Filosofo (Stoccarda 1770 - Berlino 1831). Dopo aver compiuto gli studî ginnasiali nella sua città, entrò nel 1788 nello Stift di Tübingen, una sorta di seminario protestante, dove ebbe come condiscepoli Schelling e Hölderlin, con i quali condivise gli entusiasmi per la Rivoluzione francese. Nel 1790 conseguì il titolo di "Magister" in filosofia e nel 1793 quello di "candidato" in teologia. Conclusi gli studî universitarî, H. si trasferì a Berna come precettore e di questo periodo sono alcuni degli inediti pubblicati nel 1907 con il titolo Hegels theologische Jugendschriften, e cioè Das Leben Jesu e Die Positivität der christlichen Religion. Nel 1796 tornò a Stoccarda e successivamente si occupò di nuovo come precettore, questa volta a Francoforte, dove ritrovò l'amico Hölderlin. Di questi anni, densi anche di interessi per i problemi storico-politici ed economici, sono Der Geist des Christentums und sein Schicksal (anch'esso pubblicato poi nella raccolta Hegels theologische Jugendschriften) e gli abbozzi di quello che sarà il saggio su Die Verfassung Deutschlands. Alla morte del padre, avvenuta all'inizio del 1799, H. si trovò a disporre di un piccolo patrimonio che gli consentì di ripensare alla carriera universitaria e di trasferirsi a Jena, dove allora insegnava Schelling, con il quale doveva stabilire in quegli anni una proficua collaborazione, culminata nella pubblicazione della rivista Kritisches Journal der Philosophie (1802-03). Nel frattempo, sempre a Jena, nel 1801 aveva conseguito la libera docenza presentando una tesi dal titolo De orbitis planetarum e aveva pubblicato il saggio su Differenz des Fichte'schen und Schelling'schen Systems der Philosophie. Anche nel Kritisches Journal comparivano varî suoi saggi, tra cui particolarmente importante Glauben und Wissen (1802) dove H. faceva i conti con la filosofia di Kant, Jacobi e Fichte, riportandole tutte al soggettivismo che aveva dominato nell'età moderna, e Über die wissenschaftlichen Behandlungsarten des Naturrechts (1802-03) dove polemizzava contro le concezioni, tanto puramente empiristiche quanto formalistiche, del diritto. Agli anni di Jena, in cui H. tenne corsi come libero docente dal 1801 e, come professore straordinario, dal 1805, risale pure una cospicua mole di inediti riguardanti la logica, la filosofia della natura e la filosofia dello spirito; e, per quanto riguarda i problemi etico-politici, la Verfassung Deutschlands (1802-03) e il cosiddetto System der Sittlichkeit (1802). Il periodo jenese culmina nella prima grande opera pubblicata da H., la Phänomenologie des Geistes (1807) che segue anche alla rottura speculativa con Schelling. Frattanto, sotto l'infuriare della guerra, la situazione a Jena si era fatta insostenibile anche economicamente e perciò H. passò dapprima a Bamberga, come redattore della locale gazzetta, e poi, in seguito a difficoltà e scontri con la censura, a Norimberga quale preside del liceo locale alla fine del 1808, rimanendovi fino al 1816. Di questo periodo, oltre alla Philosophische Propädeutik (pubbl. postuma nel 1840), è la Wissenschaft der Logik (2 voll., 1812-16), che gli valse la chiamata all'università di Heidelberg, dove iniziò le lezioni nell'autunno del 1816. Nel 1817 pubblicò l'Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse, scritta anche per esigenze didattiche. Nel 1818 H. fu chiamato all'università di Berlino dove il suo insegnamento ebbe il massimo della risonanza e diede luogo alla formazione di una scuola di grande prestigio, pur tra le polemiche suscitate già in parte dai Grundlinien der Philosophie des Rechts (1821), e protrattesi sino ai giorni nostri, circa il carattere più o meno conservatore della sua concezione del diritto e dello stato. Del periodo di Berlino sono anche alcuni viaggi di grande importanza culturale, in Olanda (1822), a Vienna (1824), a Parigi (1827). Nel 1827 uscì una seconda edizione notevolmente accresciuta dell'Enzyklopädie