Abstract
Viene descritta la natura e la disciplina fiscale dei cd. Fringe benefits – erogazioni collaterali alla retribuzione – attraverso un esame della nozione fiscale di reddito di lavoro dipendente delineata dal legislatore. Ad un generale principio di cd. onnicomprensività, in base al quale tutto ciò che il dipendente riceve in relazione al rapporto di lavoro, anche sotto forma di fringe benefits in natura, concorre a formare il suo reddito imponibile, si contrappongono alcune eccezioni rappresentate da erogazioni che il legislatore ha ritenuto meritevoli di tutela e che quindi, al ricorrere di specifiche condizioni, usufruiscono di un regime tributario e previdenziale agevolato. Si analizzeranno infine i criteri di determinazione del valore attribuibile ai fringe benefits che il legislatore ha individuato (criterio cd. “generale” e valorizzazione “convenzionale” per alcuni di essi).
Il legislatore fiscale ha stabilito che il reddito di lavoro dipendente – ossia, in altri termini, il reddito imponibile in capo ai lavoratori dipendenti – sia costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro (cd. principio di onnicomprensività).
Inoltre, in virtù del cd. “principio di armonizzazione delle basi imponibili”, il reddito di lavoro dipendente – determinato applicando le regole del t.u.i.r. – costituisce, salvo rare eccezioni, anche la base di calcolo dei contributi previdenziali.
Il riferimento operato dal legislatore, oltre che alle “somme”, anche ai “valori”, si spiega con il fatto che il concorso alla formazione del reddito imponibile in capo ai lavoratori riguarda non solo le erogazioni in denaro ma anche quelle in natura (beni e servizi) che necessitano di essere opportunamente valorizzate. Tipicamente, i cd. fringe benefits rappresentano erogazioni in natura collaterali alla retribuzione.
In linea generale, quindi, in presenza di una relazione causale con il rapporto di lavoro, qualsiasi utilità – sia in denaro che in natura – percepita dal dipendente, anche da parte di soggetti terzi, concorre – fatte salve alcune specifiche eccezioni – a formare il suo reddito tassabile e soggetto a contributi. In proposito, occorre innanzitutto rilevare che le utilità suscettibili di formare il reddito tassabile dei dipendenti non comprendono quelle concesse dal datore di lavoro in risposta ad un proprio interesse, esclusivo o prevalente.
Ci si riferisce, specificamente, alla fornitura degli strumenti di lavoro (es. il personal computer, le tute da lavoro etc.) che, lungi dal soddisfare interessi e bisogni dei lavoratori, non possono assumere in capo a questi ultimi natura retributiva. Al riguardo, si osserva che, al fine di individuare lo specifico interesse che il datore di lavoro soddisfa, occorre aver riguardo non tanto alla intrinseca natura del fringe benefit erogato quanto al contesto in cui questo venga riconosciuto.
A titolo d'esempio, un corso di lingua inglese offerto dal datore di lavoro a dipendenti tenuti, nell'espletamento delle ordinarie mansioni lavorative, a rapportarsi con clientela straniera, risponde intuitivamente ad un interesse prevalente del datore di lavoro medesimo e non assume quindi natura retributiva in capo al dipendente; lo stesso benefit – se rivolto a dipendenti che, nell'esercizio delle proprie mansioni, si rivolgano esclusivamente al mercato domestico – soddisfa invece un interesse extra-lavorativo dei prestatori di lavoro e, sempre che non ricorrano specifiche condizioni agevolative, dovrà concorrere a formare il loro reddito tassabile (e soggetto a contributi).
Tanto premesso, il citato principio di onnicomprensività può essere quindi declinato in questi termini: tutto ciò che i dipendenti ricevono – in denaro o in natura – in relazione al rapporto di lavoro – direttamente dal datore di lavoro o, in virtù di un collegamento o di una convenzione con quest'ultimo, da soggetti terzi – e che soddisfi un loro prevalente interesse, è idoneo a formare il loro reddito tassabile.
