Schiller, Friedrich
La centralità della politica nella tragedia romantica
Vissuto in un’epoca di rivoluzioni e di guerre, Friedrich Schiller sviluppò in drammi di grande bellezza poetica il tema della libertà individuale messa a confronto con la realtà politica e con gli ideali morali. La sua passione libertaria lo ha reso il poeta più amato dell’Ottocento
Friedrich Schiller nasce a Marbach, vicino a Stoccarda, nel 1759. Accanto a Goethe è uno dei grandi classici della letteratura tedesca. A Weimar, luogo per eccellenza del classicismo tedesco dove Schiller si trasferirà dal 1799, un monumento celebra il mito di quell’amicizia rappresentando i due poeti uniti da una stretta di mano.
Iscritto dal padre, chirurgo di un reggimento, all’accademia militare di Stoccarda, Schiller rimane vittima della dura disciplina del duca Carlo Eugenio – fondatore della scuola –, che lo fa arrestare per essersi recato ad assistere alla rappresentazione del suo primo dramma, I masnadieri, e che gli impone di abbandonare l’attività letteraria. Un’avventurosa fuga da Stoccarda gli consentirà di riprendere a lavorare ai suoi drammi. Ma tutta l’esistenza di Schiller, tormentato da difficoltà economiche e dalla tisi che lo porterà alla morte nel 1805, non fu facile.
L’opera di Schiller ha suscitato reazioni radicalmente diverse: da un lato gli entusiasmi ottocenteschi per l’interprete delle idee di libertà nell’Italia risorgimentale e nell’Europa delle rivoluzioni, dall’altro la critica novecentesca del suo pathos enfatico.
Poeta, autore di ballate (Le gru di Ibico, Il tuffatore), di un racconto poliziesco e di un romanzo, Schiller è soprattutto un grande inventore di congegni teatrali. Tutto il suo teatro (ma anche gli scritti teorici) ruota attorno al tema della politica: nelle Lettere sull’educazione estetica dell’uomo (1795) egli affida all’educazione al bello l’alto compito politico di educazione alla libertà.
Al centro dei suoi drammi vi è spesso un intrigo: I masnadieri (rappresentato nel 1782) sviluppa il motivo dei fratelli nemici con i raggiri di Franz e le esaltazioni di Karl, che per fanatico amore di giustizia si unisce a una banda di briganti ma alla fine si consegna nelle mani della legge. La congiura del Fiesco a Genova (1783) mette in scena la lotta contro un tiranno e l’ansia di potere dello stesso congiurato, mentre il dramma Luise Millerin (1784), poi intitolato Intrigo e amore, cala una trama di inganni in una pièce di ambientazione borghese.
Nei drammi della maturità l’intrigo diventa progetto politico. Nel Don Carlos (1787) questo è affidato all’eloquenza del marchese di Posa e alla celebre scena che culmina nella richiesta a Filippo II: «Sire, concedete libertà di pensiero».
Così la tragedia, inizialmente solo passionale – l’amore di don Carlos, figlio di Filippo II, per Elisabetta, terza moglie del sovrano spagnolo –, si trasforma in dramma politico per l’autonomia delle Fiandre.
Nel Wallenstein (1798) il comandante delle truppe imperiali nella guerra dei Trent’anni appare trascinato dalla sua sete di potere, mentre in Maria Stuarda (1800) l’autore contrappone due regine, Elisabetta e Maria, in un intreccio di colpa e innocenza. Con La pulzella d’Orléans (1801) e Guglielmo Tell (1804) l’idealismo schilleriano mette in risalto nel personaggio di Giovanna d’Arco il conflitto tra missione morale e debolezza umana e nell’eroe svizzero l’opposizione al governatore imperiale; ma soprattutto, attraverso le imponenti scene di massa, viene celebrato il dramma di un intero popolo.
Gli intrecci e la spettacolarità dei drammi schilleriani hanno offerto ricca materia agli autori di libretti d’opera e ai musicisti: basta pensare al Guglielmo Tell, musicato da Gioacchino Rossini, oppure a I masnadieri, Luisa Miller e Don Carlos di Giuseppe Verdi.
Un elemento che rende attuale l’opera di Schiller è l’aver rappresentato il suo fervore di libertà in diversi contesti e presso altri popoli (le Fiandre nel Don Carlos, la Francia nella Pulzella d’Orléans, la Svizzera nel Guglielmo Tell), e presentandolo quindi come un’aspirazione universale. Lo scrittore non ha dunque dato voce a slanci di tono patriottico-nazionalistico, ma, molto modernamente, a un’idea libertaria di più vasto respiro. E non è un caso se l’Inno alla gioia schilleriano, che Beethoven fa cantare al coro nella sua Nona sinfonia, sia diventato, come espressione dell’entusiasmo per la libertà, l’inno dell’idea di Europa.