a cui seguì una terza nel 1830; di questi anni sono anche alcuni saggi comparsi nella rivista Jahrbücher für wissenschaftliche Kritik, pubblicata da H. insieme ad alcuni allievi. Dall'ottobre 1829 all'ottobre 1830 fu rettore dell'univ. di Berlino e in tale veste pronunciò un importante discorso celebrativo della Confessione di Augusta nel suo terzo centenario (25 giugno 1830). Va infine ricordato che negli anni di Berlino H. tenne importanti cicli di lezioni sull'estetica, la filosofia della religione, la filosofia della storia, la storia della filosofia, pubblicati postumi in gran parte a cura dei discepoli. Il pensiero di H. si forma e si sviluppa in un'epoca di grandi tensioni politiche e spirituali che vanno dalla Rivoluzione francese allo scontro tra le correnti illuministiche e quelle romantiche, dalle nostalgie classicistiche all'aspirazione ad un profondo rinnovamento morale e politico ispirato anche a un cristianesimo di stile non tradizionale. Di questi fermenti sono permeati i cosiddetti Theologische Jugendschriften dove emerge già la tendenza a considerare gli avvenimenti dal punto di vista dello "storico pensante" cogliendone significati storico-speculativi che vanno molto al di là delle stesse intenzioni e, ancor più, della consapevolezza dei loro protagonisti. Tale riflessione sulla storia e sul destino dell'uomo si collega strettamente a quella sulle condizioni della Germania, dove H. constata una completa dissoluzione dello stato dovuta a una concezione puramente astratta del diritto, e all'assenza di una più diretta partecipazione delle vive e concrete forze politiche alla vita statale. Come appare già dai Theologische Jugendschriften e diventa peraltro sempre più chiaro ed esplicito negli scritti di Jena, per H. i problemi storico-politico-religiosi possono trovare soluzione solo attraverso una rinnovata concezione della filosofia e della ragione come superamento e integrazione delle prospettive limitate e unilaterali. In questo senso H. critica la riflessione e l'intelletto come sapere puramente finito, per affermare il loro superamento in un "sistema", inteso come espressione di una più profonda nozione di verità come totalità che ricomprende in sé, come suoi momenti, le diverse prospettive che l'intelletto aveva fissato nella loro accidentalità e particolarità. Tutto questo comporta altresì, come si vede già in Glauben und Wissen, un superamento delle usuali contrapposizioni tra finito e infinito e della concezione dell'infinito come ideale irraggiungibile, anche se sempre perseguito, in cui sono ancora rimaste impigliate la stessa filosofia di Kant e di Fichte. La scoperta e la conoscenza scientifica della verità passano perciò attraverso la "fenomenologia" come "scienza dell'esperienza della coscienza", nel duplice senso dell'esperienza compiuta dalla coscienza sulle cose e sul suo stesso modificarsi nel corso dell'esperienza. La fenomenologia segue lo sviluppo della coscienza, dalle sue "figure" più semplici ed elementari fino a quelle più elevate e complesse, scorgendovi le tappe necessarie con cui essa si libera da quello che ancora al criticismo appariva un limite assoluto, e cioè la convinzione che l'oggetto in sé sia qualcosa di assolutamente opposto ed estraneo al soggetto, determinando uno stato di alienazione della coscienza rispetto a sé stessa. Tale processo poi è intrinsecamente "dialettico", poiché i suoi momenti si succedono attraverso rovesciamenti radicali di cui la "negazione determinata" è la molla e la condizione essenziale, e opera in funzione di un compimento del processo che consente, mediante la "rammemorazione", la riconquista del senso dell'intero processo, dalla cui totalità lo spirito riceve e comprende la propria interna ricchezza e completezza. Scoperta e conclusione della fenomenologia è quindi che l'assoluto, lo spirito, non è soltanto sostanza, ma soggetto, ossia principio del proprio movimento, un movimento che ha lo