In presenza della citata forza attrattiva suscettibile di rendere tassabile qualsiasi utilità percepita dai dipendenti in relazione al rapporto di lavoro, il legislatore ha previsto alcune specifiche deroghe, prevedendo che taluni benefits – erogati con finalità ritenute meritevoli di tutela – non concorrano (o, in alternativa, concorrano solo entro certi limiti) alla formazione del loro reddito imponibile.
Volendo individuare alcuni tratti comuni che caratterizzano le erogazioni in parola, è possibile affermare innanzitutto che, fatte salve alcune eccezioni che saranno esaminate più avanti, il regime di favore che il legislatore riserva a tali fringe benefits è subordinato alla condizione che questi siano concessi in natura mentre è da considerarsi tassabile l'erogazione di denaro a favore dei dipendenti finalizzata ad acquistare i medesimi servizi.
Al fine di usufruire dell'esenzione, i benefits in esame possono essere concessi direttamente dal datore di lavoro oppure da fornitori terzi. Ciò che rileva ai fini del trattamento fiscale agevolato, in quest'ultimo caso, è che il dipendente rimanga estraneo al rapporto economico che deve intercorrere solo tra l'azienda e l'erogatore del servizio.
Inoltre, onde evitare che siano agevolabili singole erogazioni ad personam, il legislatore – in linea generale – ha subordinato l'esclusione di alcuni benefits dalla formazione del reddito tassabile al fatto che questi siano concessi alla generalità o a categorie di dipendenti.
Le categorie di dipendenti alle quali occorre riferirsi non devono necessariamente coincidere con quelle previste dall'art. 2095 c.c. (dirigenti, quadri, impiegati e operai); infatti, anche in base all'interpretazione fornita dall'Agenzia delle entrate (circ. n. 326/E del 1997 e circ. n. 188/E del 1998), per “categoria” si deve intendere un raggruppamento omogeneo di dipendenti.
Rientrano pertanto in una medesima categoria, a titolo d'esempio, tutti i dipendenti di un determinato turno lavorativo, i lavoratori aventi una certa anzianità lavorativa, quelli impiegati in un particolare stabilimento, i dipendenti che hanno figli, etc.
L'Agenzia delle entrate ha chiarito che nel concetto di generalità o categorie di dipendenti è ricompresa la messa a disposizione dei benefits, nei confronti di un gruppo omogeneo di dipendenti, a prescindere dalla circostanza che in concreto soltanto alcuni di essi ne usufruiscano. Infine, in alcuni casi, l'esclusione dalla formazione del reddito è assicurata entro limiti prestabiliti.
Non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente:
i) I contributi previdenziali e assistenziali obbligatori nonché, fino all'importo di 3.615,20 Euro, quelli di assistenza sanitaria versati – dal datore di lavoro o dal lavoratore – ad enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale in conformità a disposizioni di contratto, di accordo o di regolamento aziendale.
I contributi previdenziali (es. contributi dovuti all'INPS) e assistenziali (es. contributi INAIL) obbligatori, ossia quelli finalizzati – rispettivamente – a garantire ai dipendenti una prestazione pensionistica o la copertura di alcuni rischi (es. infortuni, malattie professionali, invalidità, etc.), sono esclusi dalla formazione del reddito imponibile in capo ai dipendenti senza alcun limite.
L'esenzione dei contributi di assistenza sanitaria è invece concessa entro il limite annuo di 3.615,20 Euro e a condizione che gli enti e le casse ai quali i contributi sono versati operino in specifici ambiti di intervento stabiliti dal Ministero della Salute.
ii) Le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro, nonché quelle in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite da terzi.
