Idee der Staatsräson in der neueren Geschichte è un’opera di laceranti scissioni, le cui radici affondano sia nel tipico stile della riflessione di Meinecke, qui più che mai tormentosa, sia nel crollo della Germania imperiale, che lo costrinse a un profondo processo di revisione del corso della storia tedesca.
Prima pensavo anch’io in modo più solido e deciso su queste cose [il rapporto fra etica e politica], ma negli ultimi 15 anni il mondo, la vita e la storia mi sono divenuti sempre più misteriosi e oscuri (Neue Briefe und Dokumente, hrsg. G. Bock, G.A. Ritter, 2012, p. 299).
Queste parole, scritte da Meinecke a Chabod in una lettera del gennaio del 1928, ricalcano una frase famosa del libro del 1924:
Il mondo storico sta innanzi a noi più oscuro [...] e più incerto e pericoloso di quanto Ranke, e le generazioni che credevano nella vittoria della ragione nella storia, lo vedessero. Perché il suo lato naturale e oscuro si è manifestato più potente al nostro pensiero e alla nostra esperienza (Die Idee der Staatsräson in der neueren Geschichte, cit., p. 434).
Siffatto incrinarsi della fiducia nella positività della storia, sempre scissa fra natura e spirito, fra etica e politica, non può non riflettersi sull’interpretazione di M., che fonda lo Stato sulla «potenza» (Macht), la quale però non riesce a eticizzarsi completamente, con il rischio mai fugato della degenerazione nella «violenza» (Gewalt). Ecco allora emergere in primo piano gli aspetti negativi del machiavellismo, la
dottrina infamata per cui nella pratica politica sono giustificati anche i mezzi immorali se si tratta di acquistare o di affermare la potenza necessaria allo Stato. È l’uomo privato di ogni luce divina, trascendente, e lasciato solo nella lotta con le forze demoniache della natura (Die Idee der Staatsräson in der neueren Geschichte, cit., p. 37).
E il tema del «demonico» e del «demoniaco» percorre fittamente il capolavoro di Meinecke, che si chiude con l’invocazione agli uomini di Stato a non scatenare il demone intrinseco alla politica.
Al «machiavellismo delle masse» (Massenmachiavellismus) dedica infine un capitolo l’opera estrema del vecchio Meinecke, Die deutsche Katastrophe (1946), scritta all’indomani della Seconda guerra mondiale e del crollo della dittatura nazista. Con tale espressione Meinecke – qui più che mai lettore di Jacob Burckhardt – stigmatizza la massificazione della politica ormai entrata nello stadio del nazionalismo, dove gli impulsi di potenza e di accrescimento, pur radicati nel nucleo della vita, dilagano inarrestabili oltre ogni argine etico. Il «machiavellismo delle masse» è fenomeno universale, come tra l’altro rivela lo slogan del jingoismo, più volte citato daMeinecke: «right or wrong, my country». È però in Germania che esso avrebbe espresso la sua forma peggiore e più pericolosa, quella declinata nell’hitlerismo e nel tipo di uomo creato da Adolf Hitler, lo Hitlermenschentum (in Die deutsche Katastrophe Meinecke utilizza il duro termine Menschentum molto più spesso di Menschheit e Humanität). In Hitler, beninteso non necessariamente lettore di M. (un autore stimato da Meinecke come Hermann Rauschning testimoniava però che il Principe fosse il livre de chevet del Führer), sbocca dunque il ‘machiavellismo’ nel senso peggiore, quello di una brutale politica di potenza svuotata di qualsiasi contenuto etico e infestata da germi demonici e satanici.
Bibliografia: Weltbürgertum und Nationalstaat. Studien zur Genesis des deutschen Nationalgedankes, München 1908 (trad. it. Cosmopolitismo e Stato nazionale. Studi sulla genesi dello Stato nazionale tedesco, 2 voll., Firenze 1930); Drei Generationen deutscher Gelehrtenpolitik. Friedrich Theodor Fischer - Gustav Schmoller - Max Weber, «Historische Zeitschrift», 1922, 125, pp. 136-64; Einführung, in N. Machiavelli, Der Fürst und kleinere Schriften, Berlin 1923, pp. 7-47; Die Idee der Staatsräson in der neueren Geschichte, München 1924 (trad. it. L’idea della ragion di Stato nella storia moderna, 2 voll., Firenze 1942-1944; si cita dall’ed. Firenze 1970); Die Entstehung des Historismus, 2 voll., München 1936 (trad. it. Le origini dello storicismo, Firenze 1954); Die deutsche Katastrophe, Wiesbaden 1946 (trad. it. La catastrofe della Germania, Firenze 1948); Neue Briefe und Dokumente, hrsg. G. Bock, G.A. Ritter, München 2012.
Per gli studi critici si vedano: F. Chabod, Sulla composizione de Il Principe di Niccolò Machiavelli, «Archivum romanicum», 1927, 3, pp. 330-83; H. Rauschning, Gespräche mit Hitler, New York 1940 (trad it. Hitler mi ha detto. Rivelazioni del Führer sul suo piano di conquista del mondo, Milano 1945); G. Ritter, Macht staat und Utopie. Vom Streit um die Dämonie der Macht seit Machiavelli und Morus, München 1940 (dalla 5ª edizione rivista, con il titolo Die Dämonie der Macht. Betrachtungen über Geschichte und Wesen des Machtproblems im politischen Denken der Neuzeit, Stuttgart 1947, la trad. it. Il volto demoniaco del potere, Bologna, 1958); F. Tessitore, Friedrich Meinecke storico delle idee, Firenze 1969; D. Conte, Storia della critica, in F. Tessitore, Introduzione a Meinecke, Roma-Bari 1988, pp. 127-66; F. Tessitore, Introduzione a Meinecke, Roma-Bari 1988; D. Conte, Sulla fortuna di Meinecke in Italia: tappe e nodi problematici, in I percorsi dello storicismo italiano nel secondo Novecento, a cura di M. Martirano, E. Massimilla, Napoli 2002, pp. 535-68; G. Bock, Meinecke, Machiavelli und der Nationalsozialismus, in Friedrich Meinecke in seiner Zeit. Studien zu Leben und Werk, Stuttgart 2006, pp. 145-75.