scopo di portarlo al sapere assoluto. Tale processo però non è semplicemente un itinerario pedagogico o psicologico del singolo, ma coinvolge l'intera storia dell'umanità dalle sue forme più primitive e selvagge fino all'avvento delle grandi civiltà, come quella greca, cristiana e moderna. Di qui il disegno grandioso ed ambizioso della Phänomenologie, dove rientrano tanto motivi e momenti tratti dalla storia dell'arte e della religione, della scienza e della politica, quanto tematiche concernenti la natura, considerati però tutti per la funzione che hanno avuto nell'itinerario della coscienza verso il sapere assoluto, per le "figure" (particolarmente fortunate quelle del rapporto "servo-padrone" e della "coscienza infelice") a cui hanno dato luogo nell'ideale galleria di immagini da cui la storia dello spirito è costituita. Attraverso la fenomenologia, comunque, per H. è possibile accedere a quella che rimarrà una delle parti fondamentali del suo sistema, e cioè la "scienza della logica" come studio delle "determinazioni" dell'idea, ossia delle pure essenze considerate nella loro interna sistematicità. Si tratta di una scienza del tutto particolare, il cui inizio non può essere dato che dal pensiero puro o, meglio, dalla decisione di pensare in modo puro, e quindi di muovere dalla nozione più pura e indeterminata possibile, che per H. è quella di "essere". La logica si divide in tre grandi parti, la logica dell'essere, dell'essenza e del concetto; a loro volta, le due prime parti costituiscono la logica oggettiva, mentre la terza la logica soggettiva. Nelle due prime parti infatti vengono considerate quelle nozioni che costituiscono l'ossatura del pensiero metafisico e scientifico (dalle nozioni più astratte come l'essere, il nulla, il divenire, a quelle della qualità e della quantità, alle categorie in senso kantiano, ai grandi principî logico-metafisici come quello di identità, contraddizione, ragion sufficiente, ecc.). Nella terza parte soltanto vengono affrontate le nozioni centrali della logica (concetto, giudizio e sillogismo), sottraendole alle tradizionali definizioni e considerandole come momenti di un processo attraverso il quale il concetto si divarica nel giudizio e si recupera, arricchito e realizzato, nel sillogismo che esprime a livello formale la legge stessa della realtà, sorta di grande sillogismo nel quale la finitezza delle cose corrisponde al momento del giudizio, ossia del distinguersi e contrapporsi dialettico, necessario perché l'unità conclusiva sia razionale, ossia internamente articolata e compiuta. In questo senso la logica hegeliana è diversa non solo dalla logica formale tradizionale, ma anche dalla logica trascendentale di tipo kantiano; essa è piuttosto, come dice H. stesso, una sorta di studio delle essenze quali sono in Dio avanti la creazione, ossia una esposizione dell'articolazione razionale interna della realtà senza la quale non sarebbero comprensibili né la natura né lo spirito. La natura poi rappresenta per H. l'estraniarsi dell'idea da sé stessa, il momento della sua dispersione e frantumazione che prelude e condiziona il suo ritrovarsi nello spirito. In questo senso H. si oppone alle tendenze volte a divinizzare la natura o a considerarla come manifestazione privilegiata dello spirito poiché, al contrario, la caratteristica della natura è la sua "impotenza" a realizzare pienamente il concetto. Per altro verso però H. respinge tutte le concezioni puramente materialistiche, meccanicistiche, matematizzanti della natura, poiché nella natura si può e si deve riscontrare lo sforzo di realizzare l'idea, anche se questo avviene sempre e soltanto in forma contraddittoria, poiché neppure nella sua forma più alta, e cioè nell'animale, la natura giunge a risolvere la contraddizione dell'esteriorità dell'idea a sé stessa, e cioè alla coscienza. Pertanto la filosofia della natura si divide in tre grandi parti che studiano la crescente complessità