Le prestazioni in esame sono escluse dalla formazione del reddito imponibile senza alcun limite. Rientrano fra le somministrazioni di vitto, ad esempio, i pasti consumati dai camerieri o dal cuoco di un ristorante oppure quelli consumati dai collaboratori domestici. L'Amministrazione finanziaria, ai fini dell'esenzione, ha equiparato alle somministrazioni in mense aziendali, gestite direttamente dal datore di lavoro oppure da terzi, le convenzioni stipulate dal datore di lavoro medesimo con ristoranti o altri esercizi (es. bar). In quest'ultimo caso, i dipendenti devono rimanere estranei al rapporto economico che deve instaurarsi fra il datore di lavoro e il terzo fornitore. In altri termini, non può godere di alcun trattamento fiscale agevolato il rimborso delle spese sostenute autonomamente dai dipendenti per consumare il pasto.
iii) Le prestazioni sostitutive rese attraverso i cd. ticket restaurant fino al limite giornaliero di 5,29 Euro, aumentato a 7 Euro in caso di utilizzo di ticket elettronici oppure, sempre entro il limite giornaliero di 5,29 Euro, le indennità sostitutive corrisposte agli addetti ai cantieri edili, ad altre strutture lavorative a carattere temporaneo o ad unità produttive ubicate in zone dove manchino strutture o servizi di ristorazione.
Relativamente ai ticket restaurant “ordinari” (non elettronici), l'Amministrazione finanziaria ha chiarito che, allo scopo di evitare un loro utilizzo per finalità diverse da quelle che il legislatore ha inteso tutelare riconoscendo un trattamento fiscale agevolato, deve essere individuabile un collegamento fra i tagliandi ed il tipo di prestazione cui danno diritto; i tagliandi devono cioè recare sul retro la precisazione che non possono essere cedibili, né cumulabili, né commerciabili né convertibili in denaro.
È stato invece previsto un limite di esenzione più elevato (7 Euro anziché 5,29) per i ticket in formato elettronico, in quanto meno suscettibili di abusi (ad es. spendibilità ammessa solo nelle giornate lavorative).
L'esenzione prevista per le indennità di mensa costituisce una delle eccezioni alla sopra citata regola in base alla quale il trattamento fiscale agevolato riconosciuto ad alcuni fringe benefits è subordinato alla condizione che questi siano concessi in natura e non in denaro.
Quanto alla nozione di «unità produttive ubicate in zone ove manchino strutture o servizi di ristorazione», l'Amministrazione finanziaria (risoluzione n. 41/E/2000) ha sostenuto che l'esenzione in esame competa per le indennità corrisposte a lavoratori per i quali ricorrano contemporaneamente le seguenti condizioni:
a) avere un orario di lavoro che comporti la pausa per il vitto. Sono esclusi, quindi, tutti i dipendenti ai quali, proprio in funzione della particolare articolazione dell'orario di lavoro che non consente di fruire della pausa pasto, viene attribuita una indennità sostitutiva di mensa;
b) essere addetti ad una unità produttiva. Sono esclusi, quindi, coloro che non sono stabilmente assegnati ad una "unità" intesa come sede di lavoro;
c) ubicazione della suddetta unità in un luogo che, in relazione al periodo di pausa concesso per il pasto, non consente di recarsi, senza l'utilizzo di mezzi di trasporto, al più vicino luogo di ristorazione, per l'utilizzo di buoni pasto.
L'esclusione delle erogazioni in parola dalla formazione del reddito imponibile è ammissibile anche qualora il datore di lavoro, in funzione delle proprie esigenze organizzative e dell'attività svolta, adotti più sistemi contemporaneamente, istituendo, ad esempio, il servizio di mensa per una categoria di dipendenti, il sistema dei ticket restaurant per un'altra categoria e provvedendo all'erogazione di una indennità sostitutiva per un'altra ancora.
Secondo l'Agenzia delle entrate (citata circ. n. 326/E del 1997), è invece da escludere che lo stesso dipendente, con riferimento alla medesima giornata lavorativa, possa fruire del servizio mensa e utilizzare anche il ticket restaurant o ricevere anche l'indennità sostitutiva del servizio di mensa, fruendo dell'esclusione dalla formazione del reddito di 5,29 Euro.
Analogamente, in presenza di indennità sostitutiva pari 2 Euro e ticket restaurant con valore nominale di 3 Euro, non è possibile, con riferimento alla stessa giornata, cumulare le due prestazioni sostitutive fino a raggiungere la predetta soglia di esclusione, ma è necessario assoggettare a tassazione integralmente una delle due.
iv) Le prestazioni di servizi di trasporto collettivo alla generalità o a categorie di dipendenti, anche se affidate a terzi ivi compresi gli esercenti servizi pubblici.
I servizi di trasporto in esame sono quelli per lo spostamento dei dipendenti dal luogo di abitazione o da un apposito centro di raccolta alla sede di lavoro o viceversa.
Ai fini dell'esenzione, i servizi possono essere offerti direttamente dal datore di lavoro (es. servizio navetta) oppure da terzi convenzionati con il datore di lavoro (il dipendente deve però rimanere estraneo al rapporto contrattuale con il vettore).
v) L'utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari per le finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto.
Rientrano, a titolo d'esempio, nell'agevolazione in esame: l'utilizzo di impianti sportivi o di ambulatori aziendali, l'iscrizione dei dipendenti da parte del datore di lavoro a corsi dal contenuto extra-professionale, la fornitura di biglietti o abbonamenti per spettacoli, musei e viaggi etc.
Non è richiesto che le opere e i servizi siano messi a disposizione direttamente dal datore di lavoro, ben potendo quest'ultimo rivolgersi a fornitori terzi (es. centro diagnostico).
L'esclusione, in questo caso, è sempre subordinata al fatto che il rapporto contrattuale si instauri direttamente fra datore di lavoro e fornitore del servizio, non potendo godere della medesima esenzione il rimborso che il datore di lavoro disponga a favore dei dipendenti che sostengano in proprio le relative spese (o l'anticipazione da parte del medesimo datore di lavoro delle somme necessarie).
Fino al 31 dicembre 2015, il trattamento agevolato riservato alle erogazioni in esame era subordinato al fatto che queste fossero concesse volontariamente dal datore di lavoro e non in adempimento di un vincolo contrattuale.
La l. di Stabilità 2016 ha riformulato la norma in commento stabilendo, fra l'altro, che le utilità possano essere concesse anche in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale.
La recente l. di Bilancio 2017 ha infine stabilito che la disposizione citata deve considerarsi applicabile anche alle opere e servizi riconosciuti dal datore di lavoro – del settore privato o pubblico – in conformità a disposizioni di contratto collettivo nazionale di lavoro, di accordo interconfederale o di contratto collettivo territoriale.
Il legislatore ha quindi eliminato un potenziale ostacolo ad una piena diffusione dei piani di welfare, rappresentato dalla necessaria presenza del requisito della volontarietà delle erogazioni in parola ai fini della loro esenzione.
vi) Le somme, i servizi e le prestazioni erogati alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la fruizione, da parte dei familiari, dei servizi di educazione e istruzione anche in età prescolare, compresi i servizi integrativi e di mensa ad essi connessi, nonché per la frequenza di ludoteche e di centri estivi e invernali e per borse di studio a favore dei medesimi familiari.
L'attuale riferimento ai «servizi di educazione e istruzione anche in età prescolare», sgombra il campo dagli equivoci creatisi in vigenza della precedente versione della norma circa l'applicabilità del trattamento fiscale agevolato anche alle spese relative alla frequenza di scuole materne (ora senz'altro incluse).
I fringe benefits in esame, unitamente a quelli menzionati al punto successivo, possono essere erogati anche in denaro e costituiscono un'ulteriore eccezione alla già citata regola in base alla quale il trattamento fiscale agevolato è subordinato alla condizione che i benefits siano concessi in natura e non in denaro.
È peraltro necessario che il datore di lavoro acquisisca e conservi la documentazione comprovante l'utilizzo delle somme da parte del dipendente coerentemente con le finalità per le quali sono state corrisposte.
vii) Le somme e le prestazioni erogate dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la fruizione dei servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti.
L'Agenzia delle entrate (circ. n. 28/E del 2016) ha chiarito che rientrano nella nozione di familiari “anziani” quelli che abbiano compiuto i 75 anni di età e che “non autosufficienti” possono essere considerati coloro che non siano in grado di compiere gli atti della vita quotidiana quali, ad esempio, assumere alimenti, espletare le funzioni fisiologiche e provvedere all'igiene personale, deambulare e indossare gli indumenti. Lo stato di non autosufficienza deve risultare da certificazione medica.
xi) I contributi e i premi versati dal datore di lavoro a favore della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti per prestazioni, anche in forma assicurativa, aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana o aventi per oggetto il rischio di gravi patologie.