delle diverse forme o dei diversi ordinamenti della natura nel loro rapporto dialettico. Anzitutto la "meccanica", che studia la natura nella sua esteriorità (i rapporti spazio-temporali, attrazione e repulsione, gravitazione); in secondo luogo la "fisica", che studia la materia in quanto "si strappa alla gravità" e assume una propria unità interna (processi magnetici, elettrici e chimici) e, infine, l'"organica", che dalla natura geologica (i cristalli sono già individualità dotate di una consistenza e struttura diversa rispetto a quella degli stessi processi chimici) giunge alla vita vegetale e animale. Anche nelle sue forme più alte però nella natura non c'è vero sviluppo e progresso, ma piuttosto pura ripetizione. Una vera conquista spirituale può avvenire soltanto nel mondo della storia e ad opera dello spirito. Si passa così, per H., al mondo dello spirito, e anche la filosofia dello spirito è articolata in tre momenti, quello dello spirito soggettivo, oggettivo e assoluto. La filosofia dello spirito soggettivo considera le diverse forme di vita e attività dello spirito, da quelle più elementari della sensazione, o addirittura del sogno, a quelle più elevate di intelligenza e di volontà; anche qui, come già nella logica, si tratta però di uno studio dialettico, per cui quelle che nella tradizione filosofica erano state considerate come "facoltà" isolate, vengono invece considerate come momenti di uno sviluppo unitario che muove dalle zone più profonde e oscure della vita dell'anima e, attraverso il linguaggio, tende alle forme più alte di sapere (antropologia, fenomenologia, psicologia). Nello spirito oggettivo invece vengono studiate le forme in cui lo spirito si realizza come in una "seconda natura", ossia nel mondo della storia e delle istituzioni, anche qui secondo uno schema triadico per cui dal diritto astratto, come insieme di norme che regolano estrinsecamente la vita delle persone e i loro rapporti di proprietà, si passa alla morale come momento dell'universalità etica, per giungere all'eticità quale sintesi di diritto e di morale che si articola a sua volta nei tre momenti della famiglia, della società civile e dello stato. Il processo dello spirito oggettivo ripercorre in sostanza la storia stessa, dal punto di vista delle istituzioni che per H. sono sempre strettamente legate alla peculiarità dello "spirito di un popolo". In questo senso è possibile ravvisare in essa l'attuarsi di un disegno razionale di progressiva realizzazione della libertà dal mondo orientale, dove uno solo è libero, a quello greco dove si realizza la libertà di alcuni nella forma etico-estetica della vita della polis, alla libertà universale astratta del mondo romano con la sua affermazione del diritto, fino al mondo cristiano-germanico, che pone il principio della libertà universale come libertà interiore e viceversa. La storia appare così (nonostante tutti i suoi innegabili aspetti drammatici e tragici, le ingiustizie e le sofferenze, inspiegabili in una prospettiva puramente individuale e moralistica) come una vera "teodicea", ossia una giustificazione di quel disegno divino di liberazione dello spirito che tocca poi alla filosofia comprendere concettualmente quale spirito assoluto che coglie quel disegno, nella forma dell'arte mediante l'intuizione e nelle sue configurazioni sensibili, nella forma della religione con la rappresentazione, e nella forma della filosofia attraverso una conoscenza concettuale. Per questo rapporto tra arte, religione e filosofia sono significativi soprattutto i cicli di lezioni ad esse dedicate, pubblicati postumi. Così, nell'arte lo spirito percorre tre grandi tappe, costituite rispettivamente dall'arte simbolica, classica e romantica. La prima è caratterizzata dalla presenza del simbolo che, col suo ambiguo accostamento di sensibile e spirituale, corrisponde a una concezione ancora inadeguata che lo spirito ha di sé. È l'arte che si realizza nel mondo