Nel dubbio, sollevato da autorevole dottrina (cfr. circ. Assonime n. 24 del 2016), che fra i servizi di cd. utilità sociale – più sopra commentati – potessero o meno essere ricompresi anche i premi versati dal datore di lavoro per polizze assicurative stipulate a favore dei dipendenti, il legislatore, con la recente l. di Bilancio 2017, ha risolto la questione includendo espressamente fra i fringe benefits che non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente i premi per polizze cd. Long Term care e Dread Disease.
x) Il valore delle azioni offerte alla generalità dei dipendenti per un importo non superiore complessivamente nel periodo d'imposta a 2.065,83 Euro, a condizione che non siano riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro o comunque cedute prima che siano trascorsi almeno tre anni dalla percezione; qualora le azioni siano cedute prima del predetto termine, l'importo che non ha concorso a formare il reddito al momento dell'acquisto è assoggettato a tassazione nel periodo d'imposta in cui avviene la cessione.
La disposizione in esame esclude dalla formazione del reddito il valore delle azioni concesse nel contesto di piani di cd. azionariato popolare e riserva quindi un trattamento fiscale agevolato a misure volte a fidelizzare il personale dipendente.
Le azioni assegnabili – per espressa disposizione legislativa – sono quelle emesse dall'impresa con la quale i dipendenti intrattengono il rapporto di lavoro, nonché quelle emesse da società che direttamente o indirettamente controllano la medesima impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa.
Da notare che, fra le condizioni poste alla base della detassazione, oltre a quella che prevede che le azioni debbano essere detenute dai dipendenti assegnatari per un periodo minimo di tre anni (un piano azionario volto a fidelizzare il personale mal si concilierebbe, infatti, con la possibilità di monetizzare a breve termine l'investimento), vi è quella che prevede che si decada comunque dall'agevolazione in caso di riacquisto delle azioni – anche oltre il triennio dalla data di assegnazione – da parte della società emittente o del datore di lavoro.
Il legislatore, verosimilmente per esigenze di semplificazione, ha previsto una generalizzata esclusione da imposizione per tutti i beni e i servizi – potenzialmente imponibili – di scarso valore.
Più in particolare, laddove il datore di lavoro eroghi beni o servizi – per i quali non sia prevista alcuna specifica deroga al generale principio di onnicomprensività – il cui valore, nell'arco di un periodo d'imposta, non superi – complessivamente – l'importo di Euro 258,23, non si genera alcun reddito tassabile in capo ai dipendenti.
In caso di superamento di tale soglia, il dipendente decade però dal beneficio dell'esenzione e l'utilità ricevuta concorre integralmente alla formazione del suo reddito imponibile.
La valorizzazione dei fringe benefits in natura – ai fini del loro concorso alla formazione del reddito di lavoro dipendente da assoggettare ad imposte e contributi – deve essere effettuata facendo riferimento alle disposizioni relative alla determinazione del valore normale dei beni e dei servizi contenute nell'art. 9 del d.P.R. 22.12.1986, n. 917 (cd. t.u.i.r.).
Occorre pertanto fare riferimento (art. 9 del t.u.i.r):
a) in prima battuta, per quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che fornisce i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d'uso. Per i beni e i servizi soggetti alla disciplina dei prezzi, si deve fare riferimento ai provvedimenti in vigore;
b) qualora il primo criterio non risulti applicabile, al «prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquistati o prestati e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi» (l'art. 9 del t.u.i.r. prevede poi regole particolari per la determinazione del valore delle azioni).
Per i beni ed i servizi offerti dal datore di lavoro ai dipendenti, il valore normale può essere identificato nel prezzo scontato che il fornitore pratichi sulla base di apposite convenzioni ricorrenti nella prassi commerciale, compresa l'eventuale convenzione stipulata con il datore di lavoro (Agenzia delle entrate, risoluzione n. 26/E/2010).
Inoltre, il valore normale dei generi in natura prodotti dall'azienda e ceduti ai dipendenti è determinato in misura pari al prezzo mediamente praticato dalla stessa azienda nelle cessioni al grossista.
Occorre infine considerare che il valore dei fringe benefits che deve concorrere alla formazione del reddito imponibile in capo ai dipendenti deve essere assunto al netto di quanto eventualmente da loro corrisposto, sia direttamente sia attraverso specifica trattenuta operata dal datore di lavoro in busta paga, a titolo di corrispettivo.
In caso contrario, si finirebbe infatti con il considerare imponibile in capo ai dipendenti un presunto arricchimento in realtà inesistente.
Per le operazioni rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, il corrispettivo eventualmente riconosciuto dai dipendenti a fronte del benefit ricevuto dovrà inoltre essere assunto al lordo dell'IVA addebitata dal datore di lavoro.
Il legislatore, allo scopo di dare certezza al rapporto tributario, ha definito per alcuni fringe benefits (cd. fringe benefits a valore convenzionale) specifici criteri di valorizzazione che saranno esaminati nel prosieguo.
i) Autoveicoli concessi ai dipendenti in uso promiscuo
In caso di concessione di autoveicoli in uso promiscuo (sia per uso privato che aziendale) ai dipendenti, il valore che deve concorrere alla formazione del reddito di lavoro dipendente, espressivo dell'utilizzo dell'autoveicolo da parte del lavoratore per scopi privati (si tratta della quota parte del servizio concesso dal datore di lavoro che soddisfa un interesse proprio del lavoratore e che, pertanto, sulla base di quanto più sopra commentato, deve concorrere a formare il suo reddito imponibile), è stato identificato dal legislatore in misura pari al 30 per cento dell'importo corrispondente ad una percorrenza convenzionale di 15 mila chilometri, calcolato sulla base del costo chilometrico di esercizio desumibile dalle tabelle emanate annualmente dall'Automobile Club Italia.
Le voci comprese nei costi chilometrici di esercizio sono le seguenti: quota ammortamento capitale; quota interessi sul capitale investito; assicurazione RCA; tassa automobilistica; carburante; pneumatici; riparazioni e manutenzioni.
Anche il fringe benefit in esame soggiace al generale criterio di determinazione del valore più sopra commentato, in base al quale esso deve essere assunto al netto di quanto corrisposto dal dipendente. Al riguardo, l'Amministrazione finanziaria, (Circ. 326/E/1997), ha peraltro sostenuto che «è del tutto irrilevante (…) che il dipendente sostenga a proprio carico tutti o taluni degli elementi che sono nella base di commisurazione del costo di percorrenza fissato dall'ACI, dovendosi comunque fare riferimento, ai fini della determinazione dell'importo da assumere a tassazione, al totale costo di percorrenza esposto nelle suddette tabelle».
ii) Prestiti concessi ai dipendenti
In caso di concessione di prestiti, il valore imponibile in capo ai dipendenti è pari al 50 per cento della differenza tra l'importo degli interessi calcolato al tasso di riferimento vigente al termine di ciascun anno e l'importo degli interessi al tasso effettivamente applicato.
L'ambito applicativo della disposizione in esame comprende, oltre al finanziamento concesso direttamente dal datore di lavoro, le forme di finanziamento concesse da terzi con i quali il datore di lavoro medesimo abbia stipulato accordi o convenzioni.
Non si può non notare che, in presenza di tassi di riferimento pari a zero o prossimi allo zero, l'emersione di un fringe benefit imponibile appare un evento assai improbabile.
L'Agenzia delle entrate (risoluzione n. 46/E del 2010) – con riferimento al fringe benefit in esame – ha chiarito che, a determinate condizioni, si possa fare riferimento alla citata modalità di quantificazione del valore da assoggettare a tassazione anche nel caso in cui il finanziamento agevolato non sia erogato direttamente dal datore di lavoro o da un istituto di credito convenzionato ma sia lo stesso datore di lavoro a riconoscere un contributo ad abbattimento degli interessi dovuti dai dipendenti in relazione a finanziamenti da costoro autonomamente negoziati con istituti di credito di propria fiducia.