orientale e che culmina nell'immagine della Sfinge, figura ambigua di animale e di uomo e perciò stesso espressione più alta del simbolico. Nella nuova fase storica che si apre con il mondo greco, lo spirito giunge a un grado di consapevolezza dell'idea che trova piena e adeguata espressione nella figura umana, l'unica che può realizzare la perfetta compenetrazione e armonia tra spirituale e sensibile nel sensibile. La scultura, e non più l'architettura, incarna la forma "classica" di arte come perfetto equilibrio spirituale e sensibile, destinato a scomporsi e dissolversi irrevocabilmente con l'avvento del cristianesimo. Rispetto agli dei greci che "non hanno occhi", Cristo rappresenta la scoperta da parte dello spirito di essere infinito, di essere soggettività, di essere libertà, ossia di avere una natura che non può più trovare espressione adeguata in nessuna figura sensibile. Da questa consapevolezza nasce così l'arte romantica, caratterizzata da una serie di forme artistiche di crescente astrattezza rispetto al sensibile, ossia la pittura, la musica e la poesia, dove si manifesta sempre più evidente la sproporzione tra l'espressione sensibile e il contenuto spirituale, in una direzione però opposta a quella dell'arte simbolica e dovuta alla superiorità del contenuto rispetto alla forma. Di qui il concetto di "morte dell'arte" nel senso che, dopo la classicità e con la scoperta del carattere infinito dello spirito, l'arte non è più in grado di esprimere la verità dello spirito, verità che vive ormai nelle forme della religione e della filosofia. Anche la religione poi presenta uno sviluppo storico necessario che porta dalle religioni determinate alla religione assoluta, quella cristiana, suo culmine e compimento. Soltanto con il cristianesimo si ha infatti l'universalità dello spirito che si è concretamente e organicamente articolato, attraverso la rivelazione, nella storia sino a giungere alla conciliazione dei credenti nella comunità, dopo la Riforma non più contrapposta come Chiesa allo Stato, ma vissuta come superamento della loro opposizione. Nella concezione della religione assoluta H. riprende pertanto lo schema trinitario cristiano, interpretandolo però come sviluppo dello spirito attraverso la natura e la storia per giungere al sapere di sé, in una filosofia che non si pone in alternativa alla religione, ma ne esplica il contenuto e il significato in forma concettuale. La specificità della filosofia consiste infatti nell'essere un sapere concettuale che ha come oggetto la sua storia, ossia il processo stesso attraverso il quale si è formato o, meglio, la totalità delle posizioni in cui tale processo si è articolato. In questo senso la storia della filosofia appare come qualcosa di ben diverso da quella semplice "filastrocca di opinioni" a cui taluni la riducevano, e si rivela così processo necessario perché il sapere si realizzi in modo sistematico, ossia come consapevolezza concettuale della necessità dei momenti in cui si è articolato e della loro integrazione, che ne supera la limitatezza. Filosofia, come sistema della razionalità, e storia della filosofia vengono così a coincidere, ma questa coincidenza non va però in nessun modo intesa come un ritrarsi della filosofia in sé stessa, quale sapere concettuale, poiché la filosofia è veramente tale solo in quanto è il "proprio tempo appreso con il pensiero". Per quanto riguarda poi specificamente il suo tempo H. ritiene che segni il culmine dell'età moderna, la risoluzione dell'opposizione tra soggettivo e oggettivo, tra finito e infinito, il superamento dell'estraniazione dell'autocoscienza rispetto a sé stessa; per questo proprio e soltanto la filosofia dello spirito assoluto corrisponde al bisogno dell'epoca e lascia come retaggio il compito di portare consapevolmente alla luce e all'effettualità la vera natura dello spirito come spirito assoluto quale è stata ormai compresa nella filosofia e dalla filosofia.