L'applicazione di tale modalità di quantificazione del benefit è però subordinata al rispetto di una rigorosa procedura che, nel caso esaminato dall'Agenzia delle Entrate, prevede: l'erogazione da parte del datore di lavoro – sul conto corrente che il dipendente mutuatario ha dedicato al pagamento del mutuo – di un contributo aziendale a copertura di una quota degli interessi maturati; il prelievo presso il medesimo conto corrente – da parte dell'istituto di credito mutuante – delle singole rate del finanziamento; l'accredito del contributo sulla base delle scadenze e dei giorni di valuta previsti nel piano di ammortamento del mutuo; la presentazione da parte del dipendente all'azienda – entro il 31 gennaio – della certificazione attestante la regolarità dei pagamenti delle rate del finanziamento, rilasciata periodicamente dall'istituto di credito, a conferma del fatto che le somme accreditate sono state utilizzate per sostenere gli oneri finanziari attinenti al mutuo.
Le descritte modalità di accreditamento del contributo in conto interessi hanno quindi portato l'Amministrazione a ritenere che il vantaggio economico concesso al dipendente – in termini di minore importo della rata da corrispondere alla banca – potesse concorrere alla formazione del reddito di lavoro dipendente secondo il citato criterio di valorizzazione poiché esse «realizzano un collegamento immediato e univoco tra l'erogazione aziendale e il pagamento degli interessi tale per cui l'importo corrisposto dal datore di lavoro non entra, di fatto, nella disponibilità del dipendente».
Pertanto, ricorrendo le suddette condizioni, il valore del fringe benefit può essere calcolato tenendo conto degli oneri finanziari che restano effettivamente a carico del dipendente mutuatario.
Infine, secondo l'Agenzia, per quanto attiene ai rapporti tra l'azienda e l'istituto di credito mutuante, l'invio all'istituto medesimo dell'informativa attinente alla concessione del contributo aziendale ovvero alla eventuale revoca dello stesso, fa sì che l'azienda non resti estranea all'operazione di finanziamento che i dipendenti hanno posto in essere.
iii) Fabbricati concessi ai dipendenti
Per i fabbricati concessi dal datore di lavoro in locazione, in uso o in comodato ai dipendenti, ai fini della determinazione del valore del fringe benefit imponibile si deve assumere l'importo che risulta dalla differenza fra la rendita catastale del fabbricato – aumentata di tutte le spese inerenti il fabbricato stesso, comprese le utenze non a carico dell'utilizzatore – e quanto corrisposto dal dipendente per il godimento del fabbricato.
Per i fabbricati concessi in connessione all'obbligo di dimorare nell'alloggio stesso (es. alloggio del custode), si deve invece assumere il 30 per cento della predetta differenza.
In questo caso, infatti, la concessione del fabbricato non soddisfa unicamente le esigenze abitative del dipendente ma risponde altresì ad un'esigenza datoriale. La quantificazione del fringe benefit sembra quindi tener conto di questo fatto.
Infine, per i fabbricati che non sono soggetti ad iscrizione in catasto (es. immobili situati all'estero), la valorizzazione del benefit in esame deve avvenire facendo riferimento alla differenza fra il valore del canone di locazione determinato in regime vincolistico o, in mancanza, quello determinato in regime di libero mercato, e quanto corrisposto dal dipendente per il godimento del fabbricato.
Artt. 9 e 51 d.P.R. 22.12.1986, n. 917 (t.u.i.r.); l. 28.12.2015, n. 208; l. 11.12.2016, n. 232.
Leo, M., Le imposte sui redditi nel testo unico, Tomo I, Milano, Ed. 2016, 747 ss.; Treu, T., a cura di, Welfare aziendale 2.0 – Nuovo welfare: vantaggi contributivi e fiscali, in Wolters Kluwer Italia Editore, Ed. 2016, 173 ss.